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Autore: Lilja    23/11/2009    2 recensioni
Un Natale diverso, durante il periodo fascista. Una mamma, che ha perso la speranza, attende.
Genere: Malinconico, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’inutile caduta.

Da quando aveva saputo della morte del figlio, Angela vestiva di nero. Un’antica usanza che aveva imparato dalla madre, dopo la dipartita di suo padre.
Angela aveva una famiglia numerosa, molte figlie e altrettanti figli. Si era sposata da giovane quindi aveva potuto apprezzare le gioie della maternità nei suoi anni più sereni.
Quando però, un mese prima, le avevano annunciato quel terribile lutto, Angela sedeva spesso di fronte la porta di casa, contemplando il vuoto. Quante cose avrebbe voluto dire a suo figlio, quanto avrebbe voluto condividere con lui.
Quel Natale del ’43 aveva lasciato che le sue figlie preparassero il cenone, che suo marito chiudesse in anticipo il loro negozio, per potersi dedicare i suoi momenti pieni di pensieri.
Immaginava di essere lì, su quel campo in Grecia, ad accudire il suo bambino troppo cresciuto ed impedirgli di perire sotto il fuoco nemico. Se lei avesse potuto opporsi al richiamo della guerra, suo figlio sarebbe stato lì ad aiutare le sorelle. Le avrebbe rivolto un sorriso mentre lamentava la situazione politica instabile Era sempre stato una testa calda tanto quanto un perfetto gentiluomo.
Mentre Angela rimuginava sulla sua perdita, un ragazzo, a migliaia di km di distanza, arrancava nella neve diretto chissà dove. Era con dei tedeschi senza capire il tedesco. Quello che sapeva, e che aveva intuito, era di essere un italiano malvisto da metà plotone.
I suoi vestiti non erano adatti al clima. La camicia troppo leggera, i pantaloni di scarsa qualità e le scarpe arrangiate non bastavano a proteggerlo dal freddo pungente.
Si sarebbe potuto lamentare ma non fermare. Fermarsi equivaleva a perdere il passo, perdere ogni speranza di tornare alla civiltà, seppur brutale come l’aveva conosciuta ultimamente.
Si chiedeva spesso perché non avessero preposto un carro per il loro trasporto. Un carro per animali, anche pieno di escrementi. Tutto pur di non dover calpestare ancora quella neve. Pungeva come mille spilli ad ogni singolo passo.
Per un momento pensò di essere buffo. Dove era nato non nevicava mai. Da piccolo sperava di poter vedere spessa la distesa bianca che ora odiava. Avrebbe colpito con una palla di neve suo fratello più piccolo, avrebbe infastidito le sorelle, troppo impaurite per sporcarsi le povere vesti. Poi sarebbe corso a cena, gustando quel misero tozzo di pane che la vita gli concedeva. Forse avrebbe avuto un po’ di sugo avanzato, nel caso ce ne fosse stato, per riscaldarsi lo stomaco. Aveva scritto alla sua famiglia, a sua madre, l’ultima lettera speranzosa, chissà quanto tempo fa.
In quel preciso momento si soffermò sui ricordi che aveva di lei, senza sapere che, a migliaia di chilometri, lei ricambiava seduta su una sedia di fronte la porta della loro casa. In Italia.



Angolo dell'Autrice
Questa qui è per mio nonno. E' lui il figlio creduto morto, è una storia vera. Mi sono immaginata come avesse reagito la mia bisnonna credendolo morto. Per fortuna è tornato, sennò ora io non sarei qui :)
  
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