Note
dell’autrice: eccomi ritornata, avete visto? Dopo un mese esatto, meglio di uno
svizzero. Grazie per le continue recensioni. Anche l’autrice vi ringrazia di
tutto cuore per i complimenti.
Cominciamo
subito, vi va?
ANGOLO
DELLE RECENSIONI:
YURI5:
Beh, io non l’avrei definito hot. In inglese si direbbe, credo, hurt/comfort. Io
l’ho trovato molto dolce più che altro. In più, come hai notato, ci sono i
continui commenti di Strawberry che spostano un po’
l’attenzione.
ANNINA94:
Beh, per quanto anch’io appartenga al club: “facciamo sparire Mark, il mondo
sarà un posto migliore”, non posso non capire Strawberry. Non dev’essere facile
essere così combattuti tra due uomini completamente diversi. Comunque, ce la
farà alla fine a rendersene conto?
BILU_EMO:
Sai che anch’io avevo pensato ad un lavoro da traduttrice? Può darsi che lo
farò, almeno inizialmente, poi vorrei fare filologia. Non importa sei commenti
s0no corti, mi fa piacere che tu ti faccia sentire.
11STELLINA11:
Beh, che dire? Grazie. Lo farò sapere all’autrice che la storia ti piace.
SABRIEL:
Grazie per i complimenti, sono contenta che la storia ti piaccia. La storia,
purtroppo, non è mia, ma di una bravissima autrice chiamata cruelfeline. Io sto
solo traducendo la sua storia per questo sito.
TYTY:
Sono contenta che il capitolo ti sia piaciuto. Avevo paura di averlo tradotto
non troppo bene o di averti delusa. Effettivamente qui non ho capito molto
Strawberry: va bene, ok, è fidanzata con Mark, ma se anche io fossi fidanzata e
mi capitasse Orlando Bloom o Jared Leto, feriti davanti alla porta di casa
ecco…. Potrei non rispondere delle mie azioni.
DOLL93:
Beh, sì, Strawberry ci ha impiegato un po’. Spero di non aver ritardato troppo.
Grazie per il commento.
Che
dire? Grazie a tutte voi per il continuo sostegno e per i complimenti.
Probabilmente, se non ci foste state voi, non avrei tradotto questa
storia.
Buona
lettura
Capitolo
10
Quando
gli occhi di Ghish si aprirono, la sua visuale offuscata non gli disse nulla
circa l’ambiente in cui si trovava: anche la sua mente in stato confusionale lo
aiutò poco. Per pochi istanti, rimase sdraiato in stato di semi-coscienza,
chiedendosi dove fosse e a cosa fosse appoggiato. Era morbido, caldo e, mentre
recuperava possesso di sé stesso, si accorse che aveva un dolce e tenero profumo
che lo portò raggomitolarsi ancora di più contro quella
cosa.
Mentre
faceva quel piccolo movimento, si rese conto che c’era un braccio attorno a lui,
e che c’era un dolce peso posato sulla sua testa. Muovendosi ancora un po’,
sirene conto che quel peso era quello di una mano e che le sue dita erano
intrecciate nei suoi capelli. A seguire tutto questo ci fu una fitta al petto
che gli ricordò gli eventi delle ultime due settimane. Per alcuni secondi si
fermò ad assimilare quell’informazione, con il cervello che andava dolorosamente
piano una volta liberato dal torpore, prima di finire con il chiedersi a cosa
fosse appoggiato esattamente.
O
chi, in effetti, per questa… questa...
Il nome gli giunse sia come una grossa
sorpresa, che come un dono ben accetto.
Strawberry.
I
suoi occhi si focalizzarono sul volto di lei, sulle sue lunghe e delicate
ciglia, sulle ciocche disordinate di capelli color fragola che le ricadevano
sulla fronte, mentre lei dormiva beatamente. Trascorse un minuto durante il
quale lui rimase paralizzato, in parte a completamente confuso per via della sua
posizione, ma soprattutto, perché non la voleva svegliare.
Che
momento… non avrebbe potuto immaginare, nelle sue più sfrenate fantasie,
un’immagine più perfetta, una sensazione più beata di questa.
Per
tanto… per così tanto… aveva sperato che questo accadesse per così tanto: ogni
volta che la vedeva, sognava di avere una possibilità del genere, la possibilità
di stare semplicemente insieme a lei. Era qualcosa che, sapeva, lei non avrebbe
mai compreso: le sue azioni verso della mew gatto erano sempre così maliziose o
crudeli. Era possessivo e lo sapeva. Era in qualche modo tirannico e sapeva
anche questo, ma non poteva cambiare il suo cuore e nemmeno il fatto che lei lo
poteva appena immaginare.
Poteva
appena immaginare la beatitudine di un momento come quello, quanto lui avesse
desiderato un cosa del genere ogni volta che aveva sentito la sua presenza,
sentito la sua voce, visto i suoi occhi brillanti….
Era
sempre andata male: la sua natura aveva distorto tutto. Aveva sempre fallito. Ma
ora.. ora… se solo fosse riuscito a non svegliarla… se solo avesse permesso al
sonno di regnare, forse il sogno non sarebbe finito.
Erano
questi i suoi pensieri, mentre guardava Strawberry dormire, mentre si avvicinava
a lei, sempre più vicino alle sue dolci, soffici labbra. Un bacio.. un unico
bacio e tutto sarebbe stato perfetto. Un bacio e si sarebbe lasciato andare al
sonno, sperando con tutto sé stesso che il sonno preservasse quel
momento.
Quel
prezioso bacio gli fu sottratto da un improvviso, irritante pizzicore alla gola
e da un terribile dolore lancinante che gli andava dalla spalla al petto,
costringendolo a ritrarsi bruscamente nello stupore più totale, prima che il
pizzicore si trasformasse in una tosse irregolare, che scosse violentemente il
suo corpo magro.
Avrebbe
imprecato per la frustrazione, se quell’improvvisa agonia fisica non fosse stata
così forte. La tosse gli tolse il respiro, e, non fosse stato per questo,
avrebbe gridato per il tremendo dolore che provava al lato sinistro del petto.
Se ne fosse stato capace, avrebbe imprecato non solo per aver perso il bacio, ma
anche perché l’attacco di tosse aveva svegliato
Strawberry.
Il
momento di beata inconsapevolezza della ragazza fu drammaticamente più breve di
quello di Ghish: in un lampo, si ricordò di dove si trovava, con chi si trovava
e cosa era accaduto. Un millisecondo più tardi prese coscienza di cosa l’aveva
svegliata e non perse tempo nel tentare di aiutare l’alieno.
“Ghish.”
Mormorò il suo nome con voce dolce, leggermente insonnolita e segnata da una
vena di preoccupazione, mentre cominciava a dare dei colpetti sulla schiena
dell’alieno, cercando di farlo smettere. Dopo pochi attimi, la sua azione si
rivelò inutile: la gelida soglia del panico cominciò a penetrarle l’animo e lei
si sedette, afferrando il ragazzo per le spalle e tenendolo su insieme a lei,
fino a che la tosse si placò, lasciando Ghish a respirare affannosamente, con
debolezza.
Entrambi
erano del tutto svegli, ed entrambi si accorsero con la stessa pugnalata di
terrore che la situazione era peggiorata nottetempo. L’espressione di Strawberry
mutò da assonnata a tremendamente preoccupata, mentre osservava bene
l’alieno.
Era
più pallido del normale, anche rispetto a quelli della sua razza, ma le sue
guance erano arrossate. Gli occhi erano stranamente lucidi ed un velo di sudore
brillava sulla fronte. Mentre lui riprendeva lentamente il controllo sul suo
respiro, si accorse di sentirsi debole e leggermente infreddolito, nonostante il
calore che Strawberry aveva creato nel letto. La cosa peggiore di tutte era il
bruciore nella gola, intensificatosi dopo l’attacco di tosse, che, Ghish
comprese improvvisamente, non sarebbe stato l’ultimo. Del tutto sveglio, si
accorse di stare malissimo.
Ciò
gli fece desiderare ancora di più la dolce e tranquilla estasi di pochi istanti
prima.
Quel
nostalgico pensiero fu interrotto dalla voce di
Strawberry.
“Resta
fermo Ghish, ok?” Senza attendere una risposta, la ragazza si avvicinò e mise
dolcemente una mano sulla fronte dell’alieno: la preoccupazione le dipinse il
volto quando le sue paure divennero realtà.
Per
forza era febbricitante, cos’altro poteva aspettarsi dopo tutto quello che era
accaduto? L’avrebbe dovuto attendere dalla notte in cui lui le era apparso (la
sua normale divisa poteva difficilmente essere definita appropriata per stare in
una tempesta di neve), e probabilmente l’eventualità era diventata certezza nel
momento in cui lui aveva lasciato la casa ed aveva passato una mezz’ora circa
nella neve, già indebolito dall’esposizione precedente.
Tuttavia,
nonostante questa fosse una diagnosi attesa, il cuore di Strawberry sprofondò
mentre lei guardava il ragazzo tremante, ed un improvviso spasimo di tenerezza
la colpì.
Lo
respinse dolcemente sul letto, togliendosi le lenzuola di dosso nel farlo.
Mentre lisciava le coperte intorno a lui, fu alquanto sorpresa al sentire
accenni di lacrime negli occhi.
Tutto
è peggiorato. Cosa dovrei fare ora? Non so come
curarlo…
Fu
anche più sorpresa quando lui le parlò con quella voce roca, debole, eppure con
ancora una traccia della sua usuale scaltrezza.
“Te
ne vai di già?”
Lei
abbassò lo sguardo su di lui, sorpresa, quasi ponderando se doverlo sgridare per
quello che sembrava essere un altro dei suoi commenti osceni, ma una semplice
occhiata al suo volto la distolse da quel pensiero.
Il
suo sorrisetto era lì, esangue, ma c’era. I suoi occhi trattenevano quella
familiare scintilla, seppure offuscata dal dolore, dalla debolezza, perfino
dalla paura.
Cosa
ancora più intrigante, trattenevano… forse era la sua immaginazione…
preoccupazione?
All’inizio,
tale nozione le parve ridicola, eppure all’improvviso, si ricordò di alcuni
momenti, di alcune volte in cui i suoi occhi erano stati diversi. Come quella
notte in cui il chimero tapiro aveva quasi sconfitto le Mew Mew. La notte in cui
tutto era cominciato. Quella notte…. Non era totalmente sicura di cosa fosse
accaduto quella notte, ma si ricordava quello stesso sguardo nei suoi occhi. Si
ricordò di come l’avesse confusa, quasi spaventata, di come le avesse fatto
perdere la presa su Ghish, facendolo scivolare a terra.
Strawberry
sapeva, senza ombra di dubbio, che non poteva permettere che la
cosa
si
ripetesse. Non importava cosa era successo in passato, ora doveva comportarsi in
modo diverso.
Invece
del rimbrotto che il commento dell’alieno avrebbe dovuto suscitare, lei rispose
con un sorriso, pieno di tutta la rassicurazione che poteva raccogliere nel suo
stato ansioso.
“Vado
a prendere un termometro, ok? Torno subito.”
Di
nuovo, con sua grande sorpresa, lui non aveva nulla da dire. Si appoggiò al
cuscino, con una leggera tosse che lo scuoteva, mentre lei usciva dalla
stanza.
Mentre
frugava nell’armadietto dei medicinali, Strawberry si morse le labbra, con le
mani che le tremavano ed un gelido panico minacciava di lacerarle la mente. Come
avrebbe superato questo, ora? Era stato diverso quando si trattava solo di una
ferita. Certo, una ferita profonda, ma pochi giorni a letto gli avrebbero
consentito di recuperare abbastanza forza da essere in grado di curarsi da
solo.
Ora..
ora era tutto così infinitamente peggiorato, e l’aspetto più terribile di questo
(e lei provò dolore fisico quando si accorse di questo) era che era tutto,
innegabilmente, accaduto per colpa sua. Era stato per la sua asprezza ed
insensibilità che lui si era ammalato così velocemente, era colpa sua se ora si
trovava ad affrontare una situazione che non sapeva come
gestire.
Tutti
questi pensieri le occupavano la mente, mentre usciva dal bagno con un
termometro in mano. Mentre camminava lungo il corridoio, un’ altra serie di
pensieri la invase.
Hai
appena dormito con Ghish.
Strinse
i denti, frustrata dal fatto che questo avrebbe dovuto aspettare, infastidita
perché avrebbe dovuto incontrare il ragazzo alieno con questi pensieri che le
correvano pericolosamente per la mente, vicini ai suoi pensieri normali. Quanto
disperatamente voleva risolvere quella situazione! Eppure… forse era meglio se
non lo faceva. Non ancora. In qualche modo, sapeva che il risultato sarebbe
potuto non essere quello che lei si aspettava. In qualche modo sapeva che più
tardi lo faceva, meglio era.
Eppure,
questo non fermava quelle farfalle di dubbio dal fare la loro tipica danza nel
suo stomaco.
Ritornò
al letto, togliendo il termometro dal suo astuccio prima di accomodarsi sulla
sedia della sua scrivania accanto a Ghish, tenendo il termometro davanti a
lui.
“Questo
è un termometro. Misura la temperatura del tuo corpo. Dovrai tenero sotto la
lingua per un po’ ok?” Attese per alcuni secondi, chiedendosi se avrebbe fatto
il difficile, ma lui annuì semplicemente (internamente, lei stava soffrendo per
il terribile pallore del suo viso), aprì la bocca per permetterle di far
scivolare il termometro sotto la sua lingua.
L’oggetto
era elettrico e quindi ci mise pochi secondi per registrare la temperatura. Lei
lo tolse e lo lesse. Trentanove gradi Celsius. Dopo averlo fissato per alcuni
istanti, si rese conto di non conoscere di fatto la normale temperatura di un
corpo alieno. Arrossendo leggermente all’inaspettato attacco della sua
fastidiosa, abituale lentezza mentale (1), si schiarì nervosamente la gola prima
di chiedere:
“Qual’è
la tua normale temperatura corporea? Nei nostri gradi?”
A
causa del silenzio che seguì, lei pensò che la domanda fosse troppo complicata
per lui, mentre si trovava in quello stato e stava per interrompere il suo
pensare quando lui mormorò:
“Trentacinque.”
Trentacinque.
Trentanove e trentacinque… questo… questo è brutto.
“Stai…
stai male Ghish” Uh, bene, stupida.
Si pentì nel momento in cui lo disse e lei non era di certo l’unica ad aver
percepito la stupidità di quel momento.
“Avrei
potuto dirtelo anch’io gat..” fu interrotto da un altro attacco di tosse, e la
vergogna di Strawberry svanì, quando lei vide il dolore tornare sul volto di
Ghish. Avrebbe potuto attendere finché non si fosse fermato, ma gli mise una
mano sulla testa, accarezzandogli inconsciamente i capelli mentre l’episodio
terminava. La sua preoccupazione si intensificò ulteriormente quando si accorse
che l’aveva indebolito tanto da non fargli terminare la battuta. Giacque
tremando leggermente sotto la mano di lei, respirando lentamente ed un po’
troppo flebilmente per i gusti della ragazza. Lei si morse il labbro di nuovo.
In qualche angolo della sua mente si chiese persino se, alla fine, mordendosi il
labbro, avrebbe sentito il sapore del sangue.
Senza
distogliere lo sguardo dal ragazzo pensò a cosa poter fare. Si chiese… forse le
medicine umane avrebbero funzionato per gli alieni? Poteva almeno provarci,
finché non si trattava di veleno. Anche un po’ di cibo non sarebbe stata una
brutta idea. Un po’ di zuppa in più avrebbe funzionato. E doveva ancora cambiare
quelle bende. Dio sapeva che in quel momento la ferita si era sicuramente
riaperta, dopo quella tosse lacerante.
Tutto
questo le passò per la mente, mentre lei continuava ad accarezzargli i capelli
con aria assente. L’altra mano rassettava le lenzuola. Se fosse stata più
presente, meno immersa in quei pensieri e nell’ansia, avrebbe potuto vedere che,
quasi ripresosi dall’attacco, Ghish la guardava con un’espressione di curiosa
soddisfazione sulla sua faccia arrossata. Lei non era presente, quindi disse
senza notarlo:
“Vado
a prendere qualche medicina.” Ora, comunque, notò un’improvvisa scintilla di…
cosa?.. Scontento? Sordo terrore? Qualsiasi cosa fosse, lei capì che… lui non
voleva che se ne andasse. Sapeva anche che questo non proveniva dalla sua
normale possessività. Improvvisamente si accorse ancora di più della liquida
paura nei suoi occhi, e la sua espressione preoccupata si addolcì di più. Un
sorriso rassicurante le stirò le labbra.
“Tornerò
presto. Vado solo giù nell’atrio, ok?” Lasciò che la sua mano si fermasse sulla
fronte dell’alieno. Si alzò ma i suoi occhi rimasero su di lui, il suo sorriso
non tremò, mentre il bisogno di confortarlo scacciava i suoi dubbi con una forza
che l’avrebbe stupita se se ne fosse accorta.
“Lo
prometto.”
Se
avesse fatto attenzione, si sarebbe resa conto che quelle due semplici parole
implicavano molto più che un semplice viaggietto
nell’atrio.
Come
al solito, non lo fece, ma questo non impedì alla frase di dare un conforto più
che necessario a Ghish, che si rilassò mentre la mano di lei correva attraverso
i suoi capelli un’ultima volta prima che la ragazza se ne
andasse.
FINE
DEL CAPITOLO.
(1)
ora
capisco molte cose.
Ahia,
ecco un’altra complicazione? E adesso che ci si è messa anche la febbre, ce la
farà Ghish a sopravvivere?
Seguite
i prossimi capitoli per scoprirlo.
A
presto
Bebbe5