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Autore: Utopy    23/11/2009    5 recensioni
Poi delle sirene in lontananza. La loro salvezza.
Deglutì, rincuorato, allungando un braccio verso Maggie e accarezzandole il viso, per poi prenderle la mano e stringergliela forte.
“Ancora poco e saremo fuori di qui. Resisti amore mio.” La voce strozzata, le lacrime che gli rigavano il volto. “Ti amo.. Ti amo.. Ti amo..” Continuava a farfugliare, la mente ancora stordita e confusa.
Genere: Romantico, Triste, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ok, siamo al secondo. La storia si intensificherà nel terzo, già vi avviso, ma nonostante tutto spero che anche questo capitolo vi piaccia.
Non mi dilungo, oggi è una giornata nera -.- Devo leggermi tutto “Se questo è un uomo” di Primo Levi, perché il buon professore di storia a deciso di farci una verifica e di avvisarci con due soli giorni di anticipo. Bello no? XD
Buona lettura *__*

 

SECONDO CAPITOLO (Cinque mesi dopo)

 

Erano passati cinque mesi. Le giornate trascorrevano inesorabili e, a volte, sembravano non passare mai. I minuti rintoccavano pesantemente, rendendosi insopportabili e dolorosi.
Quella vita non era più degna di essere definita tale. La vita di quel ragazzo era qualcosa di inutile, si sentiva obbligato a viverla.
Un ventiduenne in quello stato, non era certo il massimo. I capelli, raccolti spesso in una coda a casaccio, gli occhi spenti ed un accenno di barba sul mento e sulle guancie.
Non si curava più, il suo aspetto lo aveva dimenticato da tempo, non gli importava più di apparire sempre perfetto, non gli importava di far valere la sua immagine. Fondamentalmente, non gli importava più di niente.

Aveva tagliato i ponti con tutti, eccetto che con il fratello, che ogni giorno passava nel suo appartamento. Non parlava con Gustav e Georg da troppo tempo, non rispondeva più al telefono, facendo così preoccupare la madre. Non si presentava più alle riunioni con la band e ormai si poteva dire, che i Tokio Hotel non esistessero più. Troppe le cose non dette, troppi i silenzi incompresi. Semplicemente, Bill Kaulitz aveva perso la voglia di vivere, aveva perso i sogni per cui tanto aveva lavorato. Li aveva lasciati indietro con.. Con lei.

Era steso nel suo letto da un po’, non sapeva quanto. Minuti, forse ore..
Non aveva voglia di alzarsi, non aveva voglia di trascinarsi fino al tavolo della cucina per fare colazione, per fare qualsiasi cosa. Non aveva voglia di cominciare una nuova giornata.
Desiderava solo rimanere a letto, a crogiolarsi nel caldo della trapunta, senza pensare a niente. O per lo meno non permettere che i ricordi lo assalissero si nuovo.
Succedeva sempre, ogni volta la stessa storia. Lui cercava di distrarsi, di spegnere il cervello e tutti i collegamenti.. E quei ricordi, i ricordi dei giorni felici e pieni di allegria, gli assalivano la mente senza pietà, senza dargli tregua.
Lui chiedeva solo un po’ di pace.. Solo trovare una via d’uscita a tutto quel male.
Non era forse stato abbastanza crudele il destino, o Dio, o chi cazzo era stato, a portargli via l’amore della sua vita? L’unica ragazza che lui avesse mai amato così profondamente ed incondizionatamente.
Meritava di soffrire ancora forse?

Irritato si levò la coperta di dosso con rabbia, appoggiando i piedi nudi a terre e incontrando quel gelo del pavimento che gli fece scorrere una scarica di brividi su per la colonna vertebrale.
Rabbrividì un paio di volte, poi si infilò un maglione e scese da basso. Si avvicinò al frigorifero per prendere il latte, e un biglietto attaccato proprio li sopra con una calamita attirò la sua attenzione.

Billie sono passato ma tu dormivi, vorrei parlare un po’ con te. Passo nel pomeriggio, ti voglio bene fratellino. Tom.

Stacco il foglietto di carta e se lo portò davanti al viso, guardandolo da più vicino. Sorrise debolmente, rendendosi conto che inevitabilmente stava facendo soffrire anche le persone a lui più care. Quelle che gli erano rimaste vicine, nonostante lui continuasse ad allontanare chiunque.. Dicendo che voleva essere solo lasciato stare.
Sospirò pensando che forse, prima o poi, avrebbe dovuto fare un passo verso di loro e far capire che, malgrado il dolore che continuava ad attaccarlo, lui li amava comunque. Senza differenze, sebbene di tempo ne fosse passato parecchio.

Aveva persino mollato il lavoro, il suo splendido e desiderato lavoro da rockstar. Non cantava più e, se lo faceva, lo faceva solo per lei.
Pensare anche solo il suo nome gli faceva sanguinare il cuore, e lui non voleva più piangere.. Non voleva più sentire quel fastidioso pizzicore al naso ogni volta che le lacrime minacciavano di sgorgargli dagli occhi. Quegli occhi ormai da troppo tempo velati di malinconia e tristezza.
Odiava sentirsi le guance umide e il naso chiuso.. Odiava tornare indietro nel tempo. Ai giorni in cui lei ancora c’era, fino al giorno in cui lei non c’era più.. Volata via come una bellissima colomba, nel cielo azzurro e infinito.

Senza accorgersene si ritrovò seduto a terra, con la schiena premuta contro il frigorifero e una mano che stringeva la maglia all’altezza del petto, dove una volta c’era il suo cuore..
Gli occhi sbarrati e il respiro affannato, come quello che viene dopo una corsa a perdifiato.
Si aggrappò alla credenza, tirandosi su e rimettendosi in piedi, ciabattando come uno zombie fino al salotto e lasciandosi cadere a peso morto sul divano bianco e morbido.
Chiuse gli occhi portandosi una mano sulla fronte, e lasciando che tutti quei ricordi riaffiorassero alla sua mente, affogandolo. Tanto, cos’aveva ancora da perdere?

15 settembre 2012

“Con immenso dolore da parte dei famigliari, del fidanzato, dei parenti e degli amici tutti, siamo qui insieme riuniti per celebrare l’ultimo saluto a Margaret Becker, ragazza di grande cuore e grandi aspirazioni. […] E dall’alto dei cieli, veglia su di noi. Addio Margaret.”
Fanculo. Fanculo, fanculo, fanculo.
Lui non ci voleva rimanere li, non voleva stare seduto alla prima fila di quella maledettissima Chiesa. Lui nemmeno ci credeva in Dio.
Avrebbe tanto desiderato ritornare a casa, a piangere il dolore della perdita da solo.. Ma no, era stato quasi portato con la forza davanti a quella bara che non osava nemmeno girarsi a guardare.
Di fianco a lui c’erano i signori Becker, mentre dall’altra parte Tom, Gustav e Georg. I genitori di Maggie piangevano.. Frederick doveva tenere in piedi Katia, o sarebbe caduta a terra priva di forze.
Suo fratello, in parte a lui, aveva gli occhi rossi e gonfi. Lui invece era un pezzo di marmo, guardava fisso il pavimento decorato della Chiesa e non fiatava, non emetteva alcun suono.
Quella era un’altra dimensione, per lui. Un mondo parallelo in cui lui era scivolato senza volerlo. Quella l’unica spiegazione plausibile.
Era impensabile una cosa del genere, umanamente impossibile.
“Bill.. Se vuoi puoi fare un discorso all’altare” Sentii Tom sussurrargli piano all’orecchio, con la voce roca e tremante.
Un discorso? Un discorso all’altare?
Come se quelle parole lo risvegliassero, voltò il viso verso il fratello, guardandolo assente.. Gli occhi vuoti. Poi con una lentezza inesorabile si alzò.. Andando di fianco al parroco che gli fece spazio, spostandosi qualche passo più indietro.
“Sono Bill. Sono il fidanzato di Maggie.” Disse al microfono, la voce priva di espressione e lo sguardo puntato negli occhi del fratello, non si muoveva di un millimetro. “Il mio discorso sarà breve e conciso.” Si fermò, prendendo fiato. “Venendo qui, oggi, ho visto facce che non avevo mai visto in tre anni di storia con Maggie. Siete tutti degli ipocriti, siete spariti per anni e tornate solo ora che lei.. lei.. non c’è più.” Sfiatò, sentendo le lacrime premere fortemente contro gli occhi. “Avrei preferito vedere solo quei pochi amici che però le sono stati vicini sempre! Non avete il diritto di stare qui! Andatevene! Andatevene via tutti! TUTTI!” Tom si avvicinò all’altare, vedendo che la situazione stava sfuggendo di mano.. Bill stava delirando.
Gli andò vicino, avvolgendolo in un abbraccio e trascinandolo fuori in giardino percorrendo la navata della Chiesa, mente lui si agitava strepitante tra le sue braccia.
“Ve ne dovete andare! Maggie non vi vuole qui! Uscite!!” Continuava ad urlare,, in preda al panico.

“Bill.. Bill, stai calmo ti prego, ci sono qui io.” Sussurrò Tom al suo orecchio una volta che furono in cortile, cercando di tranquillizzarlo ma inutilmente.
Il moro respirava a fatica, con la bocca spalancata in cerca d’aria da far arrivare ai polmoni e gli occhi sgranati in un modo indicibile.

“Bill ti supplico, calmati..” Gli accarezzo le guancie, facendolo sedere su una panchina e accomodandosi di fianco al lui, senza interrompere l’abbraccio.

“Tom…” Mormorò a fatica, regolarizzando il respiro, che piano stava ritornando normale.

“Sono qui, sono qui.” Gli strinse la mano, accarezzandogli i capelli.

“Io.. Maggie. Tom riportami qui Maggie..” Si girò a guardarlo, gli occhi di chi sa che non ci sono più speranze, ma continua ad illudersi che qualcosa si possa aggiustare.
Ma non c’era più niente da fare ormai, nulla era più aggiustabile.. Il cielo si era preso la sua Margaret e se la teneva gelosamente, impedendogli di riaverla con sé.

“Non posso. Non posso..” Tom si lasciò scappare un singhiozzo, abbracciando il gemello che ormai tremava incontrollatamente tra le sue braccia.

 Si tirò a sedere sul divano di scatto, lanciando un grido. Si era solo addormentato.. Si passò una mano sul viso leggermente sudato e si alzò, andando a vestirsi.
Passando davanti alla cucina lanciò uno sguardo all’orologio a muro che era attaccato alla parete: segnava le due del pomeriggio.
Ormai nemmeno più il tempo calcolava più.. Per lui rimanere a letto dalla mattina fino alla sera del giorno successivo era uguale a stare a letto solo un paio d’ore..La concezione del tempo era divenuta qualcosa di totalmente insignificante.. Le sue giornate le passava lentamente e dolorosamente. Non badava all’ora, non badava a niente.

Arrivò nella sua stanza e si fermò sulla soglia, appoggiandosi con una spalla allo stipite della porta, guardando l’interno della camera.
C’era un letto matrimoniale, con una graziosa trapunta celeste, un armadio di legno scuro e una scrivania su cui non si sedeva da tempo per comporre nuovi testi, nuove canzoni.
Vagò con lo sguardo vacuo finché sul letto non si immagino il corpo snello di una ragazza dai capelli castani e gli occhi verdi, che lo invitava a sdraiarsi di fianco a lei.
Scosse la testa sospirando.. Abituato a quei brutti scherzi che gli giocava la sua mente, sempre più spesso.
Aprì le ante del grande armadio e, senza guardarci troppo dentro, tirò fuori una vecchia tuta dell’adidas consumata e se la infilò.

Un rumore di chiavi che giravano nella serratura lo fece sobbalzare. Si tranquillizzò quando si ricordò che solo Tom aveva una copia delle chiavi di casa sua.
Scese le scale e si ritrovò suo fratello in salotto, seduto sul divano a guardare la tv.

“Tomi..” Mormorò avvicinandosi.

“Allora sei sveglio! Credevo dormissi ancora..” Gli sorrise di rimando il gemello. L’altro si limitò a sorridere e a sedersi accanto a lui, seguendo con minimo interesso lo stupido programma che stava guardando.

“Come stai?” Gli chiese Tom, guardandolo fisso negli occhi.

“Bene.” Rispose l’altro, incurante. No. Non era vero. Non andava per niente bene. Non andava più bene da cinque interi, lunghissimi mesi! Perché continuavano a chiedergli come stesse? Perché si ostinavano a credere che in così poco tempo le ferite potessero essere ricucite! Stava male! Stava male da morire e l’unica cosa che potesse farlo tornare a vivere era riaverla tra le sue braccia!

“Sei sicuro?” Continuò.

“Ma, Tomi, cosa ti fa credere che possa stare male?” Domandò con sarcasmo Bill, gli occhi severi e la voce dura. Lo guardò serio, senza distogliere lo sguardo.

Tom sospirò.. Si sentiva inutile. Qualsiasi cosa facesse o dicesse,  il gemello la prendeva male cominciando a fare l’ironico e il sarcastico. Non sapeva più come fare per far tornare il sorriso ad illuminare il viso di Bill.. Non sapeva che diavolo fare per recuperare il loro magico rapporto che si stava incrinando giorno dopo giorno..
Più volte aveva pensato di portare di peso il fratello dallo psicologo. Ma trascinarcelo contro la sua volontà non sarebbe stato proficuo e lui, ne era certo, non avrebbe mai acconsentito. Lui non aveva bisogno di strizzacervelli, lui rivoleva solo qualcuno che non poteva più tornare da lui..
Il suo male era quindi incurabile?

“Scusa.” Soffiò.. Da quel giorno non faceva altro. Si scusava, chiedeva perdono.. Anche per cose che non aveva fatto. Aveva una fottuta paura di perdere Bill, che era vulnerabile e fragile. Ogni frase la sentiva come un’accusa nei proprio confronti o come un rimprovero, anche se non era così. Tom spesso preferiva rimanere in silenzio per il timore che Bill potesse equivocare le sue frasi.

“No, scusa tu.. Sto esagerando lo so. Solo che..fa così male” La voce gli tremò, se la schiarì, sperando che ritornasse normale.

“Shhh, non dire niente.” Lo abbracciò ascoltando, per l’ennesima volta, i singhiozzi che tentava di soffocare sulla sua spalla.

“Tom.. Perché? Perché?!” Pianse ancora più forte.. Quella scenetta si era ripetuta troppe volte, ma sembrava sempre come fosse la prima. Il dolore da entrambe le parti era lo stesso, se non altro.

“Tomi, Tomi mi dispiace! Ho sfasciato i Tokio Hotel.. Ho distrutto l’amicizia con Georg e Gustav.. Sto rovinando anche il rapporto con te.. Ma io non ce la faccio, non riesco ad andare avanti!”

“Bill i Tokio Hotel non sono importanti quanto lo sei tu! I Tokio Hotel possono aspettare.. Come Georg e Gustav, loro vogliono solo il tuo bene, la vostra amicizia non è rovinata, loro sono sempre con te e ci saranno quando avrei bisogno di loro. Quanto a me.. Billie.. Io non vado da nessuna parte senza di te. Il nostro rapporto non si distruggerà. Sempre insieme, ricordi?” Bill tirò su col naso, annuendo impercettibilmente. Aveva ventidue anni compiuti, ma in quel momento non si sentiva altro che un bambino dopo un incubo.. Che va a rifugiarsi tra le braccia del fratello maggiore per farsi confortare e consolare.

“Tomi andiamo.. Andiamo a trovarla?” Tom socchiuse la bocca a quella richiesta, rimanendo esterrefatto. Dal giorno del funerale Bill non aveva mai messo piede in quel cimitero e, ogni volta che Tom provava a fargli cambiare idea e a portarcelo, il suo “No.” Arrivava forte e chiaro, accompagnato da una lacrima di esasperazione.
Non capì cosa fosse cambiato nella testa di Bill, tanto da fargli prendere quella decisione.. Forse semplicemente aveva voglia di “rivederla”..

“Si.. Andiamoci” Mormorò, accarezzandogli una guancia.

 

In macchina il tragitto lo passarono in assoluto silenzio. Non si sentiva nemmeno una mosca volare, il niente più assoluto.
Parcheggiò in un posto libero che trovò proprio davanti ai grandi cancelli di ferro battuto. Cancelli che lui aveva oltrepassato ogni giorno dopo la sua morte.
Ogni giorno andava alla sua tomba con un mazzo di fiori e cominciava a parlare di tutto, di Bill.. Le raccontava tutto, ogni cosa. In fondo sapeva che poteva sentirlo.

Bill si guardò intorno, spaesato, quel cimitero era davvero troppo grande, eppure si sentiva soffocare tra quelle mura.
Il sentiero che dovette percorrere fianco a fianco con Tom sembrava non finire mai, una lunghezza smisurata.. Non era stato così infinito il giorno del funerale.

Intravide la lapide, su cui aveva pianto quel quindici di settembre, mentre cercavano di portarlo via con la forza.. Alzandolo da terra.

Smise di respirare per qualche secondo, portandosi istintivamente una mano sul cuore che batteva impazzito, e sentendo gli occhi inumidirsi contro la sua volontà.
Tom gli poso una mano sulla spalla, stringendogliela forte ed infondendogli coraggio.

“Vai tu..” Gli disse. “Io ti aspetto qui.” Il moro annuì, percorrendo i pochi passi che lo dividevano da lei..
Si sedette davanti alla tomba, incapace di alzare lo sguardo sulla sua foto.
Sapeva già quale avevano messo.. Era una foto di due estati prima, quando erano andati in vacanza assieme.. Gliel’aveva scattata Gustav. Quell’anno gli era presa la fissa della fotografia e allora ne faceva una valanga a tutti. Sorrise al pensiero del suo amico che andava in giro a fotografare qualsiasi cosa.
Ma il sorriso sparì dalla sua faccia quando si ricordò dov’era. Prese un filo d’erba, cominciando a rigirarselo tra le mani e, lentamente, alzò il capo. Incontrò quei fantastici occhi verdi e fu come ricevere una scarica di pugni in pieno stomaco.. Fu peggio che morire vedere quei fari smeraldini e quei capelli castano scuro che amava così tanto accarezzare prima di addormentarsi.

Alzò un braccio, andando a sfiorare il vetro freddo che ricopriva la fotografia, mentre una lacrima gli scivolava sulla guancia.

“Amore mio..” Sussurrò al vento che gli accarezzava i capelli, raccolti in un codino disordinato. “Quanto.. Quanto mi manchi.” Abbassò lo sguardo, sentendo il naso pizzicare. “Non te ne dovevi andare.. Non ve ne dovevate andare.” Mormorò stringendo i denti e serrando i pugni sulle ginocchia.
L’immagine di lei e suo figlio se la portava nella testa, e non gli lasciava tregua. La sua famiglia,  si era distrutta.. Aveva tanto lottato per riuscire a farsene una, e propri quando era ad un soffio per realizzare quel desiderio, tutto si era disintegrato.
Un singhiozzo gli sfuggi dalle labbra e, senza che se ne rendesse conto, cominciò a lacrimare.

“Tutto quello che desidero è riaverti qui piccola mia..” Singhiozzò, mangiandosi le parole.. “Non doveva andare così, non doveva proprio andare così” Scoppiò in un pianto amaro e frustrato, quando si sentì tirare su da terra. Alzò il viso e incontrò gli occhi preoccupati di Tom.

“Andiamo via..” Sussurrò il chitarrista, tenendolo stretto finché non arrivarono alla macchina.

 

Era stata una pessima idea andare al cimitero, ora stava diecimila volte peggio.
Tom era andato via da qualche minuto, se avesse avuto bisogno di lui bastava che attraversasse la strada. Lui abitava proprio li di fronte.
Non avevano mai voluto separarsi troppo, così comprare due appartamenti così vicini gli era sembrata la soluzione migliore.

Guardò l’orologio, le nove di sera.

Velocemente prese il cappotto e se lo infilò, afferrò le chiavi della macchina dalla ciotolina che c’era sul mobiletto all’ingresso e uscì di casa, richiudendosi la porta alle spalle.
Aveva bisogno di liberare la mente, di dimenticare tutto, anche se solo per poco tempo, ma aveva la necessità di avere la testa sgombra da tutti quei pensieri dolorosi che lo stavano rendendo solo l’involucro di un essere umano.

Parcheggiò l’auto davanti al primo bar che trovò lungo la strada e ci si fiondò dentro. Ancora non sapeva in che condizione sarebbe uscito di li, ma non importava.. Aveva bisogno di libertà mentale.

 

Passo subito ai ringraziamenti perché Aria deve andare a studiare geografia xD :

layla the punkprincess : Spero tu ti sia preparata i fazzoletti per davvero xD spero comunque ti piaccia, nonostante la tristezza e il dolore di Billie ._.

_Pulse_ : Vabbè con te non mi dilungo visto che devi studiare XD Ti dico solo che ti voglio un bene indicibilmente indicibile e che sono felicissima che questa storia ti piaccia, spero di non deluderti *-*

Tiky : Grazie mille! *__________*

 

  
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