Ok,
siamo al secondo. La storia si intensificherà nel terzo,
già vi avviso, ma nonostante tutto spero che anche questo
capitolo vi piaccia.
Non mi dilungo, oggi è una giornata nera -.- Devo leggermi
tutto “Se questo è un uomo” di Primo
Levi, perché il buon professore di storia a deciso di farci
una verifica e di avvisarci con due soli giorni di anticipo. Bello no?
XD
Buona lettura *__*
SECONDO
CAPITOLO (Cinque mesi dopo)
Erano
passati cinque mesi. Le giornate trascorrevano inesorabili e, a volte,
sembravano non passare mai. I minuti rintoccavano pesantemente,
rendendosi insopportabili e dolorosi.
Quella vita non era più degna di essere definita tale. La
vita di quel ragazzo era qualcosa di inutile, si sentiva obbligato a
viverla.
Un ventiduenne in quello stato, non era certo il massimo. I capelli,
raccolti spesso in una coda a casaccio, gli occhi spenti ed un accenno
di barba sul mento e sulle guancie.
Non si curava più, il suo aspetto lo aveva dimenticato da
tempo, non gli importava più di apparire sempre perfetto,
non gli importava di far valere la sua immagine. Fondamentalmente, non
gli importava più di niente.
Aveva
tagliato i ponti con tutti, eccetto che con il fratello, che ogni
giorno passava nel suo appartamento. Non parlava con Gustav e Georg da
troppo tempo, non rispondeva più al telefono, facendo
così preoccupare la madre. Non si presentava più
alle riunioni con la band e ormai si poteva dire, che i Tokio Hotel non
esistessero più. Troppe le cose non dette, troppi i silenzi
incompresi. Semplicemente, Bill Kaulitz aveva perso la voglia di
vivere, aveva perso i sogni per cui tanto aveva lavorato. Li aveva
lasciati indietro con.. Con lei.
Era
steso nel suo letto da un po’, non sapeva quanto. Minuti,
forse ore..
Non aveva voglia di alzarsi, non aveva voglia di trascinarsi fino al
tavolo della cucina per fare colazione, per fare qualsiasi cosa. Non
aveva voglia di cominciare una nuova giornata.
Desiderava solo rimanere a letto, a crogiolarsi nel caldo della
trapunta, senza pensare a niente. O per lo meno non permettere che i
ricordi lo assalissero si nuovo.
Succedeva sempre, ogni volta la stessa storia. Lui cercava di
distrarsi, di spegnere il cervello e tutti i collegamenti.. E quei
ricordi, i ricordi dei giorni felici e pieni di allegria, gli
assalivano la mente senza pietà, senza dargli tregua.
Lui chiedeva solo un po’ di pace.. Solo trovare una via
d’uscita a tutto quel male.
Non era forse stato abbastanza crudele il destino, o Dio, o chi cazzo
era stato, a portargli via l’amore della sua vita?
L’unica ragazza che lui avesse mai amato così
profondamente ed incondizionatamente.
Meritava di soffrire ancora forse?
Irritato
si levò la coperta di dosso con rabbia, appoggiando i piedi
nudi a terre e incontrando quel gelo del pavimento che gli fece
scorrere una scarica di brividi su per la colonna vertebrale.
Rabbrividì un paio di volte, poi si infilò un
maglione e scese da basso. Si avvicinò al frigorifero per
prendere il latte, e un biglietto attaccato proprio li sopra con una
calamita attirò la sua attenzione.
Billie sono
passato ma tu dormivi, vorrei parlare un po’ con te. Passo
nel pomeriggio, ti voglio bene fratellino. Tom.
Stacco
il foglietto di carta e se lo portò davanti al viso,
guardandolo da più vicino. Sorrise debolmente, rendendosi
conto che inevitabilmente stava facendo soffrire anche le persone a lui
più care. Quelle che gli erano rimaste vicine, nonostante
lui continuasse ad allontanare chiunque.. Dicendo che voleva essere
solo lasciato stare.
Sospirò pensando che forse, prima o poi, avrebbe dovuto fare
un passo verso di loro e far capire che, malgrado il dolore che
continuava ad attaccarlo, lui li amava comunque. Senza differenze,
sebbene di tempo ne fosse passato parecchio.
Aveva
persino mollato il lavoro, il suo splendido e desiderato lavoro da
rockstar. Non cantava più e, se lo faceva, lo faceva solo
per lei.
Pensare anche solo il suo nome gli faceva sanguinare il cuore, e lui
non voleva più piangere.. Non voleva più sentire
quel fastidioso pizzicore al naso ogni volta che le lacrime
minacciavano di sgorgargli dagli occhi. Quegli occhi ormai da troppo
tempo velati di malinconia e tristezza.
Odiava sentirsi le guance umide e il naso chiuso.. Odiava tornare
indietro nel tempo. Ai giorni in cui lei ancora c’era, fino
al giorno in cui lei non c’era più.. Volata via
come una bellissima colomba, nel cielo azzurro e infinito.
Senza
accorgersene si ritrovò seduto a terra, con la schiena
premuta contro il frigorifero e una mano che stringeva la maglia
all’altezza del petto, dove una volta c’era il suo
cuore..
Gli occhi sbarrati e il respiro affannato, come quello che viene dopo
una corsa a perdifiato.
Si aggrappò alla credenza, tirandosi su e rimettendosi in
piedi, ciabattando come uno zombie fino al salotto e lasciandosi cadere
a peso morto sul divano bianco e morbido.
Chiuse gli occhi portandosi una mano sulla fronte, e lasciando che
tutti quei ricordi riaffiorassero alla sua mente, affogandolo. Tanto,
cos’aveva ancora da perdere?
15
settembre 2012
“Con
immenso dolore da parte dei famigliari, del fidanzato, dei parenti e
degli amici tutti, siamo qui insieme riuniti per celebrare
l’ultimo saluto a Margaret Becker, ragazza di grande cuore e
grandi aspirazioni. […] E dall’alto dei cieli,
veglia su di noi. Addio Margaret.”
Fanculo. Fanculo, fanculo, fanculo.
Lui non ci voleva rimanere li, non voleva stare seduto alla prima fila
di quella maledettissima Chiesa. Lui nemmeno ci credeva in Dio.
Avrebbe tanto desiderato ritornare a casa, a piangere il dolore della
perdita da solo.. Ma no, era stato quasi portato con la forza davanti a
quella bara che non osava nemmeno girarsi a guardare.
Di fianco a lui c’erano i signori Becker, mentre
dall’altra parte Tom, Gustav e Georg. I genitori di Maggie
piangevano.. Frederick doveva tenere in piedi Katia, o sarebbe caduta a
terra priva di forze.
Suo fratello, in parte a lui, aveva gli occhi rossi e gonfi. Lui invece
era un pezzo di marmo, guardava fisso il pavimento decorato della
Chiesa e non fiatava, non emetteva alcun suono.
Quella era un’altra dimensione, per lui. Un mondo parallelo
in cui lui era scivolato senza volerlo. Quella l’unica
spiegazione plausibile.
Era impensabile una cosa del genere, umanamente impossibile.
“Bill.. Se vuoi puoi fare un discorso
all’altare” Sentii Tom sussurrargli piano
all’orecchio, con la voce roca e tremante.
Un discorso? Un discorso all’altare?
Come se quelle parole lo risvegliassero, voltò il viso verso
il fratello, guardandolo assente.. Gli occhi vuoti. Poi con una
lentezza inesorabile si alzò.. Andando di fianco al parroco
che gli fece spazio, spostandosi qualche passo più indietro.
“Sono Bill. Sono il fidanzato di Maggie.” Disse al
microfono, la voce priva di espressione e lo sguardo puntato negli
occhi del fratello, non si muoveva di un millimetro. “Il mio
discorso sarà breve e conciso.” Si
fermò, prendendo fiato. “Venendo qui, oggi, ho
visto facce che non avevo mai visto in tre anni di storia con Maggie.
Siete tutti degli ipocriti, siete spariti per anni e tornate solo ora
che lei.. lei.. non c’è più.”
Sfiatò, sentendo le lacrime premere fortemente contro gli
occhi. “Avrei preferito vedere solo quei pochi amici che
però le sono stati vicini sempre! Non avete il diritto di
stare qui! Andatevene! Andatevene via tutti! TUTTI!” Tom si
avvicinò all’altare, vedendo che la situazione
stava sfuggendo di mano.. Bill stava delirando.
Gli andò vicino, avvolgendolo in un abbraccio e
trascinandolo fuori in giardino percorrendo la navata della Chiesa,
mente lui si agitava strepitante tra le sue braccia.
“Ve ne dovete andare! Maggie non vi vuole qui!
Uscite!!” Continuava ad urlare,, in preda al panico.
“Bill..
Bill, stai calmo ti prego, ci sono qui io.”
Sussurrò Tom al suo orecchio una volta che furono in
cortile, cercando di tranquillizzarlo ma inutilmente.
Il moro respirava a fatica, con la bocca spalancata in cerca
d’aria da far arrivare ai polmoni e gli occhi sgranati in un
modo indicibile.
“Bill
ti supplico, calmati..” Gli accarezzo le guancie, facendolo
sedere su una panchina e accomodandosi di fianco al lui, senza
interrompere l’abbraccio.
“Tom…”
Mormorò a fatica, regolarizzando il respiro, che piano stava
ritornando normale.
“Sono
qui, sono qui.” Gli strinse la mano, accarezzandogli i
capelli.
“Io..
Maggie. Tom riportami qui Maggie..” Si girò a
guardarlo, gli occhi di chi sa che non ci sono più speranze,
ma continua ad illudersi che qualcosa si possa aggiustare.
Ma non c’era più niente da fare ormai, nulla era
più aggiustabile.. Il cielo si era preso la sua Margaret e
se la teneva gelosamente, impedendogli di riaverla con sé.
“Non
posso. Non posso..” Tom si lasciò scappare un
singhiozzo, abbracciando il gemello che ormai tremava
incontrollatamente tra le sue braccia.
Si
tirò a sedere sul divano di scatto, lanciando un grido. Si
era solo addormentato.. Si passò una mano sul viso
leggermente sudato e si alzò, andando a vestirsi.
Passando davanti alla cucina lanciò uno sguardo
all’orologio a muro che era attaccato alla parete: segnava le
due del pomeriggio.
Ormai nemmeno più il tempo calcolava più.. Per
lui rimanere a letto dalla mattina fino alla sera del giorno successivo
era uguale a stare a letto solo un paio d’ore..La concezione
del tempo era divenuta qualcosa di totalmente insignificante.. Le sue
giornate le passava lentamente e dolorosamente. Non badava
all’ora, non badava a niente.
Arrivò
nella sua stanza e si fermò sulla soglia, appoggiandosi con
una spalla allo stipite della porta, guardando l’interno
della camera.
C’era un letto matrimoniale, con una graziosa trapunta
celeste, un armadio di legno scuro e una scrivania su cui non si sedeva
da tempo per comporre nuovi testi, nuove canzoni.
Vagò con lo sguardo vacuo finché sul letto non si
immagino il corpo snello di una ragazza dai capelli castani e gli occhi
verdi, che lo invitava a sdraiarsi di fianco a lei.
Scosse la testa sospirando.. Abituato a quei brutti scherzi che gli
giocava la sua mente, sempre più spesso.
Aprì le ante del grande armadio e, senza guardarci troppo
dentro, tirò fuori una vecchia tuta dell’adidas
consumata e se la infilò.
Un
rumore di chiavi che giravano nella serratura lo fece sobbalzare. Si
tranquillizzò quando si ricordò che solo Tom
aveva una copia delle chiavi di casa sua.
Scese le scale e si ritrovò suo fratello in salotto, seduto
sul divano a guardare la tv.
“Tomi..”
Mormorò avvicinandosi.
“Allora sei sveglio! Credevo dormissi ancora..” Gli
sorrise di rimando il gemello. L’altro si limitò a
sorridere e a sedersi accanto a lui, seguendo con minimo interesso lo
stupido programma che stava guardando.
“Come
stai?” Gli chiese Tom, guardandolo fisso negli occhi.
“Bene.”
Rispose l’altro, incurante. No. Non era vero. Non andava per
niente bene. Non andava più bene da cinque interi,
lunghissimi mesi! Perché continuavano a chiedergli come
stesse? Perché si ostinavano a credere che in
così poco tempo le ferite potessero essere ricucite! Stava
male! Stava male da morire e l’unica cosa che potesse farlo
tornare a vivere era riaverla tra le sue braccia!
“Sei sicuro?” Continuò.
“Ma,
Tomi, cosa ti fa credere che possa stare male?”
Domandò con sarcasmo Bill, gli occhi severi e la voce dura.
Lo guardò serio, senza distogliere lo sguardo.
Tom
sospirò.. Si sentiva inutile. Qualsiasi cosa facesse o
dicesse, il
gemello la prendeva male cominciando a fare l’ironico e il
sarcastico. Non sapeva più come fare per far tornare il
sorriso ad illuminare il viso di Bill.. Non sapeva che diavolo fare per
recuperare il loro magico rapporto che si stava incrinando giorno dopo
giorno..
Più volte aveva pensato di portare di peso il fratello dallo
psicologo. Ma trascinarcelo contro la sua volontà non
sarebbe stato proficuo e lui, ne era certo, non avrebbe mai
acconsentito. Lui non aveva bisogno di strizzacervelli, lui rivoleva
solo qualcuno
che non poteva più tornare da lui..
Il suo male era quindi incurabile?
“Scusa.”
Soffiò.. Da quel
giorno non faceva altro. Si scusava, chiedeva perdono.. Anche per cose
che non aveva fatto. Aveva una fottuta paura di perdere Bill, che era
vulnerabile e fragile. Ogni frase la sentiva come un’accusa
nei proprio confronti o come un rimprovero, anche se non era
così. Tom spesso preferiva rimanere in silenzio per il
timore che Bill potesse equivocare le sue frasi.
“No,
scusa tu.. Sto esagerando lo so. Solo che..fa così
male” La voce gli tremò, se la schiarì,
sperando che ritornasse normale.
“Shhh,
non dire niente.” Lo abbracciò ascoltando, per
l’ennesima volta, i singhiozzi che tentava di soffocare sulla
sua spalla.
“Tom..
Perché? Perché?!” Pianse ancora
più forte.. Quella scenetta si era ripetuta troppe volte, ma
sembrava sempre come fosse la prima. Il dolore da entrambe le parti era
lo stesso, se non altro.
“Tomi,
Tomi mi dispiace! Ho sfasciato i Tokio Hotel.. Ho distrutto
l’amicizia con Georg e Gustav.. Sto rovinando anche il
rapporto con te.. Ma io non ce la faccio, non riesco ad andare
avanti!”
“Bill
i Tokio Hotel non sono importanti quanto lo sei tu! I Tokio Hotel
possono aspettare.. Come Georg e Gustav, loro vogliono solo il tuo
bene, la vostra amicizia non è rovinata, loro sono sempre
con te e ci saranno quando avrei bisogno di loro. Quanto a me..
Billie.. Io non vado da nessuna parte senza di te. Il nostro rapporto
non si distruggerà. Sempre insieme, ricordi?” Bill
tirò su col naso, annuendo impercettibilmente. Aveva
ventidue anni compiuti, ma in quel momento non si sentiva altro che un
bambino dopo un incubo.. Che va a rifugiarsi tra le braccia del
fratello maggiore per farsi confortare e consolare.
“Tomi
andiamo.. Andiamo a trovarla?” Tom socchiuse la bocca a
quella richiesta, rimanendo esterrefatto. Dal giorno del funerale Bill
non aveva mai messo piede in quel cimitero e, ogni volta che Tom
provava a fargli cambiare idea e a portarcelo, il suo
“No.” Arrivava forte e chiaro, accompagnato da una
lacrima di esasperazione.
Non capì cosa fosse cambiato nella testa di Bill, tanto da
fargli prendere quella decisione.. Forse semplicemente aveva voglia di
“rivederla”..
“Si..
Andiamoci” Mormorò, accarezzandogli una guancia.
In
macchina il tragitto lo passarono in assoluto silenzio. Non si sentiva
nemmeno una mosca volare, il niente più assoluto.
Parcheggiò in un posto libero che trovò proprio
davanti ai grandi cancelli di ferro battuto. Cancelli che lui aveva
oltrepassato ogni giorno dopo la sua morte.
Ogni giorno andava alla sua tomba con un mazzo di fiori e cominciava a
parlare di tutto, di Bill.. Le raccontava tutto, ogni cosa. In fondo
sapeva che poteva sentirlo.
Bill
si guardò intorno, spaesato, quel cimitero era davvero
troppo grande, eppure si sentiva soffocare tra quelle mura.
Il sentiero che dovette percorrere fianco a fianco con Tom sembrava non
finire mai, una lunghezza smisurata.. Non era stato così
infinito il giorno del funerale.
Intravide
la lapide, su cui aveva pianto quel quindici di settembre, mentre
cercavano di portarlo via con la forza.. Alzandolo da terra.
Smise
di respirare per qualche secondo, portandosi istintivamente una mano
sul cuore che batteva impazzito, e sentendo gli occhi inumidirsi contro
la sua volontà.
Tom gli poso una mano sulla spalla, stringendogliela forte ed
infondendogli coraggio.
“Vai
tu..” Gli disse. “Io ti aspetto qui.” Il
moro annuì, percorrendo i pochi passi che lo dividevano da
lei..
Si sedette davanti alla tomba, incapace di alzare lo sguardo sulla sua
foto.
Sapeva già quale avevano messo.. Era una foto di due estati
prima, quando erano andati in vacanza assieme.. Gliel’aveva
scattata Gustav. Quell’anno gli era presa la fissa della
fotografia e allora ne faceva una valanga a tutti. Sorrise al pensiero
del suo amico che andava in giro a fotografare qualsiasi cosa.
Ma il sorriso sparì dalla sua faccia quando si
ricordò dov’era. Prese un filo d’erba,
cominciando a rigirarselo tra le mani e, lentamente, alzò il
capo. Incontrò quei fantastici occhi verdi e fu come
ricevere una scarica di pugni in pieno stomaco.. Fu peggio che morire
vedere quei fari smeraldini e quei capelli castano scuro che amava
così tanto accarezzare prima di addormentarsi.
Alzò
un braccio, andando a sfiorare il vetro freddo che ricopriva la
fotografia, mentre una lacrima gli scivolava sulla guancia.
“Amore
mio..” Sussurrò al vento che gli accarezzava i
capelli, raccolti in un codino disordinato. “Quanto.. Quanto
mi manchi.” Abbassò lo sguardo, sentendo il naso
pizzicare. “Non te ne dovevi andare.. Non ve ne dovevate
andare.”
Mormorò stringendo i denti e serrando i pugni sulle
ginocchia.
L’immagine di lei e suo figlio se la portava nella testa, e
non gli lasciava tregua. La sua famiglia,
si era distrutta.. Aveva
tanto lottato per riuscire a farsene una, e propri quando era ad un
soffio per realizzare quel desiderio, tutto si era disintegrato.
Un singhiozzo gli sfuggi dalle labbra e, senza che se ne rendesse
conto, cominciò a lacrimare.
“Tutto
quello che desidero è riaverti qui piccola mia..”
Singhiozzò, mangiandosi le parole.. “Non doveva
andare così, non doveva proprio andare
così” Scoppiò in un pianto amaro e
frustrato, quando si sentì tirare su da terra.
Alzò il viso e incontrò gli occhi preoccupati di
Tom.
“Andiamo
via..” Sussurrò il chitarrista, tenendolo stretto
finché non arrivarono alla macchina.
Era
stata una pessima idea andare al cimitero, ora stava diecimila volte
peggio.
Tom era andato via da qualche minuto, se avesse avuto bisogno di lui
bastava che attraversasse la strada. Lui abitava proprio li di fronte.
Non avevano mai voluto separarsi troppo, così comprare due
appartamenti così vicini gli era sembrata la soluzione
migliore.
Guardò
l’orologio, le nove di sera.
Velocemente
prese il cappotto e se lo infilò, afferrò le
chiavi della macchina dalla ciotolina che c’era sul mobiletto
all’ingresso e uscì di casa, richiudendosi la
porta alle spalle.
Aveva bisogno di liberare la mente, di dimenticare tutto, anche se solo
per poco tempo, ma aveva la necessità di avere la testa
sgombra da tutti quei pensieri dolorosi che lo stavano rendendo solo
l’involucro di un essere umano.
Parcheggiò
l’auto davanti al primo bar che trovò lungo la
strada e ci si fiondò dentro. Ancora non sapeva in che
condizione sarebbe uscito di li, ma non importava.. Aveva bisogno di
libertà mentale.
Passo
subito ai ringraziamenti perché Aria deve andare a studiare
geografia xD :
layla
the punkprincess :
Spero tu ti sia preparata i fazzoletti per davvero xD spero comunque ti
piaccia, nonostante la tristezza e il dolore di Billie ._.
_Pulse_ :
Vabbè con te non mi dilungo visto che devi studiare XD Ti
dico solo che ti voglio un bene indicibilmente indicibile e che sono
felicissima che questa storia ti piaccia, spero di non deluderti *-*
Tiky :
Grazie mille! *__________*