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Autore: Alkimia    23/11/2009    3 recensioni
E se Christine si innamorasse di Erik fin dall'inizio? E se i direttori del teatro assoldassero qualcuno per indagare sul Fantasma dell'Opera e stanarlo? E se, per tutti, le cose si rivelassero ancora più complicate di quanto sembrano?... Non sono una grande fan della coppia Erik/Christine, ma mi sono sempre chiesta se le cose potevano andare diversamente, questa è la risposta che mi sono data.
Genere: Azione, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Lunedì... lunedì e tutto va bene. Anzi  a me non prorpio... ma spero che a voi vada meglio.
 Cominciamo con il rispondere alle recensioni (sempre graditissime e scatenatrici della mia più somma riconoscenza nei confronti di coloro che le vergano) e dalla regia c'è zio Blaise che mi chiede di chiarire la faccenda dei suoi sospetti assurdi prima che gli venga prescritto qualche potente antipsicotico. In realtà il fatto che Bertrand sospetti del Carciofon era giusto per far capire che sta cominciando a sentirsi disperato e non sa più che pesci pigliare... e da quello che succederà in questo capitolo spero di essere riuscita a dare una visione di quanta tensione ci sia in quel teatro.

 Ma andiamo con ordine e apriamo anche oggi la rubrica "gli sproloqui dell'autrice". Sproloqui serali tra l'altro... ancora peggio...
 @ Amy: lo so, Alex è troppo buono. Ha sbollito la rabbia tutta quella sera e adesso cerca di trovare il "lato positivo"... tipico dei "buoni" che vogliono credere che siano buoni anche gli altri a tutti i costi. In realtà l'ho sempre detto che lui è uno di quelli votati al martirio. Sono contenta che tu abbia apprezzato le descrizioni del teatro e della Diva (troppo breve la descrizione dell'abito, eh... lo avevo pensato che lo avresti notato). I marmocchi con i boccoli della mamma e gli occhi del papy? Bah non credo, c'erano già troppi bambini nella precedente fanfiction XD
 @ theangelsee69: *me si inchina fino a sfiorare le assi del palcoscenico con il mento* grazie, sono contenta che la storia continui a paicerti ^^
 @ bloodred_rose: benritrovata ^^ Si, lo scribacchino l'ammirazione per il Master ce l'ha... ce l'ha perchè Alexandre è attratto dalle cose "straordinarie" altrimenti non si sarebbe imbarcato in questa impresa. Madame Giry... la mia Eloise *_* cosa sarebbero le mie fanfiction senza di lei?  Il fatto che non si capisca dove stiamo andando diciamo che in un certo senso è quello che volevo... poi vedrete... XD non fatemi spoilerare che è indispensabile l'effetto sorpresa per questa fanfic.

 Detto ciò, vi auguro buona lettura ^^

Your obidient servant.

*******

CAPITOLO DODICESIMO

 “Già nella notte densa”

Madame Ginette si avvolse in un ricco scialle di pizzo, suo figlio le offrì il braccio e insieme si avviarono verso la carrozza che doveva condurli a teatro.
Sui muri di tutte le strade nei pressi dell'Opera Populaire campeggiavano grandi manifesti che pubblicizzavano la rappresentazione che avrebbe avuto luogo quella sera: l'Otello del Maestro Giuseppe Verdi, con mademoiselle Daae nel ruolo di Desdemona.
Alexandre aveva preso in considerazione l'eventualità di lasciare a casa sua madre ma non aveva trovato nessuna scusa per evitarle di andare a teatro. Lui era preoccupato dalle congetture di Bertrand che aveva disposto che il palco numero 5, di cui il Fantasma aveva spesso reclamato la proprietà, venisse lasciato libero. L'ispettore era certo che l'uomo a cui stavano dando la caccia si sarebbe fatto vivo quella sera, non avrebbe perso l'occasione di ammirare Christine Daae.
Se il Fantasma si fosse effettivamente fatto vivo, la serata avrebbe potuto prendere una piega imprevedibile e magari anche pericolosa per chiunque si fosse trovato a teatro. In realtà Alexandre era poco propenso a credere che il Fantasma si sarebbe fatto trovare con tanta facilità, probabilmente sapeva che loro lo avrebbero atteso, e in ogni caso lasciare a casa sua madre equivaleva ad ammettere la pericolosità di una situazione che aveva già dato molti motivi di ansia a madame Ginette.

Il teatro era gremito di gente, Andrè e Firmin guardavano dall'alto del loro palco i posti della platea riempirsi di spettatori e osservarono con aria soddisfatta che gli eventi tragici che avevano funestato il teatro il mese precedente sembravano essere stati praticamente dimenticati.
Raoul De Chagny era arrivato a teatro con largo anticipo ma il mazzo di fiori che aveva preso per Christine si stava rovinando dal momento che non era riuscito a consegnarglielo. Quando aveva bussato al camerino della primadonna tutto ciò che aveva ottenuto era stata una risposta frettolosa di Madame Giry che si era sporta oltre la soglia per salutarlo e dirgli che che Christine in quel momento non poteva ricevere nessuno perché le sarte la stavano vestendo.
Dopo una quantità di tempo incalcolabile, Madame Giry era uscita dal camerino seguita dalle sarte e il visconte aveva sospirato di sollievo al pensiero che avrebbe potuto finalmente salutare la sua adorata Christine. In realtà le sue aspettative erano state immediatamente deluse dalla direttrice del balletto che con i suoi soliti modi autorevoli ma gentili gli aveva suggerito di allontanarsi perché la ragazza aveva bisogno di non essere disturbata.
«Ma io le ho portato i fiori...» fu l'unica debole protesta che il visconte riuscì a proferire.
La donna osservò il mazzo di gigli e fiori dai colori chiari di cui non conosceva il nome,
«Molto bene» disse tranquilla. «Venite con me, visconte, vi procurerò un vaso prima che si rovinino».
Con un sospiro rassegnato Raoul si era allontanato sulla scia della gonna scura della direttrice del balletto, incapace di ribellarsi anche quando aveva scorso con la coda dell'occhio tre ballerine intrufolarsi furtivamente oltre la soglia del camerino che a lui non era stato concesso di varcare.

*

Christine era seduta sul divanetto di velluto, incapace di muoversi per paura di guastare il costume di scena o la splendida acconciatura che il parrucchiere aveva faticosamente realizzato tentando di domare i suoi folti riccioli castani.
Era tesa e non riusciva a pensare a altro che agli occhi del suo maestro. Dove sarebbe stato lui? Come avrebbe fatto ad assistere allo spettacolo senza farsi vedere? E cosa le avrebbe detto se avesse commesso qualche errore?...
La ragazza sobbalzò quando sentì la porta aprirsi di scatto e balzò in piedi,
«È già ora? Sono pronta!» esclamò prima di rendersi conto chi fosse entrato a farle visita.
«Oh cielo, hai parlato come una condannata a morte!» disse Meg in tono canzonatorio entrando seguita da due delle sue compagne.
«Hai anche la faccia di una condannata a morte» aggiunse un'altra ballerina osservando il volto della giovane soprano con una smorfia.
La più piccola delle tre abbracciò la ragazza e le prese le mani,
«Non devi essere spaventata, non devi! Sei così brava, e così bella» mormorò dolcemente.
«Grazie Josephine...» rispose Christine intenerita.
La piccola Josephine aveva l'aria di un fiore pronto a sbocciare, era una delle più giovani ballerine del collegio e da mesi era fidanzata in segreto con l'assistente del liutaio che si occupava degli strumenti degli orchestrali, tutti sapevano che ogni volta che poteva la ragazzina usciva furtivamente dal teatro per incontrarsi con il suo innamorato.
«Su, su, avanti, togliti quella faccia da funerale» borbottò Meg tirando leggermente un lembo della veste della sua amica,
«Oh ti prego, mi rovinerai il vestito!» protestò Christine.
«Ah, sentitela! Ha già i vezzi da primadonna» la canzonò la fanciulla bionda osservandola con i suoi occhi vispi e furbi, le altre due ballerine risero.
«Volevamo solo farti gli auguri per lo spettacolo» aggiunse Josephine.
«E sappi che noi saremo dietro le quinte ad applaudirti» concluse Meg con un sorriso di incoraggiamento.
«Ah amiche mie, siete così care» sospirò Christine commossa baciando ognuna di loro sulle guance,
«Ma ora sarà meglio andare, se mia madre ci trova qui saranno guai» disse infine la piccola Giry scuotendo la testa,
«Andate, un rimprovero di tua madre non è il modo giusto con cui inaugurare questa serata».
Christine sentì le dita di Meg stringersi attorno alle sue in un ultimo gesto di sostegno. Una stretta salda e sicura come il senso di famiglia che lei ed Eloise le avevano sempre trasmesso.
La ragazza osservò le tre amiche sgusciare via silenziosamente, quando la porta si richiuse dietro di loro lei si sentì di nuovo sola e sospirò di sconforto.
«Andrà tutto bene» mormorò una voce suadente e carezzevole.
Per un attimo la fanciulla si chiese se non fosse stata la sua immaginazione, ma il suo maestro la chiamò da dietro lo specchio e lei si ritrovò a fissare il suo riflesso con un accenno di sorriso. Non poteva vederlo, ma sapere che lui era lì la tranquillizzava e le ricordava che non era sola. Si disse che aveva avuto la migliore istruzione che una cantante potesse desiderare, sarebbe andato tutto bene.

Erik osservava la figura della giovane che appariva lievemente sfocata dall'altro lato del vetro, come un sogno pronto a dissolversi.
Il sarto aveva seguito le sue istruzioni realizzando il costume di scena in velluto blu, e lei non era più la giovane cantante dell'Opera, era una donna, era Desdemona che avrebbe fatto impazzire d'amore un uomo pronto a uccidere e a morire per paura che lei non gli appartenesse.
Erik avrebbe voluto inginocchiarsi davanti a quella visione e mettere il mondo ai suoi piedi, mentre Christine si avvicinava allo specchio e posava una mano sulla superficie riflettente.
«È così bello sentire la vostra voce» mormorò la fanciulla.
L'uomo appoggiò la mano in direzione di quella di lei, anche se sapeva che non poteva vederlo,
«Mai quanto io amo sentire la tua» le rispose in tono galante.
La ragazza fissò intensamente lo specchio, come se potesse far comparire dal nulla l'uomo che vi si nascondeva all'interno. Riusciva a immaginare la sua figura imponente coperta dal mantello e vestita di tutto punto come se dovesse farsi ammirare. Ricordò il calore della sua mano che stringeva la sua per portarsela alle labbra e baciarla e il pensiero le fece salire una violenta ondata di rossore lungo le guance.
«Erik, io...» disse con un sussurro talmente impercettibile che non credette nemmeno che lui fosse riuscito a sentirla.
«Cosa?»
«Ah, niente...»

Erik, io vorrei tanto potervi abbracciare...

«Vorrei che foste fiero di me» concluse la giovane abbassando il volto quando anche oltre il vetro riuscì a percepire lo sguardo penetrante del suo maestro. Immaginò che nella penombra del corridoio di pietra i suoi occhi fossero diventati di un cupo color piombo, ma avrebbe potuto giurare di averli scorti dietro lo specchio, di averli visti brillare come due minuscole scintille di elettricità.
«Lo sarò, in ogni caso».
Dopo aver pronunciato quelle parole il Fantasma dell'Opera sparì in un vuoto di silenzio, ma il cuore della ragazza accelerò i battiti come se avesse voluto schizzarle via dal petto e inseguire quell'ombra e la sua voce.

«Christine!» un'altra voce altrettanto familiare strappò la giovane ai suoi pensieri,
Christine vide la maniglia della porta scattare come se qualcuno stesse tentando di aprire la porta che lei non ricordava di aver chiuso a chiave. Si precipitò ad aprire e si ritrovò davanti Raoul con la mano ancora poggiata sul battente,
«Raoul! Che piacere vederti» mormorò la giovane, il visconte le rivolse un sorriso radioso e la salutò con un galante baciamano.
«Ma... non mi hai sentito bussare?» chiese lui.
Christine si strinse nelle spalle,
«Devi scusarmi, è che sono così agitata»
«Certo, certo, capisco. Ah, accidenti!». Il visconte si lasciò scappare un gesto stizzito.
«Cosa c'è, Raoul?»
«Ti avevo portato dei fiori... ma li ho fatti mettere in un vaso prima e ho dimenticato di prenderli prima di tornare qui ai camerini»
«Oh, non fa nulla Raoul» concluse la ragazza con un sorriso gentile.
Il giovane arrossì e si morse il labbro inferiore,
«Mi dispiace, avrei voluto che tu li avessi, anche se meriteresti molto di più di un mazzo di fiori» mormorò.
«Ti prego, Raoul, mi confondi!» esclamò Christine imbarazzata.
«Christine, tu per me...»
«Visconte De Cagny!» una voce severa interruppe il ragazzo che si voltò con aria mortificata. «Vi avevo chiesto di lasciare Christine da sola, ha bisogno di concentrarsi e di essere lasciata tranquilla»
«Vi chiedo scusa, madame Giry». 
La direttrice del balletto si portò le mani ai fianchi e sospirò spazientita,
«Cercate di essere comprensivo e rispettoso visconte, per cortesia, andate a prendere posto, non manca molto all'inizio dello spettacolo» concluse.
Il ragazzo non poté fare altro che annuire e lanciare a Christine un rapido cenno di saluto prima di allontanarsi.
«Sei pronta, chérie?» domandò Eloise quando il visconte se ne fu andato, la ragazza annuì continuando a guardare verso Raoul che spariva dietro l'angolo del corridoio.
«Il visconte è un caro ragazzo» ammise madame Giry scrutando con attenzione il viso della sua adorata bambina. «E ti vuole molto bene, farebbe di tutto per te»
«C'è già stato chi ha fatto tutto per me...» mormorò la fanciulla come se stesse pensando ad alta voce, ma un attimo dopo sollevò la testa con uno scatto fissando Eloise con un'espressione indecifrabile, quasi sperando che la donna non avesse compreso le sue parole.
Madame Giry socchiuse leggermente gli occhi.
«Cosa provi per lui?» chiese in un filo di voce, quasi come se avesse avuto paura di ciò che la ragazza avrebbe potuto rispondere.
«Raoul mi è molto caro, lui...» farfugliò Christine. «Bhe ci conosciamo da quando ero bambina...»
«Non mi riferivo al visconte, sai bene di chi parlo»
«Lui... vi prego, Eloise, non mi fate domande alle quali non so rispondere»
«Temo, tesoro mio, che tu debba cominciare a trovare una risposta» concluse la donna scuotendo il capo. 

*

L'Opera Populaire aveva due ordini di balconate e un ampio loggione. Il palco numero 5 era il primo a sinistra della scena, e doveva essere una sorta di posto d'onore, visto che era leggermente più largo e sporgente degli altri, come il palco numero 14 che si trovava dal lato opposto e che era da sempre riservato al direttore del teatro.
Bertrand guardò la maschera agghindata con la sua livrea color porpora e la parrucca incipriata,
«Non è arrivato nessuno?» domandò indicando la porta di ciliegio scuro con la targhetta in ottone.
«No, monsieur» rispose il giovane con aria compita.
«Non hai sentito nessun rumore? Non hai notato niente di strano?»
«No, monsieur. Non ho mai sentito niente».
Bertrand si lisciò il doppiopetto di velluto e sospirò,
«In che senso mai?» domandò
«Mi occupo di questo ordine di palchi da diversi anni, monsieur» spiegò la maschera con una punta di orgoglio nella voce. «Quando c'era il vecchio direttore questo palco veniva sempre lasciato libero, a disposizione di qualcuno che in realtà non lo ha mai occupato».
Bertrand sfilò il suo portasigari dalla tasca interna della giacca e si grattò il mento riflettendo su quanto aveva appena appreso.
Cosa voleva dire? Che il Fantasma pretendeva che il palco fosse destinato a lui per puro capriccio? Perché in realtà non presenziava agli spettacoli? E questa storia andava avanti da tre anni, come ogni altro episodio legato al fantomatico spirito che infestava il teatro.
L'ispettore si lasciò scappare un lamento sordo: ogni nuova cosa che scopriva invece che aiutarlo a venire a capo di quella strana faccenda sembrava mostrare ancora di più che tutta quella storia non aveva senso, che non c'era un capo da cui cominciare per sbrogliare la matassa. Un palco d'onore reclamato e mai occupato, botole cieche, un macchinista ucciso senza che si riuscisse a capire come, qualcuno che si muoveva nel teatro come se passasse attraverso i muri, strane leggende raccontate a fior di labbra tra i parati dei camerini, lettere chiuse da sigilli di ceralacca a forma di teschio... e l'unica cosa certa era che tutto ciò era cominciato tre anni prima. Forse Dubois aveva ragione, il visconte De Caghny non c'entrava nulla, tre anni prima quel ragazzo probabilmente era ancora rinchiuso in qualche prestigioso collegio a imparare il galateo.
«Vi sentite bene, monsieur?» domandò la maschera notando che il suo interlocutore si stava massaggiando le tempie con aria afflitta.
«Sì. Ascolta, ragazzo, voglio che tu stasera prenda nota di qualunque cosa, anche del minimo rumore che sentirai provenire da quella porta. Sono stato chiaro?» concluse Bertrand.
«Chiarissimo, monsieur» rispose il giovane accennando un inchino. «Ma ora devo chiedervi di andare a prendere posto, lo spettacolo sta per cominciare».

Bertrand raggiunse il palco accanto a quello dei direttori. Quel posto era stato riservato a lui e ad Alexandre, da lì avrebbero potuto anche tenere d'occhio il palco numero 5, mentre il visconte aveva preteso un posto nella prima fila della platea.
Dopo che Alexandre ebbe fatto le presentazioni tra sua madre e Bertrand, tutti presero posto un attimo prima che si spegnessero le luci.
«Dannazione» sibilò l'investigatore. «Con questo buio non si riesce a vedere cosa succede in quel dannato palco!»
«Monsier Bertrand!» esclamò madame Ginette in tono bonario di rimprovero mentre l'orchestra cominciava a suonare. «Fate silenzio!»
«Pare proprio che non abbiamo altra scelta che goderci lo spettacolo, amico mio» sussurrò Alexandre. «E se le cose stanno così, rilassatevi, daremo la caccia ai fantasmi più tardi».

*

Buio e musica: un sunto perfetto della sua vita.
Le note del grandioso compositore italiano coprivano il rumore di gocce di umidità che filtravano dai muri di pietra. Magari fuori pioveva a dirotto, ma Parigi, i suoi abitanti, il mondo stesso erano lontani da lì, in un'illusione spazzata via dalla musica che si spandeva come un incendio, arrivando fino a lui e strappandolo al freddo del silenzio.
La mano di Erik si agitavano a mezz'aria seguendo il ritmo come se fosse lui stesso a dirigere l'orchestra. I suoi movimenti sembravano precedere ogni nota che veniva emessa, con la sicurezza di chi conosce a memoria ogni vibrazione, ogni palpito, ogni pausa di quella sinfonia.
Il Fantasma dell'Opera non si era mai sentito così umano e vivo come in quel momento. Se ne stava  in piedi al centro di uno dei cunicoli sotterranei del primo sottopalco, in direzione della buca d'orchestra, godendosi lo spettacolo come era solito fare. Perché non gli importava guardare. Le scenografie monumentali, i ricchi costumi, le movenze delle ballerine e dei cantanti servivano a stupire il pubblico, a creare una cornice dove la musica dava spettacolo di sé come una vera opera d'arte esposta agli occhi del mondo che presto avrebbe perso interesse per tutti gli altri particolari.
Ebbe quasi la sensazione di poter distinguere il calpestio leggiadro di Christine che avanzava al centro della scena, di poter sentire il fruscio del raso del suo abito: Desdemona che si avvicina a Otello e gli posa una mano sulla spalla in un gesto di tenero conforto, e lui che rivela i suoi tormenti e le sue speranze alla donna che ama.

Già nella notte densa
s'estingue ogni clamor.
Già il mio cor fremebondo
s'ammansa in quest'amplesso e si risensa.
Tuoni la guerra e s'inabissi il mondo
se dopo l'ira immensa
vien quest'immenso amor!

Erik non sentì la voce di Ubaldo Piangi che cantava la prima strofa dell'aria di Verdi. Chiuse gli occhi e cantò egli stesso quelle parole che aveva cantato a Christine come se fosse lui e non il personaggio di Otello a esprimere i propri pensieri. Come se quei versi fossero esattamente le parole che lui non riusciva a trovare per dirle come starle vicino soffiasse via ogni dolore, come la speranza di quell'amore avesse ridato senso a una vita che prima di allora non gli era nemmeno sembrata tale.
L'uomo smise di cantare e attese che fosse la voce di lei a completare la magia.

Mio superbo guerrier! quanti tormenti,
quanti mesti sospiri e quanta speme
ci condusse ai soavi abbracciamenti!
Oh! com'è dolce il mormorare insieme:
te ne rammenti!
Quando narravi l'esule tua vita
e i fieri eventi e i lunghi tuoi dolor,
ed io t'udia coll'anima rapita
in quei spaventi e coll'estasi in cor.

La sua voce, la voce della sua musa. Perfetta, bellissima.
Non era stato il tocco dell'Angelo della Musica. Era stato qualcosa di più. Nemmeno la cantante più talentuosa avrebbe potuto eseguire quell'aria con tanto passionale trasporto. Ma Christine non stava recitando, stava cantando per lui e la forza con cui la sua anima stava dando forma a quelle note sembrò sorprendere Erik come un colpo alle spalle, tanto che l'uomo fu costretto a poggiarsi contro il muro per far fronte all'emozione che lo stava scuotendo.

Ingentilia di lagrime la storia
il tuo bel viso e il labbro di sospir;
scendean sulle mie tenebre la gloria,
il paradiso e gli astri a benedir.

Cantò ancora l'uomo con le mani tremanti di commozione, per poi sentirsi rispondere dalla voce di lei:

Ed io vedea fra le tue tempie oscure
splender del genio l'eterea beltà.

E per un attimo fu come se quelle due creature stessero semplicemente dialogando, aprendo i loro cuori con l'aiuto della musica, abbandonandosi a confessioni che non sarebbero mai state fatte, ma che i loro animi gli spingevano sulle labbra tramite le parole di quel duetto.
E fu di nuovo lui a cantare:

E tu m'amavi per le mie sventure
ed io t'amavo per la tua pietà.
Venga la morte! e mi colga nell'estasi
di quest'amplesso
il momento supremo!
Tale è il gaudio dell'anima che temo,
temo che più non mi sarà concesso
quest'attimo divino
nell'ignoto avvenir del mio destino.

E fu di nuovo lei a rispondere, con la voce impercettibilmente incrinata da un'emozione incontenibile:

Disperda il ciel gli affanni
e amor non muti col mutar degli anni.    

Erik sentì una lacrima, una sola goccia calda e salata scivolare sulla guancia sinistra e asciugarsi ancora prima di raggiungere l'angolo della bocca. Il respiro affannato dal canto e dall'emozione si trasformava in piccoli sbuffi inghiottiti dal buio.
«Christine...» sussurrò con le labbra tremule. «Ah Christine, il mio cuore prenderebbe fuoco per quanto ti amo!».

*

«Dio del cielo!» sussurrò Alexandre serrando le dita sul parapetto della balconata. L'intensità con cui mademoiselle Daaè aveva eseguito quell'aria lo aveva lasciato senza fiato, come tutti gli altri spettatori, impietriti nelle loro poltrone, quasi incapaci di respirare. Ci fu un lungo attimo di silenzio estasiato prima che il teatro esplodesse in un applauso talmente fragoroso che sembrò che la pareti fossero destinate a crollare sotto l'impetuosità di quell'acclamazione.

Quando calò il sipario alla fine del primo atto Bertrand posò una mano sulla spalla del giornalista,
«Venite con me, devo controllare una cosa», ciò detto uscì rapidamente dal palco. Alexandre si congedò da sua madre con uno sguardo perplesso e seguì l'investigatore che percorreva nervosamente il corridoio sul quale affacciavano le porte dei palchi.
«Eccolo lì, il posto del nostro amico...» sbuffò dirigendosi spedito verso la porta contrassegnata dal numero cinque. Allontanò con un gesto brusco la maschera che si era avvicinata con fare servizievole e aprì la porta del palco con una spinta.
All'interno c'erano due sedie con il piano foderato di velluto bordeaux. Tutto era esattamente come quando aveva perquisito il palco prima dello spettacolo, ad accezione di una busta da lettere chiusa da un sigillo di ceralacca a forma di teschio poggiata su una sedia.
Bertrand raccolse la missiva e l'aprì strappando la busta e gettandola a terra.
Le poche righe appuntate sul foglio erano scritte con la calligrafia regolare ed elegante che ormai l'investigatore conosceva bene:

Monsieur Bertrand,
Sono sinceramente mortificato per aver deluso ancora una volta la vostra speranza di incontrarmi. Non temete, sono certo che in futuro avremo occasione di scambiare qualche parola... appena i miei impegni me lo permetteranno.
Spero che lo spettacolo di stasera sia stato di vostro gradimento.
Vi porgo i miei omaggi.
F.O.

Alexandre era rimasto sulla soglia ad osservare i gesti nervosi del suo collega.
«Cosa c'è scritto?» domandò all'improvviso.
Per tutta risposta Bertrand lanciò un vero e proprio ruggito. Le dita si serrarono con forza attorno al foglio che poi prese a strappare con foga.
«Maledetto! Ti prendi gioco di me, mi minacci...» sibilò con la voce resa stridula dalla frustrazione. Quando ebbe finito di strappare il biglietto del Fantasma si voltò di scatto e prima che Alexandre potesse rendersene conto, si avventò sulla maschera. Afferrò il ragazzo per i lembi della livrea e lo spinse contro il muro con tanta foga che gli fece cadere la parrucca,
«Idiota!» ringhiò a un palmo dal suo naso. «Ti avevo detto di sorvegliare questo palco!»
«Monsieur... è quello che ho fatto... vi giuro...» farfugliò il giovane inserviente.
«Incapace, dannato bamboccio inutile! Qualcuno è entrato qui dentro ha lasciato un biglietto ed è uscito! Questo palco non ha altre vie d'accesso che questa porta!»
«No, ho visto nessuno, monsieur!... lo giuro sull'anima di mio padre».
Il ragazzo aveva le lacrime agli occhi e il volto deformato da una smorfia spaventata. Bertrand lo strattonò con violenza, stava per schiaffeggiarlo quando Alexandre gli afferrò il polso con una presa salda,
«Basta così, smettetela!» tuonò il giornalista mentre una piccola folla di signori che si erano alzati durante l'intervallo si era accalcata attorno a loro.
Alexandre afferrò Bertrand per le spalle, ma dovette impiegare più forza del previsto per spingerlo via e allontanarlo dalla maschera. Un uomo in preda alla rabbia più essere più forte e pericoloso di quanto si possa credere.
«State dando un pessimo spettacolo» disse il giornalista all'orecchio del suo collega, riuscendo a stento a trattenere l'investigatore un attimo prima che si avventasse di nuovo sul ragazzo che, recuperata la sua parrucca, si era allontanato rapidamente facendosi largo tra le persone accorse per vedere cosa stesse succedendo.
Ci vollero un paio di minuti perché Bertrand riacquistasse la calma,
«Va bene... va bene, Alexandre, lasciatemi andare» sbuffò con il volto arrossato e imperlato di sudore,
con cautela il giornalista allentò la presa assicurandosi che l'attacco d'ira fosse del tutto scemato.
«Si può sapere che diamine vi è preso?» domandò in tono aspro di rimprovero.
Bertrand indicò con uno sguardo torvo i frammenti della lettera sul pavimento,
«Dice che è dispiaciuto di non essersi fatto trovare» spiegò. «Che ci incontreremo di sicuro prima o poi... è una burla e una minaccia! Io non posso davvero credere che sia entrato qui dentro e nessuno lo abbia visto!»
«Blaise, la vostra posizione non vi autorizza ad assumere dei comportamenti così inqualificabili...»
«Vuole farmi impazzire, vuole che perda il senno» borbottò l'investigatore senza prestare attenzione ai rimproveri del giornalista.
«Mi avete sentito, Blaise?!» insistette il ragazzo «Commettete ancora un'altra scelleratezza e non potrete più contare sul mio aiuto!».
Bertrand guardò il suo interlocutore negli occhi, come se solo in quel momento si fosse reso conto che gli stesse parlando. Allargò un sorriso mellifluo, le labbra sembrarono incurvarsi verso l'alto come se gli angoli della bocca arrivassero fino agli zigomi sporgenti,
«No, non lo fareste mai Alexandre. Non potete abbandonare questo caso, vi prende troppo, è una sfida che è divenuta irrinunciabile, come lo è per me» disse con la voce che era tornata calma e pacata assumendo quasi un tono lugubre. «Lui ci ha catturati, ci ha presi tutti nella sua trappola e potremmo uscirne solo se lui soccombe».


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Come ho già detto, l'Otello di Giuseppe Verdi è stato scritto anni dopo l'ambientazione della storia... ma questo duetto d'amore era troppo azzeccato per non usarlo! *_*
 Si, diciamo che era la scusa per essere sdolcinata senza ritenermi responsabile delle dosi di insulina che ora vi starete iniettando... ho pensato che invece di usare le mie parole potevo usare quelle dell'opera di Verdi così mi lavavo la coscienza XD
 E lo so... lo so, ora vi state domandando la lettera come cappero ci è arrivata nel palco numero 5... ricordate, "He's a genius, monsieur" madame Giry docet


Capitolo 23\12\2011
   
 
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