Allora!eccoci
qua con un nuovo
capitolo. Mi dispiace non rispondere alle due recensioni,ma il tempo
è
pochissimo oggi. Vi dico solo GRAZIE perché siete
carinissime.
Spero che la
sorpresa prevista
vi farà contente! Un bacio!
Capitolo 9
La mattina
successiva mi svegliai con un forte mal di testa e una mancata voglia
di andare
a scuola. Ma proprio quella mattina il professore di matematica aveva
programmato
il primo compito dell’ultimo anno di liceo. Mi maledissi
mentalmente di aver
scelto la sera sbagliata per inviare il mio sms di scuse a Rob.
Avevo
trascorso
la notte senza riuscire a chiudere occhio e sapevo benissimo che avrei
trascorso le ore sul treno e a scuola con il cellulare in tasca
aspettando una
qualsiasi sua risposta.
L’aria
era
fredda,ma neanche il calore del cappotto riuscì a sciogliere
i miei nervi. Ero
totalmente nervosa e agitata. Primo problema,il compito. Amavo la
matematica,ma
quella mattina la mia concentrazione era pari a zero. Come avrei fatto?
Secondo
problema. Come avrei risolto la questione Rob? Ora mi ero totalmente
lasciata
andare. I miei sentimenti,le mie emozioni erano fuoriuscite da
quell’angolino
in cui le avevo chiuse con cura. Se non volesse più
sentirmi,se non mi
rispondesse sarebbe per me un duro colpo. Soffrirei più di
quanto fin’ora ho
patito. Ma sorprendentemente non riuscì a pentirmene.
La stazione
era
piena di gente assonnata pronta per una nuova giornata di lavoro. I
miei
occhiali,indossati senza sole,il mio cappuccio della felpa tirato su a
coprirmi
il capo non incuriosirono nessuno. Ogni mattina,da quando il freddo si
stava
facendo sentire,usavo portare il cappuccio mentre gli occhiali erano di
uso
comune. L’ora era mattiniera e tutti erano stanchi e con
occhiaie pronte a far
spaventare chi si avvicinasse. Le mie quella mattina erano da fare
spavento. Neanche
fondotinta,fard e correttore erano riusciti a coprirle,neanche un
po’.
Con mia
sorpresa trovai anche mia zia che aveva scelto una giornata sbagliata
per
prendere il treno con me. Mi guardò sorridendo pensando a
quanto fossi matta.
Per lei era inconcepibile scendere di casa in quelle condizioni. Diceva
sempre
che sembravo una ragazzina di 12 anni vestita ancora da mamma,invece di
una
diciottenne fatta e finita. Rideva ogni qualvolta le dicevo.
“La
mattina zia
vado a scuola,non alle sfilate di moda.”
Adoravo
indossare semplici jeans,stretti e scarpe della Nike oppure Converse,al
massimo
un paio di Alviero Martini da passeggio.
“Non
cambi mai.
Uguale alle tue cugine.” Disse sorridendo.
“Zia,non
è
giornata.” Le dissi sapendo che non mi avrebbe lasciata in
pace comunque.
Mi zia era
giovanissima. Aveva solo 35anni,non era sposata,viveva con nonna e non
era per
niente una donna che si sentiva tale. Era una ragazzina che si
mimetizzava tra
noi povere nipoti. “Certo,certo. Però
ricorda..”
“Si
zia,sei pur
sempre mia zia” terminai,sbuffando,la sua frase.
Incorreggibile.
Vidi
Francesca
avvicinarsi a noi con un sorriso beffardo sul viso. Aveva
già capito tutto.
Dopo essersi
salutate ed aver parlottato della sottoscritta ci avvicinammo al
binario dove
il treno era stato annunciato.
Sapevo che
dopo
5minuti avrei salutato mia zia,per un cambio di treno alla stazione di
Battipaglia,così mi rilassai. Ma il suo sguardo curioso e
inquisitorio non mi
abbandonò.
Ero stesa
sulla
panchina della stazione. Il treno portava 34minuti di ritardo.
Francesca,sulla
quale avevo poggiato la testa,mi accarezzava i capelli da sotto il
cappuccio.
“Gli
ho mandato
un sms” dissi senza pensarci.
“Oh”
rispose
semplicemente.
“Non
ha ancora
risposto.” Continuai. Avevo gli occhi chiusi e cercavo di
rilassarmi sotto il
tocco delle sue mani.
“Sicuramente
non ha avuto tempo.” Disse sorridendo.
“Si,certo.”
Mi
alzai e facendole cenno di alzarsi continuai. “Ho
fame,andiamo al bar?”
Sul letto,con
le mani dietro la nuca e il suo libro sulla pancia,mi persi a guardare
i colori
della mia stanza. Il verde acqua che si sposava perfettamente con il
noce
chiaro,l’arancione delle tende,con l’arancio delle
pareti,riusciva a dare
calore a quella stanza fredda. Le candele profumate accese riempivano
del loro odore
la stanza, facendomi sentire in un altro luogo. Nella mia mente nessun
pensiero
coerente,solo la voglia di non pensare. La necessità di far
finta di niente.
Così mi addormentai.
Le mani calde
di mia cugina mi riportarono nel mondo reale. Non avevo sognato,ma fu
lui il
mio primo pensiero quando mi svegliai. Cercai di scacciare la sua
immagine
scrollando la testa.
“Ciao,Pallì,stasera
andiamo,a mangiare fuori. Viene anche Luca,ok?”
Quel sorriso
angelico mi intenerì così da non poter rifiutare.
E poi i ragazzi,con le loro
follie, avrebbe movimentato la mia serata.
Trovai sul
letto dopo la doccia
i miei vestiti già pronti. Camicia bianca,cardigan
marrone,stivali marroni e il
mio adorato Peauterey.
Mi truccai e
presi i soldi, salì
nella meravigliosa BMW di Peppe.
Il pub,stile
inglese,dove
decidemmo di fermarci mi rattristì non poco. Mi sarebbe
piaciuto molto,se non
mi avesse ricordato lui. Le ragazze sembrarono accorgersi del mio umore
e
portandomi con loro in bagno vollero scoprire cosa succedesse.
Quando gli
raccontai la storia
rimasero basite. Rimasero senza parole,poi però riuscirono a
consolarmi e
ribadirono la teoria di Francesca. Era impegnato. Non volli pensarci e
approfondire l’argomento così tornammo dagli
altri. Le vidi osservarmi
spesso,per capire come mi sentivo veramente. Mi conoscevano molto.
Anche se
avessi voluto nascondere la mia tristezza e angoscia ci sarei riuscita
con gli
altri,non con loro.
Il resto
della serata trascorse
tranquilla. Come avevo previsto le varie sciocchezze dette e fatte dai
ragazzi
mi fecero distrarre così da trascorrere qualche ora in
tranquillità.
La mattina
successiva decisi di
non andare a scuola,così restai a letto per tutta la
mattinata. Il cellulare lo
avevo lanciato in borsa,ma la suoneria era attiva. La speranza comunque
era
sempre presente in una parte di me nascosta. Sapevo che mi stavo solo
facendo
del male,ma non potevo pensare che mi avesse dimenticato e che non
fossi
neanche un bel ricordo.
Quella notte
comunque dormì
male. Il mal di testa mi aveva accompagnata per tutta la giornata
precedente e il
riposino fatto lo stesso pomeriggio non era stato di aiuto. Alle 7
sentì la
porta di casa chiudersi,papà era andato a lavoro. Dopo poco
sentì mamma passare
l’aspirapolvere nell’ingresso di casa. Pian piano
il rumore era più udibile,si
avvicinava alla mia stanza. Sentivo il rumore dei mobili che venivano
trascinati dalla signora del piano superiore. Il campanello suonare. La
mia
vicina aveva qualcosa da dire a mamma. Sentì le loro
voci,forti,assordanti. Mi
concentrai tutta la mattinata su quei rumori che,anche se fastidiosi,mi
impegnavano la mente. Non pensavo così a nulla.
Le 9e30
infine arrivarono. Era
ora di tornare alla realtà.
Mamma
entrò piano,mi disse che
stava per scendere.
“Ti
serve qualcosa?” mi chiese.
“No!
Anzi si. Cioccolata. Tanta
cioccolata..” dissi mugugnando.
Aveva capito
che qualcosa non
andava. Ma come sempre fece finta di non sapere. Se chiedeva mi
arrabbiavo,quindi aspettava che fossi io a parlarle.
“Ah
mamma,lo spazzolino nuovo.”
“Ok,ti
raccomando. Passa
l’aspirapolvere,fa il letto e spolvera!”
La guardai
sbattendo le palpebre
velocemente.
“Ok..”
dissi arresa. Il suo
sguardo non ammetteva repliche e io tanto meno volevo discutere.
Decisi di
alzarmi. Ma lo feci
troppo velocemente.
“Sante vertigini” pensai. Il mio equilibrio non era
dei migliori a causa delle vertigini.
Non dovevo alzarmi velocemente dal letto se non volevo finire,come in
quel
momento,con la faccia a terra.
Andai in
cucina e preparai la
colazione. Tanto caffè con poco latte. Papà aveva
comprato un cornetto alla
crema e lo aveva poggiato vicino la credenza. Lo faceva ogni volta che
non
andavo a scuola. Così avrei fatto colazione con qualcosa che
non fosse caffè.
Dopo aver
mangiato e aver acceso
il pc per sentire la musica presi la tachipirina. Il mal di testa era
insopportabile.
Con santa
pazienza inserì le mie
canzoni preferite per quel giorno e mi dedicai alle pulizie.
Il
letto,l’aspirapolvere,riordinare i vestiti sparsi per la
stanza,dare un senso
al mio guardaroba.
Spolverai in
tutte le camere e
finalmente feci una doccia rilassante.
L’acqua
caldissima l’adoravo. Mi
tirai fuori dalla doccia quando lo specchio del bagno ero totalmente
appannato.
Lavai i denti,cercai di dare un senso ai capelli corti e riordinai
tutto.
Decisi che
era ora di stendersi
sul divano e di dedicarsi alla tv. Misi il dvd di Orgoglio e
Pregiudizio e mi
dedicai alla contemplazione di Mr Darcy. Adoravo il personaggio,ma
ancor di più
adoravo l’attore. O meglio adoravo la sua bellezza. Questo mi
fece pensare a
Rob. La sua bellezza trascurata,il suo sorriso,i suoi tratti
marcati,quella
mascella perfetta e squadrata. Quegli occhi pieni di
passione,desiderosi,ma al
contempo dolci e sinceri. Come li avevo visti l’ultima volta.
Scossi la testa
ripetutamente per non pensarci e continuai a vedere il film.
A mezzogiorno
mamma tornò a casa
e preparammo il pranzo. Erano le 14 quando decisi che era ora di
studiare. La
storia era una delle materie che amavo studiare e le guerre mondiali mi
affascinavano molto. Così analizzai attentamente le causa
della Guerra Fredda.
Ad un tratto
le note di Release
me arrivarono nello studio dalla mia camera. Corsi per prendere il
cellulare
pensando fosse Daniela,ma era un numero privato.
“Pronto?”
“Ada,sono
Rob” la mente si svuotò,per
poi riempirsi solo del suo nome e del mio,che lui aveva pronunciato.
Rob,Rob,Rob.
“Ehm,ciao”
“Ciao”
rispose. Silenzio. Cosa
potevo dire ora?
“Mi
dispiace Rob,veramente,io..”
“Ho
un problema”
continuò,fermando il mio fiume di parole “sono in
Italia,a Pontecagnano. Volevo
farti una sorpresa. Ma non ci sono taxi,non so dove abiti. Non so come
raggiungerti.”
“Rob?”
“Si?”
“Sei
a Pontecagnano?”
“Si,è
quello che ho detto!”
disse. Ne ero sicura,stava sorridendo.
“All’aeroporto,di
preciso”
continuò
“Aspettami,non
ti muovere.
Arrivo!”
Mia madre
alla guida della sua
auto aveva un espressione turbata. Appena le avevo detto che il mio
attore
preferito,inglese,bello impossibile,era bloccato
all’aeroporto di Pontecagnano
perché non sapeva come raggiungere il mio paese, mi aveva
dato della matta.
L’avevo
convinta in poco meno di
10 minuti dicendole che le avrei spiegato tutto appena Rob fosse
arrivato a
casa sano e salvo. L’aeroporto,pur non essendo molto
affollato era sempre un
luogo pubblico,quindi non era il caso che stesse ancora
lì,da solo.
“Ada,sei
proprio sicura?”
“Mamma,ma
che pensi? Potrei mai
inventarmi una cosa del genere?” mi guardò seria e
poi fece un cenno con la
testa. Sicuramente era per convincersi.
“No,certo
che no.” disse
seria,poi continuò sorridente “Sono curiosa di
vederlo dal vivo. E’ bello come
nelle foto?”
“No..”
Mi
guardò accigliata e
incuriosita.
“Mamma,è
molto meglio” e
sorrisi. Piena di gioia. Felice come mai prima.
L’aeroporto
era poco affollato.
Solo i dipendenti e qualche persona che prenotava biglietti o che
chiedeva
informazioni.
Mamma aveva
parcheggiato ed era
rimasta in auto. Entrai sicura di riconoscerlo. Infatti non mi
sbagliavo. Anche
con il più perfetto dei travestimenti lo avrei riconosciuto
senza esitazioni.
Il suo cappello di lana,i suoi Ray ban,i suoi jeans blu strappati,il
suo
cappotto di pelle,troppo freddo per la temperatura stagionale. Il
borsone
lasciato a terra. Lo sguardo perso fuori dalla finestra. Il cuore mi
batteva
forte,senza fermarsi. Ero ferma davanti l’ingresso. Lo
guardai,senza
avvicinarmi,per un paio di minuti. La felicità che mi
riempiva il cuore,
semplicemente guardandolo, mi faceva rabbrividire. Ma volevo di
più,volevo che
il cuore mi scoppiasse di gioia. Non mi bastava più solo
guardarlo,volevo
averlo vicino,sentire il calore del suo corpo. Ora,se mi avesse
abbandonato,avrei sofferto molto di più,ma avrei avuto il
ricordo di queste
emozioni.
Mi avvicinai
lentamente,sospirai
e lo chiamai.
“Mr
Pattinson,vogliamo andare?”
Mi
guardò,non riuscii a non
sorridere. Si alzò serio,poi aprì le braccia e mi
invitò tra esse.
Mi gettai nel
suo abbraccio. Lo
strinsi forte,ridendo,piena di pazzia.
Lui
sorrideva. Mi stringeva
forte a lui.
“Andiamo?”
“Si”
annunciai felice
stringendomi ancora a lui quando circondò le mie spalle con
un braccio.
Mia madre ci
vide avvicinarci
all’auto e sorridendo uscì da essa.
“Salve”
disse Rob,imbarazzato.
“Ciao,Mina.
La mamma di Ada.”
“Piacere,Rob”
“Certo,lo
so.” Mi guardò e
avvicinandosi,così che sentissi solo io disse,
“hai ragione,è molto meglio”
Risi di
quella frase. Non era da
lei. Ma ne fui felice.
In macchina
si sentivano solo le
chiacchiere mie e di mia mamma e la risata meravigliosa di Rob. Mi
giravo verso
di lui e ogni volta lo vedevo sorridermi felice. Finalmente sapevo cosa
aspettarmi.
Sarebbe stato meraviglioso. Ora,dopo averlo rivisto,sapevo che lui
poteva solo
riempirmi di felicità e farmi sentire unica. Mi sentivo una
stupida,perché non
avevo capito subito. Ma poi pensavo a quel momento e mi dicevo che era
così che
doveva andare. Perché tutti dicono che più si sta
lontani,più è bello
rivedersi,riabbracciarsi,sentirsi vicini.
Mia madre
portò in giro Rob,per
fargli conoscere Eboli. Piccola come era non ci impiegammo molto. Gli
raccontai
lo sua storia e ne rimase sorpreso. Mi seguiva attentamente,curioso.
“Facciamo
così,stasera ti porto
in giro per Eboli vecchio. Non c’è molta gente,non
ti riconoscerà nessuno” era meglio
rassicurarlo,anche se non ero sicura delle mie parole.
“Certo.
Devo chiedervi una cosa.
Dovrei cercare un albergo..”
“Che
scherzi? Starai da noi.
Dormirai in camera di Ada,mentre lei nel salone.” Mi madre lo
disse con tanta
enfasi che Rob non riuscì a declinare l’invito.
“Rob,se
non ti va ti accompagno
all’albergo di un amico” guardai mia mamma
rimproverandola, ma Rob rifiutò
dicendo che se per me non era un problema lui accettava con piacere.
“No,assolutamente.
Era per te..”
conclusi sorridendo.
“Questa
è la mia camera,ora anche
la tua.” Gli dissi allegra. Lo vidi entrare e curiosare tra
le mie cose. “ti
dispiace?” disse prendendo un enorme cornice con decine di
foto. Foto mie e dei
miei amici. Io e Simo,con Ro,a mare,con Vito,Carlo. Una ritraeva me e
mio
cugino ai miei 18anni,abbracciati. La guardò e mi
interrogò con lo sguardo.
“Mio
cugino”
Annuì
e continuò. Io e Francesca
in treno,le nuove compagne di classe,i vecchi compagni. Io in braccio a
Vito.
Una
però lo fece ridere. Era un
tenero furetto addormentato. L’avevo scattata allo Zoo
Safari,in Puglia. Mi
aveva intenerito quell’animaletto e testarda volli scattargli
una foto.
“Cos’è?”
“Un
furetto” lo guardai
sorridendo. Sapevo che era una foto assurda,ma mi piaceva.
Continuò a guardare.
Avevo mille foto appese in camera. Le mie cugine,la mia famiglia,io da
piccola.
Senza dire
nulla,continuò.
Guardò i peluche e poi me.
“103?”
“No,108..
hai dimenticato questi
qui” e sorridendo indicai altri cinque piccoli peluche.
“oh
my God” disse sconvolto.
“Problemi
a dormire con 108
peluche?” chiesi ridendo.
“No..”
disse insicuro per poi
continuare “anzi forse. Mi sentirò
osservato” disse con sguardo tormentato.
Iniziai a
ridere, non era
possibile.
“Osservato?” chiesi continuando a ridere.
“Si”
disse serio.
“Va
bè..” liquidai. “Vai a fare
una doccia. Il bagno sai dov’è. Le asciugamani e
l’accappatoio nuovo mamma te
li ha preparati. Sono le 5,pensa che anche io devo prepararmi. Quindi
veloce” dissi
seria.
“Ok,signorina”
disse. E si
allontanò.
Qualcuno
dice,è bello rivedersi
dopo essersi a lungo cercati. Ora potevo dirlo anche io. E’
bello
rivedersi,stringersi,abbracciarsi. Tutti i mali spariscono lasciando
spazio
solo alla felicità.
“Rob,sicuro
di saper guidare le
auto senza cambio automatico?” era la decima volta che mio
padre glielo
chiedeva e lui rispondeva educatamente
“Si,signore.”
Io ero
appoggiata alla porta
aspettando il momento tanto atteso. La consegna delle chiavi. Mio padre
aveva
preso bene la notizia. Si era dimostrato simpatico e socievole. Ma non
riuscì
ad evitare momenti imbarazzanti. Aveva addirittura provato a far vedere
a Rob
il nostro “gesto”,ma aveva ritirato subito la mano
dopo l’ occhiataccia che gli
rivolsi. Rob aveva assistito a queste scene sempre con un sorriso
allegro e a volte
con una risata trattenuta.
“Va
bene lasciali andare,su.”
Disse mamma a papà.
“Però
vi raccomando,non
perdetevi. Ada non fare come quella volta che..”
“Mamma!”
la ammonì prima che
parlasse.
Una sola
volta mi ero persa per
Eboli vecchio. Avevo portato l’allora fidanzato di mia zia in
giro per le
chiese antiche e ci eravamo quasi persi. Da allora io ero colei che si
perdeva anche
nella sua città.
“Questa
è la chiesa di San
Francesco. Ovviamente ora è chiusa,però ti
assicuro che è meravigliosa.”
Rob mi aveva
seguito curioso per
tutta la città. Gli piaceva la storia e quella della mia
città lo incuriosiva.
“Ci
sediamo?” sussurrò al mio
orecchio indicando dei gradini.
“Certo.”
Sapevo che
era il momento di
parlare. Erano ore che entrambi aspettavamo quel momento e finalmente
era
arrivato.
Si sedette
dietro di
me,facendomi poggiare con la schiena alle sue gambe. Iniziò
ad accarezzarmi i
capelli e nel silenzio del luogo lo sentì parlare piano.
“Mi
dispiace per ciò che è
successo a Roma,però se tornassi indietro,lo
rifarei.” Mi voltai e lo vidi con
lo sguardo rivolto ad osservare l’ingresso della chiesa. mi
voltai anche io
verso le porte e feci un sospiro. Lo sentì schiarirsi la
voce e continuare.
“Mentre
venivo qui avevo paura
che mi mandassi via. Ma neanche questo pensiero mi ha fermato. Con te
sto
bene,mi sento un ragazzo normale. Tu mi guardi come se fosse veramente
così,anche se non lo è.” a
quell’affermazione non riuscì a tacere.
“Tu
lo sei. E’ solo che gli
altri non vogliono vederti così. Ma se solo ci
provassero,come ho fatto
io,vedrebbero un ragazzo di 23 anni che cerca di migliorare ed
eccellere nel
suo mestiere. Tutto qua.” Abbassai il capo e continuai. Ora
era il momento
delle mie spiegazioni.
“Io
Rob,non volevo scappare.
Avevo paura. Lo rifarei però,perché saprei che
questo accadrebbe veramente.” Mi
alzai e posai le mie labbra sulle sue. Lo sentì irrigidirsi
per poi rispondere
immediatamente al bacio. Semplice,leggero,a fior di labbra.
Mi spostai e
continuai. “Io
veramente avevo paura,ma solo dopo,quando qualcuno mi ha fatto capire
che il
dolore è difficile da sopportare, soprattutto quando ti
penti di non aver
provato,allora lì ho deciso. Non ti avrei lasciato andare.
Ho sperato per
questi giorni. In una chiamata,un sms. E quando mi hai chiamato
dicendomi che
eri qua,a 10km da me, sono impazzita di felicità. Veramente
Rob,mi hai riempita
di felicità” sorrisi. Ricambiò il
sorriso posando di nuovo le sue labbra sulle
mie. Delle voci lo fecero allontanare. Poi lo vidi guardarsi in
torno,preoccupato.
“Che
c’è?”
“Ho
paura che qualcuno possa
riconoscermi..” disse spaventato.
“Impossibile.
A malapena ti vedo
bene io in viso,figurarsi qualcuno lontano. Comunque è tardi
e tu sei esausto.
Andiamo a casa?”
Mi
guardò attentamente per poi
scoppiare a ridere. quando faceva così mi irritava molto.
“Sei più esausta tu,o io?”
“Io,forse.
Ma questo non cambia
la situazione. Sono le 11 e qui è comunque pericoloso.
Andiamo?” dissi fredda.
“Ok”
disse silenzioso. Si era
accorto del mio tono aspro. Non sapevo come fosse possibile,ma era come
se ci
conoscessimo da una vita. Mi alzai e lo presi per mano. Era fredda.
“Hai
le mani fredde..” piano le
strinsi nelle mie. Erano molto più grandi,difficili da
riscaldare,ma quel
contatto con lui mi piaceva. Lo sentivo mio. Lui mi lascio
fare,stringendo la
presa. Restammo così,occhi negli occhi e mani nelle mani. Il
rumore di auto mi
riscosse da quel momento.
“Su andiamo” capì e mi
seguì,intrecciando una mano con la mia.
L’auto
era vicina alla
chiesa,così non ci volle molto a raggiungerla.
Ci vollero
cinque minuti per
raggiungere casa. Scendendo dall’auto però mi
sentì soffocare. Il pensiero
della sua partenza e della sua lontananza mi toglieva il respiro.
“Rob,quando
parti?” mi guardò a lungo,poi
sorridendo rispose. “Fra tre giorni..”
“Ah..”
“Bè
abbiamo tempo no?” disse
abbracciandomi.
Il pensiero
di stargli lontana
ancora,non avendo idea di quanto fosse,mi riempì di
angoscia. Ma quel suo
abbraccio,quel calore mi fecero sentire bene.
“Si,certo”
risposi. Alzai lo
sguardo e sorrisi. Quel pensiero non doveva tormentarmi. Avrei avuto
tempo per
pensarci.