Fanfic su attori
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Autore: Bella_    24/11/2009    1 recensioni
Una giovane studentessa.La capitale dell'Italia e l'uomo dei suoi sogni.Spinta in una libreria,dalla sua passione per i classici,incontrarà lui,ma la sua più grande paura la farà scappare.Ma lei ha qualcosa di suo,la copia del libro che lei cercava.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Robert Pattinson
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Allora!eccoci qua con un nuovo capitolo. Mi dispiace non rispondere alle due recensioni,ma il tempo è pochissimo oggi. Vi dico solo GRAZIE perché siete carinissime.

Spero che la sorpresa prevista vi farà contente! Un bacio!

 

Capitolo 9

 

La mattina successiva mi svegliai con un forte mal di testa e una mancata voglia di andare a scuola. Ma proprio quella mattina il professore di matematica aveva programmato il primo compito dell’ultimo anno di liceo. Mi maledissi mentalmente di aver scelto la sera sbagliata per inviare il mio sms di scuse a Rob.

Avevo trascorso la notte senza riuscire a chiudere occhio e sapevo benissimo che avrei trascorso le ore sul treno e a scuola con il cellulare in tasca aspettando una qualsiasi sua risposta.

L’aria era fredda,ma neanche il calore del cappotto riuscì a sciogliere i miei nervi. Ero totalmente nervosa e agitata. Primo problema,il compito. Amavo la matematica,ma quella mattina la mia concentrazione era pari a zero. Come avrei fatto?

Secondo problema. Come avrei risolto la questione Rob? Ora mi ero totalmente lasciata andare. I miei sentimenti,le mie emozioni erano fuoriuscite da quell’angolino in cui le avevo chiuse con cura. Se non volesse più sentirmi,se non mi rispondesse sarebbe per me un duro colpo. Soffrirei più di quanto fin’ora ho patito. Ma sorprendentemente non riuscì a pentirmene.

 

La stazione era piena di gente assonnata pronta per una nuova giornata di lavoro. I miei occhiali,indossati senza sole,il mio cappuccio della felpa tirato su a coprirmi il capo non incuriosirono nessuno. Ogni mattina,da quando il freddo si stava facendo sentire,usavo portare il cappuccio mentre gli occhiali erano di uso comune. L’ora era mattiniera e tutti erano stanchi e con occhiaie pronte a far spaventare chi si avvicinasse. Le mie quella mattina erano da fare spavento. Neanche fondotinta,fard e correttore erano riusciti a coprirle,neanche un po’.

Con mia sorpresa trovai anche mia zia che aveva scelto una giornata sbagliata per prendere il treno con me. Mi guardò sorridendo pensando a quanto fossi matta. Per lei era inconcepibile scendere di casa in quelle condizioni. Diceva sempre che sembravo una ragazzina di 12 anni vestita ancora da mamma,invece di una diciottenne fatta e finita. Rideva ogni qualvolta le dicevo.

“La mattina zia vado a scuola,non alle sfilate di moda.”

Adoravo indossare semplici jeans,stretti e scarpe della Nike oppure Converse,al massimo un paio di Alviero Martini da passeggio.

“Non cambi mai. Uguale alle tue cugine.” Disse sorridendo.

“Zia,non è giornata.” Le dissi sapendo che non mi avrebbe lasciata in pace comunque.

Mi zia era giovanissima. Aveva solo 35anni,non era sposata,viveva con nonna e non era per niente una donna che si sentiva tale. Era una ragazzina che si mimetizzava tra noi povere nipoti. “Certo,certo. Però ricorda..”

“Si zia,sei pur sempre mia zia” terminai,sbuffando,la sua frase. Incorreggibile.

Vidi Francesca avvicinarsi a noi con un sorriso beffardo sul viso. Aveva già capito tutto.

Dopo essersi salutate ed aver parlottato della sottoscritta ci avvicinammo al binario dove il treno era stato annunciato.

Sapevo che dopo 5minuti avrei salutato mia zia,per un cambio di treno alla stazione di Battipaglia,così mi rilassai. Ma il suo sguardo curioso e inquisitorio non mi abbandonò.

 

Ero stesa sulla panchina della stazione. Il treno portava 34minuti di ritardo.

Francesca,sulla quale avevo poggiato la testa,mi accarezzava i capelli da sotto il cappuccio.

“Gli ho mandato un sms” dissi senza pensarci.

“Oh” rispose semplicemente.

“Non ha ancora risposto.” Continuai. Avevo gli occhi chiusi e cercavo di rilassarmi sotto il tocco delle sue mani.

“Sicuramente non ha avuto tempo.” Disse sorridendo.

“Si,certo.” Mi alzai e facendole cenno di alzarsi continuai. “Ho fame,andiamo al bar?”

 

Sul letto,con le mani dietro la nuca e il suo libro sulla pancia,mi persi a guardare i colori della mia stanza. Il verde acqua che si sposava perfettamente con il noce chiaro,l’arancione delle tende,con l’arancio delle pareti,riusciva a dare calore a quella stanza fredda. Le candele profumate accese riempivano del loro odore la stanza, facendomi sentire in un altro luogo. Nella mia mente nessun pensiero coerente,solo la voglia di non pensare. La necessità di far finta di niente. Così mi addormentai.

Le mani calde di mia cugina mi riportarono nel mondo reale. Non avevo sognato,ma fu lui il mio primo pensiero quando mi svegliai. Cercai di scacciare la sua immagine scrollando la testa.

“Ciao,Pallì,stasera andiamo,a mangiare fuori. Viene anche Luca,ok?”

Quel sorriso angelico mi intenerì così da non poter rifiutare. E poi i ragazzi,con le loro follie, avrebbe movimentato la mia serata.

Trovai sul letto dopo la doccia i miei vestiti già pronti. Camicia bianca,cardigan marrone,stivali marroni e il mio adorato Peauterey.

Mi truccai e presi i soldi, salì nella meravigliosa BMW di Peppe.

Il pub,stile inglese,dove decidemmo di fermarci mi rattristì non poco. Mi sarebbe piaciuto molto,se non mi avesse ricordato lui. Le ragazze sembrarono accorgersi del mio umore e portandomi con loro in bagno vollero scoprire cosa succedesse.

Quando gli raccontai la storia rimasero basite. Rimasero senza parole,poi però riuscirono a consolarmi e ribadirono la teoria di Francesca. Era impegnato. Non volli pensarci e approfondire l’argomento così tornammo dagli altri. Le vidi osservarmi spesso,per capire come mi sentivo veramente. Mi conoscevano molto. Anche se avessi voluto nascondere la mia tristezza e angoscia ci sarei riuscita con gli altri,non con loro.

Il resto della serata trascorse tranquilla. Come avevo previsto le varie sciocchezze dette e fatte dai ragazzi mi fecero distrarre così da trascorrere qualche ora in tranquillità.

 

La mattina successiva decisi di non andare a scuola,così restai a letto per tutta la mattinata. Il cellulare lo avevo lanciato in borsa,ma la suoneria era attiva. La speranza comunque era sempre presente in una parte di me nascosta. Sapevo che mi stavo solo facendo del male,ma non potevo pensare che mi avesse dimenticato e che non fossi neanche un bel ricordo.

Quella notte comunque dormì male. Il mal di testa mi aveva accompagnata per tutta la giornata precedente e il riposino fatto lo stesso pomeriggio non era stato di aiuto. Alle 7 sentì la porta di casa chiudersi,papà era andato a lavoro. Dopo poco sentì mamma passare l’aspirapolvere nell’ingresso di casa. Pian piano il rumore era più udibile,si avvicinava alla mia stanza. Sentivo il rumore dei mobili che venivano trascinati dalla signora del piano superiore. Il campanello suonare. La mia vicina aveva qualcosa da dire a mamma. Sentì le loro voci,forti,assordanti. Mi concentrai tutta la mattinata su quei rumori che,anche se fastidiosi,mi impegnavano la mente. Non pensavo così a nulla.

Le 9e30 infine arrivarono. Era ora di tornare alla realtà.

Mamma entrò piano,mi disse che stava per scendere.

“Ti serve qualcosa?” mi chiese.

“No! Anzi si. Cioccolata. Tanta cioccolata..” dissi mugugnando.

Aveva capito che qualcosa non andava. Ma come sempre fece finta di non sapere. Se chiedeva mi arrabbiavo,quindi aspettava che fossi io a parlarle.

“Ah mamma,lo spazzolino nuovo.”

“Ok,ti raccomando. Passa l’aspirapolvere,fa il letto e spolvera!”

La guardai sbattendo le palpebre velocemente.

“Ok..” dissi arresa. Il suo sguardo non ammetteva repliche e io tanto meno volevo discutere.

Decisi di alzarmi. Ma lo feci troppo velocemente.
“Sante vertigini” pensai. Il mio equilibrio non era dei migliori a causa delle vertigini. Non dovevo alzarmi velocemente dal letto se non volevo finire,come in quel momento,con la faccia a terra.

Andai in cucina e preparai la colazione. Tanto caffè con poco latte. Papà aveva comprato un cornetto alla crema e lo aveva poggiato vicino la credenza. Lo faceva ogni volta che non andavo a scuola. Così avrei fatto colazione con qualcosa che non fosse caffè.

Dopo aver mangiato e aver acceso il pc per sentire la musica presi la tachipirina. Il mal di testa era insopportabile.

Con santa pazienza inserì le mie canzoni preferite per quel giorno e mi dedicai alle pulizie.

Il letto,l’aspirapolvere,riordinare i vestiti sparsi per la stanza,dare un senso al mio guardaroba.

Spolverai in tutte le camere e finalmente feci una doccia rilassante.

L’acqua caldissima l’adoravo. Mi tirai fuori dalla doccia quando lo specchio del bagno ero totalmente appannato. Lavai i denti,cercai di dare un senso ai capelli corti e riordinai tutto.

Decisi che era ora di stendersi sul divano e di dedicarsi alla tv. Misi il dvd di Orgoglio e Pregiudizio e mi dedicai alla contemplazione di Mr Darcy. Adoravo il personaggio,ma ancor di più adoravo l’attore. O meglio adoravo la sua bellezza. Questo mi fece pensare a Rob. La sua bellezza trascurata,il suo sorriso,i suoi tratti marcati,quella mascella perfetta e squadrata. Quegli occhi pieni di passione,desiderosi,ma al contempo dolci e sinceri. Come li avevo visti l’ultima volta. Scossi la testa ripetutamente per non pensarci e continuai a vedere il film.

A mezzogiorno mamma tornò a casa e preparammo il pranzo. Erano le 14 quando decisi che era ora di studiare. La storia era una delle materie che amavo studiare e le guerre mondiali mi affascinavano molto. Così analizzai attentamente le causa della Guerra Fredda.

Ad un tratto le note di Release me arrivarono nello studio dalla mia camera. Corsi per prendere il cellulare pensando fosse Daniela,ma era un numero privato.

“Pronto?”

“Ada,sono Rob” la mente si svuotò,per poi riempirsi solo del suo nome e del mio,che lui aveva pronunciato. Rob,Rob,Rob.

“Ehm,ciao”

“Ciao” rispose. Silenzio. Cosa potevo dire ora?

“Mi dispiace Rob,veramente,io..”

“Ho un problema” continuò,fermando il mio fiume di parole “sono in Italia,a Pontecagnano. Volevo farti una sorpresa. Ma non ci sono taxi,non so dove abiti. Non so come raggiungerti.”

“Rob?”
“Si?”

“Sei a Pontecagnano?”

“Si,è quello che ho detto!” disse. Ne ero sicura,stava sorridendo.

“All’aeroporto,di preciso” continuò

“Aspettami,non ti muovere. Arrivo!”

 

Mia madre alla guida della sua auto aveva un espressione turbata. Appena le avevo detto che il mio attore preferito,inglese,bello impossibile,era bloccato all’aeroporto di Pontecagnano perché non sapeva come raggiungere il mio paese, mi aveva dato della matta.

L’avevo convinta in poco meno di 10 minuti dicendole che le avrei spiegato tutto appena Rob fosse arrivato a casa sano e salvo. L’aeroporto,pur non essendo molto affollato era sempre un luogo pubblico,quindi non era il caso che stesse ancora lì,da solo.

“Ada,sei proprio sicura?”

“Mamma,ma che pensi? Potrei mai inventarmi una cosa del genere?” mi guardò seria e poi fece un cenno con la testa. Sicuramente era per convincersi.

“No,certo che no.” disse seria,poi continuò sorridente “Sono curiosa di vederlo dal vivo. E’ bello come nelle foto?”
“No..”

Mi guardò accigliata e incuriosita.

“Mamma,è molto meglio” e sorrisi. Piena di gioia. Felice come mai prima.

 

L’aeroporto era poco affollato. Solo i dipendenti e qualche persona che prenotava biglietti o che chiedeva informazioni.

Mamma aveva parcheggiato ed era rimasta in auto. Entrai sicura di riconoscerlo. Infatti non mi sbagliavo. Anche con il più perfetto dei travestimenti lo avrei riconosciuto senza esitazioni. Il suo cappello di lana,i suoi Ray ban,i suoi jeans blu strappati,il suo cappotto di pelle,troppo freddo per la temperatura stagionale. Il borsone lasciato a terra. Lo sguardo perso fuori dalla finestra. Il cuore mi batteva forte,senza fermarsi. Ero ferma davanti l’ingresso. Lo guardai,senza avvicinarmi,per un paio di minuti. La felicità che mi riempiva il cuore, semplicemente guardandolo, mi faceva rabbrividire. Ma volevo di più,volevo che il cuore mi scoppiasse di gioia. Non mi bastava più solo guardarlo,volevo averlo vicino,sentire il calore del suo corpo. Ora,se mi avesse abbandonato,avrei sofferto molto di più,ma avrei avuto il ricordo di queste emozioni.

Mi avvicinai lentamente,sospirai e lo chiamai.

“Mr Pattinson,vogliamo andare?”

Mi guardò,non riuscii a non sorridere. Si alzò serio,poi aprì le braccia e mi invitò tra esse.

Mi gettai nel suo abbraccio. Lo strinsi forte,ridendo,piena di pazzia.

Lui sorrideva. Mi stringeva forte a lui.

“Andiamo?”

“Si” annunciai felice stringendomi ancora a lui quando circondò le mie spalle con un braccio.

Mia madre ci vide avvicinarci all’auto e sorridendo uscì da essa.

“Salve” disse Rob,imbarazzato.

“Ciao,Mina. La mamma di Ada.”

“Piacere,Rob”

“Certo,lo so.” Mi guardò e avvicinandosi,così che sentissi solo io disse, “hai ragione,è molto meglio”

Risi di quella frase. Non era da lei. Ma ne fui felice.

 

In macchina si sentivano solo le chiacchiere mie e di mia mamma e la risata meravigliosa di Rob. Mi giravo verso di lui e ogni volta lo vedevo sorridermi felice. Finalmente sapevo cosa aspettarmi. Sarebbe stato meraviglioso. Ora,dopo averlo rivisto,sapevo che lui poteva solo riempirmi di felicità e farmi sentire unica. Mi sentivo una stupida,perché non avevo capito subito. Ma poi pensavo a quel momento e mi dicevo che era così che doveva andare. Perché tutti dicono che più si sta lontani,più è bello rivedersi,riabbracciarsi,sentirsi vicini.

Mia madre portò in giro Rob,per fargli conoscere Eboli. Piccola come era non ci impiegammo molto. Gli raccontai lo sua storia e ne rimase sorpreso. Mi seguiva attentamente,curioso.

“Facciamo così,stasera ti porto in giro per Eboli vecchio. Non c’è molta gente,non ti riconoscerà nessuno” era meglio rassicurarlo,anche se non ero sicura delle mie parole.

“Certo. Devo chiedervi una cosa. Dovrei cercare un albergo..”

“Che scherzi? Starai da noi. Dormirai in camera di Ada,mentre lei nel salone.” Mi madre lo disse con tanta enfasi che Rob non riuscì a declinare l’invito.

“Rob,se non ti va ti accompagno all’albergo di un amico” guardai mia mamma rimproverandola, ma Rob rifiutò dicendo che se per me non era un problema lui accettava con piacere.

“No,assolutamente. Era per te..” conclusi sorridendo.

 

“Questa è la mia camera,ora anche la tua.” Gli dissi allegra. Lo vidi entrare e curiosare tra le mie cose. “ti dispiace?” disse prendendo un enorme cornice con decine di foto. Foto mie e dei miei amici. Io e Simo,con Ro,a mare,con Vito,Carlo. Una ritraeva me e mio cugino ai miei 18anni,abbracciati. La guardò e mi interrogò con lo sguardo.

“Mio cugino”

Annuì e continuò. Io e Francesca in treno,le nuove compagne di classe,i vecchi compagni. Io in braccio a Vito.

Una però lo fece ridere. Era un tenero furetto addormentato. L’avevo scattata allo Zoo Safari,in Puglia. Mi aveva intenerito quell’animaletto e testarda volli scattargli una foto.

“Cos’è?”

“Un furetto” lo guardai sorridendo. Sapevo che era una foto assurda,ma mi piaceva. Continuò a guardare. Avevo mille foto appese in camera. Le mie cugine,la mia famiglia,io da piccola.

Senza dire nulla,continuò. Guardò i peluche e poi me.

“103?”

“No,108.. hai dimenticato questi qui” e sorridendo indicai altri cinque piccoli peluche.

“oh my God” disse sconvolto.

“Problemi a dormire con 108 peluche?” chiesi ridendo.

“No..” disse insicuro per poi continuare “anzi forse. Mi sentirò osservato” disse con sguardo tormentato.

Iniziai a ridere, non era possibile.
“Osservato?” chiesi continuando a ridere.

“Si” disse serio.

“Va bè..” liquidai. “Vai a fare una doccia. Il bagno sai dov’è. Le asciugamani e l’accappatoio nuovo mamma te li ha preparati. Sono le 5,pensa che anche io devo prepararmi. Quindi veloce” dissi seria.

“Ok,signorina” disse. E si allontanò.

Qualcuno dice,è bello rivedersi dopo essersi a lungo cercati. Ora potevo dirlo anche io. E’ bello rivedersi,stringersi,abbracciarsi. Tutti i mali spariscono lasciando spazio solo alla felicità.

 

“Rob,sicuro di saper guidare le auto senza cambio automatico?” era la decima volta che mio padre glielo chiedeva e lui rispondeva educatamente “Si,signore.”

Io ero appoggiata alla porta aspettando il momento tanto atteso. La consegna delle chiavi. Mio padre aveva preso bene la notizia. Si era dimostrato simpatico e socievole. Ma non riuscì ad evitare momenti imbarazzanti. Aveva addirittura provato a far vedere a Rob il nostro “gesto”,ma aveva ritirato subito la mano dopo l’ occhiataccia che gli rivolsi. Rob aveva assistito a queste scene sempre con un sorriso allegro e a volte con una risata trattenuta.

“Va bene lasciali andare,su.” Disse mamma a papà.

“Però vi raccomando,non perdetevi. Ada non fare come quella volta che..”

“Mamma!” la ammonì prima che parlasse.

Una sola volta mi ero persa per Eboli vecchio. Avevo portato l’allora fidanzato di mia zia in giro per le chiese antiche e ci eravamo quasi persi. Da allora io ero colei che si perdeva anche nella sua città.

 

“Questa è la chiesa di San Francesco. Ovviamente ora è chiusa,però ti assicuro che è meravigliosa.”

Rob mi aveva seguito curioso per tutta la città. Gli piaceva la storia e quella della mia città lo incuriosiva.

“Ci sediamo?” sussurrò al mio orecchio indicando dei gradini.

“Certo.”

Sapevo che era il momento di parlare. Erano ore che entrambi aspettavamo quel momento e finalmente era arrivato.

 

Si sedette dietro di me,facendomi poggiare con la schiena alle sue gambe. Iniziò ad accarezzarmi i capelli e nel silenzio del luogo lo sentì parlare piano.

“Mi dispiace per ciò che è successo a Roma,però se tornassi indietro,lo rifarei.” Mi voltai e lo vidi con lo sguardo rivolto ad osservare l’ingresso della chiesa. mi voltai anche io verso le porte e feci un sospiro. Lo sentì schiarirsi la voce e continuare.

“Mentre venivo qui avevo paura che mi mandassi via. Ma neanche questo pensiero mi ha fermato. Con te sto bene,mi sento un ragazzo normale. Tu mi guardi come se fosse veramente così,anche se non lo è.” a quell’affermazione non riuscì a tacere.

“Tu lo sei. E’ solo che gli altri non vogliono vederti così. Ma se solo ci provassero,come ho fatto io,vedrebbero un ragazzo di 23 anni che cerca di migliorare ed eccellere nel suo mestiere. Tutto qua.” Abbassai il capo e continuai. Ora era il momento delle mie spiegazioni.

“Io Rob,non volevo scappare. Avevo paura. Lo rifarei però,perché saprei che questo accadrebbe veramente.” Mi alzai e posai le mie labbra sulle sue. Lo sentì irrigidirsi per poi rispondere immediatamente al bacio. Semplice,leggero,a fior di labbra.

Mi spostai e continuai. “Io veramente avevo paura,ma solo dopo,quando qualcuno mi ha fatto capire che il dolore è difficile da sopportare, soprattutto quando ti penti di non aver provato,allora lì ho deciso. Non ti avrei lasciato andare. Ho sperato per questi giorni. In una chiamata,un sms. E quando mi hai chiamato dicendomi che eri qua,a 10km da me, sono impazzita di felicità. Veramente Rob,mi hai riempita di felicità” sorrisi. Ricambiò il sorriso posando di nuovo le sue labbra sulle mie. Delle voci lo fecero allontanare. Poi lo vidi guardarsi in torno,preoccupato.

“Che c’è?”

“Ho paura che qualcuno possa riconoscermi..” disse spaventato.

“Impossibile. A malapena ti vedo bene io in viso,figurarsi qualcuno lontano. Comunque è tardi e tu sei esausto. Andiamo a casa?”

Mi guardò attentamente per poi scoppiare a ridere. quando faceva così mi irritava molto.
“Sei più esausta tu,o io?”

“Io,forse. Ma questo non cambia la situazione. Sono le 11 e qui è comunque pericoloso. Andiamo?” dissi fredda.

“Ok” disse silenzioso. Si era accorto del mio tono aspro. Non sapevo come fosse possibile,ma era come se ci conoscessimo da una vita. Mi alzai e lo presi per mano. Era fredda.

“Hai le mani fredde..” piano le strinsi nelle mie. Erano molto più grandi,difficili da riscaldare,ma quel contatto con lui mi piaceva. Lo sentivo mio. Lui mi lascio fare,stringendo la presa. Restammo così,occhi negli occhi e mani nelle mani. Il rumore di auto mi riscosse da quel momento.
“Su andiamo” capì e mi seguì,intrecciando una mano con la mia.

L’auto era vicina alla chiesa,così non ci volle molto a raggiungerla.

Ci vollero cinque minuti per raggiungere casa. Scendendo dall’auto però mi sentì soffocare. Il pensiero della sua partenza e della sua lontananza mi toglieva il respiro.

 “Rob,quando parti?” mi guardò a lungo,poi sorridendo rispose. “Fra tre giorni..”

“Ah..”

“Bè abbiamo tempo no?” disse abbracciandomi.

Il pensiero di stargli lontana ancora,non avendo idea di quanto fosse,mi riempì di angoscia. Ma quel suo abbraccio,quel calore mi fecero sentire bene.

“Si,certo” risposi. Alzai lo sguardo e sorrisi. Quel pensiero non doveva tormentarmi. Avrei avuto tempo per pensarci.

 

 

 

 

  
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