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Autore: Ernil    26/11/2009    17 recensioni
« Da dove vengono quei capelli neri? Avete interrotto la tradizione rossa dei Weasley! »
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hermione Granger, Severus Piton
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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She knows better  

 

Sommario: « Da dove vengono quei capelli neri? Avete interrotto la tradizione rossa dei Weasley! »

Pairing: Severus/Hermione (qualcuno mi uccida subito, vi prego)

Rating: Arancio.

Disclaimer: non possiedo niente, ma solo perché la Rowling mi ha battuta sul tempo.

Beta: Geilie. Che era convinta che io fossi una slasher, quando ha accettato il lavoro...

Note dell’Autrice/1: Questa storia partecipa alla Criticombola indetta da Criticoni, prompt 39 [Warning]: “What If”.

Note dell’Autrice/2: Chiariamo una cosa, ragazzi. Io. Scrivo. Slash. E amo farlo.

Ma scrivere questa shot mi ha divertita immensamente, e l’ ho fatto per tre validi motivi: primo, le Severus/Hermione mi sono sempre piaciute abbastanza da farmi desiderare di scriverne una (e ultimamente sto shippando Severus con un bel po’ di gente); secondo, me Jillien, un’autrice che ha scritto diverse storie che amo, mi ha chiesto se mi ci sarei mai provata: involontariamente, ha fatto scattare in me la molla della sfida (^_____^); last but not least, credo di doverlo davvero a Ellyson (Strega_Mogana), perché mi ha mandato a calci in culo da Magie Sinister, e lei ama questa ship, e io amo quel posto. Grazie mille!

Questo è tutto. Ma io scrivo slash, non dimenticatevelo mai XD

 

 

[“E’ tutto nel passato, ma niente è chiuso!” sbottò con irritazione.

 

La storia di Lisey, Stephen King]

 

 

« Oh, ma è bellissimo! »

« Lo è, vero? »

« Complimenti, Ronald! »

« Complimenti a entrambi ».

« Da dove vengono quei capelli neri? Avete interrotto la tradizione rossa dei Weasley! »

« Cosa ti aspettavi da una donna come lei? »

« Zia Muriel, ti prego ».

Hermione sorride e non risponde, chinando il capo sul bambino che tiene in braccio. Ha sottili capelli neri sulla testa rosea e fragile. Lo guarda e lui la guarda negli occhi, e sembra comprendere tutto, e mentre Ron comincia a spiegare che un ramo del Galles degli Weasley ha caratteristici capelli scuri, Hermione ricorda e il suo sorriso scivola via.

Perché lei sa meglio (1).

 

***

 

Il vento soffia e fa freddo. Fa sempre freddo in quella zona di Londra. Come se l’anima del personaggio di maggior interesse che abita lì impregnasse ogni singolo centimetro cubo d’aria.

È sempre stato così, fin dalla prima volta in cui è arrivata, subito dopo aver Obliviato i suoi genitori. Non pensava che lo avrebbe trovato , naturalmente; non pensava nemmeno che sarebbe uscita viva da quella casa fatiscente.

Era andata lì solo per controllare. Solo perché se ne sentiva attratta.

La curiosità uccise il gatto, aveva pensato vedendolo, ma così non era stato.

Era uscita, viva. Lui l’aveva lasciata andare – dopo averle imposto un incantesimo per impedirle di parlarne mai, naturalmente.

Naturalmente, perché era tutto così naturale quando si trattava di lui. Ogni suo singolo gesto era una naturale continuazione di quello precedente, ogni sua parola era in naturale accordo con la gelida maschera bianca che portava sempre.

Era tutto così coerente, tutto così logico in ogni suo filo. Botta e risposta, nessuna esitazione. Azione e reazione, causa e conseguenza. Un attore consumato che sa, sa a memoria la sua parte, sa a memoria la parte degli altri, e continuerà a recitare.

Anche se sembra solo una comparsa, relegato nell’oscurità. È nell’ombra solo perché non è ancora arrivato il momento del suo monologo.

Hermione spera che quel momento arrivi presto.

Lui se lo merita.

Si ferma davanti alla porta di Spinner’s End e bussa.

Sa che lui è lì; le ha dato appuntamento per quel giorno, quell’ora, quel posto, gelido e preciso come sempre, gelido e preciso perché è naturale che lui lo sia.

La porta si apre e lei respira di sollievo nel vederlo. E poi si rimangia il sospiro, lo ingoia mordendosi il labbro. Le sembra che sia dimagrito ancora dall’ultima volta che si sono visti.

Gli zigomi sembrano dover bucare la pelle bianca e sottile. La curva decisa della mascella è ancora più tesa di quanto ricordasse; sotto gli occhi scuri si aprono a ventaglio sottili rughe premature.

« Ciao » dice lei. Lui non risponde, com’è naturale. La guarda e chiude un attimo gli occhi prima di tornare a scrutarla. Ha la bacchetta in mano.

« Quand’è la prima volta che mi hai baciato? »

Hermione sussulta. La domanda di rito. Certo. Severus non vuole mai che sia una già decisa, ma sempre diversa, e sempre la fa sussultare.

Perché sono domande personali, ma lui non le pone dolcemente. Lui parla in monosillabi, la sua voce aspra come il suono sbagliato di un violino, e a lei piace quel modo di suonare il violino.

Severus sta aspettando, stanco e vigile, muto e pallido come quel soldatino di piombo di quella favola che i genitori di Hermione le raccontavano sempre, quando era piccola.

E non era una storia a lieto fine.

« Un mese e mezzo fa » risponde, cercando di non imprimere alla sua voce il timbro di chi alza la mano in classe per rispondere. Quel tempo è lontano, ormai. « Era il dieci marzo e sono venuta qua a dirti che Vol- Lui » si corregge a malavoglia « aveva preso la bacchetta di Dumbledore, e poi... »

Hermione non continua, ma si ferma, travolta dal ricordo che quella frase porta con sé. Faceva freddo come fa freddo oggi, e lei era uscita alla chetichella da Villa Conchiglia. Non era stato difficile, non quando tutti pensavano che lei fosse in camera a riposare. Era andata a Spinner’s End per lasciargli un messaggio, e invece lo aveva trovato lì.

E poi... era stato strano. Lui era freddo e chiuso come al solito, naturalmente. E all’improvviso lei aveva visto una crepa nella sua armatura, quando gli aveva detto della profanazione della tomba di Dumbledore. E aveva messo le mani in quella crepa, le aveva impedito di chiudersi, l’aveva allargata, continuando a parlare anche quando lui aveva detto “basta”. E su quel basta lei lo aveva baciato.

Perché era così bello. Perché se gli toglievi l’armatura era fragile e addolorato e i suoi fiammiferi erano finiti, come in quella fiaba, un’altra con cui Hermione era cresciuta; e il gelo che Severus mostrava fuori lo stava congelando dentro – e Hermione aveva freddo quanto lui.

E così lo aveva baciato, e le labbra di Severus erano gelide, davvero gelide, ma la sua pelle era tiepida, e il Marchio sull’avambraccio sinistro bruciava di calore come una ferita infetta.

Hermione torna alla realtà vedendo gli angoli della bocca di Severus tirarsi all’insù in un ghigno che sembra costargli tantissimo.

« Bastava che dicessi “Un mese e mezzo fa” » dice, ed è evidente che ha seguito il corso di pensieri della ragazza.

Hermione arrossisce e lui sogghigna di più, ma apre la porta e la fa entrare. Hermione entra, e si toglie il cappotto anche se in casa fa freddo quasi quanto fuori. Perché è lì l’epicentro, no?

Il fulcro di freddo che invade quel quartiere anche ad Aprile sembra partire da lì, dal gelo delle labbra di Severus mentre lei si accomoda sul divano e lui si siede sulla poltrona.

C’è un breve silenzio, mentre lui la guarda con il mento poggiato sulla mano, e non sembrano affatto amanti, e forse non lo sono nemmeno.

Lui è troppo stanco per amare, lei troppo giovane, o questo è quello che dice lui.

Hermione lo guarda, cerca ancora sul viso nuove rughe di preoccupazione. Ce ne sono abbastanza da soddisfare qualsiasi sguardo.

Gli occhi di Severus sono costellati di stanchezza mista a dolore, misto a determinazione. Determinazione.

Questo è il suo nome. Severus è determinato, e Hermione si chiede se capirà mai quanto lo è. Trasuda determinazione, in ogni mossa, ogni parola. Si è stretto in una camicia di forza, ha chiuso da sé la sua gabbia e ha gettato via la chiave, tutto da solo.

Ha serrato le porte della sua prigione – e Dumbledore era lì ad assicurarsi che fossero a chiusura stagna. E si è dato un obbiettivo, e Hermione lo ammira, molto, per questo. Ma a volte ha paura, del suo sguardo cupo e folle di determinazione.

Oggi è una di quelle volte.

Severus non è un uomo da amare, ma da temere. Lei ha confuso le due cose, ecco perché è nella casa di un Mangiamorte ricercato desiderando sfiorargli le labbra con le dita.

Desiderando confortarlo. Almeno un poco.

« Hai notizie da darmi, Hermione? »

Lei si riscuote dalla sua contemplazione, e guarda il focolare spento. Hermione, ecco come la chiama. Sempre col suo nome.

Hermione lo considera un privilegio che Severus accorda a pochi, e le piace sentire come il suo nome scivola dalle labbra di lui. Sembra il sussurro dell’acqua che scivola nei torrenti di montagna. Acqua gelida, certo.

Naturalmente.

Ma sono le sue labbra.

« È nato il figlio di Remus ».

Negli occhi di Severus non c’è un cambiamento sensibile: sembra solo un po’ divertito. Nulla che si allarghi alle sue labbra, certo: quelle rimangono serrate e mute.

Naturalmente.

« Lo hanno chiamato Ted. Come il padre di... »

« Ninfadora, lo so ».

« Lo sai? »

« Lo hanno ucciso i Mangiamorte. Ricordi? » L’ultima parola è un tocco gelido.

Cala un silenzio che Hermione esita a rompere.

« Tu ne sai qualcosa? »

« Come puoi pretendere che io non ne sappia qualcosa? »

Ah, eccola. La crepa. Sottile, quasi invisibile fra le rughe, nascosta nel nero della sua armatura. Hermione lo sa. Hermione vuole quella crepa.

Che dio la perdoni, vuole che Severus sanguini. Solo per ricordargli, per ricordarsi, che è un essere umano.

Perché il dolore è positivo.

« Sei stato tu? » chiede. I denti di Severus si chiudono con uno scatto. C’è una tempesta nei suoi occhi, tale da poterla spazzare via, se solo Severus volesse.

Hermione abbassa lo sguardo.

« Scusami ».

« Scuse accettate ». Non è vero.

Severus non vuole sanguinare – sa che potrebbe cadere.

La ragazzina non può fargli questo. Non deve neanche provarci.

C’è un attimo di silenzio, poi Hermione continua:

« Fra due giorni andiamo in missione ».

La missione al Ministero. Tecnicamente, non dovrebbe parlarne con Severus, ma se c’è un uomo di cui fidarsi nella guerra, quello è lui.

Che non dice niente al riguardo, ma fa un breve cenno del capo e scruta pensieroso il vuoto.

È troppo vecchio, Hermione lo sa. Severus è davvero troppo vecchio per lei.

Ma ogni volta che hanno fatto l’amore – a Hermione piace quest’espressione riferita a Severus – si sente diversa dal solito.

Diversa in un modo che non sa spiegare. Forse stare con una persona che ami dovrebbe farti sentire bene, ma forse Severus non è una persona che Hermione ama.

O forse sì, pensa, guardandolo: si è rilassato nella poltrona. Le sue lunghe, magre gambe sono distese davanti a lui, e le sue dita non stringono i braccioli della poltrona, ma sono abbandonate docilmente in grembo.

Lo sguardo è fisso davanti a sé, e Hermione vorrebbe tanto che chiudesse gli occhi, reclinasse la testa e dormisse. Solo per un po’. Solo per vedere se persone come lui dormono.

Dopo tutte le volte che hanno fatto l’amore (nemmeno molte, in verità), Severus non si è mai fermato dopo a dormire con lei. E ogni volta che Hermione vede che non le ha lasciato nemmeno un biglietto, è qualcosa come una pugnalata che buca i polmoni e toglie aria, quando tutto ciò che le rimane è il suo odore aspro addosso.

Il suo odore che dopo deve togliersi, perché altrimenti Ronald se ne accorgerebbe di certo. Il letto di Spinner’s End non rimane mai caldo a lungo.

E Severus comincia a essere stanco, Hermione lo vede. Vede il capillare dolore che cosparge ogni suo gesto obbligato, la stanchezza che si insinua fra lui e la vita. A volte Hermione si domanda se la determinazione basterà.

Ma deve bastare. Deve. Deve.

Si alza e gli si avvicina, sedendosi sul bracciolo della poltrona.

« Severus ».

« Non chiamarmi così ».

Hermione stringe le labbra e lo ignora.

« Vieni ».

Gli prende la mano e cerca di costringerlo ad alzarsi. Naturalmente, non ce la fa. Snape alza gli occhi su di lei e le sogghigna.

« Cosa vuoi, Hermione? »

« Che tu dorma. Riposati, Severus. Stai cadendo a pezzi ». La sua voce suona decisa, ma sa che potrebbe non essere sufficiente, per fermare Severus. Di solito non lo è.

« Devo andare ». Si alza, ma anche Hermione si alza e lo fronteggia. È più bassa di lui di almeno venti centimetri. Snape è alto e magro e fa paura, Hermione è minuta e determinata quanto lui.

« Andiamo di sopra » dice, guardandolo negli occhi.

« Spero che non stiano morendo dei Babbani mentre tu... »

« Severus ».

« Ti ho detto di non... »

« Professor Snape ».

Lui sembra sorpreso per un attimo, e anche addolorato a essere chiamato con quel titolo vecchio che ricorda anni passati. Per un attimo Hermione teme di essersi spinta oltre la sottile linea che nessuno può superare. E poi Severus dice:

« Preside ».

Lei sorride; il sollievo le si riversa nelle vene come una cascata di acqua bollente. La tensione si scioglie e scivola in rivoli nei tombini.

« Preside Snape. Vieni a riposarti ».

« Non posso fermarmi ». Hermione può quasi vedere le sue difese cedere. Merlino, deve preoccuparsi? Non è mai stato così stanco.

« Certo che puoi. Si tratta solo di dormire ». Snape sospira, e Hermione sa che l’ ha spuntata. Una volta tanto, è una bella sensazione.

Chissà se anche per Dumbledore era così difficile. Ma naturalmente, quando c’era Dumbledore era tutto diverso.

Gli prende la mano e Severus si lascia trascinare su per le scale, e quando giungono in camera, si fermano. Mano nella mano davanti al letto, Hermione pensa che se ciò che sembra fosse ciò che è, la realtà sarebbe molto più bella molto più spesso.

Severus si volta a guardarla e sembra aver intuito anche lui l’ironia delle cose. Ma è ovvio. Severus intuisce l’ironia molto meglio di chiunque altro, solo che non l’apprezza, ecco la differenza fra lui e il vecchio.

Hermione pensa a queste cose davvero senza importanza mentre Severus si china su di lei e le loro labbra si incontrano. La bocca di Snape è gelida, ma Hermione ama quel gelo, è così caratteristico – naturale - di Severus.

Le loro lingue si sfiorano appena, e Hermione si alza sulle punte dei piedi – se solo Snape non fosse sempre così alto. Così lontano.

Sente le labbra di Severus scivolare sulle sue, inumidendole con la lingua. Hermione vorrebbe avvicinarsi di più a Severus, ma sa che non deve. Severus è stanco. E così, mentre si baciano, e i loro respiri si perdono, l’unico altro punto di contatto fra loro sono le loro mani intrecciate, e pare che per una volta ciò che sembra sia ciò che è.

E poi, Hermione sente la mano di Severus scendere a circondarle la vita e spingerla più vicina a sé, e Hermione può sentire il Marchio Nero che brucia, un fuoco perenne sul braccio di Severus, un piccolo anticipo dell’inferno. 

« Dovresti dormire » mormora, quando sente le labbra di Severus scendere lungo il suo collo. I suoi lunghi capelli neri le sfiorano il volto.

« Non riesco a dormire da anni » risponde Snape, la voce che non sembra influenzata da nulla di ciò che sta facendo. È fredda e moribonda e Severus la sta premendo contro di sé, e Hermione decide di arrendersi.

Lo stringe a sé. Le dita di Severus scivolano sulla sua pelle, morbide e sottili, e Hermione chiude gli occhi e si chiede che cosa precisamente tutto quello significherà, una volta che la guerra sarà finita.

Perché la guerra finirà, si ripete, baciando di nuovo Severus sulle labbra che ora sono un po’ più tiepide. La guerra finirà.

 

Quando riapre gli occhi, dopo la tempesta, Severus è già in piedi e si sta allacciando la camicia, nascondendole alla vista la miriade di cicatrici che segnano il suo torace.

Hermione si mette a sedere, avvolgendosi attorno il lenzuolo, e lo guarda in silenzio mentre si veste e si allaccia il mantello.

Infine lui si volta e la guarda. Hermione vorrebbe chiedere un bacio d’addio, ma sarebbe davvero troppo.

E Snape non ha dormito. Non è ingiusta la vita? 

« Ti riposerai? » chiede.

« No » risponde Snape secco. La crepa è stata murata e lei è chiusa fuori. Ogni volta si chiede se la volta dopo sarà così fortunata da trovare un’altra fessura.

« Quando ci rivedremo? » E Merlino, perché le è uscita quella domanda? Non ne ha il diritto.

Ma è così preoccupata. Snape sembra accorgersene, perché si volta verso di lei.

« La guerra finirà presto » dice, e probabilmente lo ha letto nei suoi pensieri; ed è tutta la dolcezza che è capace di mettere insieme, ma è una dolcezza per lei, e Hermione se ne sente riscaldata.

« Quindi, magari la prossima volta che ci rivedremo non saremo in fuga. Saremo dalla stessa parte » sorride lei, cercando di farlo sogghignare. Perché il sogghigno è naturale.

Ma quel qualcosa che prende possesso della labbra di Severus non è un ghigno. È qualcosa come uno stanco, artificioso muoversi di muscoli meccanici, e non va bene.

« Certo ».

 

***

 

Mentiva, ora Hermione lo sa. Certo che si sono rivisti presto. Quello che non era stato calcolato, non da lei, è che lui era agonizzante su un pavimento, circondato da un alone del suo stesso sangue, e lei non ha potuto fare altro che porgere la fiala a Harry.

E le ultime parole che si sono scambiati... Severus sapeva, molto probabilmente.

La guerra sarebbe finita presto. Di lì a un paio di giorni. Tutto sarebbe finito, ecco la verità.

Hermione deve mordersi un labbro per fermare il singhiozzo, nonostante siano passati nove mesi. Nove mesi senza il suo odore aspro e senza il freddo di quelle labbra. E lei è sopravvissuta.

I parenti sono ancora lì, radunati attorno al suo letto, e lei tiene in braccio un bambino, domandandosi se sia di Severus oppure se la genetica abbia deciso di fare un po’ di quell’ironia che Snape raramente apprezzava, dando a questo bambino i capelli scuri del ramo del Galles degli Weasley.

Dopotutto, anche il padre di Hermione aveva i capelli scuri. È solo un caso.

Ma nel profondo, Hermione sa meglio.

 

 

 

(1) “To know better” è un’espressione inglese. So che “sapere meglio” non è proprio il massimo della grammatica, né della traduzione, ma ho un debole per certi modi di dire, e credo che l’italiano, in questo caso, non rendesse onore. Mi volete bene lo stesso? 

 

 

Note dell’Autrice:

*sparge fiori sulla tomba della sua reputazione di slasher*

 

 

 

   
 
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