La
seguente fanfiction si è inaspettatamente classificata Prima
al "Baci
Perugina Contest" , indetto da Rei Murai e Iaia sul Forum di
EFP, ed ha vinto il Premio per l'originalità.
Sinceramente parlando sono ancora sconvolta.
°.°
Ho scritto questa cosa
in mezz'ora circa, e non l'ho neanche riletta prima d'inviarla.
Eppure...
Beh, non so proprio che cosa dire, solo che sono felicissima!
Spero che questa storia insolita vi piaccia almeno un pochino,
sarà una cosina da niente ma l'anima ce l'ho messa.
Perché la ZetsuDei rulla. Mai quanto la SasoDei, ma rulla.
<3
La
dedico con tutto il cuore a Shurei, che mi ha sopportata durante gli
scleri mentre scrivevo e che continua a farlo, con infinita pazienza.
Grazie, tesoro. So che non è molto, ma... ti voglio bene.
<3
The
Last Masterpiece
[ on this
Little Planet ]
La prima
cosa che gli venne in mente quando lo vide, solo e smarrito per le
caotiche strade di quella città, fu una lecita domanda: che
diavolo ci faceva una creatura così pura in quel mondo
corrotto? Lo osservava dalla vetrina di un negozio, mentre lui
curiosava fra le bancarelle e spesso e volentieri storceva il naso di
fronte alla merce esposta.
In verità
aveva fatto un po' di fatica a rendersi conto della sua
identità
maschile, a causa dei suoi lunghi capelli dorati; il suo modo di
camminare e di porsi, però, l'avevano tradito. Lo
incuriosiva,
quella giovane anima errante: chissà cosa stava cercando.
Per le vie
della grande metropoli passeggiavano persone di tutte le
età,
troppo frettolose o intente a discutere con gli auricolari che
indossavano per accorgersi di lui; lui così diverso, e
sicuramente in pericolo. Oramai non esistevano più normali
esseri umani, e i “tradizionalisti” lo erano solo
per metà;
l'era dei robot e delle tecnologie un tempo proibite alla
collettività era inevitabilmente giunta. Dunque lui da dove
veniva?
Il giovane
udì un rumore dietro di sé, come se qualcuno
stesse
bussando ad una porta; voltandosi vide un essere piuttosto insolito
salutarlo da dietro la vetrina di un negozio di... botanica?
Elettronica? Non riusciva a capire, e l'insegna scritta con caratteri
a lui sconosciuti non lo aiutava di certo. Fatto sta che chi lo aveva
chiamato era un qualcosa di strano: aveva un volto umano,
però
non possedeva una pelle rosea come la sua. Piuttosto essa era
perfettamente bianca da un lato, e nera dall'altro. Inoltre, ad
avvolgere la sua testa, v'erano due enormi foglie, simili alla bocca
d'una pianta carnivora.
Probabilmente
molti si sarebbero spaventati a tal visione, lui invece sorrise; da
quando si era risvegliato, dopo un sonno durato circa dieci anni, non
faceva che vedere cose assurde. Ciò lo divertiva,
più
che altro perché era fermamente convinto di una cosa: non
sarebbe durato. La tecnologia non avrebbe salvato il mondo, come
invece parecchi sostenevano. Si trattava di una rivoluzione destinata
a vedere in fretta la propria fine; effimera, immediata, come l'arte
che lui studiava e che ormai era considerata superata. Stupidi. La
sua arte avrebbe continuato a splendere e ad ammaliare, e non aveva
niente a che vedere con macchine volanti, robot o quant'altro.
Entrò
nel negozio, la porta si aprì automaticamente una volta che
vi
fu di fronte; all'interno l'arredamento era ridotto al minimo e,
ovviamente, tutto era computerizzato. Commesso compreso. Senza
però
farci troppo caso si avvicinò alla vetrina, toccando con
mano
quella strana cosa che si era mossa e che ora lo stava guardando con
un'espressione indecifrabile: era come se da un lato stesse
sorridendo mentre dall'altro lo stesse osservando come si fa con una
succulenta preda. Ma non si ritrasse, anzi.
“
Cosa
sei? ” gli domandò, innocenza mista a follia
traspariva dai
suoi occhi color del cielo d'un tempo; quel cielo azzurro che oramai
non era più visibile a causa della nebbia che costantemente
sovrastava la città.
“
Chi
può dirlo ” rispose una voce gentile, alla quale
s'alternò
ben presto una più cupa, quasi spaventosa, “ Sono
un
predatore ” disse, e un ghigno si dipinse sul suo
volto, “ O
una decorazione natalizia, come molti mi considerano ”
continuo con
tono tranquillo, velato però di tristezza.
“
Non
ci ho capito nulla ” asserì il ragazzo, sbuffando.
“
Sono
un ibrido ” continuò la creatura, indicando con
l'indice la
targhetta che si trovava sul piedistallo su cui se ne stava immobile,
costretto da un meccanismo che gli avrebbe provocato terribile scosse
elettriche qualora si fosse mosso eccessivamente. Era così
che
facevano sì che gli esseri creati in laboratorio, rivenduti
poi per enormi cifre ai migliori offerenti – per diversi usi
quali
caccia, omicidi accuratamente organizzati, lavori forzati e, nel
peggiore dei casi, battaglie fra simili, atte a divertire e a far
guadagnare più denaro possibile ai loro proprietari
–, se ne
stessero buoni in esposizione nei migliori negozi della
città.
A quanto
pare, il tizio era una fusione fra due esseri umani ed una pianta,
carnivora appunto. Il ragazzo fece una smorfia di disappunto, tutto
ciò per lui era totalmente assurdo. Già il fatto
d'essersi ritrovato su un lettino d'ospedale già cresciuto
–
i suoi ultimi ricordi risalivano a quando aveva solo nove anni
–,
con braccia e gambe legate e tre bocche supplementari impiantate sul
suo corpo – nelle mani e sul petto –, non lo
aiutava ad
apprezzare i cambiamenti che, mentre lui era in coma a causa di un
brutto incidente avvenuto durante un suo artistico esperimento, erano
stati apportati al mondo e ai suoi abitanti. Però gli erano
servite dal momento che grazie a loro, seppur con fatica, si era liberato
dalle costrizioni ed era riuscito a fuggire. Probabilmente ora lo
stavano pure cercando e, proprio per questo, era importante trovare
quello di cui necessitava.
“
E
perché mi hai chiamato? ” chiese, mentre il
commesso fatto
d'acciaio e circuiti elettronici li osservava con occhio attento.
“
Perché
sei diverso dagli altri ” affermò, “ La
tua pelle è
così... calda; non esistono più persone come te.
La tua
carne dev'essere appetitosa ” disse poi in un
sussurro,
passandosi la lingua sulle labbra.
“
Che
ci fai qui? ” lo interrogò poi, cercando di sedare
i propri
istinti.
“
Sto
cercando una cosa. Sai, io sono un artista ” rispose
elogiandosi, “
E ne ho assoluto bisogno per dimostrare al mondo che le cose davvero
belle sono quelle che durano un istante. Voglio farlo vedere a coloro
che cercano la vita eterna, perché devono capire che in
realtà
non esiste nulla in grado di durare per sempre. Vivo solo per questo,
e per questo mi sono risvegliato. Ne sono sicuro ”
spiegò,
nelle sue iridi una luce abbagliante, quella che guida chi crede
fermamente nelle proprie convinzioni.
“
Ah...
e cosa cerchi? ”
“
Dei
fuochi d'artificio! ” esclamò, e l'altro
scoppiò in
una fragorosa risata.
“
Fuochi
d'artificio? Ma non farmi ridere, ragazzino! Non esistono
più
da anni, ormai! ” lo schernì, e lui lo
guardò torvo.
“
Ne
sei sicuro? Non è possibile che sia scomparso tutto, in
fondo
dieci anni non sono molti... ”
“
Uhm...
ricordo che quand'eravamo ancora dei normali esseri umani passavamo
spesso di fronte ad un negozio di antiquariato, sulla sessantesima
strada. Puoi provare lì, è giusto qui dietro
l'angolo,
ma dubito che potrai trovare qualcosa ”
Il suo voltò
s'illuminò, finalmente una speranza, seppur flebile. Lo
ringraziò e corse via, in cerca del negozio indicatogli.
“
Piccolo
stupido, non sa a che cosa va incontro ”
Lo
trovò
con facilità, e vi entrò tutto eccitato. Con
piacere
notò che il commesso era identico simile a lui, a parte
degli
arti meccanici impiantati forse per motivi medici. Sembrava piuttosto
anziano, e sul suo volto v'era disegnata un'espressione amichevole.
“
Prego,
ragazzo, che stai cercando? ”
Il biondo
scrutò attentamente gli scaffali impolverati e poi, non
trovando ciò che bramava, decise di domandare al
proprietario:
“ Le sono per caso rimasti dei fuochi d'artificio? ”
Lui sorrise,
annuendo con un cenno del capo.
“
Me
ne è rimasta una sola scatola, sei fortunato. Oh, e visto
che
anche tu sembri attaccato alle tradizioni come questo povero vecchio,
voglio donarti una cosa ”
Assieme a
ciò che aveva cercato per giorni e giorni, il giovane ebbe
in
regalo una confezione di cioccolatini, un tipo che quando lui era
piccolo andava di moda fra gli innamorati, specie in occasione della
festa di San Valentino: i Baci Perugina. Sì, proprio quei
dolcetti corredati di messaggino d'amore. Probabilmente non erano
più
buoni, in fondo era passato un sacco di tempo, chissà da
quanto erano scaduti; però li apprezzò, anche
perché
sapeva già a chi regalarne uno.
Velocemente
tornò al negozio, voglioso di rivedere colui che lo aveva
aiutato; e Zetsu, questo era il nome che la sua targhetta recitava,
era ancora lì.
“
Ho
trovato ciò che cercavo ” gli disse, “
Adesso posso
attuare la rivoluzione ”
“
Che
cos'hai in mente? Morirai ”
“
Non
posso dirtelo adesso. Per ora tieni questo, ma aprilo solo quando
potrai udire l'affascinante boato che metterà fine a
quest'epoca ” disse ghignando. Quel ragazzo era folle, ormai
ne era
sicuro. Eppure c'era qualcosa che lo attraeva, in lui. Non era solo
la voglia di quella carne tenera, no; era qualcosa di più.
Ammirazione, forse? Chi può dirlo. Lo osservò
allontanarsi di corsa, fino a sparire dietro un palazzo.
L'unica cosa
che poteva fare, quindi, era aspettare.
Tutto si
poteva dire del ragazzo tranne che fosse lento. Aveva impiegato pochi
giorni a trovare il materiale necessario per costruire un ordigno che
avrebbe avuto il potere di distruggere parte della città,
per
dimostrare a tutti che il nuovo mondo era come uno sbuffo di fumo,
come la breve vita di una farfalla che muore con un battito d'ali.
Così come tutto il resto. Perché tutto ha una
fine.
Si era poi
munito di fuochi d'artificio per ammaliare i sopravvissuti con la
splendida e colorata luce dell'arte dell'esplosione. Perché
lui era folle sul serio, ma in fondo tal caratteristica non
è
forse una delle prerogative del genere umano?
“
Non
ci ha messo molto... ”
Zetsu scartò
il cioccolatino che gli era stato donato, notando all'interno
dell'involucro il famoso foglietto con su scritta la frase d'amore.
Seppur riluttante, la lesse:
“ Ogni persona è di per sé una piccola opera d'arte. E l'opera d'arte più bella è chi ci sta accanto e ci offre il meglio di sé ”
Un pensiero
che si addiceva ad uno come il biondo, che effettivamente non faceva
che parlare di arte. Sorrise, alzando gli occhi al cielo: a
squarciare l'enorme banco di nebbia, sibilando, erano stati i fuochi
artificiali comprati dall'antiquario.
Chissà
se le sue idee rivoluzionarie avevano funzionato. Nemmeno il giovane
poteva dirlo con certezza, sebbene avesse visto il confine del mondo
ove finivano le luci della città. L'unica cosa di cui era
sicuro, era che sicuramente in quel momento, quand'egli
tornò
felice al fianco del suo strano “amico”, tante
persone stavano
guardando rapite il cielo che aveva contribuito a far risplendere
come un tempo. Anche se solo per qualche misero – ma
idilliaco –
istante.
Adesso,
Deidara poteva anche permettersi una pausa.
Il commesso
non c'era più; d'altronde, non era difficile disattivare un
robot privo di armi come quello. Mentre di cioccolatini ce n'erano
ancora molti, magari da scartare assieme.
Fine ~
Note
di fine fanfiction: vorrei spiegare una frase inserita nel
finale, probabilmente di difficile comprensione ma lasciata
volutamente tale.
Questa:
“ Chissà se le sue idee rivoluzionarie
avevano
funzionato. Nemmeno il giovane poteva dirlo con certezza, sebbene
avesse visto il confine del mondo ove finivano le luci della
città.
”
Mi sono
immaginata la città in cui i protagonisti vivono come ultima
zona civilizzata del pianeta, che per il resto sarebbe stato
distrutto da guerre e ordigni nucleari. Per questo Deidara sostiene
d'aver visto i confini del mondo dove le luci della metropoli
terminano.
Forse si
capiva, ma ho preferito spiegarlo per sicurezza. ^^
Il titolo, che tradotto letteralmente significa: “ L'ultima Opera d'Arte [ su questo piccolo pianeta ] ” è volutamente ispirato al sottotitolo di uno dei miei manga preferiti in assoluto, vale a dire Saikano ( Lei, l'Arma Finale ). Il sottotitolo del suddetto manga, infatti, è: “ The Last LoveSong on this Little Planet ”.