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Autore: liserc    29/11/2009    0 recensioni
Per adesso vivi in un portafoglio che doveva nascere arancia, e ti perdi fra pranzi passati e cappelli di lana blu.
Cammino per strada e mi sei intorno, mentre io mi rifugio in quel vecchio bar a prendere il solito caffè espresso. C’è una pila di vecchi giornali che portano date degli anni passati, e so che lì ci sei anche tu.
Genere: Triste, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nessuno s'accorge della falsità di questa gioia?
Mento da quando di anni ne avevo tre, ed il cuore me l'avevano strappato dal petto.
Vomitavo sorrisi vermigli per nascondere lacrime di sangue, e avevo le labbra che sapevano di
ciliegia.
Eppure mi avevano giurato che era amarena, quella che mi macchiava di rosso la bocca. Forse è che ho gli occhi che vedono un mondo distorto.
Io speravo nel miracolo, nel ritorno, nella rinascita, e intanto disegnavo leoni senza criniera.
Avrei vissuto di un semplice abc per tutta la vita, per ricordarmi di te per sempre.
Adesso di anni ne ho tre per sette. Ventuno come le lettere che mi hanno inculcato in testa, facendomele inghiottire una dopo l’altra, mentre io gridavo e scalciavo «A b c e, a b c e!».
Non volevo crescere, beandomi di quell’illusoria speranza che, rimanendo bambina per sempre, tu non saresti sparito mai. Ma ti dissolvevi, inghiottito da leoni imperfetti; il tuo nome con quelle semplici quattro lettere non lo sapevo scrivere.
Ma no, il mio mondo non smettesti mai di essere tu. I tuoi occhi erano il mare e le tue parole il vento, i tuoi abbracci l’unica terra che volevo sentire mia.
Quando pioveva nascondevo la testa nel collo e sognavo il sole, ma mi perdevo semplicemente nel nocciola dei tuoi occhi, ci morivo dentro, affogavo. {Erano il mio mare.}
Gattonavo dietro agli angoli di ricordi felici- di quelli che avrebbero dovuto esserlo. Strisciavo via dalla vita e mi rinchiudevo in una gabbia fatta di
gialla felicità. Ridevo, nascondendo in quel riso il pianto, come solo i bambini sanno fare.
Strappavo i petali ad una margherita e non cantilenavo un “mi ama o no”; l’aria puzzava di morte ed io arricciavo il naso, sognando nuvole di zucchero filato e campi elisi.
E c’erano le tue parole a muovere l’aria, a farmi solleticare la schiena da quella massa di rossicci capelli.
Li ho sempre detestati: così ricci, così ribelli, così imperfetti. Sulla fronte volevo aver scritto “perfezione”, per essere come nessuno si aspettava diventassi mai. Mi sono incisa la pelle solo per te.
A volte ti ho visto rivivere in uno sguardo, un libro, un momento. È come dopo un lungo Inverno, quando spunta quel primo raggio di sole primaverile: anche per te finirà l’Inverno, anche il tuo mondo ritroverà l’Estate.
Per adesso vivi in un portafoglio che doveva nascere
arancia, e ti perdi fra pranzi passati e cappelli di lana blu.
Cammino per strada e mi sei intorno, mentre io mi rifugio in quel vecchio bar a prendere il solito caffè espresso.
C’è una pila di vecchi giornali che portano date degli anni passati, e so che lì ci sei anche tu.
C’è quel giorno e tutti i ricordi che ogni mattina uccido per non morire.
Mi rimetto il berretto ed esco dal bar, con il sapore amaro del caffè che si mischia a quello dolorosamente aspro dei ricordi.
Vorrei vomitare l’anima, così forse usciresti fuori anche tu. Da me. Ho paura che, se tu scappassi fuori dalla mia mente, io potrei morire. Ho paura di morire perché ci saresti tu, irrimediabilmente tu, dopo. Solo tu.
{È una vita che ti cerco, eppure non voglio trovarti.}
Mi si sciolgono gli occhi, e vanno ad unirsi ad una pozzanghera d’acqua grigiastra, segno dell’ultima pioggia. È sempre Autunno, in questa città.
Non ricordo un’Estate da diciotto anni. Buffo, no? L’Estate è morta.
Non ci sono nuvole, in quel plumbeo specchio d’acqua, eppure mi sembra di sentire la pioggia tamburellarmi dolcemente sulla testa e sulle spalle, mentre cammino.
Rabbrividisco e mi chiudo nella giacca a vento
gialla, attraverso la strada con il semaforo rosso. È rotto, segna sempre di non passare. Forse è un segno del destino, forse non dovrei passare davvero. Ma abbasso la testa e vado avanti.
Mi metto a correre, dritto avanti a me. Dove sto andando non lo so; ho solo voglia di andare incontro al futuro, magari lo troverò. O sarà lui a venirmi incontro.
Ma diventa sempre presente, e poi passato. Sto passando la vita a cercare qualcosa che non esisterà mai. Vivo di ricordi e sogno di vedere il futuro.
E poi ci sei tu. E poi ci sei solo tu.
  
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