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Autore: OnceUponADream    01/12/2009    2 recensioni
Si può
essere inutili per una persona per cui dovresti essere importantissima?
E se fosse davvero così a chi potresti affidarti per non
essere sempre e soltanto tu?
Modificata e corretta il 10/04/2012
Genere: Drammatico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-SEI INUTILE! NON RIESCI A FARE NIENTE! NEANCHE LE COSE PIÙ SEMPLICI! MI CREI SOLO PROBLEMI, SAI FARE SOLO QUELLO. SAREBBE STATO MEGLIO SE NON TI AVESSI FATTA NASCERE!- parole dette con forza, con odio, con durezza; sento il mio viso bagnarsi involontariamente. No, non posso mostrarmi debole di fronte a lei, non posso. Devo fronteggiarla, se non faccio qualcosa lei sfogherà la sua rabbia nuovamente su di me, mi userà, mi ferirà, facendomi ancora più male di quello che provo in questo dannatissimo momento. Ma le parole non escono, non sono in grado di fronteggiarla come al solito, la paura di quello che potrebbe farmi se lo facessi mi basta per fermarmi. Abbassò la testa cercando di schivarla, inutilmente. Mi volto. e scappo; scappo da lei, da quella casa, da quella vita.......

Busso alla porta bagnata fradicia sta piovendo a dirotto e io ho indosso sola la mia grande felpa rosa e un paio di jeans lilla, sono le cose che avevo addosso prima di scappare di casa; non ho preso nemmeno la borsa ho afferrato solo il portafoglio con dentro qualche spicciolo, la carta d'identità e la tessera sanitaria e il cellulare. Nient'altro, non potevo prendere altro a meno che non volessi che capitasse altro. Sto bagnando il pianerottolo e spero vivamente che i suoi vicini non gli creino problemi, mi dispiacerebbe veramente tanto ha fatto così tanto, sta facendo così tanto per me e odio creargli altri fastidi. Lui apre la porta e mi guarda sorpreso, ma non più di tanto; è talmente abituato a queste mie improvvisate che mi fa passare senza dire niente, sono imbarazzata; odio farmi trovare conciata così ma non ho nessun'altro su cui fare affidamento. Mi accompagna in bagno e mi passa un asciugamano pulito poi esce, lasciandomi da sola con i miei pensieri e le mie paure. Mi spoglio lentamente, ogni piccolo movimento mi causa dolore atroce, non voglio nemmeno immaginare quanti e quali siano i danni questa volta, e mi infilo in doccia. L'acqua calda scorre sul mio corpo e io cerco di rilassarmi, di scacciare da me tutto quello che mi ha detto e tutto quello che mi ha fatto. Tutto quel suo odio che mi ha riversato addosso m niente da fare: ogni sua parola, ogni suo gesto, è conficcato dentro e su di me; ha aperto uno squarcio. Mi lascio cadere contro la porta della doccia e inizio a piangere senza ritegno; le lacrime scorrono sul mio viso, senza che io possa fare niente. Cercando di calmarmi mi alzo piano e prendo il mio bagnoschiuma. Sorrido tristemente: ormai è così abituato ad avermi lì che compra pure le cose per me, come se quella fosse anche casa mia. Mi risciacquo ed esco, non ha senso restare a rimuginare, non cambierà il fatto che lui vuole, giustamente, sapere qualcosa. Sulla sedia di fronte alla doccia c'è una sua maglia nera a mezze maniche tutta rovinata che io uso come pigiama, quando vado a dormire da lui, cioè quasi tutte le notti. La infilo ed esco; lo trovo in cucine mentre prepara il the che brutta mania che li ho messo, proprio a lui che fino a qualche anno fa detestava il the, lo considerava da femminucce. Lo affianco e gli chiedo:
-Vuoi una mano?- odio stare da lui e non fare niente ma preferisce trattarmi come una principessa perciò scuote la testa e mormora:
-Vai a sederti, dopo parliamo.- io annuisco piano sconfitta: non riuscirò mai ad averla vinta con lui; e torno in soggiorno. Casa sua e piccola ma molto bella: si tratta di un bilocale, ma è ben arredato, lui ha sempre avuto un occhio di riguardo per queste cose: poche ma essenziali. Mi siedo sul morbido divano nero e mi porto le ginocchia al petto: sento freddo, eppure casa sua è calda, ci saranno almeno ventidue gradi ed io ho appena finito una doccia bollente ma probabilmente il freddo che sento io è un freddo interiore. Lui mi raggiunge con le tazze sul vassoio e nota immediatamente che sto tremando torna in camera per poi portarmi un plaid. Mi avvolge e mi abbraccia, scosta una mia ciocca di capelli per potermi guardarmi negli occhi. Io non riesco a parlare, a trovare le parole per spiegare, non riesco nemmeno a guardarlo negli occhi se è per questo. Non  è la prima volta che lei mi tratta male, non è la prima volta che io subisco in silenzio la sua frustrazione e il suo nervoso, così come non è la prima volta che mi rifugio da lui. Sa che è stata lei a ridurmi così, ne è perfettamente coscio ma aspetta in silenzio, aspetta che sia io a fare il primo passo ad aprirmi. Io mi stringo a lui mentre le lacrime riprendono a scorrere senza che io possa fermarle. Le asciuga dolcemente.
-Che ti ha fatto stavolta, mia dolce Maia? Che ha fatto per ridurti così?- io gli butto le braccia al collo e mi metto a singhiozzare non riuscendo a fermarmi. Lui mi stringe a se e mi accarezza la schiena, cerca di calmarmi: è la prima volta che mi vedere ridotta così. Non riesco a smettere di piangere; tutto il male che mi ha fatto in quei diciassette anni, sembra voler trovare conforto ora, è come se non ce la facesse più a restare chiuso dentro di me e volesse solamente una valvola di sfogo.. Mi calmo dopo una decina di minuti e mi stacco da lui, mi asciugo velocemente il viso cercando di ignorare l'occhiata ferita mentre mi chiede:
-Che ti ha fatto?- io scuoto la testa, non voglio assolutamente parlare voglio solamente dimenticare, mi nascondo ancora pi più nel plaid come se potesse vedere attraverso.
-Niente, Dani, non preoccuparti, non è successo niente di grave.- lui mi guarda in malo modo, ma non insiste; mi conosce e sa che quando avrò voglia di parlare lo farò. Mi lascia un attimo per prendere il the e mi passa una tazza; la tengo tra le mani, per scaldarmi cercando di trattenere la smorfia di dolore. Daniele continuava a fissarmi preoccupato ma io non dico niente, non posso e nemmeno voglio. Bevo il the lentamente cercando di trovare le parole adatte per descrivere cosa è successo. Lui sospira poi chiede:
-Puoi almeno dirmi se è stata lei a farti questo occhio nero?- annuisco.
-Con uno schiaffo.- mormoro piano: fa male, molto. Si alza e va in cucina per poi tornare tenendo in mano il siberino e uno straccio; lo avvolge e me lo posa delicatamente sull'occhio. Faccio una smorfia di dolore, cavolo ci è andata pesante stavolta; non avrò solo questo suppongo, prima in doccia non ho controllato. Lui intuisce subito e con uno sguardo mi convince a mostrargli le braccia e le gambe. Ne ho uno appena sopra il gomito destro e uno sulla gamba destra, sul polpaccio ma non è soddisfatto. Alzo la maglia. Ne ho uno appena sotto il reggiseno, spero non mi abbia rotto niente stavolta poi mi sfiora il collo e rabbrividisco, sposta ancora il plaid e nota i segni delle mani, li guarda inorridito ma ne. Lui sospira e mi rimette la maglia e la coperta poi mi abbraccia.
-Per quanto hai intenzione di continuare con questa storia? Senza fare niente? Con cosa ti ha picchiata stavolta?-
-Mi ha solo spinta contro non so cosa, però faceva male.- rispondo io a denti stretti, sappiamo entrambi che è una menzogna ma che cavolo potrei fare?
-Maia.....- lo fermo; non voglio nemmeno che vada avanti. So già quello che vuole dirmi e non mi piace.
-Dani, è mia madre, non posso farci niente! Niente! È l'unica famiglia che mi sia rimasta cosa potrei farci?- lui sospira e mi abbraccia forte. Ho voglia di ricominciare a piangere ma non posso farlo; ora devo calmarmi, devo ricompormi, devo nascondere di nuovo le emozioni; tornare la solita fredda ragazza che se ne frega del giudizio della gente, che guarda i suoi lividi e si chiede come cavolo faccia a procurarseli, o che la osserva per il troppo trucco che porta. La mia maschera si ricompone, vedo che non è felice e gli chiedo:
-Cosa c'è che non va?- mi guarda nervosamente prima di dire:
-Lo sai che non mi piace quando nascondi le tue emozioni, almeno non farlo con me.- io annuisco ma non so che farci, ormai per forza dell'abitudine metto su questa maschera. Non posso far vedere al mondo quando soffro. Non posso farlo vedere a lei soprattutto. Lui lo sa, però vuole che io sia sincera, ma non ci riesco; fa troppo male, troppo. Oh no, no, no, no; sto per cedere di nuovo. Lui se ne accorge e mi stringe a se e io mi metto a piangere nuovamente sulla sua spalla. Dopo 5 o 10 minuti mi calmo, lui mi allontana e chiede:
-Hai fame? Perché io sì tanto. Dai vieni ad aiutarmi.- lo so che lo sta facendo solo per distrarmi ma qualunque sia il motivo mi va più che bene quindi annuisco. Mi fa alzare e mi trascina in cucina, si mette ai fornelli mentre io preparo la tavola. Oramai è routine con tutto il tempo che passo lì. Dopo aver posato le poche cose sul tavolo mi siedo e lo osservo: Dani ha 23 anni, 6 in più di me, e vive da solo da quando ne ha 20. L'avevo conosciuto tre anni prima ad una festa a cui mi avevano costretto ad andare alcuni miei amici talmente erano stufi di vedermi triste. Mi ero presa una super sbandata non appena avevo posato gli occhi su di lui: alto un metro e ottantacinque, capelli neri lisci che gli arrivavano quasi alle spalle e occhi grigi. Mi ero persa in quegli occhi, sembravano promettere l'infinito.
Una mia amica ci aveva presentati ed eravamo diventati amici, nulla di più in quel momento, lui non sembrava cercare una relazione stabile e io non avevo bisogno di altro caos nella mia vita. Ora non so bene cosa siamo: è una situazione un po' confusa; io lo amo, me ne sono resa conto da almeno un anno, ma lui? Cosa prova per me? Ci siamo baciati qualche volta, soprattutto in momenti di poca lucidità per entrami, però non ci siamo spinti oltre; e poi non abbiamo mai detto niente. La smetto di pensare quelle cose e ritorno alla realtà, non ha senso scervellarsi inutilmente torno a concentrarmi sul “Lui” che è qui con me. È sempre stato molto bravo a cucinare, al contrario di me, che non sono mai stata in grado di fare nulla. Lui sentendosi osservato si volta a guardarmi sorridendo e chiede:
-Hai voglia di mangiare, vero? Non fai come al solito che io preparo per un reggimento e tu non tocchi cibo in pratica, vero?- io scuoto la testa: non ho fame ovviamente, non ho mai fame, però mangerò anche perché in questi giorni sto mangiando poco e credo l'abbia notato; anche perché mi chiede:
-Maia quanti chili hai perso?- non reggo il suo sguardo, abbasso gli occhi e mormoro:
-Non lo so, qualcuno.- mi lancia un occhiataccia; in realtà so benissimo quanti chili ho perso: questa settimana 5. Però non glielo dico; mi squarta se mi scopre. Mi sposto i lunghi capelli ricci sulla spalla sinistra in modo di coprire il livido sul collo, dove il suo nuovo fidanzato mi ha stretto. Non gli ho ancora detto che ne è stato lui e non lei; che è più violento degli altri e che si lascia a comandare a bacchetta. Tremo spaventata: non voglio tornare in quella casa, ho paura di non uscirne viva; ho paura anche a non tornare però. Che posso fare? Le lacrime stanno per riprendere a scorrere. Ma non ne ho il tempo. Lui mi abbraccia e chiede:
-Vuoi dirmi che cosa è successo?- io scuoto la testa: non ce la faccio. Lui sospira e torna a cucinare, io mi asciugo le lacrime e aspetto che finisca. Si siede a tavola di fronte a me e serve da mangiare, io guardo il piatto un po' incerta; ho paura di vomitare, ma mi faccio forza e metto in bocca qualcosa. Inizio a parlare:
-Ha trovato un nuovo fidanzato, molto violento e che fa tutto quello che vuole. Poi oggi ha detto delle cose orribili. Dani ho paura a tornare a casa, non voglio tornare: quella mi uccide, mi fa fuori prima o poi. Io non  posso tornare là, non posso. Ma non posso nemmeno non tornare.- abbasso la testa confusa: che posso fare? La sua mano prende la mia costringendomi ad alzare lo sguardo: mi sta sorridendo.
-Se hai bisogno di un luogo dove andare a vivere, puoi venire da me e lo sai. Farei qualsiasi cosa per aiutarti Maia, davvero. Sei importante per me. Non posso permettere che tu soffra- io lo guardo confusa: cosa è quella? Una specie di dichiarazione? Lo guardo e non so cosa dire, poi mormoro:
-Non so se è il caso; tu avrai sempre la casa piena di ragazze, con tutte quelle che ti corrono dietro.- non trattengo l'acidità nella mia risposta, e perché dovrei? Mi danno così fastidio tutte quelle gallinelle che lo rincorrono e mi guardano male solo perché a lui piace passare il tempo con me. Lo sento sospirare, ma non oso guardarlo in faccia: si alza per poi venire vicino a me; mi costringe a guardarlo in faccia poi all'orecchio mi sussurra:
-Maia, perché dovrei volere qualche altra ragazza quando ho te?-
-Perché io non sono la tua ragazza, e non sono particolarmente carina. Anzi mi sto ancora chiedendo perché perdi tempo con una come me. Io non sono così interessante; potresti passare il tempo con chi vuoi, perché lo passi con me?- mormoro io; è da tempo che me lo chiedo ma non ho mai avuto il coraggio di chiederglielo, per paura che mi rispondesse che lo faceva perché ero la sua migliore amica o peggio perché gli facevo pena. Abbasso lo sguardo nuovamente e lui mi costringe ad alzarlo: i suoi occhi hanno una luce strana.
-Hai presente che stai facendo tutto tu? Io queste cose non le ho mai pensate, mai. Maia non ho mai pensato questo di te come puoi anche solo pensarlo? Pensavo mi conoscessi. Se non mi fossi piaciuta fin da subito non ti avrei neanche presa in considerazione. Ma a quella festa qualcosa in te mi ha colpito, la tua timidezza il tuo sguardo triste non lo so! Ma ti sei resa conto che ti sto facendo il filo da tre anni? O pensavi di essere una delle tante?- abbasso la testa: non ho il coraggio di guardarlo in faccia; solo il suo tono mi spaventa. Annuisco e lui mi afferra i polsi, mi fa male e mi costringe ad alzare lo sguardo: i suoi occhi sono scuri, mi spaventano. Non mi ha mai guardata così, l'ho visto lanciare ad altri quell'occhiata, ma mai e poi mai a me.
-Maia sei talmente idiota. Io ti amo!- lo guardo confusa: cosa ha detto? Ho sentito bene? Incespicando tra le parole mormoro:
-Dani per favore ripeti.-
-Dio Maia. Ti amo! Ti amo! Vuoi fartelo entrare in testa?-
-Io-io non so che dire, io....- le parole si fermano sono spaventata ho paura di rovinare tutto, e se dicessi la parola sbagliata? E se non riuscissi ad esprimermi correttamente? Lui attende una risposta lo so; però non riesco a rispondergli, eppure so di amarlo, lo so. Ma perché non riesco a dirlo? Riprendo un attimo fiato poi mormoro:
-Ti amo pure io.- lo sorride poi si solleva un poco per baciarmi. Io ricambio e le mie braccia si intrecciano dietro al suo collo: oddio come amo il contatto con il suo corpo. La sua mano va a finire sul mio fianco sinistro e io mi lascio sfuggire un gemito. Lui si stacca e mormora:
-Che c'è?- io scuoto la testa, non ci sono lividi ma ho paura che si sia rotta qualche costola ma non posso dirglielo: darebbe di matto e vorrebbe portarmi in ospedale, di nuovo. E io non posso andarci: ormai non credono più alla scusa che sono caduta..
-Maia, cosa c'è?- sospiro. Che faccio? Capirebbe subito che sto mentendo è inutile. Prendo fiato e mormoro:
-Penso che si siano rotte qualche costole.-
-E non potevi dirmelo prima?!? Ti avrei portato immediatamente in ospedale.- lo guardo preoccupata e mormoro:
-Dani l'ospedale no, per favore, non mi sembra il caso. Ormai mi conoscono e non crederebbero più alla scusa che sono caduta. Sospettano che qualcuno mi picchi. Sanno che non sei tu dato che mi porti sempre lì per farmi curare e per me hanno capito che è qualcuno in famiglia. Se mi presento di nuovo chiamano i servizi sociali per venire a controllare.-
-Non sarebbe male.- mormora lui ma io scuoto la testa.
-Invece sarebbe una tragedia dato che mamma capirebbe che è colpa mia, quindi la punizione sarebbe terribile.- tremo solo al pensiero: chissà cosa mi farebbe quella donna; è capace di tutto. Lui mi abbraccia e dice:
-Maia te l'ho già detto vieni a vivere con me.- io non so che dire; vorrei tanto, ma davvero tanto andare a vivere con lui; però la conosco: non mi permetterebbe mai di essere felice, non mi permetterà mai di abbandonare quella prigione almeno fino a quando non mi avrà fatta fuori, però non ho il coraggio di dirglielo. Abbasso la testa e mormoro:
-Non so se posso.-
-E perché scusa? A tua madre non è mai fregato un cazzo di te! Ti ha sempre odiato e fatto del male dovrebbe essere felice che finalmente te ne vai dalla sua vita!- io scuoto la testa e mi appoggio a lui, per poi spiegargli:
-Lei non vuole la mia felicità, fa di tutto per distruggerla, anche a costo di tenermi con se. Anche se la cosa che odia di più è vedermi..-il mio sguardo è spento: ormai mi sono rassegnata a quella vita, alla mia fine. So che è vicina; lei ogni giorno è più violenta, i lividi sono più numerosi.
Ringrazio il cielo che siamo in vacanza, sennò a scuola avrebbero iniziato a preoccuparsi di nuovo. I miei insegnanti avevano voluto più volte venire a casa mia per controllare ma avevo sempre detto che non era necessario. Dani mi abbraccia forte, poi si alza. Dove cavolo sta andando? Torna poco dopo con un mio vecchio paio di pantaloni della tuta.
-Dani ma che.....?- non riesco a finire la frase che me li infila senza che possa dire nulla, mi prende in braccio trascinandomi fuori di casa. Io cerco di liberarmi ma non mi lascia andare; mi fa salire sulla sua macchina e  mi mette la sicura; come si fa con i bambini. Metto il broncio: so dove mi sta portando; in ospedale, dopo che gli avevo detto chiaramente di non volerci andare.
-Maia dai. Facciamo fare solo un controllo tutto qui; non c'è bisogno che ti arrabbi in quel modo. È per il tuo bene.- io non dico niente: sto in forma mutismo, odio quando prende decisioni al mio posto, lo strozzerei volentieri. Lui capisce e non dice più niente, gli conviene se non vuole essere insultato. Parcheggia e mi prende in braccio dirigendosi a passo veloce verso l'entrata del pronto soccorso; ormai ci conoscono. La donna alla reception sospira e non chiede nemmeno cosa è successo, chiama immediatamente il medico che ormai mi ha in cura. Lui arriva e dice qualcosa all'orecchio dell'infermiera, lei annuisce. Oddio; cosa gli avrà detto? Lei prende in mano il telefono. No, no no, no; non può essere, non può. Si avvicina e domanda:
-Che abbiamo stavolta?- io abbasso la testa imbarazzata mentre il mio accompagnatore risponde:
-Tanti lividi, forse qualche lussatura e probabilmente qualche costola rotta.- arriva un infermiera con una sedia a rotelle e Dani mi appoggia.
-Maia sai già quello che faremo no? Visita, radiografie.-
-Si va bene.- mormoro rassegnata, non è la prima volta e dubito che sarà l'ultima. L'infermiera mi spinge lungo i corridoi portandomi in stanze diverse ma non voglio guardare. Mi fanno di tutto e di più e poi mi portano in una stanza, lasciandomi interdetta: non mi hanno mai ricoverata prima di allora. Mi medicavano e poi mi mandavano a casa. Dani mi raggiunge e si siede sul letto accanto a me, anche lui è spaventato. Il dottore entra dopo poco, è teso. Mi guarda poi mormora:
-Maia sarò sincero, dobbiamo operarti. Hai una piccola emorragia interna. Non sembra niente di serio però è meglio intervenire. L'operazione in se non è complessa però ci sono sempre dei rischi. Abbiamo fissato l'intervento per domani mattina, ma serve che qualcuno firmi il consenso. Tu non sei ancora maggiorenne.- non so che dire.
-Lo firmo io!- dice Daniele. Lo guardo confusa, effettivamente ho solo lui che può firmarlo.
-Si può fare?- mormoro. Il dottore ci riflette un po' poi dice.
-Non lo so, sarebbe meglio un genitore o un parente ma mi sembra che siano loro il problema, quindi si.- io arrossisco: sapevo che avevano capito tutto. Si volta per uscire poi suo la soglia si ferma e si volta a guardarmi e dice:
-Maia abbiamo contattato un assistente sociale. Devi parlare con lei- io lo guardo inorridita: non può essere. ma non ho alternativa quindi annuisco. Una giovane donna sui venticinque anni entra; mi guarda poi mormora:
-Credo sia meglio se restiamo da sole. Il tuo ragazzo potrebbe uscire?- io la fisso spaventata e confusa mentre Dani annuisce. Si avvicina e mi bacia poi mormora:
-Ci vediamo dopo.- e io rimango sola con quella donna che mi fissa in silenzio. Forse sta aspettando che sia io a parlare ma allora si sbaglia di grosso, fisso fuori dalla finestra senza dire niente.
-Maia.... Credo sia il caso che parliamo un po'.-
-E di cosa?-
-Di quello che ti succede a casa- io continuo a non guardarla: non posso permetterle di guardarmi negli occhi vedrebbe le lacrime e il dolore. Nessuno a parte Dani a mai visto il mio dolore, nessuno. L'assistente sociale si avvicina e si siede su una sedia accanto al letto.
-Che ne dici se mi presento? Io sono Alessandra. Non faccio questo lavoro da molto tempo ma credo di poterti essere d'aiuto.- ma io continuo ad ignorarla mentre lacrime amare rigano nuovamente il mio viso. Sento la sua mano sul mio fianco prima che mormori
-So che è difficile, lo so ma dobbiamo parlarne.- io mi faccio forza e mi giro, e per la prima volta dopo anni c'è qualcun'altro che osserva il mio dolore. Mi faccio forza e inizio a raccontarle tutto, ma proprio tutto senza tralasciare nulla: i soprusi, le botte, le violenze, le parole. Le racconto anche cose che non ho mai detto a Dani. La sua faccia è seria ma non dice nulla. Ad un tratto mi sento stanca, spossata; mi fa male il ventre. Ecco non mi hanno detto dove è l'emorragia. Inizio a tossire e mi fa male, mi fa un male cane. Mi metto la mano davanti alla bocca ma la sento umidiccia. Mi guardo la mano ed è sporca di sangue. Inizio a tremare.
-Che.... che succede? Perché sputo sangue?- l'assistente sociale mi guarda preoccupata per poi correre fuori a chiamare un infermiera ma non riesco più a capire cosa dicono. Le loro voci sono distanti e il mio corpo è  diventato pesante. Sento gli occhi chiudersi, so cosa sta succedendo. Ma non voglio! Non voglio morire, non posso morire ora, non posso. Ma non sono io a comandare purtroppo. Cerco di tenere gli occhi aperti il più possibile; vedo Dani entrare nella stanza spaventato e sconvolto. Muovo le labbra ma non riesco a capire se esce qualche suono; lo vedo avvicinarsi so che sta parlando anche lui ma non riesco a capire che dice. Sono stanca ora. Voglio solo dormire. E così chiudo gli occhi.


UN ANNO DOPO. DANI
-È già passato un anno; un anno dalla tua morte. Ne sono successe un sacco di cose Maia, solo che mi sento vuoto senza di te. Mi manchi da morire e mi sento in colpa. È solo colpa mia se sei morta in fondo. Avrei dovuto portarti immediatamente in ospedale. Non appena ti vidi sulla porta ascoltare il mio istinto e trascinarti di peso. Non aspettare. Maia non so cosa fare senza di te davvero.- guardo quella lapide e inizio a piangere; mi ritornano in mente certe scene con lei ma in particolare una: avevo appena scoperto cosa le succedeva volevo aiutarla ma lei mi gridò in faccia: “Tu non comprenderai mai il mio dolore. Tu non sarai mai in grado di aiutarmi”. E aveva ragione in parte, non sono riuscito a salvarla, non l'ho portata via in tempo da quel mostro di sua madre. Poi mi torna in mente proprio il processo della madre. Mentre cercavano di rianimare la mia Maia l'assistente sociale era andata a fare la denuncia, che da semplice violenza era passata all'omicidio. Avevano interrogato molte persone: ex fidanzati, parenti amici di Maia e della madre. E alla fine il giudice l'aveva condannata per omicidio colposo. Però non mi aveva dato soddisfazione; come poteva darmi soddisfazione? Non avrei riavuto la mia Maia. Mai. Mi asciugo le lacrime po accarezzo la fotografia. Ne ho così tante sue a casa; molte scattate senza che lei se ne accorgesse.
-Io devo andare Maia, ma tornerò te lo prometto. Ti amo. So che preferiresti che ricominciassi a vivere, ma per il momento non ce la faccio. Pian piano però forse, potrò riuscirci. Ma stai certa io continuerò ad amarti.-  Poi mi volto ed esco dal cimitero per tornare ad una vita vuota. Una vita senza lei........
  
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