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Autore: Carlos Olivera    01/12/2009    4 recensioni
Cosa può spingere un uomo a rinnegare tutto ciò che ha sempre creduto, abbandonare i precetti che hanno governato la sua esistenza e rendersi partecipe di crimini innominabili?
Dolore, rabbia, frustrazione, odio, invidia. Tutto ciò può condurre all'abisso del male, e una volta che vi si è entrati la caduta è inesorabile.
Anno 1124
Due giovani assassini vengono incaricati dal loro maestro ormai morente di compiere un'ultima missione per le affollate strade di Baghdad, un paradiso di cultura e di conoscenza su cui alberga però un'ombra minacciosa. Nessuno sarà risparmiato, e l'unica cosa che attende loro, come molti altri, è il dolore, il dolore in tutte le sue più crudeli e terribili forme.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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EPILOGO

EPILOGO

 

 

Fortezza di Alamut

Marzo 1124

 

Kahled fece ritorno alla fortezza da cui lui e il fratello erano partiti agli inizi della primavera, un ritorno per lui molto più doloroso e sconfortante di quanto avesse mai potuto immaginarsi.

            Incredibilmente, nonostante fosse stato via per quasi due mesi, Hasan-i Sabbah era ancora vivo, e appena fu informato del suo ritorno volle subito incontrarlo.

            A dire la verità anche Kahled aveva un gran bisogno di vederlo, perché se c’era una cosa di cui era ormai sicuro, e sulla quale aveva riflettuto per tutto il viaggio di ritorno, era che il maestro stava nascondendo qualcosa, ed ora più che mai era determinato a squarciare una volta per tutte il velo di menzogne che aveva celato come un sudario l’intera vicenda da che aveva avuto inizio.

Quando furono nuovamente faccia a faccia, Kahled stentò a riconoscere il maestro: la malattia, che ancora non era riuscita a strapparlo al mondo fisico, lo aveva tuttavia devastato in ogni modo possibile, riducendolo a niente più che un mucchio di pelle ed ossa.

Il solo fatto di veder ritornare un solo Assassino, e per giunta a mani vuote, fu però sufficiente ad accendere una scintilla di risentimento nei suoi occhi, e rimasti soli, non senza il parere contrario dei medici, che di tutta risposta furono cacciati in malo modo, i due restarono a lungo immobili a guardarsi, Kahled ai piedi del letto e il maestro quasi completamente sprofondato nel cuscino a cui era costretto ad appoggiarsi per poter stare in piedi.

Kahled voleva delle risposte, e in un modo o nell’altro le avrebbe ottenute: suo fratello e la sua più grande amica avevano trovato la morte in quell’impresa ai limiti del reale, e ora voleva sapere perché.

Hasan-i Sabbah si manteneva in vita con la forza della disperazione, e ogni suo respiro, così profondo e stentato, sembrava sempre in procinto di essere l’ultimo.

«Che cosa è successo?» domandò con quella sua voce catarrosa, ma tanto profonda e pungente da far gelare il sangue «Dov’è Altair?»

«La missione non è andata come pensavamo. Il califfo sapeva del nostro arrivo, e ci ha teso una trappola. Sono morti tutti. Il Rafiq, Mira, Altair e molti altri confratelli.»

«E la Parola di Allah?»

«Perduta. Jahal l’ha distrutta per impedirci di prenderla».

D’improvviso la fiamma che per anni aveva dimorato in quel corpo che ormai non era nulla più che l’ombra di sé stesso parve tornare ad ardere con tutta la sua forza, e l’espressione del maestro venne si caricò di una rabbia sconfinata.

«Maledetto!» esclamò con la voce più forte e furiosa che le sue forze gli permettevano di sfoderare «Come osi ripresentarti al mio cospetto dopo un simile fallimento!».

A differenza di quanto aveva fatto ogni altra volta in cui era stato redarguito Kahled non indietreggiò, né mostrò alcun segno di pentimento; al contrario, i suoi occhi erano pieni di sprezzante aggressività, e a quel punto lo stesso Hasan riuscì a scorgere l’aura sinistra che vi albergava dentro.

«Ora voglio che voi mi diciate una cosa, e non me ne andrò di qui finché non mi avrete risposto.»

«Chi sei tu per parlarmi in questo modo?»

«Sono colui che ha perso suo fratello per portare a termine una missione ti cui voi ci avete deliberatamente nascosto il vero scopo. Se davvero eravate a conoscenza dei suoi poteri diabolici, e so che lo eravate, perché non ci avete ordinato di distruggerlo?

Perché avete preteso che ve lo portassimo?».

Il maestro respirò profondamente un paio di volte, visibilmente infuriato per una così palese mancanza di rispetto nei suoi confronti, e nonostante tutto Kahled non pareva in alcun modo intenzionato a tornare indietro.

«Guardami.» mormorò cercando di sollevarsi un po’ di più sorreggendosi alle sue braccia ossute «Guarda cosa sono diventato. Il corpo putrescente di un vecchio!

Ho dedicato tutta la mia vita alla ricerca di un modo per sfuggire all’ineluttabile destino dell’uomo. E alla fine, l’ho trovato.»

«Quindi è solo per questo?» domandò Kahled a denti e pugni stretti

«Sarei potuto diventare un dio! Avrei vissuto per l’eternità su questa terra, forte di un potere inimmaginabile. Sarei stato l’artefice di una nuova rinascita per tutto il genere umano, che mi avrebbe adorato e osannato fino alla fine dei tempi.

Ma ora… per causa tua… è tutto perduto. Tu sei… un disonore… per tutti noi…».

No. Anche quello no.

Allora tutte le sue convinzioni erano davvero solo un mucchio di inutili fandonie. Aveva versato sangue per i principi del Credo, forte nella convinzione che la sua opera avrebbe spianato la strada ad un domani migliore per le generazioni future.

E ora che cosa scopriva? Che la persona a cui aveva giurato eterna obbedienza, colui che avrebbe dovuto essere il più virtuoso degli uomini, aveva tradito i precetti da lui stesso istituiti?

Non solo. Aveva messo a repentaglio la vita dei suoi allievi prediletti per appagare il suo desiderio, e alla notizia della loro morte non aveva provato un briciolo di rimorso.

In che cos’altro gli restava da credere?

Aveva pregato gli dèi prima di incamminarsi in quell’ultima, dannata missione.

Ma quali dèi? Non c’era nessun dio, e se c’era doveva essere guidato da una mentalità davvero perversa se aveva permesso che si giungesse fino a quel punto.

«Ditemi, maestro, che cosa intendete fare adesso?».

Hasan-i Sabbah, lottando contro il suo stesso corpo, riuscì a raggiungere la spada del Maestro, infoderata e appoggiata accanto al letto, e la strinse a sé con le poche forze che aveva.

«Ho creato gli Assassini per poter cambiare il corso della storia. Ma se non posso essere io a guidarli, allora non hanno alcun motivo per continuare ad esistere. E così, alla fine, il nuovo mondo che avevo tanto sognato verrà seppellito insieme a me.»

Kahled si sentì morire dentro, completamente svuotato di tutto ciò che aveva di più prezioso: ora che anche quel tenue bagliore si era definitivamente spento, cos’altro gli restava.

No! Assolutamente no!

Non poteva accettare l’idea che decine di Assassini avessero combattuto e fossero morti per niente! L’Ordine non poteva morire! Quell’uomo, quell’essere privo di morale lo aveva creato per appagare unicamente il proprio desiderio di potere, mascherando dietro a precetti e sacri dettami i suoi reali intenti, ma non era assolutamente detto che le cose non potessero cambiare!

Non aveva alcuna importanza se il maestro in persona aveva mentito. Gli Assassini esistevano per portare la pace nel mondo, e nessuno mai lo avrebbe smosso da questa convinzione.

In quella, Hasan-i Sabbah tossì leggermente, e sembravano davvero gli ultimi gemiti di un corpo ormai giusto al suo estremo traguardo.

«La mia ora si avvicina inesorabilmente.

Alla fine, nonostante i miei sforzi, non sono riuscito ad avere quel potere. Il potere di cambiare il mondo.

Io, che dovevo essere un dio, alla fine dovrò morire come il più misero dei pezzenti».

Il maestro era troppo infuriato e spaventato dall’idea della morte per notare l’aura oscura che si era formata attorno a quello che un tempo era stato uno dei suoi allievi prediletti, il quale, avvicinatosi al bordo del letto, si mise in ginocchio. Hasan alzò gli occhi, e i due si guardarono.

«Il potere di cambiare il mondo.» ripeté Kahled, poi, veloce come il fulmine, colpì il suo vecchio maestro al centro del petto.

Un colpo segreto, proprio solo degli assassini più esperti, impossibile da riconoscere: all’apparenza poco più di una carezza, ma capace in realtà di provocare uno shock al sistema nervoso, che stimolato al massimo spingeva i muscoli a contrarsi allo spasimo, compresi quelli di cuore e polmoni, fino a che la vittima moriva letteralmente soffocata dal suo stesso corpo nel giro di pochi secondi.

Il corpo del maestro divenne istantaneamente di pietra: cercò di gridare, ma la gola gli si serrò quasi subito, gli occhi si colorarono di giallo e le labbra presero a diventare blu. Kahled gli avvicinò, portandogli la bocca all’orecchio.

«Quel potere non sarà mai tuo».

Hasan-i Sabbah ebbe appena il tempo di vedere il volto marmoreo e giudicatore del suo allievo, e subito dopo l’uomo che aveva creato gli Assassini per riscattare i torti di tutta una vita e poter diventare il nuovo dio del genere umano chiuse gli occhi sul mondo per sempre, portando con sé il proprio bagaglio di oscuri segreti, segreti che nessuno avrebbe mai più dovuto conoscere.

Qualche minuto dopo le guardie e gli attendenti che attendevano all’esterno videro aprirsi la porta, e dalla stanza uscì, camminando lentamente e a sguardo basso, Kahled; nella mano destra stringeva la Spada del Maestro, e solo questo fu più che sufficiente a spingere alcuni dei presenti a chinare leggermente il capo.

«Il nostro nobile maestro ha raggiunto la sua dimora eterna».

 

Masyaf

Giugno 1124

 

Tutto ciò in cui credeva era scomparso.

            I suoi ideali, i suoi principi, lo stesso Credo: tutte favole.

            Era stato responsabile della morte dei suoi cari, aveva ucciso un maestro impostore, e aveva visto con i suoi stessi occhi fin dove poteva condurre la brama di potere degli uomini: aveva visto l’abisso senza fine.

            Anche lui ci era caduto, ne era consapevole, e tentare di risalire ormai era impossibile.

            La sola cosa che poteva fare era andare avanti, e impegnarsi con tutte le sue forze a far sì che il mondo nuovo e giusto da lui tanto sognato potesse un giorno vedere la luce.

            Nessuno avrebbe mai dovuto sapere ciò che sapeva lui, nessuno sarebbe mai dovuto venire a conoscenza dei reali scopi che erano stati all’origine della nascita degli Assassini.

            Da quel momento in poi, egli sarebbe stato il depositario di segreti inconfessabili, che alla fine, in un modo o nell’altro, avrebbe portato con sé nella tomba, proprio come il suo maestro. Quello stesso maestro di cui ora, finalmente, stava per prendere il posto.

            Non sarebbe stato facile portare la pace in un mondo tanto corrotto e malvagio, popolato da uomini che provavano un insano piacere nel massacrarsi l’un l’altro e guardato dall’alto da dèi vigliacchi che da tempo lo avevano abbandonato, lasciando i suoi abitanti alla mercé dei loro più bassi istinti.

            Allo stesso modo, non sarebbe stato facile guidare l’Ordine fuori dal fango in cui il suo primo maestro l’aveva condotto, ma riuscire in questa impresa sarebbe stata per lui una grande prova, al fine di dimostrare a tutti, ma soprattutto a sé stesso, che aveva davvero la forza e il potere necessari a cambiare il mondo.

            Provava un gran disgusto per la razza umana, per quegli esseri meschini e malvagi che pensavano solo a sé stessi, e che per nulla al mondo avrebbero accettato un concetto tanto sublime e puro come poteva essere la pace.

            Ma anche lui era un uomo, dopotutto, e in quanto uomo non poteva fare a meno di riconoscere che la sua specie possedeva anche pregi e virtù assolutamente non comuni, e che se un domani la civiltà del futuro avesse potuto contare unicamente su questi privilegi, eliminando per sempre i propri difetti, allora gli esseri umani sarebbero divenuti un faro tanto splendente e radioso da illuminare con la loro luce l’intero universo.

            “Non tutto è perduto.” pensò mentre, nella solitudine nella sua stanza, terminava la propria vestizione “Altri tesori giacciono sepolti nelle profondità di questo mondo. Io lo so. L’ho visto. Basterà portare pazienza, ma alla fine, inevitabilmente, ne comparirà un altro”.

            Un’ultima occasione. Ecco tutto ciò di cui aveva bisogno. Un’altra possibilità per realizzare il suo disegno. Tale disegno andava contro i precetti del Credo, ma ormai era maturato abbastanza da rendersi conto che il Credo, così come era concepito, non avrebbe mai favorito la causa della pace, e questo perché fondamentalmente esso consentiva di scegliere, di decidere del proprio destino.

            Solo accettando un nuovo destino, uno che non li avesse messi l’uno contro l’altro, gli uomini si sarebbero potuti salvare, e ora stava a lui realizzare questo nuovo, grandioso proposito.

            C’era un’altra cosa di cui era consapevole.

            Così come Hasan-i Sabbah era stato ucciso per aver tradito il Credo, era certo che, in un modo o nell’altro, la stessa sorte sarebbe toccata a lui.

            Ma questo non gli importava, e neppure lo faceva temere eccessivamente per il piano che intendeva realizzare: lui, che si reputava puro e al di sopra della tentazione, aveva visto con i suoi occhi il potere dei manufatti, divenendone consapevolmente vittima, e dentro di sé sapeva più di qualsiasi altra cosa che al mondo non vi era né mai vi sarebbe stato un essere umano capace di resistervi.

            Qualcuno forse lo avrebbe ucciso, ma saggiando il potere dei manufatti ne sarebbe stato a sua volta tentato, garantendo la prosecuzione del suo sogno, e in quel caso la morte non avrebbe potuto di certo fargli paura, perché sarebbe morto con la sicurezza che il mondo da lui sognato un giorno o l’altro avrebbe visto la luce.

            Terminata la propria vestizione uscì all’esterno, sollevando il largo cappuccio della veste nera subito prima di varcare la soglia.

            Il cortile della fortezza era pieno in ogni suo anfratto, e per un attimo tornò con la mente a quel giorno, il giorno in cui tutto era cominciato, il giorno in cui era diventato parte di quella grande famiglia, l’unica forse che avesse mai avuto.

            Ebbe quasi l’impressione di scorgere, tra la folla, l’uomo in nero, che gli rivolgeva quel suo malvagio sorriso: alla fine, nonostante avesse cercato di lottare con tutte le sue forze, quella profezia si era avverata. Era diventato un mostro.

            Sguainata la Spada del Maestro, la alzò al cielo, e subito tutti i presenti chinarono il capo, onorandolo e salutandolo con il suo nuovo nome, il nome con cui da quel momento in poi avrebbe fatto tremare tutti coloro che minacciavano la nascita del suo nuovo mondo.

            «Lode a te, Al Mualim».

 

Cinquanta Anni Dopo

Autunno 1174

 

Quando non era immerso nella lettura dei suoi libri, Al Mualim era solito concedersi lunghe passeggiate tra la gente di Masyaf.

            I suoi dignitari e le persone a lui più vicine gli avevano detto più volte di viaggiare con una scorta, dal momento che persino nei luoghi all’apparenza più sicuri e vicini a sé potevano celarsi pericoli oscuri, soprattutto alla luce di tutto ciò che gli Assassini avevano fatto durante le crociate, e che li aveva resi degli obiettivi sensibili agli occhi di molti potenti, ma il maestro si riteneva ancora comunque un discreto guerriero, e poi era sicuro del fatto che il suo momento non era ancora arrivato.

            Quella mattina, come al solito, stava passeggiando nei pressi del mercato, rivolgendo cordiali saluti a quanti, vedendolo, chinavano rispettosamente il capo, quando di colpo la sua attenzione fu attratta da un gran trambusto venutosi a creare davanti ad alcune bancarelle leggermente discostante, a poca distanza dal portone d’ingresso.

            «Dannato moccioso!» si sentiva gridare «Ti faccio passare io la voglia di rubare!»

            Avvicinatosi, vide tre guardie intente a malmenare un ragazzino riempiendolo di calci; sicuramente un ladruncolo, uno dei tanti che, nonostante la terribile prospettiva del castigo, continuavano ad imperversare in ogni dove, persino a Masyaf, dove qualsiasi atto criminoso, anche il più piccolo, poteva arrivare a costare la vita.

            «Che succede qui?».

            Appena lo videro, le tre guardie cessarono subito il pestaggio, mettendosi sull’attenti.

            «Maestro! Perdonateci se avete dovuto assistere a questo spettacolo increscioso».

            Al Mualim rivolse poi le sue attenzioni alla vittima: doveva avere meno di dieci anni, tanto appariva gracile e minuto sotto quei miseri stracci che indossava, e i segni delle terribili percosse che aveva appena ricevuto erano più che evidenti.

            «Che cosa ha fatto?»

            «Lo abbiamo sorpreso a rubare per la seconda volta in pochi giorni, signore. Abbiamo pensato che una piccola lezione sarebbe servita a togliergli per sempre questo vizio.»

            «E questa me la chiamate una piccola lezione? Ancora un po’ e lo avreste ucciso a forza di botte. Io non perdono i ladri, ma non perdono neppure chi abusa della propria forza, sia chiaro.»

            «Sì, maestro. Perdonateci.»

            «Ora fatemelo vedere».

            Due delle guardie sollevarono di peso il ragazzino, che malgrado tutte le botte che aveva preso sembrava ancora in grado di reggersi in piedi sulle sue gambe, ma appena vide comparire il suo volto Al Mualim sentì un tremendo colpo al cuore, e per poco non svenne.

            Quel volto! Quegli occhi!

            Quello sguardo fiero e sprezzante, quell’espressione audace e insieme composta, vessillo di uno spirito che mai e poi mai, neppure dinnanzi alla prospettiva della morte, si sarebbe lasciato domare.

            E poi la somiglianza.

            Per un attimo gli parve di fare un salto indietro nel tempo, a decine e decine di anni prima, ai tempi del suo addestramento. Anche i maestri più agguerriti e violenti erano rimasti atterriti davanti a quegli occhi, a quello sguardo di sfida, lo stesso sguardo che gli veniva rivolto ogni qualvolta ventilava l’idea di arrendersi, e che in questo modo gli aveva permesso di diventare un Assassino.

            Era come averlo di fronte.

            Al Mualim, dopo tutto ciò che aveva visto, non aveva più avuto voglia di credere nel divino, nell’esistenza di un qualcosa di trascendente che regolava la vita degli uomini, ma in quel momento gli venne quasi da sperare che davvero il ragazzino di fronte a lui fosse davvero la seconda nascita della persona a lui più cara, e che più di ogni altro gli aveva cambiato la vita.

            «Maestro.» disse una delle guardie, richiamandolo così dai propri pensieri «Lo facciamo giustiziare?»

            «No, non sarà necessario. Me ne occuperò io. Potete andare.»

            «Che cosa!? Ma, maestro…»

            «Questo è un ordine.» disse Al Mualim col tono di chi non ammettere repliche

            «S… sì maestro.»

            «E voi tornate al lavoro.» disse poi rivolto alla folla.

            Come tutti si furono allontanati il maestro comprò una mela da una bancarella, insistendo per pagarla, e tornato dal ragazzino, che lo attendeva seduto su una panca, gliela porse. Quello, tuttavia, parve esitare, e lo guardò con i suoi occhi fieri ed impavidi.

            «Immagino che avrai fame. Mangiala. È buona».

            Alla fine il ragazzino, vinto dai brontolii di stomaco, agguantò la mela e prese a divorarla, e intanto Al Mualim non staccava gli occhi da lui, perso com’era a rievocare tanti ricordi, i soli forse di tutta la sua esistenza legati a momenti felici.

            «Come ti chiami?» domandò quando il bambino ebbe finito di mangiare, guadagnandosi una nuova occhiata «Ce l’hai un nome?».

            Quello restò un attimo interdetto, poi fece cenno di no.

            «In questo caso, ce l’ho io un nome per te. Vuoi sentirlo?».

            Questa volta la risposta fu un sì, accompagnata anche da un impercettibile movimento delle labbra.

            «Molto bene. Allora, da ora in poi, il tuo nome sarà… Altair».

 

 

Nota dell’Autore

Eccomi qua!

E così, siamo giunti alla fine di questa breve avventura.

Mi sono divertito molto a scrivere questa fan fiction, ma visto che al momento sono impegnato su più fronti non sono sicuro di poterne produrre altre in futuro.

Anzi, a dirla tutta, per poter trovare una nuova ispirazione vorrei aspettare di giocare ad Assassin’s Creed II, e per poter fare questo dovrò inevitabilmente aspettare il natale.

Ringrazio quanti abbiano letto e commentato questa storia, e prometto di farmi risentire il prima possibile

A presto!^_^

Carlos Olivera

  
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