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Autore: _Aislinn_    02/12/2009    2 recensioni
Era da ormai cinque anni che la mia vita si svolgeva tra lenzuola cosparse di petali di rosa ed eleganti salotti dai lucenti lampadari ospitanti centinaia di candele.
Ero la più ambita, la più bella, la più raffinata. Il mio mondo era fatto di pregiate sete e lucenti gioielli. Il mio mondo era oscurato da intrighi e tradimenti, era oppresso da menzogne e inganni.
Prima classificata al contest "Story from a Picture" indetto dal Writer's Temple Forum
Genere: Triste, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Petali di Rosa Questa one-shot si è classificata prima al Contest "Story from a picture" indetto dal Writer's Temple Forum.
Dall'immagine di copertina è nato questo piccolo delirio.
Grazie, come sempre, a chi leggerà e/o commenterà.
Paola



Petali di Rosa



Petali. Morbidi e setosi petali di rosa. Rossi, come la passione che ad ogni incontro promettevo.
Sparsi su candide lenzuola di bianca seta. Linde e odorose, sensuali nel loro fruscio su corpi accaldati.
Osservavo la mia mano accarezzare leggera quel candido tessuto cosparso di piccole nuvole intense e profumate.
Era Jeanne, la piccola ancella che lavorava per me da ormai tre anni, ad aver preparato il letto per la serata che mi attendeva. Aveva battuto il materasso di piume, sprimacciato i morbidi cuscini, steso lenzuola fresche di bucato e sparso su di esse un intero cesto di rossi petali di rosa.
Era lo speciale trattamento che riservavo ai miei clienti, uomini importanti. Conti, Duchi, Marchesi... Perfino appartenenti alla famiglia Reale. Uomini facoltosi e dalle considerevoli ricchezze che non si curavano di pagar sonanti somme pur di avere me, per una sola notte o per molte.
Una Cortigiana d'Alto Bordo, questo ero, dalla tenera età di quattordici anni. Da quando la mia Genitrice aveva venduto la mia verginità per una somma che non aveva eguali.
Oh, ero stata istruita per questa vita fin dai dieci anni. Ancora non potevo comprendere cosa mi attendeva a quell'epoca, innocente e pura, credevo che la cura con cui mi cresceva colei che mi diede alla luce denotasse il suo affetto per me.
Capii solo in seguito che l'approfondita istruzione, l'istigata eleganza nei modi, la coltivata propensione alle arti, null'altro erano se non una rara e ricca dote per la vita che mi attendeva. Un sicuro e costante guadagno per colei che ormai sfioriva negli anni e non poteva più esercitare il mestiere per il quale mi aveva cresciuta. Il suo stesso mestiere.
La Cortigiana.
Era da ormai cinque anni che la mia vita si svolgeva tra lenzuola cosparse di petali di rosa ed eleganti salotti dai lucenti lampadari ospitanti centinaia di candele.
Ero desiderata dagli uomini e odiata da spose e madri. E quando l'odio non era contemplabile tra le emozioni che scatenavo al mio passaggio, faceva capolino l'invidia di amanti e cortigiane come me, che dovevano accontentarsi di coloro che non potevano permettersi la mia compagnia.
Ero la più ambita, la più bella, la più raffinata.
Il mio mondo era fatto di pregiate sete e lucenti gioielli.
Il mio mondo era oscurato da intrighi e tradimenti, era oppresso da menzogne e inganni.
L’apparenza prima d’ogni altra cosa.
Era questo il mio mondo.
Turpitudine e oscurità sotto la patina di candore e luccichio.
Come le lenzuola che accarezzavo, morbide ed invitanti, che celavano finzioni e falsi sorrisi.
“Mia signora, volete che conservi le rose?” la voce di Jeanne mi riscosse dai miei pensieri. Alzai il volto e posai lo sguardo sulla figura minuta della fanciulla che avevo salvato dalla strada.
“Sì Jeanne, essiccale come hai fatto con le altre” risposi con un sorriso, donando un ultimo sguardo alle due rose nel vaso sopra il tavolo da toletta prima di lasciarle alle cure della ragazza.
Una bianca e una rossa. Passione e candore.
Sentimenti che mi ricordarono colui che ogni sera mi consegnava quei semplici doni.
Era ciò che vedeva in me, così aveva detto.
Ma non c’era nulla di più sbagliato. Io non ero pura, da troppo tempo ormai. Avevo venduto il mio animo per il potere e la ricchezza. E non serbavo passione, né simulavo o scatenavo il sentimento.
Mai mi ero concessa ad alcuno se non per denaro. Mai.
Fino a qualche sera prima.
Quando avevo ceduto alle lusinghe di quelle rose che ormai giungevano da mesi, insieme a lunghe passeggiate nei giardini del mio palazzo e a chiacchierate argute e spensierate.
Era entrato nella mia vita lentamente, non come un fulmine a ciel sereno, quanto piuttosto come il primo bocciolo di primavera che spunta prudentemente al calar dell’inverno e con l’arrivo del sole si fa più baldanzoso e splendente fino a fiorire in tutta la sua bellezza.
Mi aveva attirato con il suo mite colloquiare e il suo sguardo profondo. Quegli occhi verdi che non celavano alcuna emozione, una rarità nell’ambiente in cui vivevo. Occhi che avevano il potere di scatenare dentro me una tempesta di emozioni… Confusione, allegria, debolezza, tristezza, gioia e desiderio.
Sì, per la prima volta nella mia vita avevo compreso appieno cos’era il desiderio. Puro e totale. Talmente potente da divenir dolore e così intenso da far mancare il respiro.
Un desiderio sbagliato, che aveva acceso una passione bruciante e insopprimibile.
Lo sguardo cadde sul letto a baldacchino e sulle lenzuola bianche ricoperte di petali di rosa. Ma non vidi quelle macchie di colore, quanto piuttosto il candore di un semplice lenzuolo bianco che aveva accolto solo qualche sera prima due corpi caldi e febbricitanti.
I petali di rosa erano riservati ai clienti, e lui non lo era.
Rividi le sue braccia stringermi a sé, il suo corpo a contatto col mio. Le sue labbra che percorrevano ogni centimetro della mia pelle nuda. Baciando, lambendo, succhiando…
Chiusi gli occhi, scoprendomi a sospirare. Mi sembrava di poter sentire ancora le sue mani su di me, che si avventuravano in luoghi nascosti, al cui tocco avevo scoperto di vibrare come una corda di violino. Tremante e fremente.
Ricordavo i suoi baci, i suoi sospiri, le parole d’amore che mi aveva rivolto al culmine della passione. Il suo corpo sul mio era stato quanto di più eccitante e meraviglioso avessi mai provato. Avevo sopportato innumerevoli pesi nel corso degli anni, ma mai avevo colto una simile completezza. E quando finalmente l’avevo sentito dentro me avevo capito quanto meravigliosa potesse essere la passione.
E l’avevo scoperto dopo tutti quegli anni grazie ad Antoine. Una delle guardie addette alla mia sicurezza.
Era stata una delle notti più belle di tutta la mia vita.
Era stata la prima volta in cui mi ero sentita interamente e incondizionatamente amata.
Per ciò che ero, non per il mio aspetto.
Ma era stato un errore.
L’avevo capito annegando in quegli occhi verdi colmi d’un sentimento che non avrei mai potuto ricambiare.
Un errore che non potevo concedermi.
Un leggero trambusto mi costrinse ad alzare lo sguardo nel medesimo istante in cui la porta della mia stanza si aprì rivelando lui. Antoine. Il suo volto era quanto di più affascinante avessi mai visto e sembrava essere apparso come rievocato dai miei ribelli pensieri.
Un calore sconosciuto si sprigionò dal cuore e mi accorsi di aver paura di ciò che esso potesse significare.
Al fianco della guardia giunse trafelata Jeanne, il volto dispiaciuto e umile.
“Mi dispiace Mia Signora, non sono riuscita a trattenerlo” si scusò abbassando lo sguardo.
“Non importa Jeanne, vai pure e avvisami quando sarà il momento” la congedai voltandomi verso Antoine. Aveva tra le mani due rose, come ogni sera, una bianca e una rossa.
Fece due passi verso di me, facendo ingresso nella stanza lussuosamente arredata. In volto un sorriso luminoso e felice.
I suoi occhi verdi studiarono per un istante il mio abbigliamento costituito solamente da sottoveste, corsetto e sottogonna per poi posarsi sulle lenzuola bianche ricoperte dai rossi petali nel grande letto a baldacchino.
Vidi l’espressione del suo viso cambiare lentamente, il sorriso spegnersi e gli occhi perdere luminosità.
Un freddo alito soffiò sul mio cuore. Ma non mi feci influenzare.
“Stai aspettando qualcuno…” non era una domanda e il tono intimo con cui la pose rese la sua voce greve.
Il mio sguardo si scontrò con il suo, incredulo e cupo, e dopo alcuni istanti non fui più in grado di sostenere quel silenzioso confronto.
“Sì, un influente uomo politico ha chiesto di me al Duca Delaney” risposi accarezzando la chioma ramata che scendeva in morbidi boccoli sulle spalle e sulla schiena, dirigendomi a passi lenti verso lo specchio alla mia destra.
Rimirai la mia immagine, notando la perfezione che da sempre mi contraddistingueva. Un volto angelico dalle labbra morbide e piene. Forme sinuose e sensuali. Occhi azzurri freddi e calcolatori, ma profondi e passionali all’occorrenza. Ero io, la Cortigiana.
La sua immagine apparve alle mie spalle nello specchio. I verdi occhi di Antoine erano tormentati e cupi, le labbra sensuali tese in una linea severa e malinconica. Mi osservò per alcuni istanti in silenzio e mi accorsi che il mio cuore aveva preso a battere più veloce al calore dato dalla sua vicinanza. Il mio stesso sguardo sembrava diverso, la figura che ora lo specchio mi inviava non era più quella che conoscevo, ma quella di una giovane diversa. L’espressione addolcita da un sentimento che non mi era concesso.
“Perché?” chiese d’improvviso.
“Perché cosa?” domandai di rimando.
“Perché lo fai? Perché fai questo?” continuò indicando il letto, le lenzuola profumate e i petali di rosa.
“Perché è il modo in cui guadagno da vivere” risposi semplicemente. Era la pura verità.
“Ma… E quello che abbiamo condiviso? Non è contato nulla per te?” esclamò con un tono di voce più alto.
Sospirai e mi voltai, ritrovando il suo volto a poca distanza dal mio.
Il suo respiro mi solleticò la fronte, lunghi brividi corsero sulla schiena poco coperta e scoprii il desiderio di annullare la distanza che separava le nostre labbra.
Era sbagliato. Stavo perdendo il controllo della mia vita. Non potevo, non dovevo.
Abbassai decisa lo sguardo allontanandomi da lui e dirigendomi verso la porta.
“È stata solo una notte di piacere Antoine…” mi costò infinitamente pronunciare quelle parole, ma dovevo.
“Una? Più d’una” scoppiò avvicinandosi, stringendo le mani sulle mie spalle “Ed è stato amore!”.
La sofferenza di quegli occhi verdi fu più dolorosa di una coltellata nel petto e mi colpì improvvisa togliendomi il fiato. Questo mi aiutò a comprendere che l’errore era stato più grande di quanto avrei potuto pensare e rafforzò la mia determinazione.
Una cortigiana non poteva amare. Io non potevo amare. Sarebbe stata la mia rovina.
“Io non so amare Antoine” affermai con un sorriso accondiscendente.
“Non è quello che ho visto nei tuoi occhi” ribatté deciso, nelle verdi profondità una lieve speranza.
Il cuore si scaldò alla sua combattività, ma non potevo permettere che coltivasse speranze. Io non sarei cambiata.
“Oh Antoine, credi che non sappia fingere?”
Mi accorsi del dolore che provocai a quell’uomo gentile e premuroso nello stesso istante in cui pronunciai quelle parole. Le sue mani lasciarono la presa sulle mie spalle, le rose caddero a terra silenziosamente, e la sensazione di gelo che seguì mi fece dubitare della mia scelta. Solo per alcuni istanti.
“Vi ringrazio per le rose Antoine, ora vorrei chiedervi di uscire, devo prepararmi…” dissi con finta spensieratezza e una formalità che tra noi non era più necessaria da molto tempo ormai. Dentro soffocavo lentamente mentre spire gelide imprigionavano il mio cuore.
Lo vidi alzare lo sguardo, distrutto e vinto dall’apparente freddezza delle mie parole. Ma ciò che uscì dalle sue labbra non fu quanto mi aspettavo.
“No”.
Sentii gli occhi riempirsi di lacrime che mi costrinsi a non versare. Doveva andarsene, subito! O rischiavo di non farcela.
“Fuori, immediatamente!” alzai il tono di voce e mi accorsi di tremare. Non gli diedi il tempo di ribattere. “Non costringetemi a favi allontanare con la forza. Per sempre”.
A quelle parole lo vidi abbassare il capo e le spalle, come sotto un improvviso ed opprimente peso. Troppo greve per il suo fisico.
Continuai a fissarlo con durezza, sebbene gli occhi mi bruciassero di lacrime trattenute, finché senza una parola, né uno sguardo, oltrepassò la soglia. Veloce chiusi la porta della stanza alle sue spalle e diedi due mandate di chiave, barricandomi in quella stanza che era il mio inutile regno. Quel mio gesto sembrò per un istante rianimarlo e lo sentii colpire l’anta in legno più volte.
“Isabeau non farlo!” esclamò con voce rotta “Ti prego… Non farlo”.
Le spalle appoggiate alla porta, lo sguardo mi cadde sui petali rossi che ricoprivano il letto. Un singhiozzo silenzioso fece sobbalzare il mio petto stretto nel corsetto e le lacrime che avevo trattenuto fino ad allora scesero a bagnarmi le gote. Vedere la sofferenza su quel volto solare che tante volte mi aveva donato gioia era stato orribile.
Cos’era quel dolore all’altezza del petto che sembrava soffocarmi? Non poteva essere amore, una cortigiana non può amare. Non può…
“Isabeau” un ultimo richiamo strozzato e poi più nulla. Il silenzio.
Se ne era andato, come io avevo chiesto.
Un altro singhiozzo mi fece tremare, poi un altro e un altro ancora.
Mi accasciai, in ginocchio sul pavimento, le mani a coprire il volto. Non mi ero mai concessa di piangere, non potevo abbandonarmi a tali debolezze.
Mai a nessuno avevo permesso di sconvolgermi così tanto l’animo da versar lacrime… Mai.
Ma Antoine si era introdotto nella mia esistenza a poco a poco, aveva scalfito la mia corazza. Mi aveva fatta sentire viva, per la prima volta nella mia vita. Mi aveva aperto gli occhi a un mondo che non conoscevo, facendomi desiderare ciò che non avevo mai avuto e di cui credevo di non aver bisogno. E avevo confidato davvero di poterlo afferrare…
Ma la mia vita era stata scritta da tempo, ero abituata ad agi e benessere, a ricchezza e potere. A candide lenzuola ricoperte di rossi petali.
Raccolsi le rose che aveva lasciato cadere a terra, stringendole al petto. Sfogai gli ultimi singhiozzi, asciugandomi poi le lacrime con le dita. Non sapevo quanto tempo fosse passato quando lentamente mi alzai dirigendomi al tavolo da toletta ove, dopo aver posato le rose nel loro solito vaso, mi sedetti osservandomi allo specchio. Passai le dita sotto agli occhi, il pianto aveva lasciato solo un lieve rossore. Il mio volto non ne risentiva, era bello come al solito.
Il dolore che vedevo nell’azzurro dei miei occhi era però del tutto fuori luogo. Guardai per qualche istante ancora le due rose, un dono che ripeteva ogni sera. Forse l’ultimo dono…
Chiusi le palpebre e sospirai, riacquistando a poco a poco il controllo di me stessa. Quando riaprii gli occhi la fanciulla di sempre mi guardava dal riflesso nello specchio. La giovane donna pronta ad accogliere il proprio amante e a farlo sognare e sospirare avvolto dal profumo dei petali che adornavano le morbide e setose lenzuola.
Una cortigiana, questo ero. E ciò non sarebbe mai cambiato.

   
 
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