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Autore: GuNeDrA    06/12/2009    3 recensioni
[Seconda Pubblicazione]Roma, tarda età repubblicana.
Gaio Valerio Catullo,famoso poeta neoteros, o semplicemente un uomo innamorato. E lei, la donna senza pudore né limiti, Lesbia, musa dei canti più disperati e di quelli più euforici.
Perché amare lei vuol dire amare l'incostanza, la lascivia, il mistero. Amare lei significa scendere a patti con ciò che comporta amare una creatura senz'anima.
Genere: Drammatico, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità greco/romana
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Vivamus, mea Lesbia


[...]                                                                                              [...]
omnia haec, quaecumque feret voluntas                                        qualsiasi cosa, qualsiasi destino porti la volontà                                        
caelitum, temptare simul parati,                                                     divina, pronti a visitare insieme a me ogni luogo,
pauca nuntiate meae puellae                                                          riferite alla mia donna queste poche amare parole.
non bona dicta.

cum suis vivat valeatque moechis,                                                  Che viva e si diverta con i suoi amanti, 
quos simul complexa tenet trecentos,                                              che tiene abbracciati insieme tutti e trecento,
nullum amans vere, sed identidem omnium                                     non amando davvero nessuno, ma spaccando i fianchi a tutti insistentemente;
ilia rumpens;

nec meum respectet, ut ante, amorem,                                            e non si volga più al mio amore, come prima,
qui illius culpa cecidit velut prati                                                  questo la sua colpa ha travolto ed ucciso come un fiore all'estremo di un prato
ultimi flos, praetereunte postquam                                                che l'aratro ha sfiorato, passando oltre.
tactus aratro est.

Catullo, Liber, Carmen XI


Catullo aprì lentamente gli occhi, infastidito da uno spiraglio di luce pomeridiana che si intrufolava attraverso le imposte accostate.
Rimase qualche istante pensieroso, una parte della sua mente ancora sprofondata nel dormiveglia, prima di riuscire a rendersi conto che il motivo per cui quegli non gli sembravano i suoi alloggi era perché quelli non erano i suoi alloggi.
Gusto troppo ricco e sfarzoso, senza contare che gli affreschi magistralmente dipinti erano di un'eroticità che lasciava ben poco all'immaginazione. Squisitamente osceni. Non esattamente da lui.
Ma sapeva esattamente chi aveva quel gusto perverso per i muri dipinti con brani di miti esplicitamente sessuali.

Lesbia...

Si girò verso l'altro lato del letto nuziale, dove Clodia dormiva ancora, discinta anche nel sonno. La chioma corvina era sparsa in morbide onde sul guanciale, circondandole la testa ed evidenziando la pelle candida del suo viso.
Il lenzuolo le arrivava poco sopra le natiche, avvolgendole i fianchi e lasciando nuda la schiena sinuosa, le braccia affusolate ripiegate sotto il guanciale, a sorreggerle la testa con i polsi incrociati.
Catullo si sollevò su un gomito, per osservarla meglio con una visuale leggermente più in alto. Poi portò la mano sulla schiena di Clodia, sfiorando con la punta delle dita la sua pelle setosa per tutta la lunghezza della colonna vertebrale.
La sentì mugolare nel sonno, e spostò lo sguardo sul suo viso. Rimase silenzioso ad osservare le sue palpebre rilassate e le sue ciglia lunghe ed arcuate, il suo naso sottile e ben proporzionato e poi la sua bocca...
Come facevano quelle labbra ad essere così purpuree, sebbene non fossero dipinte? La tintura era stata divorata dai loro baci affamati, eppure quelle labbra carnose e sensuali rimanevano rosse come amarene mature. Labbra da prostituta.

...Lama di ferro arrugginito, che  sprofonda nella nuda terra con ferocia, solcandola impassibile e potente...

Catullo spostò la mano sulla linea delle scapole, concentrando poi le sue carezze sensuali sulla spalla più vicina a lui, dove sul candore della pelle spiccava un marchio rossastro di possesso.
Era stato lui a farglielo, desideroso della sua pelle e della sua carne, l'aveva furiosamente assaggiata e gustata, assaporando ogni parte del suo corpo. 
Non aveva fatto in tempo a giungere di nascosto alla domus di Clodia, in quel primo pomeriggio, che lei l'aveva accolto divorandogli le labbra ed esplorando febbrilmente con le dita sottili il suo corpo. E come sempre Catullo non aveva saputo resistere, lasciandosi trascinare da quella donna che aveva qualsiasi potere su di lui.
Non sapeva dove lo stesse conducendo, mentre lo trascinava non smettendo di baciarlo ed accarezzarlo. Soltanto quando si erano ritrovati nella camera matrimoniale di lei e suo marito Quinto Cecilio Metello, si era allontanata appena, rivolgendogli uno di suoi soliti sorrisi sfrontati e maliziosi, intriso di parole inespresse. Per lei era tutto un gioco, come quello di divertirsi a profanare il catafalco nuziale.

Nulla per lei era sacro.

E l'idea di essere anche lui un divertimento, uno dei giochi che la eccitavano, aveva fatto ardere la carne di Catullo che l'aveva afferrata con violenza per le morbide braccia, cancellando con la rudezza delle sue labbra quel sorriso malizioso. L'unico modo che conosceva per combatterla, per distruggerla era quello, la furia devastante del sesso.

L'aveva presa con forza, travolto dalla brama per quella carne morbida. L'aveva posseduta con ardore, in modo quasi violento

O forse lui non l'avrebbe mai posseduta, era lei a possedere lui...

Lei aveva risposto con altrettanto furore, ridendo divertita ai morsi affamati che riceveva sul seno, stuzzicandolo e portandolo all'esasperazione, in un gioco dove la sua mancanza di pudore e la sua tensione all'esibizionismo avevano un ruolo dominante.
Ed era così che avevano infranto una delle poche barriere rimaste, profanando con l'adulterio il talamo nuziale che raramente vedeva il marito di Clodia.

La mano di Catullo si fermò d'improvviso, quando la sua attenzione cadde sul lato del seno di Clodia, premuto contro il materasso, dove appena si intravedeva un alone rosa scuro sulla pelle pallida, un marchio che non era stato lui a lasciargli, ne era certo. La bocca di qualche altro amante doveva aver stuzzicato in quel punto così sensibile la sua Clodia.
Allontanò di colpo la mano, appoggiandola sul materasso e stringendo convulsamente le lenzuola.

Velenosa ed infida gelosia...

E ad aggravare la situazione del suo animo iroso tornarono a riecheggiare le parole di Furio nella sua testa, quelle parole che aveva accolto con una maschera di indifferenza la sera precedente alla taverna.
-"La gens Claudia è tutta un po' così..."- aveva detto il suo amico, commentando le azioni di Publio Clodio, fratello di Clodia -"Prendi la sorella di Clodio, quella andata in sposa a Metello Celere-"
Il solo accennare a lei aveva fatto stringere a Catullo il calice di vino con maggior forza tra le dita, ma era stato ben attento a non far notare nulla al suo amico.
-"E' più facile per lei concedersi direttamente ad un uomo, piuttosto che salutarlo"- aveva detto Furio ridacchiando -"Saranno una decina in tutta Roma a non aver ancora goduto della sua compagnia. Celere è un uomo o troppo stolto o troppo distratto..."-
Quando Catullo aveva alzato lo sguardo per incontrare quello dell'amico, aveva scorto una sorta di sfumatura ironica, che la diceva lunga su quanto in realtà ne sapesse Furio.
-"Certe volte mariti del genere si rivelano una fortuna, non trovi?"- aveva infatti commentato Furio, con aria indifferente, apparentemente concentrato a mescere il suo vino.
Furio sapeva. Tutta Roma sapeva.

Ma come, come poter pretendere di legarla a sé? Come poter pretendere un'esclusività che non era nella sua indole?
Catullo si riadagiò sul materasso, rimanendo in silenzio a contemplare il soffitto. Ammetteva che un tempo ci aveva realmente sperato, aveva realmente sperato che il suo amore fosse ricambiato con la stessa identica intensità, che Clodia fosse disposta a lasciare Celere e la bella vita di Roma, per andarsene via con lui, magari a Sirmione, o magari anche in un luogo più lontano, esotico, sconosciuto, a vivere unicamente della loro passione, a nutrirsi solamente l'uno dell'altra.

Ammettere che quella speranza giacesse ancora, sebbene impolverata e malconcia per le delusioni subite, nel suo cuore era ancora troppo difficile...

E poi aveva semplicemente capito.
Clodia era un'edonista, una donna che amava il piacere sensoriale, una donna per la quale l'unico modo per vivere degnamente era farlo senza alcun limite.
Era lei a dominare il gioco, lei a tessere trame intricate con i destini degli sfortunati che rimanevano ammaliati dalla sua persona.
Lei amava, ma in modo dissoluto e leggero. Lei amava come una puttana. Ciò che la legava veramente ai suoi amanti era il divertimento. Tutto solo per puro divertimento.
Catullo girò il capo, per osservare il viso ancora dormiente della donna. Se solo non fosse stata così dannatamente bella...

...Un delicato fiore dai petali rosso vivo, un papavero cresciuto forse per errore che si nutre di una terra che non gli appartiene...

Ritornò ad osservare il soffitto, lasciando che la luce sottile di una giornata quasi al tramonto gli riscaldasse il viso. Si stava di nuovo abbandonando a lei, a quella passione che tuttavia era ben lungi dalla rassegnazione fiduciosa che era stata all'inizio, quando ancora sperava in lei.
Ora l'abbandono nella passione era fatto di rabbioso possesso consumato nel furore della carne, poiché possederla era impossibile, se non sul lato fisico. Amarla in un modo diverso era solamente uno strazio del cuore.

E lui quello strazio lo voleva mettere a tacere, a tutti i costi...

Un movimento al suo fianco lo riscosse appena dai suoi pensieri, avvisandolo che Clodia si era svegliata.
-"Ave, Catullo"-
La voce di Clodia giunse sottile e maliziosa, modulata in un tono che usava solo nel loro privato.

O forse nel privato con tutti i suoi amanti...

-"Ave, mea domina"- rispose lui, alzando leggermente il capo per guardarla.
Si era appoggiata al suo petto, con fare sensuale, puntellando il mento sul dorso delle mani. Le sue iridi nocciola appena sfumate di verde lo fissavano, illuminate da un'ironica malizia che non abbandonava mai il suo sguardo, e veleggiava sempre sugli angoli del suo sorriso.
-"Sei stato focoso nel nostro incontro... non so cosa io abbia fatto per turbarti, ma dovrei farlo più spesso"- sussurrò Clodia, avvicinandosi lentamente al volto di Catullo.
Lui serrò la mascella, irrigidendosi a quelle parole.

Se solo fosse stata stupida, se solo fosse stata un'oca che non si accorgeva delle verità che la circondavano, che non coglieva quale fosse realmente il suo potere.
Invece lei era consapevole, astuta ed intuitiva.
E magari non lo fosse stata, così lui non avrebbe avuto motivo di amarla.

Clodia si avvicinò, muovendosi delicatamente sul petto di Catullo, in uno studiato contatto di pelle nuda, ancora rovente del fuoco dell'amplesso precedente che il sonno non era riuscito ad intorpidire. Ogni singola mossa di Clodia era mirata alla seduzione, sempre. E per Catullo era diventata un'amara verità.
Fu così che l'allontanò appena, mettendosi a sedere e coprendosi l'inguine con il lenzuolo aggrovigliato. Lei si sedette poco distante sui talloni, consapevole della propria nudità e del tutto priva di vergogna.

Donna senza pudore.

Catullo evitò con tutti i mezzi di guardarla, spostando lo sguardo sui dettagli della stanza, fino a posarlo su un piccolo tavolino in un angolo, dove dei servi omertosi avevano portato per loro della frutta e del miele, disponendoli con cura.
Percepiva lo sguardo di Clodia su di sé, e non sapeva che cosa lei stesse provando in quel momento. Scoprirlo, incrociando quelle iridi nocciola, comportava troppi rischi.
Lei capiva troppo

Sentì il materasso muoversi sotto gli spostamenti del peso di Clodia che si alzava. Mantenne lo sguardo fermamente puntato sul tavolino, lasciando che il suo animo altalenasse tra il trionfo per averla respinta e la disperazione per il timore di averla perduta.
Si comportava come una puttana? E lui come tale l'avrebbe trattata. Con disprezzo e sdegno, sperando che gli altri sentimenti morissero prima di uccidere lui.

Quando lei fu davanti al tavolino, fu tardi per distogliere lo sguardo, che si perse nelle morbide curve della sua nudità. Clodia gli diede la schiena, prendendo in mano un vasetto in argilla, per poi voltarsi verso il letto, guardandolo maliziosa.
Catullo scrutò lo sguardo di Clodia e quello che vide gli diede la definitiva prova che a perdere, in quella partita di dignità, era lui. Perché Clodia lo stava osservando, compiaciuta e maliziosa.
Non era preoccupata dei suoi sforzi per respingerla, non era dubbiosa sulla buona riuscita di un tentativo di seduzione.
Infondo lei era una donna intelligente ed astuta, ed aveva compreso facilmente ciò che per Catullo era una verità dolorosa e difficile da ammettere.

Lui era come creta tra le sue dita affusolate. Per quanto potesse dire, per quanto potesse fare, Clodia sapeva che un suo sorriso, una sua carezza, un suo bacio e lui sarebbe stato suo.
Eccola la verità. Lui era suo. Sempre e comunque, volente e nolente.
Non importava che lui la disprezzasse, o addirittura che la odiasse per come lei si comportava. Lui era suo.

Clodia si avvicinò seducente, infilando l'indice ed il medio nel vasetto, per estrarli ricoperti di uno spesso strato di filante miele ambrato.
Senza vergogna si mise a cavalcioni su Catullo, sedendosi proprio sopra al groviglio di lenzuola che copriva i fianchi del poeta, lasciando così che i loro sessi fossero separati solo da quella sottile barriera di tessuto.
Catullo rimase una maschera di indifferenza, lasciando che solo il suo sguardo rimanesse incatenato a quello di Clodia, impedendosi di esprimere qualsiasi emozione.
Ma la sua carne cominciava ad ardere a quel contatto seducente e inebriante con la morbida pelle della donna, e non sapeva quanto a lungo avrebbe resistito.

Clodia avvicinò il proprio viso a quello di Catullo. Il suo sguardo si era fatto stranamente intenso, mentre lo scrutava con quelle iridi nocciola e verdi.
E fu grazie a quello sguardo che in Catullo crollarono le ultime patetiche resistenze.
-"Io sono una donna amara"- sussurrò roca Clodia, accarezzando con le dita sporche di miele le labbra di Catullo. Stranamente intensa, stranamente seria.
Non vi era alcuna malizia nelle sue parole, solo calcolata gravità.
-"Non mi puoi cambiare, perché questa è la mia natura"- continuò, mentre le deboli difese di Catullo si sgretolavano miseramente.

Se solo fosse stata veramente ciò che fingeva di essere, se solo fosse stata la lussuriosa matrona ninfomane che recitava.
Sarebbe stato tutto più semplice, perché lui non avrebbe avuto motivo d'amarla.
E invece quella donna ambigua e misteriosa, sprezzante dei limiti e del mos maiorum, era molto di più, era una creatura affascinante, piena di angoli oscuri e pensieri insondabili.
Intelligente e bellissima. Dio, se solo non lo fosse stata...

Clodia accostò la bocca all'orecchio di Catullo, leccandolo e mordendolo voluttuosamente, mentre lui, ormai perso ogni ritegno, cominciava ad accarezzarle la schiena nuda.
Ma non sarebbe bastato il miele che aveva sulle labbra ad addolcire quell'ennesima unione senz'anima.
La bocca della donna rimase accostata all'orecchio di Catullo, soffiandovi lievemente contro, poi rocamente disse: -"Dimmi, chi tra noi due è la puttana?"-
Catullo  fermò le sue mani sui fianchi di Clodia artigliando le dita con violenza sulla morbida carne, fino a riuscire a premere sull'osso.

Lei era una donna che voleva il delirio dei sensi, non vendeva amore, ma solo divertimento.
Invece lui, lui aveva svenduto il suo amore, la sua integrità, se stesso pur di averla lì, tra le sue braccia.
Si era venduto pur di ottenere quel poco che lei era disposta a dargli, il suo corpo, l'unica cosa forse che quella donna famelica era in grado di donare.

Eppure ci aveva provato, aveva provato dimenticarla... Donne, fanciulli, prostitute... quanti corpi aveva posseduto, quante notti aveva diviso con qualcuno che non fosse lei.
Eppure ogni volta, chiunque fosse l'amante, il suo viso si trasformava in candido e sottile, qualunque fosse il colore dei suoi occhi diveniva un nocciola screziato di verde. Qualunque  fosse la sua espressione si tramutava in un sorriso sardonico e malizioso.
Non c'era fanciullo o donna che non si tramutasse in quella donna maledetta, che lo osservava ironica, prendendolo in giro per quell'amore che non riusciva a dimenticare...
Maledetto fosse Cupido, e le sue luride frecce, maledetta fosse sua madre Venere, che subdola si divertiva delle sue sofferenze.
Maledetto fosse lui, Catullo, che era diventato la puttana della donna che amava.

Catullo la spinse con furia contro il letto, sovrastandola con il suo corpo. Piantò i suoi occhi in quelli di Clodia, che lo osservava con un barlume di ironia nelle iridi.
E si impose su di lei, prendendola con la violenza e la furia della disperazione, mentre lei gioiva ridendo per quella  forza che rendeva l'amplesso vigoroso ed estenuante. Non le importava quali fossero i sentimenti che la animavano.

Donna senz'anima...

... Cosa può una delicata corolla di petali purpurei contro il crudo ferro dell'aratro? Cosa può un fragile fiore di fronte alla resistente pesantezza del legno e del ferro, temprati da zolle ben più dure?
Basta uno sfioramento, perché venga reciso e travolto, basta appena un tocco leggero da parte di quel mezzo potente.
A questo è destinato, a spargere i suoi petali morenti sulla nuda terra, mentre l'aratro prosegue travolgendolo, imperturbabile davanti all'appassire di una gracile vita...






"Supponiamo che una donna senza marito abbia spalancato la sua casa alle voglie di tutti, che si sia messa apertamente a condurre vita da puttana, a frequentare bagordi di uomini a lei del tutto estranei; [...] supponiamo infine che non solo l'incedere, ma pure il modo di agghindarsi e il genere di persone che lo accompagna, non solo il dardeggiare degli occhi e la libertà di linguaggio, ma pure gli abbracci, lo sbacciucchiarsi, i festini sulle spiagge, le gite in battello, i banchetti la rivelino per una puttana; anzi, per una puttana sfrontata e provocante.
Allora dimmi tu, Lucio Erennio: un giovanotto che sia andato da lei, tu lo ritieni un adultero o un puttaniere?"
Cicerone, Pro Caelio, 49

"Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris.
Nescio, sed fieri sentio et excrucior"
Catullo, Liber, Carmen LXXXV


Spazio dell'autrice:
Con questa fanfiction ho voluto restituire quello che secondo me era il rapporto tra il famosissimo Catullo e la sua amata Lesbia.
So che i suoi carmi disquisivano abbastanza a lungo sull'argomento, e so che probabilmente voi lettori sarete annoiati a morte da questa storia d'amore che a scuola costringono a studiare, tuttavia non ho potuto farne a meno, perchè la mia mente malata si sente in sintonia con questa vicenda.
L'intrigante e sfrontata Clodia, l'innamorato e disperato Catullo, non c'è molto di più... Tutto è nato dal Carmen XI (citato all'inizio), del quale l'ultima strofa è la spiegazioni delle frasi in corsivo e grassetto all'interno del brano (quelle sul fiore e l'aratro per intenderci). Il resto lo lascio alla fama del poeta, e allo studio che confido i lettori ne abbiano fatto.
Non so quanto io sia riuscita nell'impresa di parlare di questa relazione, spero vogliate farmelo sapere.
Baci a tutti i lettori...


  
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