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Autore: becky    07/12/2009    3 recensioni
"All’inizio, per i primi tempi, non me ne fregava nulla della scuola. Quando hai visto la morte in faccia, quando hai combattuto una guerra a tutti gli effetti, cosa vuoi che ti interessi di saper trasformare un pollo in un cucchiaino? Nulla. Proprio nulla. Pensi che sia una banalità, una stupidaggine, e io lo odiavo. Poi però...il tempo passa. E cancella. Col passare dei giorni, tutto torna normale, e tu ti dimentichi tante cose. Ti scordi del dolore, delle sofferenze, delle battaglie, della guerra. Di tutto. Le cose tornano come erano prima, e ti sembra che vada meglio. Quando la vita torna a scorrere ti senti un completo idiota. Ti lamenti perchè non hai ottenuto il voto che desideravi, o magari perchè la ragazza che ti piace esce con un altro. E ti senti un coglione". Terza classificata al The Biograpghy Contest
Genere: Generale, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Pictures of you

“Confess to me, every secret moment
Every stolen promise you believed
Confess to me, all that lies between us
All that lies between you and me”

- Buonasera, signor Canon- salutò cordiale la donna, stringendo la mano al ragazzo seduto sul divanetto davanti a lei.
- Buonasera- rispose lui muovendosi a disagio. – Nervoso?- chiese immediatamente lei, accomodandosi e accavallando le gambe in modo elegante e femminile. Il ragazzo spostò lo sguardo da una parte all’altra del locale. – No, è solo che...non sono abituato a trovarmi...da questa parte, ecco-. Lei sorrise gentile – Lo capisco. Ma non si deve preoccupare, ci andremo piano. E intanto colgo l’occasione per ringraziarla per questa opportunità-. Il moro scrollò le spalle sottili – Nessun problema. Anche se, ad essere sincero, mi ha stupito molto questa idea di farmi un’intervista. Non credo di essere così...interessante-. La giornalista rise – Lei? Oh, andiamo! Lei è il miglior fotografo di tutta l’Inghilterra! Le sue opere valgono una fortuna!-. Il ragazzo si grattò la nuca, imbarazzato. La donna colse perfettamente il suo stato d’animo, e da brava giornalista con una certa esperienza alle spalle, estrasse una pergamena e una piuma incanta dalla borsetta. – Allora iniziamo subito, così ci togliamo il pensiero, va bene? È pronto signor Canon? O preferisce che la chiami Dennis?-. – Dennis va benissimo. Da cosa incominciamo?-. – Beh, non si sa molto sul suo conto. Inizi a parlarci della sua infanzia-. Il ragazzo deglutì rumorosamente, giocherellando con il menù appoggiato sul tavolino.
- La mia infanzia?- un mezzo sorriso amaro – La mia infanzia è stata la più comune che lei possa immaginare, signorina. O quasi. I miei genitori erano entrambi di Canterbury. Babbani, ovviamente. Mio padre faceva il lattaio, ma da giovane sognava di fare il musicista. Sa, erano i tempi dei Beatles, lui li adorava-. La giornalista corrucciò la fronte – Beatles?-. Dennis annuì – Un gruppo musicale molto noto tra i Babbani. Mio padre, Michael, li adorava. Sono cresciuto sentendo le loro canzoni. Il mio secondo nome è Jude, perchè in quel periodo andava matto per “Ehy, Jude”, una loro canzone. Ma le interessa davvero sapere tutte queste cose?-. – Certo! Continui, la prego!-. Dennis prese un profondo respiro – Mio padre era un tipo a posto. Semplice, ma buono. Mia madre invece...di lei non ho molto da dire. O forse avrei troppe cose, ma amare, e quindi meglio tacerle. Evelyn, mia madre, aveva iniziato una carriera come modella. Era molto bella. Poi però si ustionò una gamba e le rimase una cicatrice orribile, rovinandole non solo la pelle, ma anche la carriera. Forse la vita. Aveva nemmeno ventidue anni, all’epoca. Sinceramente non so perchè si innamorò di mio padre. Sempre che lo amasse, ovvio. Erano così diversi...lui la amava moltissimo, lei...non saprei. Si sposarono presto, e un anno dopo nacque mio fratello, Colin-. Una pausa leggermente più lunga. –Due anni dopo, io-.
- Ordino qualcosa da bere - proruppe la giornalista, facendo segno ad un cameriere di avvicinarsi. – Lei prende qualcosa, Dennis?- domandò educata. Il ragazzo sembrava perso nei suoi pensieri, lo sguardo lontano. Si riscosse solo sentendo la donna tossire leggermente, per richiamare la sua attenzione. – Cosa? Ah, no, grazie. Ho già preso una burrobirra prima-.
Restarono in silenzio finché il cameriere non tornò con un Martini liscio per la donna. Fece cenno al ragazzo di proseguire, e Dennis ricominciò a parlare – Bene. Non mi chieda cosa ricordo di quegli anni, perchè ero troppo piccolo. So che vivevamo in una casetta piuttosto piccola, due stanze, una cucina e un salotto, a Canterbury. Ci è mai stata lei? È una cittadina incantevole. Ci torno spesso, quando ho voglia di stare tranquillo. O quando voglio fotografare delle cose belle. Che poi lo so, il bello è soggettivo. Ma per me Canterbury è bella-. Si sorrisero. – Uno dei primi ricordi che ho è collegato alla magia. Forse una delle mie prime magie involontarie. Mio fratello aveva una macchinina telecomandata bellissima, nera e blu. L’adoravo. La mia era più piccola, rossa, piuttosto lenta. Merlino quanto gliela invidiavo! Avrei dato tutto quello che avevo per quella macchina!Un pomeriggio stavo giocando in un viale con altri bambini e loro mi prendevano in giro perchè nelle gare perdevo sempre. Mi sentivo...umiliato. E profondamente invidioso. Sbattei violentemente la mia macchinina rossa a terra, frantumandola, e scoppiai in lacrime. Urlai e mi dimenai sotto lo sguardo divertito e sconvolto degli altri bambini. Quando riaprii gli occhi li vidi ancora più perplessi-. La strega aveva già intuito cosa fosse successo. Fece ondeggiare leggermente il bicchiere e domandò – La macchinina?-. Il fotografo ridacchiò con tono basso – Esatto. L’avevo trasformata in quella di mio fratello, senza neppure rendermene conto. A quel tempo non pensavo potessi essere un mago, perciò ignorai l’accaduto e me ne dimenticai. Suppongo sia una cosa piuttosto normale, no?-.
Il locale iniziò a riempirsi di persone e Dennis tacque per poterle osservare con attenzione. Riprese lentamente - Poi, quando avevo quattro anni, mia madre se ne andò-. La donna sollevò gli occhi dal bicchiere, incerta su cosa dire. Dennis sorrise leggermente – Non pensi male. Mia madre è viva e vegeta, sta benissimo da quanto ne so. Semplicemente, divorziò da mio padre e se ne andò con un impresario. Ricco. Da allora non si è più fatta sentire molto. E sono passati sedici anni!-. – Dal suo tono deduco che non ha un buon rapporto con lei-. – Oh, no. Non è che non ho un buon rapporto con lei. Non ho proprio alcun tipo di rapporto. Negli ultimi cinque anni l’avrò vista si e no tre volte. Vede, è mio padre che ci ha cresciuti. Si è sempre preso cura di noi, di me e Colin. Ci ha fatto da madre e da padre. Ok, non avevamo molti soldi, ma non ci ha mai fatto mancare niente. Niente, soprattutto l’affetto-. – Una brava persona, quindi-. – Oh, sì, decisamente!- esclamò il ragazzo orgoglioso. – Credeva nella magia, suo padre?- domandò la donna, curiosa. Il ragazzo parve rifletterci per un istante – No. Non veramente, ecco. Lui è completamente babbano, non aveva mai sentito parlare di maghi e streghe, prima che mio fratello ricevesse la lettera di Hogwarts. Che gran giorno fu quello!-. Dopo un attimo di silenzio la giornalista si schiarì leggermente la voce – Me ne vuole parlare?-. I due si guardarono negli occhi per alcuni, interminabili, secondi. Infine, quando lui parlò, la donna venne colta da un sussulto. Si era del tutto persa negli occhi di quel ragazzo, così giovane, ma con così tanto da raccontare. E con così tanto dolore sulle spalle. – Arrivò prima un gufo. Bellissimo, nero. Stavamo facendo colazione, lo ricordo perfettamente. Io avevo...nove anni, sì. Il gufo entrò dalla finestra e depositò una busta sul tavolo. Quando mio padre la lesse, sbiancò di botto. Per un attimo pensai che stava avendo un infarto. Mio fratello invece era saltato sulla sedia, per la gioia. Era un tipo molto espansivo. “Sono una mago! Sono un mago! Lo sapevo!” gridava, non come un mago, ma come un pazzo semmai. All’inizio nostro padre pensò che fosse uno scherzo. Poi però venne a casa la professoressa McGranitt, e ci spiegò tutto. Lei e mio padre parlarono a lungo, tutta la sera. Io e Colin li sentivamo, dalla nostra stanza. “Io non so cosa dire...” disse ad un certo punto papà. Colin aprì la porta di scatto e si precipitò dentro, come un esaltato. “Ti prego, papà, ti prego! Posso andarci? Posso? Posso?”. Ovviamente mio padre gli sorrise e acconsentì. Io...ero felice, ma come tutti i bambini anche geloso. Lui sì e io no? Lo trovavo ingiusto, ma non lo dissi. Non volevo guastare la loro felicità. Prima di andarsene, però, la professoressa mi sorrise. “Aspettiamo anche te, tra un paio d’anni”. Solo quando se ne fu andata mi accorsi che stavo piangendo dalla gioia. Ero anche io un mago, e sarei andato ad Hogwarts un giorno. Non ci poteva essere nulla di più bello al mondo. Papà ci abbracciò forte, ci baciò entrambi, e sussurrò “Questo sarà meglio non dirlo, a vostra madre. Potrebbe non prenderla tanto bene...”-. Sogghignò, anche se c’era qualcosa di amaro nei suoi occhi scuri.
- Per i due anni successivi, aspettai trepidante di poter andare ad Hogwarts. Era strano stare a casa da solo assieme a papà. A volte non sapevamo cosa dirci. C’era più silenzio del solito. Spesso mio fratello ci mandava delle foto. Le adoravo. Ogni volta che vedevo un gufo vicino a casa, ridevo come un pazzo, perchè sapevo che Colin ci aveva mandato nuove fotografie. Conoscevo perfettamente Hogwarts ancora prima di andarci, sa?-. La giornalista sorrise – Le ha ancora quelle foto?-. Uno scatto secco della mano, come una contrazione muscolare. – No-.
Dopo un breve sospiro – Infine compii undici anni e finalmente arrivò la mia lettera. Non stavo più nella pelle. Ad agosto mio padre si prese un paio di giorni di permesso, e ci accompagnò a Londra. Visitammo prima la Londra babbana e poi Diagon Alley. Volevo un falchetto, me lo ricordo bene. Solo che costava troppo. Vede, mio padre era solo un lattaio, non poteva permettersi troppi lussi. Mi prese un gatto, invece. Bastet. È ancora vivo!-. Dennis fece una piccola pausa, e ordinò una burrobirra. – Mette sete parlare- sussurrò alla donna, con un sorriso accattivante. – Non è abituato a parlare troppo, vero?- gli domandò, chiedendo a sua volta un altro martini. Il ragazzo scosse il capo – No, infatti. Io preferisco parlare con le immagini. Sono più vere. Sono lì, non sfuggono, non passano, non scappano. E ognuno le interpreta come vuole. Come sente. È questo che deve fare un buon fotografo, penso-. – Quindi andò ad Hogwarts- mormorò la donna, incitandolo a continuare. – Esatto. L’anno del torneo tre maghi, per l’esattezza. Fu davvero fantastico. Io avevo undici anni, e non capivo niente, ma mi piaceva. Tutti quei ragazzi, le prove, gli incantesimi. Era fantastico. Sono cose che non si dimenticano, quelle. Lei lo ha mai visto un drago dal vivo? No? Io sì, durante la prima prova. Morivo di paura, ma allo stesso tempo ne ero affascinato. Temo di essere sempre stato attratto dalle cose pericolose...-.
La donna si soffermò a controllare che la piuma avesse scritto tutto quanto. – Le hanno mai fatto delle foto?- domandò improvvisamente Dennis, scrutandola con attenzione. La giornalista sgranò gli occhi chiari – A me? No. O almeno, non che io sappia!-. Anche il ragazzo sorrise, passandosi una mano tra i crini scuri. – Cos’altro vuole che le racconti?-. – La scuola. Come sono stati gli anni scolastici ad Hogwarts?-. Dennis scrollò le spalle – Sufficientemente orrendi, grazie. A parte l’anno del torneo Tremaghi, degli altri non ho ricordi particolarmente positivi. Quando frequentavo il secondo arrivò una donna terribile a insegnarci Difesa contro le Arti Oscure. Ci odiava, e noi odiavamo lei. Buffo, eh? Se non fosse stato per Colin, non so come sarei sopravvissuto. Però è stato anche l’anno più educativo. Ho imparato più cose allora che nel resto della mia vita. Ritengo che quando si è sotto pressione, si lavori meglio. È stato in quel periodo che ho imparato a combattere. E Merlino sa quanto mi è stato utile saper combattere in modo decente!-. Si fermò un attimo, concentrandosi sulla sua interlocutrice. Quando tornò a parlare, il tono si era fatto decisamente più basso e serio. Vagamente sensuale, forse, ma di sicuro non volontariamente. – Io non so cosa faceva lei durante quegli anni, durante la guerra, e non mi interessa, mi creda. Ma se era qui in Gran Bretagna, si ricorderà certo quale clima regnava. Terrore, paura, orrore. Una schizofrenia collettiva. Ero solo un bambino, ma sapevo cosa significava quando mi dicevano “Sporco Mezzosangue”, o “Tu e la tua famiglia di babbani farete una brutta fine”. Se non avessi saputo difendermi a dovere, ora non sarei qui a parlare con lei-.
- Mi scusi...-. Una voce estranea ruppe il leggero silenzio che si era creato tra i due. Il ragazzo alzò la testa e si ritrovò a fissare un uomo, vestito elegante, in piedi accanto a lui. – Lei è Dennis Canon?- domandò l’uomo sorridendo compiaciuto. – Sì- rispose semplicemente il ragazzo, stralunato. – Sa, sono un suo ammiratore. Ho comprato alcune sue foto, l’anno scorso. Volevo solo...salutarla, ecco!-. Agli occhi della giornalista Dennis sembra davvero stupito e impacciato. Gli strinse la mano imbarazzato e lo salutò con un pallido sorriso. – Mi perdoni...- mormorò quando tornò a sedersi. La donna scosse le spalle –Non si preoccupi. Succede spesso?-. Il moro scosse il capo e appoggiò il mento su una mano. – Cosa stavamo dicendo?- chiese tamburellando con le dita sulla guancia sbarbata. E lei sorrise ancora, perchè quel ragazzo era davvero strano. Un po’ svanito, forse. Perso in un mondo suo, fatto di ricordi, immagini e pensieri di ogni sorta. Bisognava faticare ogni volta per riportarlo alla realtà. Per tenerlo lì, presente, attaccato alla loro conversazione. – La guerra e gli anni della scuola- gli accennò, e lui sembrò riaffondare nel discorso. – Ah si. Beh, nel mio caso le due cose coincidono. Parlando con altri miei coetanei, di altri Paesi, mi rendo conto di non aver avuto un’esperienza comune. Loro parlano di ragazze, di amori, di scherzi, di sbornie, di musica. Io no, invece. Quella parte di vita a me manca. Ho cercato di recuperarla dopo, ma non è la stessa cosa. Il quarto anno fu il peggiore di tutti. Un esperienza che non consiglierei a nessuno, nemmeno al mio peggior nemico. Sia chiaro, io non ho più nemici. Ma se li avessi, li risparmierei da vivere mesi come quelli. Hogwarts era finita in mano ai mangiamorte, anche se non era evidente agli occhi del mondo. Eravamo l’ultimo problema, per la comunità magica. Prima si poteva passeggiare tranquillamente nei corridoi, mangiare assieme a tutti gli altri, andare al villaggio a fare compere ogni tanto. Dopo...no. Noi figli di babbani venivamo puniti per un nonnulla-. Il suo sguardo, spesso vago e assente, si fece duro e trasudante di rabbia. – Mio fratello e altri ragazzi cercavano di ribellarsi. Avrei voluto farlo anche io, ma Colin me lo impedì. Mi fece promettere che non avrei mai fatto nulla di sbagliato, per evitare torture e punizioni. Una sera di novembre mi fece un discorso che non riesco a togliermi dalla mente. Eravamo nella torre del nostro dormitorio. Era appena tornato dall’infermeria, aveva la schiena ricoperta di tagli. Lo avevano frustato per aver osato difendersi dagli attacchi di un ragazzo di Serpeverde. Lo aiutai a bendarsi e dissi che lo avrei vendicato. Mi diede uno schiaffo. Forte, rabbioso. E mi urlò “Non ti azzardare, Dennis, non ci provare neanche. Sei troppo giovane per morire, chiaro? La guerra si avvicina, e io combatterò. Non provare neppure a fermarmi. Ma tu...tu non devi rischiare la vita. Se dovesse succedere qualcosa anche a te, papà come la prenderà? Chi gli resterà? Nessuno. Devi occuparti di lui. Io combatterò, mi ribellerò, per entrambi”. Ero sconvolto. Anche io volevo combattere! Pensavo che avrei potuto fare qualcosa di utile, di essere pronto...-. Un debole sorriso, nato dalla disillusione, apparve sul suo giovane volto. – Deliri di onnipotenza di un quattordicenne-. La giornalista deglutì piano – Quindi lei non combatté...-. Dennis annuì – Esatto. Promisi a Colin di non rivoltarmi. Non mi punirono quasi mai, infatti. Un paio di Cruciatus, ma nulla di più. Invece lui...lui si ribellava. E mentre lui combatteva...io mi limitavo a curargli le ferite. Sa, avrei dovuto diventare un medimago. Mio fratello e gli altri me lo dicevano spesso. “Dannazione, Dennis, ricuci le ferite meglio di Madama Chips!”-. Una mezza risatina. – Invece le cose non sono andate proprio così. Vede, noi sapevamo che la guerra non poteva durare in eterno e che prima o poi sarebbe finita. “Non può piovere per sempre”, no? Solo che...non sapevamo quando. Vivevamo costantemente con la speranza che prima o poi tutto sarebbe finito. Ecco, la Speranza. Quella, nonostante le punizioni e le lacrime, non ci mancava mai. Avevamo formato all’interno di Hogwarts un piccolo gruppo di sovversivi. Ci nascondevamo e agivamo per cercare di smontare il loro potere dall’interno. Poi...la fine giunse improvvisa. Una notte di giugno, senza alcun preavviso. Harry Potter e i suoi piombarono a scuola e lì iniziò il caos-. La donna sgranò gli occhi – Lei era presente? Alla Grande Battaglia di Hogwarts?-. Questa era un’assoluta novità. Non avrebbe mai detto che quel giovane e promettente fotografo avesse partecipato in prima persona alla più grande battaglia del secolo. Dennis si grattò la nuca – Non proprio. Io...fui confinato in un’ala sicura del castello, mentre oltre la porta succedeva di tutto. Provai a fuggire e introdurmi nel campo di battaglia, ma fu Colin stesso a fermarmi. Mi ripeté quelle parole  “Se succede qualcosa anche a te, cosa ne sarà di papà? E chi guarirà le mie ferite?”-. – Suo fratello...è morto durante quella battaglia, vero?-. –Si-. Non c’era tanto altro da dire. Quando muore un fratello, non hai davvero le parole per parlarne. E la donna lo sapeva, per questo non indagò oltre. Ma fu Dennis questa volta a voler andare a fondo, sviscerare la cosa. Era una sorta di profondo autolesionismo al fine di depurare la ferita. Qualcosa di catartico. – Non me lo fecero vedere il corpo. Un ragazzo davvero gentile, gli devo molto, Oliver Baston, mi trattenne. Mi disse che se l’avessi visto, non l’avrei più scordato. Che il cadavere di Colin, freddo e bianco, avrebbe tormentato i miei incubi per anni. Mi disse che non era giusto, che era meglio se lo ricordavo come era prima. Aveva ragione, non lo nego. Tuttavia quella notte avrei voluto avere un corpo su cui piangere. Rannicchiarmi nel mio letto non era abbastanza. Io...avevo bisogno di lui. Avevo bisogno di Colin. Non mi sentivo ancora in grado di reggermi sulle mie sole gambe. Ho vissuto quasi tutta la mia vita nella sua ombra, invidiandolo e anelando ad essere come lui. E improvvisamente...lui non c’era più. Il sole, per chi è vissuto all’ombra di qualcun altro, può risultare accecante le prime volte. Lo compresi a mie spese. Ci proposero di seppellirlo assieme agli altri caduti, ma mio padre non volle. Disse “Colin è un eroe, e tutti lo ricorderanno anche senza una tomba. Io invece lo voglio vicino a me. A Canterbury”. Al funerale vennero tutti, Potter, Weasley, la professoressa Mc Grannit e tanti altri. Sa cosa feci, quando li vidi tutti lì riuniti con le lacrime agli occhi? Sorrisi. Merlino, Colin sarebbe stato così contento di vederli tutti quanti! Mi crede uno sciocco?-. La giornalista scosse il capo – Assolutamente no. Non so quanto le interessi la mia opinione, ma io la ritengo una persona molto coraggiosa. Ha anteposto il bene di qualcun altro, suo padre, ai propri desideri e istinti. Ha mantenuto la promessa fatta a suo fratello, e questa è una gran bella cosa-. Anche Dennis sorrise – è un modo carino di vedere la cosa. Non so quanto sia...corretto, ma sicuramente è il più carino-. Bevve un lungo sorso di birra e sospirò – Vuole che andiamo avanti?-. La donna annuì e lui riprese a parlare, piano - All’inizio, per i primi tempi, non me ne fregava nulla della scuola. Quando hai visto la morte in faccia, quando hai combattuto una guerra a tutti gli effetti, cosa vuoi che ti interessi di saper trasformare un pollo in un cucchiaino? Nulla. Proprio nulla. Pensi che sia una banalità, una stupidaggine, e io lo odiavo. Poi però...il tempo passa. E cancella. Col passare dei giorni, tutto torna normale, e tu ti dimentichi tante cose. Ti scordi del dolore, delle sofferenze, delle battaglie, della guerra. Di tutto. Le cose tornano come erano prima, e ti sembra che vada meglio. Il problema del tempo è proprio questo. Cancella. Non è vero che il dolore dura per sempre. Io l’ho provato sulla mia pelle. Pian piano riprendi la tua vita, quasi come se una guerra non ci fosse mai stata-. – E non è una cosa positiva? Ritornare alla normalità?-. Dennis scosse lentamente il capo, con la pena negli occhi – No. Non è giusto. Forse lo è per chi la guerra non l’ha vissuta sulla propria pelle. Ma per chi ha sofferto, per chi ha perso delle persone care, no. Non è giusto soprattutto per chi è morto. Ma è così, non ci si può fare nulla-. Fece una piccola pausa, poi scrollò piano le spalle – Quando la vita torna a scorrere ti senti un completo idiota. Ti lamenti perchè non hai ottenuto il voto che desideravi, o magari perchè la ragazza che ti piace esce con un altro. E ti senti un coglione. Un vero coglione. Dopo aver visto morire persone buone e oneste davanti agli occhi, ti preoccupi per un voto? Per una ragazza? È una stronzata, ti dici. Ma non riesci a farne a meno. Forse è una forma di autoconservazione. Per poter continuare a vivere, ti dimentichi delle sofferenze passate, quelle vere. O meglio, non le dimentichi, ma le lasci alle spalle. Non ci pensi più. Diventano cose lontane, distanti da te e dalla tua vita. Ed è una vera merda, se vuole sapere la verità-.
Tra i due cadde un silenzio strano, non teso, ma ugualmente inquietante. Dennis teneva lo sguardo basso, assorto in pensieri che forse solo lui poteva comprendere. Mormorò – Anche dopo giorni orribili, la vita torna a scorrere. Scorre veloce, oltretutto. E per starle dietro, tu non puoi fermarti troppo a pensare al passato, altrimenti ti perdi il presente. Per questo amo le fotografie. Magari è solo una stupida illusione, ma sembra di fermare il tempo. Puoi bloccare un istante per sempre, e grazie a questo ricordarlo per tutta vita. Con la fotografia non dimentichi nulla, e nessuno-.
La pausa che seguì fu lunga e piena di riflessioni. Stranamente fu Dennis a riprendere il discorso, con un tono più leggero – Alla fine sono uscito piuttosto bene dai MAGO. Buoni voti, numerose esperienze e ottimi contatti. Avrei potuto fare quello che volevo. Essere chi volevo. Un medimago, un Auror, o chissà cos’altro-. – E invece ha deciso di abbandonare la magia nel senso stretto del termine – osservò la giornalista, continuando – Si è dedicato alla fotografia. Ha iniziato subito dopo la fine degli studi?-. Il ragazzo scosse il capo – No. Anzi, rettifico, sì ma non professionalmente. La fotografia è sempre stata un mio…hobby. Dopo aver terminato la scuola ho deciso di prendermi un anno sabbatico. Ripensandoci tempo dopo, forse sarebbe stato meglio andarmene subito dopo la guerra, a quindici anni, ma all’epoca preferii rimanere e concludere ciò che avevo iniziato. È un vizio che mi porto dietro fin da bambino: finire ciò che si inizia. Una volta terminata la scuola, dicevo, sono partito. Non avevo una meta precisa, mi interessava solo viaggiare e trovare qualcosa di bello da fotografare. Sono stato in tante parti del mondo, luoghi dove non avrei mai pensato di mettere piede. Esperienza unica, indimenticabile. E, ora che mi ci fa pensare, devo assolutamente ripetere!-. La donna ridacchiò sollevata, ringraziando che la tensione si fosse sciolta. – Sta pensando ad una vacanza, Dennis?-. – Perchè no? E poi, con la mia professione, anche le vacanze sono occasioni di lavoro. Durante quell’anno in giro per il mondo ho scattato alcune tra le foto più belle che ricordi. Paesaggi, prevalentemente. Ma anche persone, animali ed emozioni. Le dirò una cosa: secondo me, solo una fotografia che ritragga un’emozione vera, può suscitarne una nell’osservatore. Magari un’emozione differente, va bene, ma per farlo deve ritrarne una, qualsiasi. Perdoni se non riesco ad esprimermi meglio. Le parole non sono il mio forte, ma lei riesce a capire cosa le sto dicendo, vero? Potrà poi scrivere quello che vuole in quell’intervista, spiegare meglio questo concetto, con parole più chiare, ma...ora lei riesce a seguirmi? È questo che mi preme. Lei, adesso, qui, riesce a comprendere cosa le sto dicendo?-. E sì, la donna riusciva a seguirlo perfettamente. Solo un emozione può produrne un’altra. Perciò annuì decisa. Anche Dennis sembrò sollevato. Iniziò a gesticolare con le lunghe mani sottili, avvezze a premere pulsanti e misurare distanze – In quel periodo non sapevo cosa avrei fatto della mia vita. Non ci pensavo proprio, il futuro era un’incognita. Tutto quello che mi interessava era scattare belle foto. Solo quando giunsi in Sud America, in Mexico, ci riflettei seriamente. Incontrai per caso una fotografa professionista davanti alle rovine di uno splendido tempio Azteco. Immenso. Vedere il sole che sorge lentamente alle spalle di un edificio del genere, i riflessi dorati che nascono sulle pietre brune, è una magia che supera le nostre. Ma dicevo...lì incontrai una fotografa. Parlammo tutta la notte davanti alle nostre tende. Era una donna stupenda, vivace, entusiasta di tutto. Credo di essermene innamorato subito. Un amore che sapeva di ammirazione, di stima, più che di passione nel senso letterale del termine. Fu lei a consigliarmi di dedicarmi alla fotografia a tempo pieno. Era una babbana, non sapeva nulla della guerra, della magia, del male. Vedeva le cose in modo diverso, e fu proprio quello, forse, che mi aiutò maggiormente-. Si passò una mano sulla guancia – Ci riflettei seriamente, allora. Non avevo mai visto la fotografia come la mia vita. Ma ci sono cose, delle volte, che devi fare. Per te stesso e per chi non c’è più-.
I due bevvero in silenzio per qualche istante, guardandosi di sottecchi.
- Una volta ritornato in Inghilterra decisi di aprire uno studio fotografico. In questo modo avrei fatto della mia passione anche il mio lavoro. All’inizio non fu facile, come per qualsiasi attività. I soldi, prima di tutto. E poi il locale, le attrezzature, e non da ultimo i clienti. Ma ero...ottimista. Certo all’epoca non mi aspettavo che avrei ottenuto tutto questo successo. Tuttavia non ho cambiato studio: lavoro ancora in quello che acquistai quattro anni fa’-. Si grattò con aria nostalgica la nuca e sorrise sereno –Vuole sapere chi è stato il mio primo cliente? Harry Potter. Sì, Harry Potter in persona. Avevo appena aperto lo studio, due o tre giorni, non di più. Era ancora tutto sotto sopra, e lui venne a trovarmi. Così, per un saluto veloce, disse. Colsi subito l’occasione e gli chiesi se per caso gli andasse di farsi fare un paio di foto. Senza impegno, ovviamente. Solo per...inaugurare il mio nuovo lavoro-. – Accettò?- chiese la donna curiosa. – Sì, ma non senza qualche remora. È sempre stato piuttosto...riluttante a farsi scattare fotografie. Ma in quel caso accettò e questo mi rende ancora più orgoglioso. Sia chiaro, stiamo parlando di una decina di scatti improvvisati, fatti su due piedi. Una prova, insomma. Ma Merlino...sono tra i più bei ritratti che abbia mai realizzato fin’ora!-. Sembrava davvero felice mentre ne parlava – Tutti bianco e nero, ovviamente. Tempi brevi, per renderli più nitidi, e sensibilità alta, per sgranare maggiormente. Ne ho ancora alcuni nello studio, gli altri glieli ho lasciati a lui. Una persona davvero gentile, Harry Potter. Disponibile e cortese, mi è sempre piaciuto molto-. Si scambiarono un mezzo sorriso, poi la giornalista scrisse qualcosa sulla sua pergamena e disse – Gliene ha fatte altre, di foto?-. – Certo. Almeno altri due servizi, ma molto più professionali. Impostati. Belli anche quelli, si intende, ma meno naturali. Il primo tentativo rimane sempre il migliore, ne sono fortemente convinto-. La giornalista continuò ad appuntare sulla pergamena – Per curiosità...che macchina fotografica usa?-. La risposta giunse subito puntuale – Una Reflex 900, con obiettivo 15 X-. –Immagino sia una buona macchina...-. Una scrollata di spalle veloce – Sì, lo è. Ma non è quella ad assicurare il risultato, glielo garantisco. Una bella foto può venire fuori anche da una Polaroid. Una buona foto invece...necessita di una buona macchina. La differenza è sottile, ma per gli esperti è fondamentale-. Glielo si leggeva negli occhi quanto amasse il proprio lavoro.
La sera stava calando rapidamente. La donna lanciò un’occhiata veloce all’orologio e sospirò. Bisognava affrettarsi a chiudere. – E ora, Dennis? Quali progetti per il futuro?- domandò restando sul vago. Il ragazzo sembrò stupito per un attimo. Si morse l’interno della guancia e mormorò – Come le ho detto prima, non penso mai molto al futuro. Prendo quello che viene. Continuerò a fotografare, questo è sicuro. Magari potrei prendermi anche una bella vacanze, perchè no? In Africa, mi piacerebbe molto. Ma è ancora presto per dirlo-. Meditò qualche secondo – E poi gradirei farle qualche scatto, se non le dispiace-. La giornalista sgranò gli occhi – Cosa?-. Dennis sogghignò – Ha un viso particolare, penso che glielo abbiano già detto in molti. Assomiglia a qualcuno, ma non saprei dire a chi. Se un giorno passa nel mio studio...se le va, le faccio un ritratto. Ma non si senta obbligata, d’accordo?-. Lei annuì e iniziò a ritirare nella borsa carta e penna.
- Abbiamo finito, direi- affermò chiedendo il conto ad un cameriere – La ringrazio ancora, Mr Canon. È stato davvero un piacere intervistarla-. Il moro alzò le spalle – Oh, di nulla-. – L’intervista uscirà il mese prossimo, nelle pagine centrali presumo. Le faccio recapitare una copia, ok?-.

Fuori il cielo era diventato scuro, ricoperto da spesse nuvole grigie e nere. La donna si strinse nel cappotto e si avvolse la sciarpa di seta al collo. Dalla bocca socchiusa di Dennis uscì un soffio bianco, che salì e si disperse velocemente. Un’ultima stretta di mano e poi ognuno per la sua direzione. La giornalista non fece che due passi che la voce bassa di Dennis, udita per almeno due ore di seguito, la richiamò ancora una volta. Si voltò lentamente e lo vide avvicinarsi a passo svelto. – Qualcosa non va?- gli domandò notando l’espressione contratta sul suo giovane volto. Il ragazzo sembrò esitare per qualche istante, mordendosi delicatamente il labbro inferiore. Infine estrasse dalla tasca interna della giacca un foglietto di carta. Anzi, guardando meglio notò che era una fotografia. Una polaroid, e piuttosto vecchia a giudicare dal color giallino della carta. – Che cos’è?-. – Beh, ecco...- mormorò Dennis lasciandogliela – Se proprio deve metterci una fotografia, assieme all’intervista...metta questa, ok?-. La giornalista alzò lo sguardo e incrociò quello del giovane. Era serio, imbarazzato ma deciso. Ci sarebbero state centinaia di fotografie adatte a quell’intervista. Ogni fotografia di Dennis Canon è un piccolo capolavoro, si diceva in giro. Eppure lui le diede proprio quella. – Buona serata- la salutò voltandosi e tornando sui suoi passi. La donna lo vide sparire dietro l’angolo, e solo allora osservò la fotografia che gli aveva consegnato. La voltò e la scrutò con attenzione. Aveva ragione, era piuttosto vecchia. In primo piano c’erano due ragazzini, la somiglianza fisica tra i due era impressionante. Erano l’uno accanto all’altro, entrambi sorridenti. Era evidente che erano davvero felici. Sereni. Alle loro spalle svettava un castello nero, che si specchiava limpido sulla superficie di un lago. Sul bordo inferiore comparvero all’improvviso delle lettere C. & D.
Comprese perchè Dennis le aveva lasciato quella fotografia. Era un’immagine che rappresentava quello che era stato, la sua vita, ciò che le aveva raccontato. Ed era davvero perfetta per quelle parole.

“Pictures of you, pictures of me
Hung upon your wall for the world to see
Pictures of you, pictures of me
Remind us all of what we used to be” *

* Pictures of you – The last goodnight
 
I personaggi appartengono a J.K.Rowling
  
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