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Autore: avalon9    08/12/2009    3 recensioni
“Conosci Odisseo?”
“Bu chig?”
“O aner”
Nga shes-gi-yö”. Il khata (elegante) scivola lungo il braccio. Kanon ha le mani (irriverenti) dietro la testa e gli occhi (rilassati?) indugiano. “Ke-chen-po re-pe?"?
Una piccola consapevolezza insegnata con la leggerezza e la maturità di chi ha trovato un equilibrio e un punto di contatto.
Contiene i ringraziamenti alle recensioni a Corpi di Polinice
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Aries Mu, Gemini Kanon
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie '[Variazione]'
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Premessa

Premessa

 

Di nuovo, come già in Pirro e Corpi di Polinice, sono riportate di seguito due versioni: la prima è quella in lingua originale, con doverose note linguistiche in calce, mentre la seconda presenta il testo quasi interamente tradotto, salvo alcune particolari espressioni idiomatiche che si è ritenuto preferibile mantenere.

La necessità della seconda è qui quasi fondamentale, rispetto alle due fan fiction precedenti. Soprattutto per la presenza di un idioma, il tibetano, di (quasi) impossibile lettura naturale e immediata.

La traduzione (se vogliamo. Ma forse bisognerebbe pensarci un po’, a cosa vuol dire tradurre. Se esiste davvero una traduzione possibile) è, di conseguenza, fondamentale per capire le battute e i dialoghi. Tuttavia, pur con la consapevolezza dello scoglio linguistico, ho deciso (e non per sfoggio) di mantenere l’impianto duplice di presentazione e la versione in lingua.

Motivo? Il filo di fondo che collega tutte queste Variazioni, di cui Odisseo (sono tornata anche al titolo singolo; occhieggiando a Pirro) costituisce la terza espressione. L’incomunicabilità: che qui, paradossalmente, è quasi rovesciata e ridotta al lumicino. Pur esprimendosi in due lingua diverse (profondamente diverse) Mur e Kanon si capiscono. Riescono a capirsi. Il messaggio, i giochi di significato sottesi alle parole, passa nonostante i due idiomi. E da parte di entrambi c’è la volontà di capirsi, di aprirsi, se vogliamo, ad una sorta di dialogo.

Perché Mur e Kanon. Non sono un accostamento tradizionale. Però. Però sono persuasa che abbiano, in fondo, compiuto un cammino simile: quello, appunto, di Odisseo. E Kanon, più grande, più tormentato, in un certo senso, se ne accorge e lo fa presente al compagno, con una leggerezza che nasconde tanta malinconia e rimpianti. In fondo, entrambi, sono partiti da un punto (Atene. Ma non la città, non il tempio. Atene con tutto quello che rappresenta: la scelta di vita, le certezze, le illusioni, i pericoli, le speranze, le delusioni e i tradimenti) per tornare, cambiati, mutati, consapevoli, al medesimo punto. Mur si autoesilia alla morte di Micene; Kanon è esiliato alla morte di Micene. Entrambi ricercano un loro equilibrio, in seguito a quell’avvenimento. Sbagliano, tentennato, si intestardiscono. Entrambi viaggiano; e anche se sono convinti delle loro azioni, anche se sono persuasi della correttezza delle loro scelte, soffrono. E alla fine, mutati, ma in fondo ancora uguali a se stessi, alla loro necessità di un equilibrio, di un posto, tornano.

Da qui, il titolo (oltre al significato sotteso, certo. Al gioco di rimandi su cui la fan fiction poggia): Odisseo. Certo, è l’eroe del viaggio, la figura della peregrinazione continua alla ricerca di qualcosa. Ma il nome Odisseo deriva dal verbo greco odyssomai, e significa colui che soffre. A questo punto, è chiaro il duplice significato.

Di nuovo, infine, ribadisco qui, personalmente, sono convinta della ricchezza e bellezza della nostra lingua italiana, e che per prima rifuggo la citazione linguistica fine a se stessa, per puro scopo di erudizione o (peggio) di ostentazione.

 

 

 

 

 

 

[#3 Variazione]

 

 

 

 

 

ODISSEO

 

 

 

 

Portandoti dietro te stesso hai finito col

viaggiare proprio con quell'individuo dal quale volevi fuggire.

(Socrate, in Platone)

 

 

 

 

 

 

“Conosci Odisseo?”

Bu chig?

“O aner”

Nga shes-gi-yö”. Il khata (elegante) scivola lungo il braccio. Kanon ha le mani (irriverenti) dietro la testa e gli occhi (rilassati?) indugiano. “Ke-chen-po re-pe?

Nai”. Il meltemi sbuffa; troppa ginestra e sale. “Sai cos’ha fatto?”

Nga-tso ta-kor che pa-re”. Mur sorride – insicuro; la mano sfiora la piega della shuba e stringe sgrana il trengwa. Distratto. E Kanon increspa un sorriso e respira la notte limpida. Mur è inquieto. Mur è molto inquieto. Sun emoi.

E aspetta; e quando Mur aspetta così – Kanon lo ricorda – significa zhed snang. Perché Mur detesta non comprendere; e – Kanon lo sa – adesso non riesce a capire.

“Dikaion”. L’emeria ha un buon sapore. “ Ma è anche tornato”

Dhri-gi-re”. La spalle (incerte) si stringono; e Kanon gusta (con l’elettricità e il caldo) gli occhi – aperti – indugiare scivolare nelle ombre (irriverenti). “Nga-tso tshur log pa pa-re. Tang yang? Nga-tso dhro-ua pa-re

“Mi piace”

Olysseo?”

Ochì”. Kanon sorride; e la testa va su e giù. “Mur”. Si ferma; l’indice picchietta – divertito – un gradino. “Ma è la stessa cosa”

Mur stinge preme le labbra. C’è qualcosa. Qualcosa che vuole ignorare. Perché Kanon lo guarda; ed è serio. Anche se i gradini sono scomodi e duri; anche con la clamide gonfia e una mano irriverente nei capelli. Kanon è serio shi-tha.

Ka-re se-na?

Kanon alza le spalle; gli occhi che ammiccano e quel sorriso serio (maledetto). “Non è difficile”.

 

 

Kanon

Kanon si alza. Una conchiglia nella mano (tranquilla) e la curiosità – forte (fa male) – di scoprire. Perché Mur deve comprendere; perché deve realizzare,

Olysseo”. Mur esita; la mano scivola sulla lana grezza. “Ha-ko song

La testa (consapevole) scrolla un cenno.

Nga myed pa pa-re. La voce (era sicura) sussurra e trema. “Nga nye pa-re

Ara?

Kanon aspetta. “Ara, Mur?”. Nel silenzio (ispirato) le braccia tendono e invitano e la voce sorridente è un sussurro. “Ara? Ara Mur?

Nga rang rang” Mur sfiora il trengwa al polso (un ricordo). “Epanerchomai”

 

 

 

Il viaggio perfetto è circolare. La gioia della partenza; la gioia del ritorni.

(Dino Basili)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note linguistiche

 

  1. Bu chig?: l’uomo?
  2. O aner: l’eroe.
  3. Nga shes-gi-yö: lo conosco.
  4. Ke-chen-po re-pe?: è importante
  5. Nai: sì.
  6. Nga-tso ta-kor che pa-re: ha viaggiato, nel senso di chi continua a spostarsi.
  7. Sun emoi: con me.
  8. Zhed snang: timore.
  9. Dikaion: giusto, letteralmente, è giusto.
  10. Emeria: tranquillità.
  11. Dhri-gi-re: va bene.
  12. Nga-tso tshur log pa pa-re. Tang yang? Nga-tso dhro-ua pa-re: lui è tornato, senza sfumatura definitiva. E allora? Era andato [via], con, al contrario del verbo precedente, una nota di assolutezza.
  13. Ka-re se-na?: perché?
  14. Shi-ta: molto in tibetano, e grammaticalmente va posposto all’aggettivo cui si riferisce.
  15. Ha-ko song: ho compreso.
  16. Nga myed pa pa-re : ho riconosciuto.
  17. Nga nye pa-re: ho ritrovato.
  18. Ara: cosa, cioè come esclamazione interrogativa generica.
  19. Nga rang rang: me stesso.
  20. Epanerchomai: sono tornato, nel senso andare di nuovo, ovvero di voltarsi e tornare indietro. In greco antico, questo verbo era sovente utilizzato in un contesto che necessitasse di esprimere un reinserimento negli schemi, una ricollocazione

 

 

Note etnologiche

 

  1. Odisseo, o Olysseo secondo la variante eolica più antica e diffusa in tutto il bacino mediterraneo, è il famoso eroe protagonista del poema epico Odissea. La storia è nota: dopo aver partecipato con l’esercito acheo all’assedio di Ilio durato dieci anni, si vede sottrarre per ulteriori dieci anni il ritorno nell’amata Itaca a causa dell’ira di Posidone da lui offeso. In sintesi, il mito di Odisseo è la fiaba dell’eroe viaggiatore che conosce e fa nuove esperienze, acquistando conoscenza da queste e dal dolore sopportato.
  2. La khata è la tipica sciarpa cerimoniale di seta utilizzata in Tibet anche come dono e simboleggia la purezza, la buona volontà, la compassione e il buon augurio. Solitamente è di colore bianco, ad indicare la purezza del donatore, ma non è raro trovarne anche in altri colori, soprattutto il giallo oro.
  3. Il meltemi è il nome del tipico vento greco, caldo e saturo di elettricità, che per tutta la stagione estiva soffia dal mare sulle isole e sulla terraferma, almeno nelle zone più vicine alle coste come Atene.
  4. La shuba è la veste tradizionale tibetana, con maniche lunghe quasi fino a terra. Solitamente di lana di pecore, ma anche di cotone e altre fibre naturali e tinta di rosso, viene fermata in vita da una cintura e arrotolata in modo tale da non toccare terra e da formare una grande tasca sul petto, in cui riporre piccoli oggetti di uso quotidiano.
  5. Trengwa è il nome tibetano dell’ aksamala, il tipico rosario buddista di 108 grani o di multipli di nove, è sovente utilizzato per dharani, mantra o altre formule e cerimonie religiose.

 

 

 

 

 

 

SECONDA VERSIONE

 

 

 

“Conosci Odisseo?”

L’uomo?

“L’eroe”

“Lo conosco”. Il khata (elegante) scivola lungo il braccio. Kanon ha le mani (irriverenti) dietro la testa e gli occhi (rilassati?) indugiano. “È importante?”

Nai”. Il meltemi sbuffa; troppa ginestra e sale. “Sai cos’ha fatto?”

Ha viaggiato”. Mur sorride – insicuro; la mano sfiora la piega della shuba e stringe sgrana il trengwa. Distratto. E Kanon increspa un sorriso e respira la notte limpida. Mur è inquieto. Mur è molto inquieto. Sun emoi.

E aspetta; e quando Mur aspetta così – Kanon lo ricorda – significa zhed snang. Perché Mur detesta non comprendere; e – Kanon lo sa – adesso non riesce a capire.

“Dikaion”. L’emeria ha un ha un buon sapore. “ Ma è anche tornato”

Dhri-gi-re”. La spalle (incerte) si stringono; e Kanon gusta (con l’elettricità e il caldo) gli occhi – aperti – indugiare scivolare nelle ombre (irriverenti). “È tornato. E allora? Era andato via

“Mi piace”

Olysseo?”

Ochì”. Kanon sorride; e la testa va su e giù. “Mur”. Si ferma; l’indice picchietta – divertito – un gradino. “Ma è la stessa cosa”

Mur stinge preme le labbra. C’è qualcosa. Qualcosa che vuole ignorare. Perché Kanon lo guarda; ed è serio. Anche se i gradini sono scomodi e duri; anche con la clamide gonfia e una mano irriverente nei capelli. Kanon è serio shi-tha.

Ka-re se-na?

Kanon alza le spalle; gli occhi che ammiccano e quel sorriso serio (maledetto). “Non è difficile”.

 

 

Kanon

Kanon si alza. Una conchiglia nella mano (tranquilla) e la curiosità – forte (fa male) – di scoprire. Perché Mur deve comprendere; perché deve realizzare,

Olysseo”. Mur esita; la mano scivola sulla lana grezza. “Ho capito

La testa (consapevole) scrolla un cenno.

Ho riconosciuto. La voce (era sicura) sussurra e trema. “Ho ritrovato

Ara?

Kanon aspetta. “Ara, Mur?”. Nel silenzio (ispirato) le braccia tendono e invitano e la voce sorridente è un sussurro. “Ara? Ara Mur?

Me stesso” Mur sfiora il trengwa al polso (un ricordo). “Epanerchomai”

 

 

 

Il viaggio perfetto è circolare. La gioia della partenza; la gioia del ritorni.

(Dino Basili)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[Definendo]

 

 

 

Due storie in due giorni in due fandom diversi: un record, per me.

Ieri, la mia prima fan fiction in Detective Conan; oggi ritorno al mio vecchio primo amore: Saint Seiya. Mi ruzzolavano in testa da un po’, queste storie; e riposavano e si riscrivevano e avanzavano e si disfavano sullo schermo del computer. Adesso, le ho concluse.

Una specie di regalo di Natale; soprattutto perché, in effetti, non ho idea adesso di quando potrò ripubblicare qualcosa. Molto probabilmente, non prima di fine Febbraio.

Comunque.

Sono giunta, in modo del tutto insperato e sorprendente, per me, alla terza Variazione. E ho concluso qualsiasi esame inerente l’ambito greco. Di conseguenza, non dico c’erto che questi quadretti sia di necessità destinati ad esaurirsi, tuttavia non sono sicura di un possibile slittamento d’ispirazione.

Devo confessare che mi sono divertita molto a scrivere Odisseo. Soprattutto, vista la coppia scelta, mi sono divertita a rovesciare le parti. Insomma: di solito la persona che comprende e mira a lasciare un qualche insegnamento è Mur, con la sua pacatezza e la sua riflessività. E Kanon è il personaggio tormentato, perseguitato dai sensi di colpa e dal rimorso per eccellenza.

Ecco. Ho mescolato un po’ le carte in tavola. Kanon è sereno, ha accettato la sua condizione di sospensione, ha realizzato l’equilibrio precario fatto di rimorso e riscatto che gli è proprio; e riconosce in un ragazzino (c’è una bella differenza d’età, va ricordato: otto anni) la sua stessa situazione. E assieme, realizza che Mur, quella situazione, quella scelta, non l’ha mai veramente affrontata. Non si è mai realmente chiesto cosa abbia fatto. Non voglio dire che abbia agito avventatamente (Mur avventato non riesco proprio a immaginarlo); ma è giovane, è inesperto, e in una scelta importate può non aver colto esattamente quello che ha comportato, quello che lo ha fatto crescere. Kanon sì; anche perché il percorso è affine.

Quando preparavo l’esame e la traduzione sull’Odissea mi sono chiesta: a chi assomiglia, Odisseo? Kanon. L’accostamento è quasi banale. Il cavaliere che ha cambiato, che ha viaggiato. Il cavaliere che si fa beffa degli dei, che gioca con Posidone, che ne provoca l’ira; il cavaliere astuto; il cavaliere che ritorna.

Paradossalmente, però, Kanon non mi soddisfava. Non riuscivo a immaginare un dialogo in cui dovesse esser lui a riflettere sul suo legame con Odisseo. Kanon ha scelto sempre con piena consapevolezza, anche nell’errore. Quindi: chi altri può essere Odisseo? Chi se ne è andato ed è tornato? Chi ha sofferto, questa separazione. Mur. Mur si è affacciato senza soluzione di continuità. E il legame e le implicazioni razionali (seguite dopo, per una volta) sono ormai chiare.

 

 

Infine, di seguito, sono presenti i ringraziamenti a quanti hanno commentato Pirro, ma esprimo la mia gratitudine anche a chi ha semplicemente letto.

 

 

Gufo_Tave: ti ringrazio molto per le tue parole. In effetti, l’aspetto delle due versioni è qualcosa su cui mi hanno spinto a riflettere e che ho ponderato molto. E, come dici tu, purtroppo, non sono ancora riuscita a trovare un’alternativa per superare lo scoglio linguistico (e questa volta è davvero grande. Non tutti conosco il greco; figuriamoci il tibetano^^).

Per quanto concerne Saori. Sono pienamente d’accordo con te: Saori e Atena sono la medesima sostanza, sono integrate, fuse l’una all’altra, esistono l’una in funzione dell’altra. Dicendo che è la donna a parlare, e non la dea, non volevo mettere in discussione questa realtà, ma sottolineare che le considerazioni prodotte sono frutto dell’apporto emotivo di Saori come entità reale del XX secolo. La dea ha in sé una carica atemporale; Saori vi integra la sua percezione moderna del mondo, il suo approccio alla quotidianità umana che Atena, per quanto favorevole agli uomini, per quanto abbia condiviso la propria essenza con le sue reincarnazioni, non può conoscere per il semplice essere dea. Non è assolutamente la verità; solo il mio personale modo di intendere la reincarnazione di Atena. Opinabilissimo. Assolutamente.

 

Iomy: per prima cosa, grazie. Per aver recensito. E poi sì, io sono anche la scribacchina di Arms. Di battaglie e di memorie (che concluderò, a puro titolo informativo. Presto o tardi concluderò. Anche perché, di recente, l’ho ripresa in modo, con un nuovo cavaliere pubblicato e uno in via di sviluppo^^) e, come hai giustamente notato tu, anche lì gioco con le lingue straniere. E hai colto appieno il mio umile intento: far riflettere sulla difficoltà di comunicare (o la non difficoltà. Come in questa terza variazione). E sono contenta che, nonostante l’ostacolo linguistico, tu apprezzi la prima versione. Davvero. Grazie infinite.

 

Whity: carissima, come vedi, non mi sono fermata. E mi sono avventurata in un vero campo minato linguistico: addirittura il tibetano. Comunque, sono onorata (e imbarazzata) di quello che mi scrivi. Il tuo non è un commento; è una critica (nel senso buono, ovviamente). Un darmi conferma che, pur nelle mie limitate capacità (e no, lo sai, non lo dico per falsa modestia), quello che vorrei trasmettere può arrivare. Arriva.

Ti ringrazio davvero. Infinitamente. Anche per la meravigliosa recensione che mi hai fatto.

 

Lete89: Ma petit. Dirti grazie è poco. Dirti che hai compreso tutto (anche quello che non si può capire in senso assoluto: perdona o no?) è scontato. Ne abbiamo discusso; e ne discuteremmo ancora per ore. Sì, comunque. Raccontino psicologico (le scene d’azione, lo sai, non sono il mio forte) triste(per l’ironia, lo sai, ho due attori di prim’ordine che non aspettano altro che lanciarsi frecciatine e stoccate pungenti). Una, come dici giustamente tu, nuova declinazione di questo tema dell’incomunicabilità. In effetti, l’ostacolo non è linguistico, ma proprio psicologico. E, lo immaginavo che, per te, Aiolia non avrebbe perdonato. Però, in fondo, l’immagine che mi restituisci di Leo che accetta e permette anche senza perdonare, perché la comprensione non basta (forse non subito) a cancellare la scissione interiore la adoro. E mi piace di più del punto da cui io ero partita; e cui, decisa, non penso di tornare. Non in modo assoluto. Ti abbraccio.

 

 

 

  
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