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Autore: WrongHysteria    08/12/2009    2 recensioni
Essere sognatori non sempre è un pregio... perché ci sono gli incubi. E spesso sono senza uscita.
Genere: Generale, Dark, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 2:
Uno strano incontro

Alex si svegliò alle sette in punto, colpita dal timido raggio di sole che si faceva strada tra le nubi. Si voltò dall'altra parte, desiderando di poter dormire almeno un'altra ora. Sapeva, però, che ciò era impossibile. Tempo dieci minuti, e Steven si sarebbe alzato per andare a scuola, al contrario di lei. E il fratello faceva sempre un gran baccano.
Chiuse gli occhi, concentrandosi sulla sensazione delle coperte sul corpo. Sentiva tutte le membra pesanti, persino muovere un dito era uno sforzo sovrumano per lei. Avrebbe voluto alzarsi per serrare le persiane e chiudere fuori per sempre quel raggio di sole fastidioso, ma...

Quando si ridestò, erano quasi le otto. Steven era già uscito da un pezzo.
Dei brividi di freddo la scossero. Qualcuno (e si immaginava anche chi) aveva aperto la finestra, permettendo all'aria gelida di entrare ed infilarsi nel letto. Il sole, seppur debolmente, splendeva; malgrado questo il calore era inesistente.
La ragazza scivolò fuori dal letto, assonnata, tastando il pavimento con i piedi alla ricerca delle pantofole. Non le trovò. Incespicò fino all'armadio. Sentiva il freddo che dal pavimento le penetrava nei piedi e da lì in tutto il corpo. Aprì le ante, alla ricerca di qualcosa da mettere. Lì, in bella mostra, giaceva il suo vecchio giaccone di pelle. Lo tirò fuori, sorridendo. Era il suo capo preferito, nonostante odiasse i giubbotti.
Prese dei semplici jeans neri e una T-shirt grigia con una chitarra stampata sopra ed entrò nel bagno. Lì si vestì e si truccò: rossetto scuro e matita nera. Si spazzolò i capelli con calma e scese le scale, cercando di ricordarsi dove diamine avesse messo gli anfibi. Ci mise una buona mezz'ora a trovarli. Li indossò infilandoci dentro i jeans, poi andò in cucina ed afferrò al volo una mela. Messa la giacca di pelle e presa al volo la borsa e la custodia del basso, era pronta. Si lanciò fuori dalla porta, scordandosi come spesso accadeva le chiavi di casa, e masticando la sua mela entrò nel traffico mattutino.
Rimase un po' stranita dall'ambiente circostante: auto che strombazzavano isteriche, persone che camminavano così velocemente da pensare che stessero facendo una maratona e venditori ambulanti che urlavano le qualità della loro merce a destra e manca.
Alex estrasse i suoi vecchi Ray-Ban, come a mettere una barriera tra lei e quelle persone del tutto prive di qualsiasi forma di pazienza. Correvano tutti qua e là, affannandosi, come topolini in una grande gabbia. È inutile che correte, pensò. La ruota si ferma per tutti.
Rise al suo pensiero macabro e continuò per la sua strada, con l'iPod nelle orecchie al massimo volume. Per lei era mattinata da Distillers; si sentiva di ottimo umore.
Quando entrò nel garage dove lei e la sua band, le Frontal Smash, provavano i loro pezzi, si lasciò sfuggire un sospiro di soddisfazione. Lo avevano appena risistemato, su misura per le loro esigenze. Le pareti erano state prima imbiancate e poi letteralmente sommerse di graffiti da loro stesse eseguiti, una parete per ciascuna; poi ci avevano appeso delle tende etniche e vari poster dei loro idoli musicali. In mezzo alla parete di fondo troneggiava un vecchio divano rosso, cimelio della famiglia di Sarah, cosparso di bruciature di sigaretta e macchie di caffè e altri liquidi non ben identificati. Su un tavolino lì a fianco, Candice aveva messo dei bastoncini d'incenso, che con il suo odore impregnava tutta la stanza. Gli strumenti erano tutti nel centro, tranne la chitarra, imbracciata da Sarah sul divano. Quest'ultima alzò gli occhi, vide Alex e sorrise.
Lei non poté fare a meno di osservarla, anche se ormai avrebbe potuto tracciarne un ritratto ad occhi chiusi. Sarah aveva solo un anno più di lei, ma sembrava molto più grande; quel giorno i suoi capelli rosso fuoco, scrupolosamente tinti una volta al mese, erano sciolti sulle spalle e si confondevano con la sua maglietta del medesimo colore. Questa faceva a pugni con il blu dell'ombretto e degli occhi, che risaltavano nel viso pallido come una macchia d'inchiostro su un foglio bianco. Le labbra sottili erano aperte in un caldo sorriso di benvenuto per la sua migliore amica. << Ciao Alex! Ti aspettavo, >> disse con quella sua voce dolce e vivace, come lei. Smise di muovere le mani aggraziate sulle corde, si alzò in piedi e ripose la chitarra al suo posto. << Le altre arrivano tra poco. >>
Alex annuì, poi si lasciò cadere pesantemente sul divano e tirò fuori dalla giacca le sigarette che solo Karen, oltre a lei, sapeva apprezzare, e se ne accese una. Black Devil, disse nella sua testa. Uno dei pochi piaceri della vita.
 Per fortuna nessuno dei suoi familiari aveva mai scoperto quest'insana passione per le sigarette aromatizzate, anzi nessuno aveva mai notato la sua passione per il tabacco. Se Steven se ne fosse accorto l'avrebbe detto ai genitori e lì sì che sarebbero stati cazzi amari.
I vaneggiamenti furono interrotti dall'ingresso di Karen nella stanza. La prima cosa che pensò Alex fu: ma non ha freddo? Indossava solo dei pantaloni al ginocchio neri, larghi, con una catena sulla destra, e una T-shirt bianca con delle scritte grigie. Aveva sfidato le pozzanghere con le sue All-Star nere e aveva perso: sembrava che fosse finita in una pozza fino alle caviglie. I capelli castani e lunghi fino alla vita erano coperti da un cappello nero, segno che si era dimenticata dove stesse di casa il pettine.
 << Ciao ragazze! >> alzò una mano in segno di saluto, prima di lasciarsi cadere sul divano. Si mordicchiò il piercing al labbro e spalancò gli occhi verdi in direzione della sigaretta, poi li alzò su Alex, speranzosa. << Mi dai un tiro? >>
Scroccona, rise dentro di sé lei, prima di cederle la sigaretta. Karen aspirò un paio di volte, prima di restituirgliela. << Iniziamo senza Candice? >> propose. Probabilmente moriva dalla voglia di farla entrare a prove già inoltrate. Le due ragazze amavano punzecchiarsi in qualsiasi modo comportasse l'irritazione dell'altra.
Alex e Sarah, ignare di tutto ciò, annuirono e imbracciarono i loro strumenti. Karen si sedette alla batteria, cercando le bacchette che, come tutto il resto delle sue cose, erano chissà dove. Forse persino a casa.
 << Ehm... gente, ho un problema! >> esclamò allora, tirando fuori la lingua. << Qualcuno ha visto le mie bacchette? >>
 << Forse sono dove le hai lasciate, >> disse una voce pacata. Una figura alta e davvero troppo magra si stagliò contro l'ingresso, coperta da pizzo nero e una camicetta di seta. Candice, il ritratto dell'eleganza e della grazia, era arrivata. Ticchettò con i suoi stivali di pelle fino al centro della stanza e scosse i capelli neri, lunghissimi e legati sulla cima del capo da un nastro di velluto nero. Incrociò le braccia proprio di fronte a Karen, che fece lo stesso con un moto di stizza. << Ah. Ah. Ah. >> Candice raccolse qualcosa da terra e glielo lanciò; la batterista, qualunque cosa fosse, lo prese al volo. Era una bacchetta.
 << Suona con una, >> disse ironicamente, suscitando sorrisetti in fretta nascosti nella bassista e nella chitarrista. Poi, si voltò e si avvicinò al microfono. Karen batté il tempo, anche se avrebbe tanto voluto tenerlo sulla testa della cantante. << Un, due... un, due, tre e quattro! >>
 Le prove iniziavano sempre con la stessa canzone, Black rain never ends. L'aveva scritta, come la maggior parte delle altre, Candice, ed era davvero un capolavoro. Purtroppo in pochi avevano avuto l'occasione di ascoltarla. Il sogno delle Frontal Smash era suonare in un locale, ma ciò non poteva avvenire quasi mai a causa dei loro vari impegni. Cercavano sempre, però, di mettere la band davanti a tutto. Era la cosa che le faceva stare meglio, che le accomunava tutte.
Suonarono per un paio d'ore, poi vennero le undici e Sarah dovette andarsene. << Mamma torna tra mezz'ora, sarà meglio farmi trovare a letto con la fronte bollente, >> si scusò prima di andarsene. Le altre tre si fermarono, indecise.
 << Io vado a farmi un giro, >> disse Alex, chiudendo il basso nella sua custodia. << Vengo con te >> propose Karen. Candice preferì rimanere a mettere alla prova l'estensione della sua voce.
Le due ragazze uscirono, una con le bacchette della batteria infilate precariamente in tasca, l'altra con un basso in mano e un moto di orgoglio stampato in faccia. Erano state prove fantastiche, se non le migliori che avessero mai fatto.
Camminavano su un viale dalle piastrelle larghe e costeggiato da file su file di alberi, mentre la gente tentava di schivarle e mantenere il passo frettoloso, a tratti sclerotico. Era una mattina tiepida, ed il sole, coraggioso, non esitava a combattere le nubi per pavoneggiarsi in mezzo al cielo. Le ragazze, in simbiosi, si mossero per attraversare la strada gremita di auto e di persone, seguite da una piccola folla di quindici, venti membri. << Come mai tutto questo casino? >> domandò Karen, perplessa. Alex fece spallucce in risposta, impegnata com'era a proteggere il suo prezioso basso. << Ehi! >> esclamò quando qualcuno la spintonò e glielo fece cadere. Si voltò per vedere chi fosse: un'innocua vecchina rugosa, dalla pelle ambrata e dagli occhi neri e troppo piccoli. Aveva un aspetto sgradevole, nonostante i vestiti ampi e colorati e innumerevoli scialli. Probabilmente era una zingara.
La folla le spinse lontano l'una dall'altra, lasciando il basso in mezzo alla strada. Alex doveva tornare a prenderlo. Fece per attraversare di nuovo, ma la moltitudine di auto non accennò a fermarsi, nemmeno quando vide una semplice custodia nera sull'asfalto.
A poco servirono le urla della ragazza, ancora a meno il clacson isterico del guidatore, che forse si chiedeva che cosa ci facesse una custodia – vuota – nella corsia.
 Alex si sentì come se avessero investito lei, non il basso. Il crack prodotto dall'oggetto più importante della sua vita fu come un paletto nel cuore. Corse a recuperarlo, incurante degli strombazzamenti delle altre auto. Lo tirò su, aprì la custodia, con la vaga speranza che fosse integro. No, era spaccato a metà.
Tutta colpa della vecchina.
Aguzzò lo sguardo, in cerca della zingara. Era sull'altro lato della strada e si stava allontanando a passetti veloci. << Io ti ammazzo! >> urlò Alex, piena di rabbia. Avrebbe voluto correrle dietro e riempirla di botte. Invece, tornò sconsolata da Karen, che le diede una pacca sulla spalla. << Magari si può riparare. >>
 Alex si stava chiedendo come. Non si era accorta del biglietto che la zingara aveva lasciato cadere nella sua borsa. Te lo riparo io. 35, Milltorn Road.
   
 
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