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Autore: hotaru    08/12/2009    3 recensioni
Turbata, incapace di capire perché, allungò una mano verso Minato. Quando sentì il suo corpo caldo e reale, il respiro tranquillo del sonno e la zazzera spettinata tra le dita, tirò inconsciamente un sospiro di sollievo.
C’era ancora. E ci sarebbe stato anche l’indomani, e i giorni seguenti.
Sentendo quella paura senza senso iniziare ad attenuarsi, si girò verso il bordo del letto, sistemando meglio la testa sul cuscino.
Ma quando spostò lo sguardo verso la finestra, al vedere le lunghe ombre di quella notte di luna piena il suo cuore ebbe di nuovo un sobbalzo.
E il bambino con lui.
Song-fic sulla famiglia Uzumaki sulle note di "Moonlight Shadow" di Mike Oldfield
Prima classificata al "Contest for the Images" di RoyxEd 4Ever e all' "Uzumaki Family Contest" di bacinaru e Mala_Mela
Genere: Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Naruto Uzumaki
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Moonlight Shadow Dato che è una song-fic, sarebbe meglio leggere questa storia ascoltando “Moonlight Shadow” di Mike Oldfield



Moonlight Shadow


Moonlight Shadow


“E se il Sole con la sua luce potente

continuava ad illuminare il lavoro degli uomini,
la Luna con la sua luce delicata
faceva spuntare i loro pensieri più profondi.”

(Anna Lavatelli)




The last that ever she saw him
Carried away by a moonlight shadow
He passed on worried and warning
Carried away by a moonlight shadow
Lost in a riddle that Saturday night
Far away on the other side
He was caught in the middle of a desperate fight
And she couldn't find how to push through
 
[L'ultima volta che lo vide
Trascinato via da un'ombra di chiaro di luna
Lui procedeva preoccupato e attento
Trascinato via da un'ombra di chiaro di luna
Perso in un fiume, lo scorso sabato notte
Lontano, sull'altra riva.
Si ritrovò coinvolto in una rissa disperata
E lei non poté trovare il modo di passare oltre]


Strinse spasmodicamente il cuscino fra le dita, scalciando con le gambe il lenzuolo che sembrava tenerla prigioniera.
C’era rumore. Un rumore sordo che si nascondeva nel silenzio. Udì una specie di stridio, un verso acuto che non sembrava affatto quello di un uccello. Si concentrò un attimo, cercando di capire a quale animale potesse appartenere.
Eccolo ancora, mentre le fronde degli alberi di Konoha stormivano nella notte. Non le era nuovo, ma non riusciva a ricordare…
All’improvviso, nella sua mente quel verso acuto venne associato ad un piccolo animale scaltro e fulvo, che aveva visto poche volte in vita sua.
“Una volpe.”
La notte era splendida, e la luna piena bastava ad illuminare la foresta attorno a lei, le ombre lunghe che avvolgevano dolcemente ogni cosa. Ma pochi istanti dopo queste iniziarono ad accorciarsi, segno che una luce più intensa si stava avvicinando.
E iniziò a sentire caldo, molto caldo.
Come quando, d’inverno, si avvicinava ad un camino dove le fiamme crepitavano allegramente.
Sentiva la pelle delle braccia e della schiena scottare sempre di più.
Di nuovo quel verso.
Si voltò, perché un ninja non offre mai la schiena al nemico.

E ciò che vide, fu soltanto il fuoco.


Spalancò gli occhi nella notte, sudata e ansimante. Come se l’afa d’agosto non bastasse a rendere l’aria soffocante, sentiva ancora le braccia scottare.
La pelle sul ventre le tirava come non mai, e cominciò ad accarezzarla lentamente, cercando di calmare sé e il bambino.
Ormai era praticamente sicura che fosse un maschio, perché si agitava e scalciava allegramente almeno dieci volte al giorno, ma quella sera sembrava impazzito.
Stava iniziando a farle male, così si abbracciò la pancia, tentando di quietarlo parlandogli piano.
- Tranquillo, tranquillo… - sussurrò, più dolcemente che poté – È stato solo un brutto sogno, mi spiace di averti spaventato… tua madre non dovrebbe mangiare ramen bollente in piena estate, viste le conseguenze… -.
- Mmm… Kushina? Qualcosa non va? – mugugnò una voce al suo fianco, agitandosi leggermente nel letto.
- No, non preoccuparti. Ho solo un po’ di mal di stomaco, torna a dormire -.
- Mmm… - Minato non tentò nemmeno di aprire gli occhi, perché non ci sarebbe riuscito. Era tornato quella sera da una missione di tre giorni durante la quale non aveva praticamente dormito, e ora si sentiva come un masso nel letto di un fiume. Incapace di muoversi.
Nonostante le parole rassicuranti che aveva rivolto al bambino e a Minato, Kushina non si sentiva affatto tranquilla. Era normale che l’inquietudine di un incubo persistesse anche da svegli, ma il turbamento non sembrava voler passare.
Forse perché, essendo incinta, era più vulnerabile. O magari era la canicola estiva, che rendeva pesanti e reali persino i tratti soffusi di un sogno.
Cercò di riaddormentarsi, ma il sonno sembrava averla abbandonata.
Turbata, incapace di capire perché, allungò una mano verso Minato. Quando sentì il suo corpo caldo e reale, il respiro tranquillo del sonno e la zazzera spettinata tra le dita, tirò inconsciamente un sospiro di sollievo.
C’era ancora. E ci sarebbe stato anche l’indomani, e i giorni seguenti.
Sentendo quella paura senza senso iniziare ad attenuarsi, si girò verso il bordo del letto, sistemando meglio la testa sul cuscino.
Ma quando spostò lo sguardo verso la finestra, al vedere le lunghe ombre di quella notte di luna piena il suo cuore ebbe di nuovo un sobbalzo.

E il bambino con lui.



The trees that whispered in the evening
Carried away by a moonlight shadow
Sing a song of sorrow and grieving
Carried away by a moonlight shadow
All she saw was a silhouette of a gun,
Far away on the other side
He was shot six times by a man on the run
And she couldn't find how to push through.

[Gli alberi che sussurravano nella notte
Trascinato via da un'ombra di chiaro di luna
Cantano una canzone di dolore e tristezza
Trascinato via da un'ombra di chiaro di luna
Tutto quello che vide fu la figura di un uomo
Lontano, sull'altra riva
Venne colpito per sei volte da un uomo per la strada
E lei non trovò il modo di passare oltre]


- Tua madre mi odierà, lo sai? – mormorò al piccolo che teneva stretto fra le braccia, mentre balzava da un albero all’altro – Ma è meglio così… sarà meglio così -.
Le notti di ottobre si andavano facendo sempre più fredde, ma non sembrava che Naruto ne soffrisse particolarmente. Avvolto nella coperta e stretto al petto di suo padre, lo fissava con gli occhi sgranati, anche se a rigor di logica non poteva ancora vedere alcunché.
La luna piena li illuminava con la sua luce bianca, rendendoli di riflesso quasi grigi.
Pur sapendo che si stava comportando da vigliacco, Minato non riusciva nemmeno a guardare negli occhi suo figlio.
Perché, malgrado gli avessero spiegato che i neonati potevano vedere al massimo qualche ombra, gli sembrava che lo stesse fissando con la stessa aria di rimprovero che ogni tanto assumeva Kushina.
Mi stai facendo questo. Perché?
Lei insisteva col dire che non era giusto che Naruto avesse preso dal padre sia gli occhi che i capelli, e ogni volta Minato si grattava perplesso la testa. Osservava suo figlio, poi Kushina, e non capiva.
Mi stai rovinando la vita- se riuscirò a sopravvivere. A me, tuo figlio. A lei l’hai già rovinata.
Perché?
Gli occhi erano quelli di Kushina, né più né meno. La stessa forma, lo stessa energia, lo stesso… tutto. Solo il colore era diverso.
Ma gli occhi erano i suoi, e lo stavano perforando col loro risentimento.

Nemmeno il tempo di imparare a dire “papà”, e gli stava già urlando addosso.



I stay, I pray
See you in heaven far away.
I stay, I pray
See you in heaven one day.

[Io rimango, prego
Ti vedrò in paradiso, lontano
Io rimango, prego
Ti vedrò in paradiso un giorno]


Dov’era lei mentre il blu della notte si colorava di cremisi?
Mentre Minato sacrificava se stesso e il loro unico figlio?
Era bastato il sacrificio di uno- di due- a salvare Konoha. Per quel che le riguardava, avrebbero potuto sacrificare l’intero villaggio pur di salvare lui.
Faticava a trattenersi dal piantare un kunai nel petto di chi, per strada, guardava suo figlio come un mostro.
Come osavano?
Era un ninja, era stata educata alla guerra e a tutto ciò che essa comporta, a morire e ad uccidere per il successo di una missione.
Ma, forse complici gli ormoni post-parto, sentiva fin troppo spesso montare una rabbia cieca contro tutto questo.
Li avrebbe sacrificati tutti- tutti- pur di riaverlo indietro. E non se ne sarebbe pentita.



Four a.m. in the morning,
Carried away by a moonlight shadow.
I watched your vision forming,
Carried away by a moonlight shadow
 Stars move slowly in the silvery night
Far away on the other side
Will you come to tell to me this night?
But she couldn't find how to push through
[Le quattro del mattino
Trascinato via da un'ombra di chiaro di luna
Ho visto il tuo fantasma formarsi
Trascinato via da un'ombra di chiaro di luna
Le stelle si muovono lentamente nella notte d'argento
Lontano, sull'altra riva
Mi verrai a parlare questa notte?
Ma lei non trovò il modo di passare oltre]


Quel letto era diventato troppo grande per lei, e troppo vuoto. Quindi spesso e volentieri portava Naruto a dormire con sé, cercando di riempirlo un po’.
Se tutto fosse stato come avrebbe dovuto, non l’avrebbe mai fatto: sapeva benissimo che quello era il modo migliore per viziare un bambino, ma Naruto non correva questo pericolo. Non quando al mondo c’era un’unica persona che si curasse di lui.
Ma era un’arma a doppio taglio, perché quando si svegliava, di notte, e vedeva quella zazzera bionda sul cuscino accanto al suo, per un folle istante pensava che… sperava che…
Invece poi Naruto mugugnava nel sonno e si rigirava, scoprendosi e mostrando il pigiamino verde.
Allora lei lo copriva, rimboccandogli le coperte e assicurandosi che non fosse troppo vicino al bordo del letto, costringendosi a non piangere. Per non svegliarlo.


Una notte però, un’altra notte di sonno cattivo e leggero, quando aprì gli occhi trovò il letto vuoto.
Le coperte scostate, il cuscino ancora stropicciato.
Allarmata, si era alzata all’istante, chiedendosi dove potesse essere andato a finire un bambino di due anni che portava ancora il pannolone.
Era una fredda notte di novembre, una di quelle che preannunciano l’arrivo dell’inverno, gelida e spietata. La temperatura stessa della camera era piuttosto bassa, tanto che nel momento in cui lasciò le coperte Kushina sentì un brivido di freddo.
Ma ne provò un altro quando vide dov’era Naruto.

A poca distanza dalla finestra, seduto sul pavimento gelato, c’era il suo bambino illuminato dalla luce della luna. Lo sguardo fisso, osservava qualcosa che si trovava fuori, nel buio, con la stessa attenzione di un animale che ascolta i rumori della notte.
Kushina fece per avvicinarsi, gli occhi puntati in quelli di suo figlio, che sotto quella luce argentea sembravano quasi grigi.
Ma l’istante successivo si bloccò, mentre un formicolio di terrore le serpeggiava sotto la pelle, dalla schiena alle orecchie alle dita dei piedi.
Perché era sicura- era certa- che per un momento negli occhi di Naruto fosse comparso un riflesso scarlatto.

Ma si costrinse ad avanzare, perché una madre non può avere paura di suo figlio.

Si sedette sul pavimento dietro di lui, prendendolo in grembo e sentendolo molto più caldo di quanto si fosse aspettata. Sulla pancia scottava.
Fu tuttavia sollevata quando il bambino sollevò un braccio per indicare qualcosa fuori dalla finestra. La luna.
Piena e tonda e luminosa, come solo nelle notti più fredde sapeva essere.
Grande e bianca, con quelle macchie scure dei crateri che sembravano delineare la figura di qualcosa. Di qualcuno.
- Lo sai, Naruto? – mormorò piano al suo orecchio, mentre i capelli le cadevano di lato – Quello è l’uomo della luna. Vive lassù da sempre, ma nessuno sa chi sia. Potrebbe essere chiunque, perché nessuno l’ha mai visto da vicino… -.
Quella era una vecchia favola universale, conosciuta a Uzu quanto a Konoha. A tutti i bambini veniva raccontata, e tutti l’avrebbero raccontata ai propri figli.  
Naruto voltò la testa verso di lei, e Kushina provò un moto di felicità nel vedere i suoi occhi di nuovo azzurri. Non grigi per il riflesso della luna, né rossi per… per quello.
Azzurri. Come quelli di suo padre.
- Papà? – domandò il bambino.
Sua madre sussultò.
- Come? -.
Naruto puntò di nuovo il dito verso la luna, insistente.
- Papà? – ripeté convinto.
Kushina rialzò il capo, guardando l’astro in cielo, vedendolo forse per la prima volta.
Strinse gli occhi, fingendo di studiare la forma di quelle macchie scure, per evitare che si riempissero di lacrime.
- Sì – sussurrò, per non fargli sentire che la sua voce si era incrinata – Forse papà -.

 

I stay, I pray
See you in heaven far away.
I stay, I pray
See you in heaven one day.
 
[Io rimango, prego
Ti vedrò in paradiso, lontano
Io rimango, prego
Ti vedrò in paradiso un giorno]


Quando rimise Naruto a letto, quella notte, dopo una manciata di minuti si alzò e tornò alla finestra. Scalza, incurante del freddo.
Appoggiò le mani sul davanzale, il fiato caldo che appannava leggermente il vetro.
- Ha ragione lui? – mormorò, deglutendo per scacciare il nodo in gola – Sei tu? -.
Le stelle ammiccavano, splendide e mute.

Kushina si asciugò il viso bagnato e tornò a dormire.



I primi giorni Naruto era insaziabile, aveva sempre una fame da lupo. Era incredibile quanto latte riuscisse a starci in quel pancino minuscolo.
- Mi sa che fra un mese ci toccherà passare ai cibi solidi! – scherzava suo padre, mentre Kushina prendeva gli asciugamani per andare a farsi un bagno.
Quando tornò, trovò il neopapà su di giri, tutto contento mentre Naruto piangeva come un pazzo.
- Ma… cosa…? -.
- Guarda questa! – esclamò Minato, tirando su Naruto e avvicinandolo al suo viso. In mezzo secondo la bocca del neonato si attaccò alla prima sporgenza che trovò: in altre parole al naso del padre.
Kushina scoppiò a ridere, sbigottita.
- Questa, poi! -.
Naruto continuava a succhiare, convinto che sarebbe riuscito a far uscire qualcosa persino dalla punta di un naso. Maschile, per giunta. Ci metteva tutto il suo impegno, e le guance stavano iniziando a diventare rosse per lo sforzo, mentre il padre ridacchiava di gusto.
- Dai, povero piccolo! Ha ragione lui, è ora di mangiare. Dallo a me – disse Kushina, ancora incredula.
Minato fece non poca fatica a staccarlo. Naruto esercitava una pressione tale che gli lasciò il naso tutto rosso, come se gli si fosse appiccicata una ventosa.
- Ne ha di forza, il piccoletto! – esclamò, mentre Kushina se lo sistemava fra le braccia.
- Sembri ubriaco! – ribatté lei.
Minato si sfregò il naso col palmo della mano, cercando di fargli riprendere sensibilità.
- Va meglio? – chiese.
- No! – fece Kushina con una risata.
L’unico serio era Naruto, tutto impegnato nella poppata.


… perché non era potuto rimanere tutto così?


Far away on the other side

[Lontano, sull’altra riva]


A lui non l’aveva mai detto, ma la cosa che adorava di più era infilare le dita fra i suoi capelli. Che sembravano tanto ispidi al vederli, ma si rivelavano morbidissimi al tatto.
E poi sentirlo, mentre la toccava dove sapeva, in quei punti che conosceva soltanto lui, perché era l’unico uomo che l’avesse mai sfiorata in vita sua.
Sentire quei baci al sapore di ramen- dopo qualche cena- perdere mano a mano il gusto del cibo, finché rimaneva soltanto il suo.
E perdere il controllo del proprio corpo, mentre l’odore e il sudore si mescolavano, fino a non capire più dove cominciasse lei e finisse lui.
Come in Naruto: dov’era che terminava la natura della madre e cominciava quella del padre? E dove iniziava Naruto Uzumaki nella sua individualità?
Era di notte che sentiva particolarmente freddo, sia d’inverno che d’estate, perché il tepore delle coperte e l’afa di luglio non erano nulla rispetto a quando la sua pelle si faceva bollente. Le mani che le si infilavano sotto i vestiti potevano anche essere fredde, all’inizio, ma più erano gelide più lei si sentiva andare a fuoco.
Probabilmente non avrebbe mai più provato niente del genere in vita sua.

Ma non poteva negare che fosse bello, quando Naruto la mattina si svegliava prima di lei e le si arrampicava addosso. Lei che spesso riusciva a prendere sonno soltanto alle prime luci dell’alba, e dormiva profondamente finché non si ritrovava quella scimmietta calda sulla schiena, che faceva versi strani e chiamava “Mamma”.
Allora lei allungava piano una mano e lo afferrava per una caviglia, mentre Naruto ripiombava sul lettone ridendo come un matto.

 
Ecco, allora forse qualcosa di buono era rimasto.


Caught in the middle of a hundred and five
The night was heavy and the air was alive
But she couldn't find how to push through

[Preso nel mezzo di centocinque
La notte era pesante e l’aria era viva
Ma non trovò il modo di passare oltre]


Carried away by a moonlight shadow…

[Trascinato via dall’ombra del chiaro di luna]



Moonlight Shadow 2



E questa è l'ultima storia che pubblico nel fandom di Naruto (a parte un certo capitolo di una certa storia che avevo promesso di scrivere... e prima o poi lo farò, o almeno lo spero).
Sono felice che questa one-shot sia arrivata prima a entrambi i contest a cui ha partecipato, anche perché è stata ispirata un po' da tutti e due.
Quindi ringrazio RoyxEd 4Ever per il "Contest for the Images" e bacinaru e Mala_Mela per l' "Uzumaki Family Contest".

Spero che quest'unico esperimento sugli Uzumaki possa piacervi, anche perché l'ho scritto sulle note della canzone che in assoluto preferisco.
Non è affatto originale, ma mi è piaciuto scriverla. Perché la bellezza della famiglia Uzumaki, secondo me, sta nel fatto che sono stati una stella cadente, un fuoco d’artificio.
Due ragazzi innamorati col loro bambino appena nato. Non c’è stato abbastanza tempo perché sorgessero i problemi convenzionali di tutte le famiglie, con la loro routine e la quotidianità.
Ci sono vari brani, ricordi slegati fra loro, non sempre in ordine cronologico, ma spero che ciò non risulti complicato.
Ho voluto prendere in esame ciò che secondo me sono i vari momenti di una famiglia: momenti madre-figlio, padre-figlio, il rapporto tra i genitori e il tempo passato tutti insieme.
È una what-if, in quanto Kushina, dopo che Kyuubi è stato sigillato nel corpo di Naruto e Minato è morto, non scompare. Questa storia vorrebbe raccontare come potrebbe essere stato se Kushina fosse rimasta con Naruto, almeno i primi tempi.

La dedico a mia madre- anche se non la leggerà mai- che non si è persa d'animo nemmeno quando è mancato il suo, di Minato.
   
 
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