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Autore: RubyChubb    08/12/2009    0 recensioni
Un giorno in più o in meno dentro a quel carcere non faceva ormai molta differenza per lei, che ormai vi aveva passato tre anni e mezzo della sua vita per un fatto che aveva commesso con piena e riconosciuta colpa. Non si era mai dichiarata innocente, la coscienza e l’evidenza dei fatti non glielo avevano permesso. Un mese in più o in meno, invece, cominciava a fare sentire il suo peso. Se poi pensava a quattro anni tagliati tutti d’un colpo, Meg poteva mettersi a piangere dalla felicità. E fu infatti quello che fece. Camminava e piangeva, con le mani bloccate all’altezza del bacino non poteva asciugare le lacrime, ma non le importava. Una volta tornata in istituto avrebbe chiamato i suoi, a casa, per riferire la notizia. Non erano venuti: papà si era fatto prendere dalla febbre stagionale ed il tribunale scatenava in mamma dei violenti attacchi di panico. Diciotto mesi e tutto sarebbe finito.
Genere: Drammatico, Generale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO UNO



Faceva uno strano effetto sedersi di nuovo davanti ad un banco, immagazzinata nella terza fila di un’aula piuttosto gremita di persone. L’ultimo suo giorno di scuola risaliva a molto tempo prima: Meg non aveva avuto nemmeno il tempo di terminare l’anno scolastico, la sentenza era stata emessa frettolosamente ed aveva ottenuto il diploma con un esame dato dietro alle sbarre. Il suo caso era stato così evidente che gli avvocati non avevano potuto fare altro che accettare ciò che il giudice aveva sviolinato in prima seduta, non c’era stato niente da fare, tranne i ricorsi che le avevano ridotto la pena per buona condotta.

Si sentiva la più piccola di tutti e doveva proprio esserlo: attorno a lei detenute donne di ogni età, compreso qualche uomo, cosa che la fece sentire piuttosto a disagio. Molto probabilmente, data la scarsa presenza maschile, avevano deciso di accorpare i due generi sessuali, risparmiando così tempo ma soprattutto denaro.
Meg aveva scelto quel corso per uno scopo preciso e piuttosto pratico: dato che nell’ultima e conclusiva sentenza del tribunale il giudice l’aveva destinata alla frequenza di un programma per il reinserimento lavorativo, e data anche la scarsa offerta formativa prevista dal carcere, aveva optato per il corso di giardinaggio di base ed operatore ortofloricolo. Mamma e papà gestivano da anni un vivaio, una volta uscita avrebbe potuto trovare una piccola sistemazione temporanea presso di loro, prima di cercare qualcosa di meglio. Non aveva mai avuto il pollice verde, ma la necessità faceva l’uomo capace di adattarsi a qualsiasi situazione… Era così il proverbio, vero?
Non si sentiva meno colpevole dei detenuti intorno a lei, eppure una briciola di lei pensava di esserlo. Tranne i cinque uomini presenti, provenienti dalla sezione maschile, conosceva tutte quelle donne, dalla prima all’ultima. Sapeva il loro nome, per quale motivo erano state confinate lì dentro e se era sano parlare con loro. Un buon trenta per cento di quelle persone era per lei off limits, la restante parte le rimaneva indifferente oppure amica. Purtroppo, come in una scuola, anche il carcere aveva quelle regole di convivenza: c’era a chi stava sul cazzo, chi non la filava di striscio e c’era anche chi mangiava con lei.
Meg sapeva di non essere un tipo simpatico, ma neanche troppo antipatico. La sua compagna di cella, Rachel, le diceva di essere una dritta, che nel linguaggio intramurario significava essere una persona tranquilla e che non rompe troppo le scatole alla prossima sua. Rachel, invece, si definiva una storta, una che non ci pensava due volte e decideva sul momento se ficcarti una scarpa su per il culo, obbligandoti a conservarla lì per almeno sette giorni. Ma Rachel, a differenza di Meg, aveva quarantadue anni, due palle cubiche, un marito con una pallottola in mezzo agli occhi e una figlia che molto probabilmente non sapeva nemmeno che sua madre si trovasse in carcere, dato che era stata data in affidamento ad una famiglia che viveva in capo all’Irlanda del Nord.
Lì dentro ognuna di loro aveva la sua storia tragica.
Lì dentro ognuna di loro sapeva perché vi si trovava.
Lì dentro ognuna di loro era dritta o storta e le due fazioni si equilibravano piuttosto bene, senza fondersi.
Lì dentro, Meg era una dritta che condivideva la cella con una storta.
Erano quelle come Rachel a definirla una dritta, mentre le dritte pensavano che fosse una storta. Non era molto chiaro nemmeno a Meg stessa, ma l’importante era essere lasciata in pace da entrambi i gruppi, soprattutto dalle storte. Si sentiva come una secchiona tra i bulli, per poi essere capace di fare la prepotente con i quattrocchi, ma quel suo particolare status le evitava tanti problemi. Poteva essere ‘amica’ di Rachel e scansare molti delle complicazioni che le dritte si trovavano ad affrontare nel loro problematico e burrascoso rapporto con le storte, ma non ne era del tutto esente.
Quando nella classe incrociò infatti lo sguardo di una di loro, quella le si avvicinò e le sussurrò in un orecchio di essere la figlia della più grande troia che popolava il loro mondo, ma non erano le parole a farle del male. Erano i pugni nei reni ricevuti nelle docce, quelli sì che facevano un cazzo di male. Una volta ne aveva presi così tanti che non era riuscita ad andare in bagno per una settimana: l’avevano tenuta in infermeria per due giorni.
Era quella la vita del carcere, aveva fatto tesoro di tanti piccoli e grandi insegnamenti giorno dopo giorno, custodendoli gelosamente per tenersi lontana dai guai e non farsi notare troppo, sebbene fosse inevitabile. Erano solamente trecento donne, le nuove arrivate erano frequenti ma non quelle di diciotto anni appena compiuti, con i capelli rossi e una condanna fresca a dieci anni di reclusione. Come lei molte altre, chi per prostituzione, chi per spaccio, chi per furto aggravato, ma forse fu il colorito acceso dei suoi capelli ad attirare l’attenzione su di lei.
Al tempo erano stati di una tonalità piuttosto riconoscibile, un arancione decisamente inevitabile da nascondere, ma con il tempo era sparito.
Stupidi vani pensieri, si disse Meg.
Si sentì lo sguardo di uno degli uomini su di sé, tanto che dovette fargli un eloquente gesto per scrollarselo di dosso ma non fu molto efficace. Per lei, i detenuti della sezione maschile erano individui da castrazione chimica obbligatoria, guardavano le donne come se fossero state le uniche sulla faccia della terra, poi passavano il tempo a gettare saponette a terra e sfogarsi suoi loro compagni di cella e di sesso. C’erano pochi giorni all’anno in cui le capitava di condividere il suo tempo con quegli esseri ed erano essenzialmente il pranzo di Natale, l’ultimo dell’anno e la domenica di Pasqua.
I giorni peggiori, e non per la loro presenza.
La volontà di sentirsi forzatamente felici e contenti in quei tre giorni le faceva venire sempre il voltastomaco. Il primo anno aveva passato le festività a piangere sul suo piatto, lei come molte altre delle nuove, poi ci aveva fatto l’abitudine. Avrebbe dovuto passare dieci dei suoi Natale in carcere, doveva solo rassegnarsi ed attendere. Era sempre stata una ragazza piuttosto paziente e, sebbene avesse avuto periodi di forte depressione, per il momento stava bene. La prospettiva di essere presto libera le accorciava le giornate.
E quella, come i quattro mesi successivi, la passò per quattro ore seduta dietro ad un banco ad imparare. Docenti giovani e vecchi, simpatici ed antipatici, insegnarono loro la ciclicità della natura, la difesa delle piante, la lavorazione del suolo e così via. Prese appunti, venne esaminata, imparò a far diventare verdastro il suo pollice bianco. C’erano alunne più brave di lei, gli uomini erano degli asini, ma non se la cavò male. Una volta alla settimana venivano portati nell’orto del carcere, uno spazio di quasi un ettaro circondato dalla striscia finale delle mura, nel quale avveniva la dimostrazione pratica di quello che era stato loro insegnato.
All’inizio del quinto mese scelsero se specializzarsi nella floricoltura o nell’agricoltura: Meg si stupì, moltissime donne preferirono dedicarsi alla semina e alla coltivazione degli ortaggi e della frutta, piuttosto che ai fiori. Molto probabilmente perché la serra era degna del nome che portava, i fiori erano molto più difficoltosi da gestire rispetto ad un patata o ad un grappolo d’uva, ed il corso si protraeva per un mese un mese. Oltretutto, nei mesi invernali il lavoro agricolo era drasticamente ridotto, mentre in serra gli impegni andavano avanti ad oltranza.
Meg pensava al vivaio di famiglia, ne aveva parlato con suo padre e gli era sembrato piuttosto contento. Non aveva sprizzato gioia da tutti i pori, in fin dei conti la sua unica figlia era stata messa in prigione con l’accusa di omicidio, ma nonostante la stanchezza delle sue risposte e l’usuale freddezza, i rapporti con mamma e papà erano piuttosto tranquilli. Certo, se n’era dovuta convincere. Spesso si era trovata a pensare che fosse soltanto il legame di sangue che teneva vivi i contatti, poi Rachel l’aveva fatta ragionare, stanca dei suoi lamenti notturni.
E’ stata una casualità.”, le aveva detto, piuttosto che sentirla ancora piangere nel sonno, “Sei una persona essenzialmente buona. Non uno stinco di santo, sei stronza e pure figlia di puttana quando ti ci impegni, ma non sei cattiva.”
Nemmeno tu sei cattiva, Rachel.”, le aveva risposto Meg.
Ci vuole un certo coraggio a puntare una pistola sul viso di tuo marito e premere il grilletto, non penso di essere buona.”
E io cosa ho fatto?”, aveva controbattuto.
Tu hai fatto l’imbecille.”
Ci aveva pensato a lungo, poi si era detta che, piuttosto che impazzire, Rachel doveva aver avuto ragione. Era stata un’imbecille, tutto era successo per errore, era su quelle stesse basi che si era stabilita la sua difesa in tribunale. Quindi se i suoi rispondevano alle sue chiamate, le mandavano i soldi e le cartoline per Natale era perché avevano chiuso entrambi gli occhi sulla sciagura vivente rappresentata dalla loro figlia.
Non sarebbe mai stato come prima, Meg non era più la luce nei loro occhi. Non le volevano più bene, lo sapeva, era solo una questione di essere genitori e figlia, ma constatare che comunque non l’avevano completamente esclusa dalla loro vita l’aveva aiutata nel mantenere la salute mentale. Passare da essere una ragazza perfettamente normale e tranquilla, con una buona carriera scolastica e un sacco di amici in rubrica, al trovarsi segregata dentro quattro mura, di cui una composta da sbarre di ferro spesso, era stato uno trauma impossibile da gestire con le sue mani di diciottenne.

***

Meg, dormi, per cortesia.”
Non poté fare a meno di voltarsi di fianco, la brandina scricchiolò sotto al suo peso e Rachel borbottò ancora.
Meg, vuoi un pugno nello stomaco?”, sbraitò la donna, che dormiva nel letto sotto al suo.
Udirono entrambe una voce incazzata proveniente dalla cella accanto alla loro -Meg non seppe riconoscere se fosse appartenuta a quella tossica di Della o alla pazza isterica di Caroline- le pregò coloritamente di tapparsi le bocce.
Fatti i cazzi tuoi, stronza!”, le rispose subito Meg, “Allora, Meg, ti decidi a dormire o no?”
La ragazza sbuffò e tornò supina.
E’ solo il tuo primo giorno di lavoro, perché ti agiti così tanto!”, esclamò ancora Rachel.
L’ultima volta che aveva impiegato la sua manodopera in qualcosa aveva ucciso un tizio. No, Meg non era affatto nervosa. Il battito del suo cuore non era accelerato, la frequenza del suo respiro non era a livelli allarmanti, né le sue mani sudavano freddo. Era il ritratto della calma.
Avanti, dimmi tutto.”, la esortò Rachel, “Parla con mamma tua.”
Niente, mi è venuto sonno.”
Ok, come vuoi. Mantieni la tua promessa e lasciami dormire, che domani ho l’udienza per il ricorso.”, la avvertì Rachel.
Rimarrai qui a vita…”, sottolineò Meg.
Lo so, cosa vuoi che me ne importi.”, disse l’altra, come ogni volta, “Qua ho un tetto, cibo e riscaldamento d’inverno. Perché dovrei voler uscire?”
Per vedere tua figlia, si disse Meg, ma non parlò. L’ultima volta che lo aveva fatto, Rachel le aveva rifilato uno schiaffo così doloroso che aveva temuto di perdere un paio di denti. Meglio non metterla di fronte alle sue debolezze, aveva imparato Meg, non le serviva qualcuno a rinfacciarle gli errori della sua vita.
Notte.”
Notte notte.”
La promessa non venne mantenuta, Meg non si addormentò e forse neanche Rachel, ma non era necessario che se ne accertassero.

***

Due detenuti senior erano a capo dei gruppi Margherita e Pomodoro, nomignoli che dividevano rispettivamente coloro che avevano optato per la floricoltura da quelli che volevano giocare ai contadini. Erano i loro responsabili, quelli che guidavano i lavori e a cui tutti loro dovevano fare riferimento. Anche loro avevano frequentato il corso, ma ben tre anni prima: Meg non conosceva l’uomo a capo dei Pomodoro, si chiamava Ned ed era un tipo piuttosto anonimo. Disse sarebbe uscito presto, ebbe piacere di comunicarlo con la gioia negli occhi.
La sua capa, invece, si chiamava Daisy e non era un’ironia. Una margherita a capo delle margherite. Dopo una rapida occhiata, Meg si chiese quale crimine poteva aver commesso per starsene in carcere: aveva due gambe così lunghe da sembrare una modella ed il suo viso era altrettanto bello, il sorriso luminoso.
Bene, seguitemi!”, Daisy e Ned chiamarono a rapporto i componenti dei loro gruppi, che si divisero.
Meg si mise in cammino verso la serra, insieme ai suoi dieci compagni: otto donne e due uomini. Insieme a loro le guardie destinate alla sorveglianza, un uomo ed una donna, a cui Meg non prestò alcuna attenzione. Era ormai abituata ad essere seguita a vista d’occhio e, nonostante nei suoi primi tempi fosse quasi caduta in una sorta di mania di persecuzione, gli agenti di polizia non le facevano più effetto. Erano come le erbacce nel prato, impossibile liberarsene.
La porta della serra si aprì e l’impatto con l’atmosfera interna fu piuttosto forte. Era primavera inoltrata, fuori si respirava un’aria deliziosamente profumata, mentre lì dentro il caldo e l’ammasso stridente di essenze diverse le fece girare la testa, tanto che fu costretta a tapparsi il naso.
Ci farai l’abitudine.”, disse Daisy con un bel sorriso amichevole, “Altrimenti ci sono i fagioli che ti aspettano!”
Risate e prese di giro. Altro che sorriso amichevole…
La lezione pratica iniziò e, per prima cosa, ci fu una lunga interrogazione che toccò tutti loro, nessuno escluso. Daisy si divertì anche con i due agenti di polizia, che non azzeccarono nessuna delle risposte e si limitarono a ridacchiare mestamente con i detenuti, colpevoli di ignoranza. Tutti furono esaminati, solo una piccola percentuale poté dire di aver fatto una buona impressione su Daisy e Meg non ne faceva parte.
Perfetto.”, disse il loro capo, “Ora vi dividerò in due gruppi: chi è stato promosso continuerà la lezione con me. Chi è stato bocciato, poterà tutti i vasi fuori dalla serra per il bagno di sole giornaliero.”
Meg la maledisse con tutto il cuore.

***

Imparò presto di non essere sotto l’ala protettrice di Daisy, lei come altri quattro detenuti: cinque pupilli e cinque asini, che matematica perfetta. Nella settimana successiva furono tartassati di domande, messi sotto pressione come se dalle loro risposte fosse valsa la vita di un condannato a morte, quando invece le uniche a rimetterci qualcosa erano le loro schiene, che dovevano accollarsi il peso di quei giganteschi vasi.
Tutti i giorni.
Oltrettutto, Daisy aveva stabilito due turni, mattina e pomeriggio. Cinque componevano la sottosezione Margherita Uno, gli altri erano confluiti in Margherita Due. Che fantasia. Meg si trovò insieme a due dei quattro poco sopportati da Daisy: Annelise, la cinquantenne in menopausa, e Carlos, lo spagnolo pieno di tatuaggi e di pearcing alle orecchie. Erano stati ripartiti, così da avere sempre qualcuno pronto a far uscire i vasi, qualcun altro a rimetterli a posto.
Che vita fantastica. Meg si chiese quale punizione stesse toccando ai loro colleghi Pomodori Cattivi… Forse dovevano spalare il concime. Alla fine della seconda settimana di lavoro le erano venuti i calli alle mani e la schiena aveva smesso di dolerle, tanto che Rachel tirò il suo ennesimo respiro di sollievo, non sentendola più lamentarsi alla notte per la fatica.
Sembrava non ci fosse stato altro compito per loro che spostare vasi, innaffiare le piante, controllare la preparazione del compostaggio -che altro non era che il concime ottenuto dalla fermentazione dei rifiuti organici prodotti dalle cucine- e redigere una specie di almanacco mensile in cui elencare tutti i lavori da eseguire settimana dopo settimana.
Il morale basso e l’incazzatura alta stava per produrre una sorta di ammutinamento nelle Margherite Due, tanto che Carlos si era già proposto per mettere una pastiglia di acido nelle bottiglie d’acqua delle Margherite Uno, sapeva come recuperare quella droga. Un’altra caratteristica delle carceri era la costante circolazione di oggetti e sostanze illegali, usate come moneta di scambio tra i detenuti. Poteva sembrare un paradosso, ma era la quotidianità e Rachel se ne intendeva molto più di Meg. C’era dentro, faceva parte di una sorta di comunione di interessi tra lei e qualche altra detenuta.
Prima che qualsiasi provvedimento venisse adottato, Daisy parve capire il loro malumore.
Bene, per questo pomeriggio ci occuperemo della potatura delle nostre rose.”, disse.
Dette loro le forbici da giardiniere, Meg osservò che erano tutte numerate, a prova di furto.
Prendetevi una pianta.”
Si sparpagliarono e scelsero.
I vostri compagni Margherite Uno vi hanno già preceduto, perché una prima potatura della rosa va sempre effettuata nel mese di maggio….”, ed il cervello di Meg si disconnetté immediatamente.
La voce di Daisy era melodiosa, da ninna nanna, e non le resisteva. Impiegò il proprio tempo ad osservare la rosa davanti a sé. Il colore dei boccioli era di un rosa piuttosto intenso, chissà se il fiore sarebbe rimasto di quel colore per sempre. La pianta era curata e perfettamente dritta, tenuta ferma da un sostegno in plastica verde. Si vedeva che era forte, nonostante un paio di foglie presentassero le piccole morsicature di qualche parassita, ma doveva essere stato eliminato in tempo.
Una guizzo più forte nella voce di Daisy la fece sussultare, con il risultato che la punta del suo dito, che era andato ad intrufolarsi tra i rami della pianta, si fece male contro una delle tante spine.
Attenta.”, la ammonì una voce alle sue spalle.
Non era quella di Carlos, piuttosto profonda e dall’accento inconfondibile. Meg fu costretta a voltarsi per capire da chi fosse provenuta.
Stai perdendo la lezione.”, le disse un volto in divisa.
Lo riconobbe, era l’agente che solitamente era a loro guardia insieme alla sua collega Evans, del reparto femminile. Meg si portò il medio alla bocca, nella speranza che potesse far cessare il dolore. Con un cenno di testa, la guardia la esortò di nuovo a prestare ascolto a Daisy.
Grazie, agente Jones.”, disse prontamente la loro insegnante.
Continua pure.”, concluse il tizio.
Sta seguendo la lezione con noi?”, domandò Daisy.
Meg fu certa che la donna stesse per arrossire e sbattere le ciglia per tre volte, come era solita fare quando si sentiva compiaciuta del proprio lavoro.
Potrei approfittare dei tuoi consigli e farmi bello con mia mamma.”, disse l’agente.
Da come pronunciò quelle parole, Meg comprese subito di avere a che fare con uno zotico agente del nord.
Non si finiva mai di incontrare della pessima gente in quel carcere.



La birra era la sua seconda migliore amica. La prima si chiamava… Non se lo ricordava, era piuttosto ubriaco. La memoria diventava sempre piuttosto labile quando il tasso alcolico superava i limiti di guardia, ma non gli importava. Non era lui che avrebbe dovuto guidare quella sera, Danny si sentiva tranquillo quando si affidava alle mani altrui. Doppiamente tranquillo, aveva due giorni liberi dal lavoro davanti a sé, non poteva chiedere di meglio. Li avrebbe passati sul letto, appollaiato davanti alla tv o appiccicato al culo di qualche suo amico.
Un giorno voglio tenere in mano la tua pistola…”
Si voltò alla sua destra. Un paio di occhi intensamente blu si aggrapparono ai suoi ed un sorriso malizioso e furbo si fece strada nei suoi pensieri.
Non sono ancora pronto per determinate esperienze.”, rispose Danny, “E poi la mia pistola è al sicuro.”
Dici?”, insinuarono quegli occhi, “Fammela vedere…”
Ok! Basta!”, irruppero altri occhi, di color nocciola, “Piantatela voi due!”
Tom è geloso.”, dichiarò Danny, “Era lui a volere la mia pistola per primo.”
Oh, fottetevi!”, esclamò Tom, alzandosi, “Io voglio andare a casa.”
Danny si scrollò di dosso Dougie, che insieme a Tom era uno dei suoi amici più stretti. In quella serata l’unico a mancare era Harry: il giorno dopo avrebbe dovuto sostenere il suo tanto agognato esame per l’abilitazione alla professione di avvocato. Doveva essersi segregato da qualche parte nel suo appartamento a ripassare leggi, decreti e qualsiasi altra mozione legislativa promossa dal loro parlamento e dalla cotanto amata Regina Madre.
Dai, andiamo.”, disse Dougie, cercando di mettersi in piedi e barcollando vistosamente, “Credo di averne abbastanza.”
Anch’io.”, rispose Danny, seguendolo con notevole fatica, “E non è l’unica cosa di cui sono stufo.”
Quali sarebbero le altre?”, gli chiese Dougie con voce biascicata, con scarso interesse.
Il mio lavoro. Fa schifo.”
Andiamo!!!”, li esortò ancora Tom che, per assicurarsi il rispetto della sua volontà, li prese entrambi per un braccio e li portò fuori dal locale, “Avresti dovuto capirlo molto tempo fa che non ti piaceva fare l’agente di polizia penitenziaria!”
A me piace!”, lo contraddisse subito, dondolando la testa, “Mi fa schifo quello che sto facendo adesso…”
Ah sì…”, borbottò Dougie, “La serra…”
Uscirono dal loro pub di fiducia, la porta si chiuse alle loro spalle con un tonfo e la strada vuota si riempì dello scalpiccio dei loro piedi.
Sono allergico alle piante!!!”, gridò improvvisamente Danny, “Le odio! Mi fanno schifo!!!”
Tom lo obbligò a sedersi in auto, costringendolo sul sedile posteriore con un gesto rapido e brusco delle mani. Ce lo spinse, appoggiò le dita sul suo petto e lo ficcò nella macchina. Dougie ebbe una sorte migliore: era lievemente più sobrio di lui e fu capace di accomodarsi senza alcun aiuto.
Pochi attimi dopo furono in moto sulla via di casa, con Tom che bolliva come un pentolone a pressione, Dougie che minacciava di vomitare da un momento all’altro e lui sdraiato sulla poltroncina, un braccio sugli occhi e la gola secca. Quell’ubriacatura si stava lentamente risolvendo in un pesante macigno sulle spalle. Una botta triste, come l’avrebbe chiamata Harry.
Passò le dita tra i riccioli corti, rimpiangendo gli anni in cui erano stati lunghi, come i ciuffi ribelli di Dougie e la frangia folta di Tom. Se li era dovuti tagliare per rispettare il regolamento che vigeva per tutti gli appartenenti al suo corpo di polizia. Non odiava affatto il suo lavoro, lo aveva scelto di sua spontanea volontà ed affrontava la quotidianità con la giusta dose di serenità. C’erano regole, comportamenti da tenere, contatti da evitare, superiori da rispettare e turni massacranti da sopportare, ma tutto quello andava bene a Danny.
Gli sarebbe piaciuto fare carriera, passare dall’essere un semplice agente a direttore di un carcere, perché no? Aveva sempre avuto il pallino di salire in alto e, con la calma e la pazienza di una formica, aveva presentato la sua domanda di iscrizione al corpo di polizia, frequentato il relativo corso, ed era stato poi destinato ad un carcere nel nord della Scozia. Vi aveva lavorato per due anni, poi lo avevano trasferito a Londra, nell’istituto Holloway, quella volta come la precedente lontano dalla sua casa natale, nei sobborghi di Manchester. Adesso erano quasi sei mesi che faceva parte degli agenti della Holloway.
Lì dentro vi aveva conosciuto Tom Fletcher, che correntemente lavorava come secondo cuoco all’interno della grande cucina dell’istituto. Durante le ore di lavoro, Tom nascondeva il suo ciuffo sotto ad una retina per capelli che lo rendeva ancora più buffo di quanto non fosse stato in realtà. Era un tipo piuttosto simpatico, lo aveva aiutato molto ad ambientarsi, soprattutto in città: il caos e la frenesia di Londra gli avevano dato alla testa dopo pochi giorni. Grazie a lui Danny aveva conosciuto Dougie.
Poynter non era esattamente un bravo ragazzo, come lo avrebbe definito sua madre. Per lei, infatti, solo chi aveva un buon lavoro, la faccia rasata ed i capelli corti poteva essere definito una buona persona, ma Danny lo conosceva, anche se da poco tempo. Passava le sue giornate nel posto che si pensava a lui meno adatto, dietro al bancone di una biblioteca a distribuire e catalogare libri; a guardarlo, Dougie poteva sembrare incapace di allacciarsi le scarpe, poi tutti rimanevano stupiti nel scoprire che aveva letto il cinquanta per cento della narrativa presente sugli scaffali polverosi della biblioteca.
Erano due settimane che non vedeva Harry, fossilizzato e chino sui suoi libri. Voleva diventare avvocato, si erano conosciuti in un aula di tribunale, durante uno processo a cui entrambi avevano partecipato. Danny come fresco agente della Holloway, Harry come praticante. Si era aggiunto al trio.
Scarico Dougie, tu rimani in auto.”, disse Tom, fermando l’auto al lato della strada.
Ok.”, rispose tossendo.
Ti ci chiudo dentro, una sicurezza in più.”
Non sarebbe fuggito da nessuna parte, non ne avrebbe avuto le forze fisiche e mentali. Era stanco, voleva solo dormire e riposarsi, farsi passare la tristezza che lo stava deprimendo. Non sempre le sue ubriacature finivano in quel modo, capitava raramente.
Nota mentale: non bere troppo quando non si è sobriamente di buon umore.
Per carità, non avrebbe avuto alcun problema se non avesse dovuto passare quattro ore del suo turno da nove a fare la guardia a detenuti del tutto tranquilli in una fottuta serra, oppure all’aria aperta, imbottito di antistaminici per tenere a bada la sua allergia ai pollini dei fiori.
A parte quello, tutto il resto andava piuttosto bene.
Tom tornò in auto e imprecò sonoramente.
Ho preso una decisione.”, disse Danny, quando percepì il movimento del mezzo.
Spara.”, borbottò il suo amico, del tutto disinteressato.
Da grande farò lo scrittore.”, si pronunciò.
Tom sbuffò una piccola risata. Danny si addormentò pochi attimi dopo.


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Grazie a quelli che hanno letto e che continueranno a seguire questa storia :)
Ruby


   
 
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