Londra, Inizi
dell’estate 1530 – War and Peace
“Allora indiciamo
nuove tasse!”
Sbottò Enrico
spazientito. Thomas, ma anche il duca di Norfolk lo guardarono e scossero la
testa.
“Maestà, il popolo è
già provato. Non sopporterebbe altre tasse, per una guerra poi..” Si azzardò a
dire lo zio di Anna Bolena.
“Allora voglio che
i nobili aumentino gli emolumenti dati al mio Tesoro. Le protezioni e i
vantaggi che concedo avranno pure un costo.” Replicò lui.
“Enrico, i nobili
danno già parecchio danaro alle casse.
Inoltre chi di loro verrà in guerra con te pagherà di tasca tutto il
proprio equipaggiamento. Non è saggio chiedere loro altri soldi..” Obiettò
gentilmente Thomas.
Enrico si massaggiò
le tempie doloranti. Quella riunione privata durava da due ore e non aveva
avuto nessun risultato se non quello di fargli venire un enorme mal di testa.
“Basta!!” Gridò
alla fine. I due consiglieri si guardarono, non troppo stupiti per la solita
esplosione di collera. “Fatemi andare a letto, signori. Domani ne riparleremo,
va bene?!” Norfolk e More si guardarono e poi annuirono, sparendo in pochi
secondi, dopo l’inchino di prammatica.
“Lei ti adora,
piccola..” Disse Maria.
Sedute in camera di
Isabel, le due principesse avevano deciso di passare la notte a finire di
cucire e sistemare gagliardetti e stemmi per la guerra ormai prossima. Di lì ad
un mese, inoltre, Maria sarebbe partita per la Francia, e quindi quella era una
delle ultime occasioni per una chiacchierata.
Stupita da quella
affermazione improvvisa, Isabel si voltò a guardare la sorella. Erano partite col
parlare di Francesco e Sten, poi avevano esaminato i loro sentimenti riguardo
ai rispettivi fidanzati e alle reciproche aspettative. Infine avevano continuato
coll’esaminare la situazione ormai logora tra i due genitori. Ancora una volta
Maria si rese conto della tangibile sofferenza della sorellina. Isabel confessò
il proprio rimorso per aver gareggiato in torneo, per aver perso la calma in
quel modo con la sgualdrina Bolena e per aver prima ancora accettato quel
ciondolo in dono. Era certa di aver messo in profondo imbarazzo sua madre, ed
anche se non lo disse in modo aperto, Maria immaginò temesse di aver perso il
suo affetto e la sua stima.
“So che mi vuole
bene, Maria. Lo sento e lo percepisco..” Rispose. “Ma so anche che non
esiterebbe un istante a trasferire su di me un po’ del tuo buon senso e della
tua maturità, se potesse farlo..” Ammise, con un sospiro e un sorriso. Non era
invidiosa della sorella, ma sapeva che
se avesse avuto un po’ del suo carattere, lei e sua madre avrebbero avuto molte
meno frizioni.
“Ed io invece credo
che lei mi vorrebbe tanto coraggiosa e forte come te, Isabel..” Replicò Maria.
“La mia è
stupidità, Maria.. non coraggio.. dimmi, chi è così cretino da sfidare il Re in
un torneo? Oppure chi sarebbe sano di mente da accettare un dono dalla puttana
che è andata a letto col proprio padre ed ha umiliato e calpestato la santa
donna che ti ha dato la vita?” Isabel scosse la testa e sentì gli occhi
pizzicare, ma ricacciò indietro tutto. “Oh, e poi c’è il mio pezzo di stupidità
favorito.. dimmi, Maria, chi insulterebbe di fronte a non meno di venti persone
la suddetta sgualdrina, solo perché non riesce a mantenere la calma? Dimmi, Maria,
pensi davvero che nostra madre ti vorrebbe coraggiosa
come me?”
Anna guardò turbata
il Sovrano. Lui rotolò da lei e si sdraiò sulla schiena, in silenzio. Era
perplesso. Per la prima volta fare l’amore con lei non gli aveva dato la
medesima gioia delle altre volte. Non sapeva se la causa fosse la recente
discussione con sir Thomas ed il duca di Norfolk, o se qualcosa fra loro due si
era in qualche maniera modificato, ma era così. Si girò e la guardò. Era bella,
davvero. I suoi occhi neri dicevano che era ancora presa di lui. Però la
fazione della sua famiglia stava perdendo punti in consiglio.
Enrico aveva
praticamente fatto finta di nulla, e non aveva reagito alla cosa, ma se n’era
accorto. Inoltre troppe erano le cose successe da quando i Bolena erano assurti
a consiglieri ‘preferiti’, e lui cominciava a sentire il peso di
quell’amicizia.
“Così come?” Le
chiese, incapace di sostenere la ridda dei pensieri nella sua testa, e troppo
curioso di sapere cosa pensasse lei.
“Assente..” Rispose
subito Anna. “E violento.. guarda qui che mi hai fatto..” Disse un po’
irritata, mostrandogli la pelle del collo scalfito dai denti e arrossata.
“E’ la passione, amor mio..” La canzonò lui,
vezzeggiandola in italiano.
“Sicuro che non ti
vuoi disfare di me?” Chiese lei. Il tono sembrava quasi scherzoso. I suoi occhi
invece erano serissimi.
“Isabel, andiamo, non
starai dicendo sul serio..” Nel dire ciò Maria si rese conto che sua sorella
non solo pensava quelle cose, ma ne era profondamente convinta. “Nostra madre
ti adora. So che mi vuole bene e non ho motivo di dubitare di ciò, né sono
invidiosa di te, ma lo vedo come ti guarda. Sei la luce dei suoi occhi, Isabel.
Credo che lei si riconosca in te. E che riconosca in te sua madre.. Perché
credi che abbia trasferito molta parte della sua vita ad Hampton Court?”
“Per controllare
che non combini guai e che dia altro scandalo?” Chiese Isabel, ma la sua
domanda aveva tutta l’aria della sentenza.
“Isabel, ora sei
ingiusta..” La contraddisse Maria, con una certa decisione. “Verso nostra madre
ma anche verso te stessa..”
Isabel la guardò, e
sospirò. La sorella aveva ragione. Pienamente ragione, anzi. E tuttavia,
incapace di trattenersi, tirò fuori ciò che da anni la angustiava.
“Lo so Maria. Ma il
bene che mi vuole non ha impedito che venissi spedita a 300 miglia di distanza
da qui e che tutto quanto lei mi ha detto prima di salutarci sia stato: ‘Sii forte, figlia mia..’ Dopo di che un
bacio, una carezza e l’ho vista uscire prima ancora di capire se mi avesse
salutato in spagnolo o in inglese. Sai quante volte l’ho vista in quattro anni?
Otto volte, Maria.. ”
La sorella la
guardò corrugando le sopracciglia, ma senza dirle nulla. Isabel si sentì una
sciocca. Aveva fatto ancora danni. E stavolta c’era pure un nuovo testimone.
“Isabel, tu credi
che la decisione di mandarti a Newcastle sia stata della mamma?” Le chiese
semplicemente la sorella, togliendole dalle mani la biancheria che stava
piegando. Isabel alzò le spalle e scosse la testa, come se ignorasse la
risposta. “E’ stato nostro padre a scegliere quella destinazione Isabel, non
mamma.”
“Te l’hanno detto
loro, immagino..” Rispose sarcastica.
“No, certo che no.”
Ribatté con calma Maria. “Un giorno, un paio di mesi fa ho udito, senza volere,
una conversazione tra lady Willoughby e lady Salisbury. Maria de Salinas stava
raccontando alla mia istitutrice quanto nostra madre fosse ancora adirata col
Re per averti mandato fin laggiù. Non ne vedeva il motivo e la necessità e si
rincresceva di non aver a suo tempo insistito maggiormente per farti restare se
non a Londra, comunque ad una distanza più ragionevole e vicina..” Spiegò
Maria. Mentre la sorella andava avanti, Isabel abbassò il capo, in silenzio.
Ascoltò con attenzione estrema ogni parola di quella spiegazione.
Contravvenendo a diecimila regole, si sedette a terra sul pavimento, accanto al
caminetto, subito seguita da Maria, che le si sedette a fianco.
“Ciò non toglie che
nel salutarmi sia stata fredda e scostante.. come se si volesse liberare di
me..” Commentò, con estrema amarezza. “Non mi sono mai sentita meno amata se
non in quel momento..” Maria scosse la testa e cinse le spalle della sorellina.
“Era talmente
addolorata nel lasciarti che stava per piangere di fronte a te..” Le rispose
dolcemente. “Siccome non voleva farti vedere la sua sofferenza, né poteva, ti
ha salutata in fretta ed è scappata via. Me lo disse lei stessa, un anno e
mezzo fa, dopo che litigaste e lei ti schiaffeggiò. Si sentiva in colpa per
tutta quella storia ed aveva bisogno di sfogarsi. Mi disse che avrebbe voluto
tenerti vicina, consolarti e consolare se stessa prima del distacco. Si
aspettava che tu, così piccola, piangessi, ed invece non lo facesti. Quella
reazione, oltre la propria, la turbarono e la commossero fino alle lacrime. E
per questo è corsa via. Solo per questo, Isabel..”
“Ti devo chiedere
scusa, Maria..” Mormorò Isabel. “Ho pensato che fossi tu la causa di quanto era
avvenuto prima della mia partenza. Non ho mai pensato che lei potesse aver
reagito in quel modo. Ho invidiato per tanto tempo il saluto che diede a te..
Lungo, pieno di affetto e di reciproche promesse.. E mi dispiace essermi
spiegata con te solo ora..” Ammise infine. Maria la guardò, addolorata, ma in
un certo senso sollevata dalla sincerità della sorella. Finalmente stavano
riuscendo a mettere le carte in tavola. “Mi sentivo diversa da te.. per anni
sono rimasta convinta che tu fossi la sua preferita. Vi capivate al volo, la
vostra sintonia era perfetta nel riuscire a farmi sentire in colpa o
responsabile nello stesso identico modo. E poi ogni volta che ti vedeva le
brillavano gli occhi Maria. Non ho mai visto quello sguardo con me sai?”
Mormorò Isabel, invidiando un po’ la calma e l’armonia che la madre e sua
sorella avevano sempre avuto.
“Ed io invidio la
tua forza. Non si supera un’esperienza come quella che tu hai vissuto a
Newcastle se non si è forti e tenaci. E tu lo sei Isabel. Sei della stessa
pasta della nonna spagnola, tesoro. Dovresti vedere con quali occhi nostra
madre ti guarda.. Io sarò forse erede al trono, Isabel. Ma tu sarai la sua
erede..”
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“Caterina affido a
te l’Inghilterra.” Enrico prese con dolcezza per le spalle la moglie e le
sorrise. Stranamente lei non ricambiò il suo sorriso. Assunse la sua solita
aria concentrata e seria, ed annuì.
“Mio signore, è in
mani fedeli e sicure..” Rispose lei, compunta.
Non si azzardò a definire
le proprie mani buone o capaci, perché purtroppo uno sbaglio era quanto di più
semplice si potesse combinare nella sua posizione, ma erano fedeli. E lui lo
sapeva. “Dio vi preservi, vi faccia vincere con gli scozzesi e possiate tornare
presto sano e salvo.” Augurò ancora, prendendogli entrambe le mani e
baciandogliele.
A quell’augurio,
Enrico tremò. Lo aveva sentito mille volte, sotto altre forme, ma in quella
particolare occasione, lo emozionò enormemente. Sapeva che Caterina, come altri
suoi consiglieri, non era d’accordo con quella guerra, la considerava uno
spreco di forze, di vite umane, di danaro e di risorse in genere, tuttavia non
si era opposta. Certo, non che potesse davvero opporsi alla sua volontà, anzi,
esprimere opinioni opposte a quelle di lui in certe questioni significava
tradimento, e Caterina lo sapeva molto bene.. Tuttavia, era come se quel che
lui faceva non le importasse più così tanto. Come se avesse lasciato andare le
cose fra loro. Per mesi lo aveva rimproverato per la sua relazione con Anna,
aveva gridato e pianto, gli aveva detto in mille modi che si sentiva offesa ed
umiliata. Ora, invece, il silenzio. Come avesse accettato. Di più, come se lo
lasciasse fare perché a lei in fondo stava bene così e non importava. Non era
più innamorata di lui, forse? Chi poteva dirlo. Perfino la più fedele delle
mogli alla fine si stanca, troppo umiliata e colpita per reagire, alla fine
lascia scorrere le cose come vanno, senza più preoccuparsi.
Quella possibilità
gli dava fastidio, doveva ammetterlo. Era stato sempre abituato ad avere tutti
intorno, ad essere servito e riverito, a sapere di piacere a tutti. Il fatto
che la moglie provasse disinteresse per lui e le sue azioni lo confondeva. Ed
il fatto di dover andare in guerra rendeva tutto più difficile. Come un anno prima,
quando il famigerato Cavaliere del Giogo era comparso e tutta la corte aveva
accostato il suo nome a quello di Caterina, Enrico sentiva che c’era qualcosa
che non andava: era come se stesse perdendo il controllo della situazione. E
non gli piaceva. Sorrise di nuovo alla moglie, ma lei non gli regalò che un
sorriso di circostanza, abbastanza tiepido. Quel gesto lo sminuì come Re e come
uomo. Tutti, e soprattutto tutte, gli sorridevano. Chi era Caterina d’Aragona
per negarsi a lui? Chi era per rifiutargli ciò che gli spettava di diritto,
come marito? La questione si stava trasformando in questione di principio,
soprattutto perché intorno a loro c’erano, non solo le due figlie, ma anche i
Consiglieri del Re, la sua Corte con i mille personaggi che le gravitavano
intorno. Accettare quella freddezza significava permettere a loro di trattarlo
come Caterina stava osando fare.
Con uno sguardo
deciso, il Re strinse le mani intorno alle spalle della consorte e poi le
sorrise.
“Mia amata
Signora.” Le disse, continuando a sorridere, ed a voce sufficientemente alta
perché chiunque lo udisse. Caterina lo guardò inerme, ma i suoi occhi
fiammeggiarono per un attimo. Il segnale era andato a segno, pensò Enrico. Lei
si irrigidì sotto le sue mani, non in modo evidente, ma lui poté sentirlo. Così
diede il tocco finale.
Dapprima la baciò
sulle guance, prima una e poi l’altra; a quel gesto la sala fu percorsa da un
breve ma intenso mormorio. Poi Enrico la baciò con le labbra sulle labbra.
Caterina non si mosse e non ricambiò. Lui la sentì rigida fra le sue braccia,
troppo stupita dal suo ardire, ma non si fermò. Aprì leggermente la sua bocca
ed avvolse completamente quella di lei.
A quel punto chi
era lì si guardò sconcertato. Una cosa era una bacio sulle labbra: retaggio medioevale,
era segno di fratellanza e saluto, e non aveva la benché minima connotazione
sentimentale. Un’altra cosa era invece era un bacio di quel tipo, più intimo e
per certi versi passionale.
Quando Enrico si
staccò da lei, Caterina aveva le guance rosse ed un’espressione stupita, che
riuscì a mascherare benissimo pochi istanti dopo. Era davvero bravissima nel
non fare vedere alla Corte e a chi le stava di fronte quello che pensava e che
aveva in mente. Enrico adorava questa sua qualità così regale. Lui non la
possedeva affatto. E nemmeno Anna.
Mentre si voltava
verso gli astanti, Enrico incrociò gli occhi della sua amante. Era furente, lo
avrebbe capito anche un cieco. Il Re non si fermò troppo di fronte a lei, e
nemmeno di fronte ai Bolena. Andò dritto da sir Thomas, e a voce alta gli
affidò il Paese e la sua amata consorte e Regina. Il segnale era chiaro a tutta
la corte, consiglieri inclusi, e le diverse facce per niente contente lo
dimostravano.
Quella sera, a
dieci ore dalla partenza di Enrico per la Scozia, congedato sir More, Caterina
ripensò a quella frenetica giornata.
Da che Enrico era
partito alla testa dell’esercito, lei non aveva fatto altro che discutere con
sir Thomas le prime mosse come reggente. Il Paese non aveva preso affatto bene
quella nuova guerra. Diversi raccolti erano andati distrutti, le casse non
erano piene, e per tutta l’Inghilterra le parole e le azioni eretiche dei
riformatori continuavano a circolare. Non sarebbe stato affatto facile per lei
tenere bene le briglie dell’Inghilterra, ma se Dio voleva, il popolo l’amava
enormemente e si sarebbe affidato a lei per certi versi più volentieri che ad
Enrico. La relazione con Anna, il suo comportamento ambiguo ed ondivago, i
consiglieri del tutto inappropriati di cui si circondava, stavano cominciando a
stancare il popolo e i primi sentori di dissenso avevano preso a manifestarsi,
in molti strati della popolazione. Caterina invece aveva il grande merito di
essere sempre stata misurata e coerente nelle sue azioni, ed il popolo la sentiva
davvero vicina. Pur essendo straniera, aveva imparato ad amare l’Inghilterra, e
ne aveva ricevuto affetto e dedizione pressoché totali. La Regina aveva tutta
l’intenzione di usare bene quei doni e di risollevare il Paese, pur non facendo
mancare soldi e rifornimenti all’esercito, ed al Re.
Mentre una delle
sue dame si accingeva ad accompagnarla a letto, dopo averla aiutata ad
indossare la camicia da notte, lo sguardo le cadde su un piccolo vessillo
triangolare, con le iniziali sua e del Re ricamate in oro. Caterina lo prese in
mano e sorrise al vedere le piccole macchioline rosse che punteggiavano la
stoffa bianca.
“Come
ti è venuto in mente di metterti a cucire?”
“Oh
Maria, senti, non è mai morto nessuno per aver tenuto un ago in ma….AHI!..”
Maria
la guardò mentre si pungeva per l’ennesima volta con l’ago, e non poté fare a
meno di ridere.
“Sei
proprio negata.. ma si può sapere perché ti sottoponi a questo tremendo supplizio?”
Le chiese accarezzandole il braccio. Da che aveva iniziato, e fin da subito era
stato chiaro che non sarebbe stato facile per lei uscire indenne da quella
faccenda, Maria non aveva fatto altro che chiederle il motivo di quel gesto
e spingerla con dolcezza ad abbandonare.
Isabel si era sempre rifiutata sia di fornire spiegazioni, ed anche di mollare.
“Vincerò
io!” Continuava a ripetere. Ma dopo più di venti giorni di dita massacrate da
punture continue, e gagliardetti e stemmi sporchi di sangue era ormai evidente
che non avrebbe vinto nulla. Di più, sia le damigelle che Caterina si erano
ormai accorte dei lavori sporchi, e sebbene nessuna dama osasse fare il nome di
Isabel in presenza della Regina, era ovvio che tutte si chiedevano perché non
smettesse.
Isabel
diede un’occhiata intorno a loro due, alle diverse damigelle che Caterina aveva
messo a cucire, e poi si sporse verso la sorella con aria cospiratrice.
“Sono
fatti miei, il perché..” Rispose, seria. Maria la guardò mentre con un pezzo
sottile di lino si puliva e poi fasciava il dito, e scosse la testa,
aggrottando un poco le sopracciglia.
“Ti
metterai nei guai, Isabel..” Le disse, assumendo il suo ‘tono da consiglio’,
come lo chiamava Isabel.
“Uh,
capirai che novità..” Ribatté la sorellina. “Sono sempre io la combina guai
della corte no? Uno in più, dopo mesi e mesi di onorata carriera, cosa vuoi che
sia?”
A
quelle parole Maria cambiò espressione.
“Isabel,
non voglio sentirti dire queste cose. Tu non sei una combina guai, e te l’ho
già detto..” Mormorò Maria, decisa. Poi, per risollevare il tono della
conversazione, guardò il ‘capolavoro’ di Isabel. “Non si può dire che non sia
un’artista anche nel cucito, oltre che in musica.. I nostri soldati avranno i
gagliardetti più strani d’Europa.. a pois!!”
“Potrebbe
essere una moda fra qualche anno, che ne sai?” Ribatté Isabel, riuscendo
finalmente a sorridere, prima di gemere dopo un’ulteriore puntura, stavolta più
a fondo delle altre. La fortuna non fu dalla sua parte perché proprio mentre
succhiava il dito e lo inumidiva con la saliva, entrò Caterina.
Immediatamente
le dame si alzarono in piedi e la salutarono con una profonda riverenza, saluto
cui si unirono all’istante anche Maria ed Isabel. La Sovrana vide subito la
faccia sofferente della figlia minore e si avvicinò.
“Cosa
c’è che non va?” Chiese. Isabel la guardò e poi sorrise, o almeno tentò.
“Niente,
Maestà, niente.” Rispose la fanciulla. “Pensavo con la massima attenzione al
lavoro che stavo facendo, per questo avevo gli occhi chiusi..” Aggiunse
prevenendo la domanda della madre che la fissava con sguardo inquirente.
“Con
la massima attenzione eh?” Obiettò Caterina socchiudendo gli occhi.
“Sì,
Maestà..” Rispose la fanciulla a voce bassa e continuando a sorridere, sperando
che la madre le sorridesse a sua volta. La Regina invece buttò l’occhio al
lavoro che Isabel teneva tra le mani. Non che non sapesse a chi appartenevano i
gagliardetti macchiati di sangue, ma in quel momento ne ebbe la conferma.
“A
occhio dire che dovete fare ancor più attenzione, Altezza.” Le rispose, usando
il suo titolo. Isabel abbassò il capo e capì al volo la situazione: sua madre
non trovava affatto divertente il suo tentativo, e le stava dicendo, nemmeno
troppo velatamente, di piantarla alla svelta. “Quando avrete finito, voglio
vedervi. Ci siamo capite?” Le disse a voce bassa e con tono perentorio. La giovane
principessa annuì in silenzio e si inchinò alla Regina che, dopo pochi istanti
uscì.
“Spero
vi siate divertita a sufficienza, Altezza..” Disse Caterina quando, dopo
qualche ora, Isabel la raggiunse nel suo studio. Su un tavolo, impilati,
c’erano i gagliardetti che lei aveva cucito. Erano tutti macchiati, alcuni in
maniera tanto visibile da essere inutilizzabili, oltre che ridicoli.
Lady
Thorston, che l’aveva accompagnata, le suggerì uno sguardo pentito e delle
frasi di scuse adatte alla situazione.
“Spero
almeno di essere migliorata, e che non siano tutti da buttar via..” Rise Isabel
al vedere i suoi capolavori. La buttò a ridere sperando che la madre non se la
prendesse.
“Potete
andare, lady Thorston.. Grazie..” Sibilò Caterina, e Isabel chiuse gli occhi.
No, decisamente la Regina non aveva preso bene la sua battuta. Prima ancora di
potersi dare della stupida e di chiedere scusa, le parole di sua madre la
investirono. “Ti diverti tanto? Pensi che sia un gioco? Siamo in guerra Isabel.
Lo capisci cosa vuol dire? Fammi un cenno se lo capisci, figlia mia..” E lei
annuì in silenzio. “Allora vorrei capire cosa ti diverte tanto di tutta questa
storia. La tua incapacità a cucire? Dimmi, ti fa ridere questo? Non capisco
nemmeno perché ti sei unita a noi. Non sai tenere un ago in mano, eppure da
venti giorni non fai altro che perdere tempo a cucire. Invece di studiare e
fare ciò che devi..” La rimbrottò aspramente Caterina. Isabel la ascoltò, a
capo chino e senza fiatare.
“Avete
ragione, mia Regina..” Mormorò.
“Ora
voglio sapere il motivo per cui ti sei unita a noi, Isabel.” Le ingiunse. Alla
giovane bastò alzar appena gli occhi per capire che sua madre non stava
scherzando e che aveva preso quel suo gioco come una mancanza di rispetto.
“Siete
voi il motivo, Maestà..” Rispose, guardandola dolcemente. La Sovrana piegò da
un lato il viso, come se non potesse credere a quella motivazione.
“Io?
Vuoi metterti in luce ai miei occhi, Isabel? Stai cercando di fare colpo, o
cosa? Guarda, non c’è proprio bisogno, perché..”
“No,
non è questo..” La interruppe la fanciulla. Caterina sospirò e chiuse gli occhi
lentamente, per poi riaprirli dopo una decina di secondi. Era stanca, davvero
stanchissima. Isabel poteva vederlo sul suo viso. Prima che sua madre riaprisse
gli occhi, le accarezzò una guancia e la fissò con tenerezza. “Non dico
vogliate una figlia diversa, ma posso capirvi se avete sperato e desiderato che
un bel po’ del buon senso e della maturità di Maria passassero a me.” Disse
d’un fiato. Caterina aggrottò le sopracciglia, senza capire. Aprì la bocca per
bloccare quelle sciocchezze, ma ancora una volta Isabel la prevenne. “Da che
sono tornata a Londra, non ho fatto altro che cacciarmi in un guaio dietro
l’altro. Sono abbastanza certa di avervi delusa, mortificata ed umiliata.
Eppure mi siete stata vicina, avete continuato a fare tanto per me. Questa
guerra mi ha dato modo di ricambiare. Ho pensato che, per quanto il mio
contributo non potesse essere memorabile, potessi comunque rendermi utile. So
di non saper cucire e so che i gagliardetti cui ho messo mano fanno
scompisciare dalle risate, ma volevo mettermi al vostro servizio, al pari di
una vostra dama. Volevo mostrarvi che vi ho a cuore, mamà. Era un modo un po’
sciocco per dirvi quanto io vi rispetti e vi stimi come Regina.” Disse Isabel
decisa. Caterina la guardò, con un mezzo sorriso ed il volto più disteso.
“Oltre tutto questo, che è in ogni caso importante, devo aggiungere una cosa.
Voi siete anche mia madre, ed io vi amo e vi voglio tanto bene.. Davvero tanto,
mamà..”
Caterina
non ricordava nemmeno più l’ultima volta che quelle tre parole erano uscite
dalla bocca di Isabel. Tutto il suo discorso l’aveva emozionata, e tanto, ma le
ultime parole l’avevano commossa, letteralmente. In silenzio prese le mani
della figlia e guardò le dita. I piccoli pezzi di lino che Isabel vi aveva
sistemato sopra, a mo’ di copricapo, le strapparono un sorriso. Non c’era dito
che non si fosse punta, ed alcuni erano letteralmente martoriati. Sapere la
motivazione di quel gesto, che prima sembrava una presa in giro e uno scherzo
infantile, le fece sentire ancora più vicina la sua creatura. In silenzio
l’abbracciò forte, accarezzandole i capelli.