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Autore: Bardunfula    09/12/2009    0 recensioni
Devo parte dell’ispirazione per questa fanfiction a ‘The Portrait of the Unknown One’, una fanfiction che l’utente Lemondropseverus ha pubblicato sul sito www.fanfiction.net .
Il resto è opera mia.
La fiction è ambientata nell'Inghilterra di Enrico VII, ma non segue necessariamente il corso 'veritiero' degli avvenimenti storici che tutti noi conosciamo.
Caterina d'Aragona ed Enrico Tudor sono sposati da cinque anni. Hanno già una primogenita, Maria, e sono in attesa del loro secondogenito.
Sarà, finalmente, un maschio?
I personaggi della fic, alcuni sono realmente esistiti, altri no.
Buona lettura, e commentate :)
Genere: Generale, Storico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo Tudor/Inghilterra
Capitoli:
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A Queen's Daughter - War and Peace

Londra, Inizi dell’estate 1530 – War and Peace

 
“Allora indiciamo nuove tasse!”
Sbottò Enrico spazientito. Thomas, ma anche il duca di Norfolk lo guardarono e scossero la testa.
“Maestà, il popolo è già provato. Non sopporterebbe altre tasse, per una guerra poi..” Si azzardò a dire lo zio di Anna Bolena.
“Allora voglio che i nobili aumentino gli emolumenti dati al mio Tesoro. Le protezioni e i vantaggi che concedo avranno pure un costo.” Replicò lui.
“Enrico, i nobili danno già parecchio danaro alle casse.  Inoltre chi di loro verrà in guerra con te pagherà di tasca tutto il proprio equipaggiamento. Non è saggio chiedere loro altri soldi..” Obiettò gentilmente Thomas.
Enrico si massaggiò le tempie doloranti. Quella riunione privata durava da due ore e non aveva avuto nessun risultato se non quello di fargli venire un enorme mal di testa.
“Basta!!” Gridò alla fine. I due consiglieri si guardarono, non troppo stupiti per la solita esplosione di collera. “Fatemi andare a letto, signori. Domani ne riparleremo, va bene?!” Norfolk e More si guardarono e poi annuirono, sparendo in pochi secondi, dopo l’inchino di prammatica.

 

“Lei ti adora, piccola..” Disse Maria.
Sedute in camera di Isabel, le due principesse avevano deciso di passare la notte a finire di cucire e sistemare gagliardetti e stemmi per la guerra ormai prossima. Di lì ad un mese, inoltre, Maria sarebbe partita per la Francia, e quindi quella era una delle ultime occasioni per una chiacchierata.
Stupita da quella affermazione improvvisa, Isabel si voltò a guardare la sorella. Erano partite col parlare di Francesco e Sten, poi avevano esaminato i loro sentimenti riguardo ai rispettivi fidanzati e alle reciproche aspettative. Infine avevano continuato coll’esaminare la situazione ormai logora tra i due genitori. Ancora una volta Maria si rese conto della tangibile sofferenza della sorellina. Isabel confessò il proprio rimorso per aver gareggiato in torneo, per aver perso la calma in quel modo con la sgualdrina Bolena e per aver prima ancora accettato quel ciondolo in dono. Era certa di aver messo in profondo imbarazzo sua madre, ed anche se non lo disse in modo aperto, Maria immaginò temesse di aver perso il suo affetto e la sua stima.
“So che mi vuole bene, Maria. Lo sento e lo percepisco..” Rispose. “Ma so anche che non esiterebbe un istante a trasferire su di me un po’ del tuo buon senso e della tua maturità, se potesse farlo..” Ammise, con un sospiro e un sorriso. Non era invidiosa della sorella, ma  sapeva che se avesse avuto un po’ del suo carattere, lei e sua madre avrebbero avuto molte meno frizioni.
“Ed io invece credo che lei mi vorrebbe tanto coraggiosa e forte come te, Isabel..” Replicò Maria.
“La mia è stupidità, Maria.. non coraggio.. dimmi, chi è così cretino da sfidare il Re in un torneo? Oppure chi sarebbe sano di mente da accettare un dono dalla puttana che è andata a letto col proprio padre ed ha umiliato e calpestato la santa donna che ti ha dato la vita?” Isabel scosse la testa e sentì gli occhi pizzicare, ma ricacciò indietro tutto. “Oh, e poi c’è il mio pezzo di stupidità favorito.. dimmi, Maria, chi insulterebbe di fronte a non meno di venti persone la suddetta sgualdrina, solo perché non riesce a mantenere la calma? Dimmi, Maria, pensi davvero che nostra madre ti vorrebbe coraggiosa come me?”

 

“Che ti prende, Enrico? Non eri mai stato così..”
Anna guardò turbata il Sovrano. Lui rotolò da lei e si sdraiò sulla schiena, in silenzio. Era perplesso. Per la prima volta fare l’amore con lei non gli aveva dato la medesima gioia delle altre volte. Non sapeva se la causa fosse la recente discussione con sir Thomas ed il duca di Norfolk, o se qualcosa fra loro due si era in qualche maniera modificato, ma era così. Si girò e la guardò. Era bella, davvero. I suoi occhi neri dicevano che era ancora presa di lui. Però la fazione della sua famiglia stava perdendo punti in consiglio.
Enrico aveva praticamente fatto finta di nulla, e non aveva reagito alla cosa, ma se n’era accorto. Inoltre troppe erano le cose successe da quando i Bolena erano assurti a consiglieri ‘preferiti’, e lui cominciava a sentire il peso di quell’amicizia.
“Così come?” Le chiese, incapace di sostenere la ridda dei pensieri nella sua testa, e troppo curioso di sapere cosa pensasse lei.
“Assente..” Rispose subito Anna. “E violento.. guarda qui che mi hai fatto..” Disse un po’ irritata, mostrandogli la pelle del collo scalfito dai denti e arrossata.
“E’ la passione, amor mio..” La canzonò lui, vezzeggiandola in italiano.
“Sicuro che non ti vuoi disfare di me?” Chiese lei. Il tono sembrava quasi scherzoso. I suoi occhi invece erano serissimi.

 

“Isabel, andiamo, non starai dicendo sul serio..” Nel dire ciò Maria si rese conto che sua sorella non solo pensava quelle cose, ma ne era profondamente convinta. “Nostra madre ti adora. So che mi vuole bene e non ho motivo di dubitare di ciò, né sono invidiosa di te, ma lo vedo come ti guarda. Sei la luce dei suoi occhi, Isabel. Credo che lei si riconosca in te. E che riconosca in te sua madre.. Perché credi che abbia trasferito molta parte della sua vita ad Hampton Court?”
“Per controllare che non combini guai e che dia altro scandalo?” Chiese Isabel, ma la sua domanda aveva tutta l’aria della sentenza.
“Isabel, ora sei ingiusta..” La contraddisse Maria, con una certa decisione. “Verso nostra madre ma anche verso te stessa..”
Isabel la guardò, e sospirò. La sorella aveva ragione. Pienamente ragione, anzi. E tuttavia, incapace di trattenersi, tirò fuori ciò che da anni la angustiava.
“Lo so Maria. Ma il bene che mi vuole non ha impedito che venissi spedita a 300 miglia di distanza da qui e che tutto quanto lei mi ha detto prima di salutarci sia stato: ‘Sii forte, figlia mia..’ Dopo di che un bacio, una carezza e l’ho vista uscire prima ancora di capire se mi avesse salutato in spagnolo o in inglese. Sai quante volte l’ho vista in quattro anni? Otto volte, Maria.. ”
La sorella la guardò corrugando le sopracciglia, ma senza dirle nulla. Isabel si sentì una sciocca. Aveva fatto ancora danni. E stavolta c’era pure un nuovo testimone.
“Isabel, tu credi che la decisione di mandarti a Newcastle sia stata della mamma?” Le chiese semplicemente la sorella, togliendole dalle mani la biancheria che stava piegando. Isabel alzò le spalle e scosse la testa, come se ignorasse la risposta. “E’ stato nostro padre a scegliere quella destinazione Isabel, non mamma.”
“Te l’hanno detto loro, immagino..” Rispose sarcastica.
“No, certo che no.” Ribatté con calma Maria. “Un giorno, un paio di mesi fa ho udito, senza volere, una conversazione tra lady Willoughby e lady Salisbury. Maria de Salinas stava raccontando alla mia istitutrice quanto nostra madre fosse ancora adirata col Re per averti mandato fin laggiù. Non ne vedeva il motivo e la necessità e si rincresceva di non aver a suo tempo insistito maggiormente per farti restare se non a Londra, comunque ad una distanza più ragionevole e vicina..” Spiegò Maria. Mentre la sorella andava avanti, Isabel abbassò il capo, in silenzio. Ascoltò con attenzione estrema ogni parola di quella spiegazione. Contravvenendo a diecimila regole, si sedette a terra sul pavimento, accanto al caminetto, subito seguita da Maria, che le si sedette a fianco.
“Ciò non toglie che nel salutarmi sia stata fredda e scostante.. come se si volesse liberare di me..” Commentò, con estrema amarezza. “Non mi sono mai sentita meno amata se non in quel momento..” Maria scosse la testa e cinse le spalle della sorellina.
“Era talmente addolorata nel lasciarti che stava per piangere di fronte a te..” Le rispose dolcemente. “Siccome non voleva farti vedere la sua sofferenza, né poteva, ti ha salutata in fretta ed è scappata via. Me lo disse lei stessa, un anno e mezzo fa, dopo che litigaste e lei ti schiaffeggiò. Si sentiva in colpa per tutta quella storia ed aveva bisogno di sfogarsi. Mi disse che avrebbe voluto tenerti vicina, consolarti e consolare se stessa prima del distacco. Si aspettava che tu, così piccola, piangessi, ed invece non lo facesti. Quella reazione, oltre la propria, la turbarono e la commossero fino alle lacrime. E per questo è corsa via. Solo per questo, Isabel..”
“Ti devo chiedere scusa, Maria..” Mormorò Isabel. “Ho pensato che fossi tu la causa di quanto era avvenuto prima della mia partenza. Non ho mai pensato che lei potesse aver reagito in quel modo. Ho invidiato per tanto tempo il saluto che diede a te.. Lungo, pieno di affetto e di reciproche promesse.. E mi dispiace essermi spiegata con te solo ora..” Ammise infine. Maria la guardò, addolorata, ma in un certo senso sollevata dalla sincerità della sorella. Finalmente stavano riuscendo a mettere le carte in tavola. “Mi sentivo diversa da te.. per anni sono rimasta convinta che tu fossi la sua preferita. Vi capivate al volo, la vostra sintonia era perfetta nel riuscire a farmi sentire in colpa o responsabile nello stesso identico modo. E poi ogni volta che ti vedeva le brillavano gli occhi Maria. Non ho mai visto quello sguardo con me sai?” Mormorò Isabel, invidiando un po’ la calma e l’armonia che la madre e sua sorella avevano sempre avuto.
“Ed io invidio la tua forza. Non si supera un’esperienza come quella che tu hai vissuto a Newcastle se non si è forti e tenaci. E tu lo sei Isabel. Sei della stessa pasta della nonna spagnola, tesoro. Dovresti vedere con quali occhi nostra madre ti guarda.. Io sarò forse erede al trono, Isabel. Ma tu sarai la sua erede..”
 

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“Caterina affido a te l’Inghilterra.” Enrico prese con dolcezza per le spalle la moglie e le sorrise. Stranamente lei non ricambiò il suo sorriso. Assunse la sua solita aria concentrata e seria, ed annuì.
“Mio signore, è in mani fedeli e sicure..” Rispose lei, compunta.
Non si azzardò a definire le proprie mani buone o capaci, perché purtroppo uno sbaglio era quanto di più semplice si potesse combinare nella sua posizione, ma erano fedeli. E lui lo sapeva. “Dio vi preservi, vi faccia vincere con gli scozzesi e possiate tornare presto sano e salvo.” Augurò ancora, prendendogli entrambe le mani e baciandogliele.
A quell’augurio, Enrico tremò. Lo aveva sentito mille volte, sotto altre forme, ma in quella particolare occasione, lo emozionò enormemente. Sapeva che Caterina, come altri suoi consiglieri, non era d’accordo con quella guerra, la considerava uno spreco di forze, di vite umane, di danaro e di risorse in genere, tuttavia non si era opposta. Certo, non che potesse davvero opporsi alla sua volontà, anzi, esprimere opinioni opposte a quelle di lui in certe questioni significava tradimento, e Caterina lo sapeva molto bene.. Tuttavia, era come se quel che lui faceva non le importasse più così tanto. Come se avesse lasciato andare le cose fra loro. Per mesi lo aveva rimproverato per la sua relazione con Anna, aveva gridato e pianto, gli aveva detto in mille modi che si sentiva offesa ed umiliata. Ora, invece, il silenzio. Come avesse accettato. Di più, come se lo lasciasse fare perché a lei in fondo stava bene così e non importava. Non era più innamorata di lui, forse? Chi poteva dirlo. Perfino la più fedele delle mogli alla fine si stanca, troppo umiliata e colpita per reagire, alla fine lascia scorrere le cose come vanno, senza più preoccuparsi.
Quella possibilità gli dava fastidio, doveva ammetterlo. Era stato sempre abituato ad avere tutti intorno, ad essere servito e riverito, a sapere di piacere a tutti. Il fatto che la moglie provasse disinteresse per lui e le sue azioni lo confondeva. Ed il fatto di dover andare in guerra rendeva tutto più difficile. Come un anno prima, quando il famigerato Cavaliere del Giogo era comparso e tutta la corte aveva accostato il suo nome a quello di Caterina, Enrico sentiva che c’era qualcosa che non andava: era come se stesse perdendo il controllo della situazione. E non gli piaceva. Sorrise di nuovo alla moglie, ma lei non gli regalò che un sorriso di circostanza, abbastanza tiepido. Quel gesto lo sminuì come Re e come uomo. Tutti, e soprattutto tutte, gli sorridevano. Chi era Caterina d’Aragona per negarsi a lui? Chi era per rifiutargli ciò che gli spettava di diritto, come marito? La questione si stava trasformando in questione di principio, soprattutto perché intorno a loro c’erano, non solo le due figlie, ma anche i Consiglieri del Re, la sua Corte con i mille personaggi che le gravitavano intorno. Accettare quella freddezza significava permettere a loro di trattarlo come Caterina stava osando fare.
Con uno sguardo deciso, il Re strinse le mani intorno alle spalle della consorte e poi le sorrise.
“Mia amata Signora.” Le disse, continuando a sorridere, ed a voce sufficientemente alta perché chiunque lo udisse. Caterina lo guardò inerme, ma i suoi occhi fiammeggiarono per un attimo. Il segnale era andato a segno, pensò Enrico. Lei si irrigidì sotto le sue mani, non in modo evidente, ma lui poté sentirlo. Così diede il tocco finale.
Dapprima la baciò sulle guance, prima una e poi l’altra; a quel gesto la sala fu percorsa da un breve ma intenso mormorio. Poi Enrico la baciò con le labbra sulle labbra. Caterina non si mosse e non ricambiò. Lui la sentì rigida fra le sue braccia, troppo stupita dal suo ardire, ma non si fermò. Aprì leggermente la sua bocca ed avvolse completamente quella di lei.
A quel punto chi era lì si guardò sconcertato. Una cosa era una bacio sulle labbra: retaggio medioevale, era segno di fratellanza e saluto, e non aveva la benché minima connotazione sentimentale. Un’altra cosa era invece era un bacio di quel tipo, più intimo e per certi versi passionale.
Quando Enrico si staccò da lei, Caterina aveva le guance rosse ed un’espressione stupita, che riuscì a mascherare benissimo pochi istanti dopo. Era davvero bravissima nel non fare vedere alla Corte e a chi le stava di fronte quello che pensava e che aveva in mente. Enrico adorava questa sua qualità così regale. Lui non la possedeva affatto. E nemmeno Anna.
Mentre si voltava verso gli astanti, Enrico incrociò gli occhi della sua amante. Era furente, lo avrebbe capito anche un cieco. Il Re non si fermò troppo di fronte a lei, e nemmeno di fronte ai Bolena. Andò dritto da sir Thomas, e a voce alta gli affidò il Paese e la sua amata consorte e Regina. Il segnale era chiaro a tutta la corte, consiglieri inclusi, e le diverse facce per niente contente lo dimostravano.

 
Quella sera, a dieci ore dalla partenza di Enrico per la Scozia, congedato sir More, Caterina ripensò a quella frenetica giornata.
Da che Enrico era partito alla testa dell’esercito, lei non aveva fatto altro che discutere con sir Thomas le prime mosse come reggente. Il Paese non aveva preso affatto bene quella nuova guerra. Diversi raccolti erano andati distrutti, le casse non erano piene, e per tutta l’Inghilterra le parole e le azioni eretiche dei riformatori continuavano a circolare. Non sarebbe stato affatto facile per lei tenere bene le briglie dell’Inghilterra, ma se Dio voleva, il popolo l’amava enormemente e si sarebbe affidato a lei per certi versi più volentieri che ad Enrico. La relazione con Anna, il suo comportamento ambiguo ed ondivago, i consiglieri del tutto inappropriati di cui si circondava, stavano cominciando a stancare il popolo e i primi sentori di dissenso avevano preso a manifestarsi, in molti strati della popolazione. Caterina invece aveva il grande merito di essere sempre stata misurata e coerente nelle sue azioni, ed il popolo la sentiva davvero vicina. Pur essendo straniera, aveva imparato ad amare l’Inghilterra, e ne aveva ricevuto affetto e dedizione pressoché totali. La Regina aveva tutta l’intenzione di usare bene quei doni e di risollevare il Paese, pur non facendo mancare soldi e rifornimenti all’esercito, ed al Re.
Mentre una delle sue dame si accingeva ad accompagnarla a letto, dopo averla aiutata ad indossare la camicia da notte, lo sguardo le cadde su un piccolo vessillo triangolare, con le iniziali sua e del Re ricamate in oro. Caterina lo prese in mano e sorrise al vedere le piccole macchioline rosse che punteggiavano la stoffa bianca.

“Come ti è venuto in mente di metterti a cucire?”
“Oh Maria, senti, non è mai morto nessuno per aver tenuto un ago in ma….AHI!..”
Maria la guardò mentre si pungeva per l’ennesima volta con l’ago, e non poté fare a meno di ridere.
“Sei proprio negata.. ma si può sapere perché ti sottoponi a questo tremendo supplizio?” Le chiese accarezzandole il braccio. Da che aveva iniziato, e fin da subito era stato chiaro che non sarebbe stato facile per lei uscire indenne da quella faccenda, Maria non aveva fatto altro che chiederle il motivo di quel gesto e  spingerla con dolcezza ad abbandonare. Isabel si era sempre rifiutata sia di fornire spiegazioni, ed anche di mollare.
“Vincerò io!” Continuava a ripetere. Ma dopo più di venti giorni di dita massacrate da punture continue, e gagliardetti e stemmi sporchi di sangue era ormai evidente che non avrebbe vinto nulla. Di più, sia le damigelle che Caterina si erano ormai accorte dei lavori sporchi, e sebbene nessuna dama osasse fare il nome di Isabel in presenza della Regina, era ovvio che tutte si chiedevano perché non smettesse.
Isabel diede un’occhiata intorno a loro due, alle diverse damigelle che Caterina aveva messo a cucire, e poi si sporse verso la sorella con aria cospiratrice.
“Sono fatti miei, il perché..” Rispose, seria. Maria la guardò mentre con un pezzo sottile di lino si puliva e poi fasciava il dito, e scosse la testa, aggrottando un poco le sopracciglia.
“Ti metterai nei guai, Isabel..” Le disse, assumendo il suo ‘tono da consiglio’, come lo chiamava Isabel.
“Uh, capirai che novità..” Ribatté la sorellina. “Sono sempre io la combina guai della corte no? Uno in più, dopo mesi e mesi di onorata carriera, cosa vuoi che sia?”
A quelle parole Maria cambiò espressione.
“Isabel, non voglio sentirti dire queste cose. Tu non sei una combina guai, e te l’ho già detto..” Mormorò Maria, decisa. Poi, per risollevare il tono della conversazione, guardò il ‘capolavoro’ di Isabel. “Non si può dire che non sia un’artista anche nel cucito, oltre che in musica.. I nostri soldati avranno i gagliardetti più strani d’Europa.. a pois!!”
“Potrebbe essere una moda fra qualche anno, che ne sai?” Ribatté Isabel, riuscendo finalmente a sorridere, prima di gemere dopo un’ulteriore puntura, stavolta più a fondo delle altre. La fortuna non fu dalla sua parte perché proprio mentre succhiava il dito e lo inumidiva con la saliva, entrò Caterina.
Immediatamente le dame si alzarono in piedi e la salutarono con una profonda riverenza, saluto cui si unirono all’istante anche Maria ed Isabel. La Sovrana vide subito la faccia sofferente della figlia minore e si avvicinò.
“Cosa c’è che non va?” Chiese. Isabel la guardò e poi sorrise, o almeno tentò.
“Niente, Maestà, niente.” Rispose la fanciulla. “Pensavo con la massima attenzione al lavoro che stavo facendo, per questo avevo gli occhi chiusi..” Aggiunse prevenendo la domanda della madre che la fissava con sguardo inquirente.
“Con la massima attenzione eh?” Obiettò Caterina socchiudendo gli occhi.
“Sì, Maestà..” Rispose la fanciulla a voce bassa e continuando a sorridere, sperando che la madre le sorridesse a sua volta. La Regina invece buttò l’occhio al lavoro che Isabel teneva tra le mani. Non che non sapesse a chi appartenevano i gagliardetti macchiati di sangue, ma in quel momento ne ebbe la conferma.
“A occhio dire che dovete fare ancor più attenzione, Altezza.” Le rispose, usando il suo titolo. Isabel abbassò il capo e capì al volo la situazione: sua madre non trovava affatto divertente il suo tentativo, e le stava dicendo, nemmeno troppo velatamente, di piantarla alla svelta. “Quando avrete finito, voglio vedervi. Ci siamo capite?” Le disse a voce bassa e con tono perentorio. La giovane principessa annuì in silenzio e si inchinò alla Regina che, dopo pochi istanti uscì.
“Spero vi siate divertita a sufficienza, Altezza..” Disse Caterina quando, dopo qualche ora, Isabel la raggiunse nel suo studio. Su un tavolo, impilati, c’erano i gagliardetti che lei aveva cucito. Erano tutti macchiati, alcuni in maniera tanto visibile da essere inutilizzabili, oltre che ridicoli.
Lady Thorston, che l’aveva accompagnata, le suggerì uno sguardo pentito e delle frasi di scuse adatte alla situazione.
“Spero almeno di essere migliorata, e che non siano tutti da buttar via..” Rise Isabel al vedere i suoi capolavori. La buttò a ridere sperando che la madre non se la prendesse.
“Potete andare, lady Thorston.. Grazie..” Sibilò Caterina, e Isabel chiuse gli occhi. No, decisamente la Regina non aveva preso bene la sua battuta. Prima ancora di potersi dare della stupida e di chiedere scusa, le parole di sua madre la investirono. “Ti diverti tanto? Pensi che sia un gioco? Siamo in guerra Isabel. Lo capisci cosa vuol dire? Fammi un cenno se lo capisci, figlia mia..” E lei annuì in silenzio. “Allora vorrei capire cosa ti diverte tanto di tutta questa storia. La tua incapacità a cucire? Dimmi, ti fa ridere questo? Non capisco nemmeno perché ti sei unita a noi. Non sai tenere un ago in mano, eppure da venti giorni non fai altro che perdere tempo a cucire. Invece di studiare e fare ciò che devi..” La rimbrottò aspramente Caterina. Isabel la ascoltò, a capo chino e senza fiatare.
“Avete ragione, mia Regina..” Mormorò.
“Ora voglio sapere il motivo per cui ti sei unita a noi, Isabel.” Le ingiunse. Alla giovane bastò alzar appena gli occhi per capire che sua madre non stava scherzando e che aveva preso quel suo gioco come una mancanza di rispetto.
“Siete voi il motivo, Maestà..” Rispose, guardandola dolcemente. La Sovrana piegò da un lato il viso, come se non potesse credere a quella motivazione.
“Io? Vuoi metterti in luce ai miei occhi, Isabel? Stai cercando di fare colpo, o cosa? Guarda, non c’è proprio bisogno, perché..”
“No, non è questo..” La interruppe la fanciulla. Caterina sospirò e chiuse gli occhi lentamente, per poi riaprirli dopo una decina di secondi. Era stanca, davvero stanchissima. Isabel poteva vederlo sul suo viso. Prima che sua madre riaprisse gli occhi, le accarezzò una guancia e la fissò con tenerezza. “Non dico vogliate una figlia diversa, ma posso capirvi se avete sperato e desiderato che un bel po’ del buon senso e della maturità di Maria passassero a me.” Disse d’un fiato. Caterina aggrottò le sopracciglia, senza capire. Aprì la bocca per bloccare quelle sciocchezze, ma ancora una volta Isabel la prevenne. “Da che sono tornata a Londra, non ho fatto altro che cacciarmi in un guaio dietro l’altro. Sono abbastanza certa di avervi delusa, mortificata ed umiliata. Eppure mi siete stata vicina, avete continuato a fare tanto per me. Questa guerra mi ha dato modo di ricambiare. Ho pensato che, per quanto il mio contributo non potesse essere memorabile, potessi comunque rendermi utile. So di non saper cucire e so che i gagliardetti cui ho messo mano fanno scompisciare dalle risate, ma volevo mettermi al vostro servizio, al pari di una vostra dama. Volevo mostrarvi che vi ho a cuore, mamà. Era un modo un po’ sciocco per dirvi quanto io vi rispetti e vi stimi come Regina.” Disse Isabel decisa. Caterina la guardò, con un mezzo sorriso ed il volto più disteso. “Oltre tutto questo, che è in ogni caso importante, devo aggiungere una cosa. Voi siete anche mia madre, ed io vi amo e vi voglio tanto bene.. Davvero tanto, mamà..”
Caterina non ricordava nemmeno più l’ultima volta che quelle tre parole erano uscite dalla bocca di Isabel. Tutto il suo discorso l’aveva emozionata, e tanto, ma le ultime parole l’avevano commossa, letteralmente. In silenzio prese le mani della figlia e guardò le dita. I piccoli pezzi di lino che Isabel vi aveva sistemato sopra, a mo’ di copricapo, le strapparono un sorriso. Non c’era dito che non si fosse punta, ed alcuni erano letteralmente martoriati. Sapere la motivazione di quel gesto, che prima sembrava una presa in giro e uno scherzo infantile, le fece sentire ancora più vicina la sua creatura. In silenzio l’abbracciò forte, accarezzandole i capelli.
“Anche la tua mamma ti ama e ti vuole bene, amore.” Le disse all’orecchio, stringendola ancora di più. “Non immagini nemmeno quanto, amore mio..”

  
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