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Autore: drahen    10/12/2009    2 recensioni
Racconto originale scritto in società con The secret, fa parte della raccolta pubblicata da Rupe Mutevole edizioni "Oltre" Un pittore, persa la sua vena creativa, è disperato e non trova alcuna soluzione. Ma, durante la notte, fa un incontro del tutto inaspettato.
Genere: Malinconico, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Severus Potter | Coppie: Draco/Harry
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Promesse


Un’ombra, un battito d’ali, un grido.
Intrappolati in un tratto.
Curve armoniose che rivivono in un quadro.
Una promessa ancora,
Una promessa: l’ultima.


Nella città, oscurata da un cielo plumbeo, la pioggia incessante cadeva ormai da giorni. Spiragli di luce apparivano tra le nubi nere per poi scomparire in un battito di ciglia. La condensa s’incanalava in fiotti gorgoglianti gettandosi negli angusti tombini, e i lampioni generavano una flebile luce che si perdeva nell’uggiosità.
Un lampo squarciò il buio. Percorse su un antico palazzo i merli stinti e i capitelli adorni di mostruose creature.
I gargoyles liberavano l’agonia attraverso orridi tratti. Le spalle ricurve erano testimoni silenziose della sofferenza che rappresentavano. Ma, in verità, non erano altro che statue di pietra tra pizzi e fregi d’epoche passate.
Un chiarore brillante apparve nell’enorme soffitta dal tetto di vetro. All’interno, erano sparsi in ogni angolo dipinti incompiuti, ammassi di creta e vasi di coccio ripieni di pennelli e incisori che spiccavano come buffi soprammobili.
Il proprietario, intento a disegnare con impeto, si passò le lunghe dita tra i corti capelli castani e socchiuse gli occhi come a volere catturare un pensiero fuggevole. «Accidenti!». Spazzò via i gessetti e sedette sulla sedia, arcuando la schiena a scrutare le nuvole. D’un tratto, un’ombra oscurò i cristalli per poi scomparire velocemente.
«Che diavolo…». Rise e si strofinò le spalle, infreddolito. «Ho pure le traveggole. Non mi basta l’ispirazione che non arriva!».
Lo squillo del telefono lo distolse dall’autocommiserazione. Emise un profondo respiro e sollevò il ricevitore. «Pronto?».
«Ciao, Harry».
Riconobbe la voce e si rese subito conto che il suo manager aveva un timbro stizzoso e poco incline alla conversazione. «Severus…».
«Ho una brutta notizia per te».
Deglutì rumorosamente, prima di porre la fatidica domanda: «di che diavolo parli?».
«I tuoi quadri, come posso dire…sono fuori piazza».
«Che intendi!?» Colto alla sprovvista, sbatté il pugno sul tavolino e attese ulteriori spiegazioni. Non era possibile che tutte le sue fatiche non fossero apprezzate.
«Nessuno li vuole. Sono freddi e io, francamente, mi sono stancato di perorare la tua causa».
«Che stai dicendo!? Tu amavi il mio modo di dipingere!». Le corde vocali tremolarono, senza che potesse trattenersi.
«Certo che l’amavo! Amavo il ritrattista di un tempo. Quello che adorava ciò che faceva. Ora …mi spiace. Cambia genere o cercati un altro agente».
La comunicazione s’interruppe e il pittore sconfitto poggiò le spalle al muro, nella vana ricerca di un'idea che gli permettesse di scrollarsi di dosso la sfortuna. «È possibile che accada tutto a me?».
Il rumore proveniente dal corridoio gli lasciò intuire che qualcuno stava arrivando. Attese il picchiettare leggero all’uscio ma ricevette solo una lettera sgualcita e bagnata, passata sotto la fessura della porta.
Si chinò a raccoglierla e lesse attentamente, aggrottando le sopracciglia ad ogni parola. Dopo aver fagocitato l’ennesima botta di sfortuna, la scagliò contro il muro. «Maledizione. È una congiura! Ci mancava pure lo sfratto. E ora? Dove posso andare? Senza soldi e senza un tetto sulla testa. Di bene in meglio».
Si gettò sul letto, osservando i suoi quadri. Quadri che un tempo tutti amavano, prima che cadesse nel baratro in cui permeava da mesi.
Si alzò di scatto, afferrò una bottiglia di scotch e, sbattendo l’uscio, abbandonò il loft. Corse per le scale come una saetta, sperando di fuggire alla strana sensazione che tutto potesse solo peggiorare. Giunto in strada si guardò attorno come un burattino senza il suo manovratore di fili.
Voltò il capo a destra e manca, indeciso sulla via da percorrere. Poi, scrollò le spalle e schioccò la bocca indifferente. Non importava dove si dirigesse, aveva bisogno di riflettere sul da farsi, e stare chiuso in quelle quattro mura non avrebbe reso il compito più facile.
Camminò per ore senza meta. Gli abiti, ormai fradici, gli aderirono al corpo e il fiato corto si condensò in soffici nuvolette davanti alle labbra carnose e arse dalla corsa.
Sussultò ai quattro rintocchi del campanile. L’ultima insegna luminosa si spense al suo passaggio. Di lì a poco, l’alba avrebbe scacciato il buio.
Giunto sul ponte, che sovrastava il fiume, si perse a rimirarne le acque agitate che generavano vortici e piccole onde schiumose.
Sedette sulla balaustra e scrutò le movenze ipnotiche del liquido.
Portò la bottiglia alle labbra e s’accorse, con una nota di disappunto, che era ormai vuota. «Mi abbandoni anche tu, bastarda!?». Dondolò, ammantato dall’alcool, e un pensiero insano sostituì la disperata afflizione. «Forse…sarebbe solo un attimo. Nessuno si ricorderebbe di me. E io…io…». Il compatimento fu interrotto da un rumore incomprensibile. Strizzò le palpebre, per inquadrare meglio attraverso la leggera nebbiolina del sole che cercava di spezzare il buio.
Un frullio possente e al contempo tenue fese il silenzio. Sollevò la testa verso il cielo, spaventato ma anche curioso di capire che stesse accadendo. «Che dannazione…». Sgranò le pupille, abbandonò la balaustra e indietreggiò il più possibile per non essere avvolto dall’ombra della sinistra figura. «È impossibile» riuscì a biascicare, fissando l’essere mostruoso dall’incarnato rosso e grinzoso che si posò al suolo, ritraendo le maestose ali trasparenti. Il trascinarsi delle zampe sull’asfalto provocò uno stridere fastidioso. Dal muso triste intravide le zanne acuminate, mentre gli occhi simili a quelli di un ratto lo scandagliavano con dovizia.
Pietrificato dal terrore, non si mosse. «Che succede!?» balbettò, rovinando aterra.
«Tu mi vedi? Tu riesci a vedermi!?» .
La voce metallica, dal tono femminile e maschile, si diluì nell’aria e una maschera d’incredulità deturpò i bei lineamenti dell’artista. «Chi diavolo sei!? Il demonio!?».
«Come osi!? A nessuno è permesso vedermi» rombò di nuovo la creatura, muovendosi nella sua direzione.
«Sto impazzendo. Sto davvero impazzendo!» piagnucolò Harry, scuotendo il capo.
«Ascoltami, umano: non dovrai dire a nessuno di avermi visto. Se manterrai il segreto, non ti strapperò la vita».
«Oh, mio Dio… ti prego, aiutami tu» continuò, incapace di reagire.
«Mi hai sentito!?» ruggì il mostro, graffiandogli il petto con gli artigli delle lunghe dita ricurve. «Prometti!».
«Prometto! Non lo dirò a nessuno. Te lo giuro». L'artista si raggomitolò su se stesso, spaventato dalla sorte che l’attendeva.
«La tua vita cambierà».
Dopo alcuni istanti, ebbe il coraggio di alzare la testa e rotearla in tutte le direzioni. Del demone non vi era traccia. «Ma…dove…mi sa che ho bevuto troppo».
Si rizzò, scrollandosi di dosso la fanghiglia e, nel sistemarsi la camicia, si rese conto che la stoffa era rotta e la pelle leggermente lesionata.
«Oh, mio Dio! È tutto vero». Batté i pugni alla balaustra e strofinò la nuca, ancora incredulo. «Solo un graffio e una promessa. Perché non mi ha ucciso? Non riesco a…».
Sobbalzò al grido d’aiuto che saturava l’etere. Si protese verso il fiume e vide un ragazzo avvinto tra i mulinelli irrefrenabili. Il corpo balzava sul gretto e, a ogni movimento, veniva inghiottito per riaffiorare metri dopo.
«Maledizione!». Scese sulla riva il più velocemente possibile e saettò gli occhi in ogni direzione, finché lo scorse riverso in una guglia nascosta.
Arrancò fino a raggiungerlo e sollevò il corpo minuto tra le braccia. Intravide, sotto gli abiti laceri, l’epidermide segnata da tumefazioni e tagli. «Hey...». Avvicinò l’orecchio alla bocca e percepì il respiro flebile. «Ci mancava anche questa. E adesso che faccio?».

***

Un raggio di sole filtrò dal lucernario e lo sconosciuto, infastidito dal riverbero, corrugò la fronte emettendo un flebile lamento. Umettò le labbra turgide, passò le dita tra i ricci dorati e compresse i palmi sugli occhi, stropicciandoli energicamente.
«Buongiorno, bell’addormentato». Harry seduto ai piedi del letto, gli donò uno dei migliori sorrisi, felice della nuova giornata che iniziava.
Qualcosa era cambiato. Qualcosa a cui non sapeva dare un nome o una spiegazione.
I pensieri nefasti erano svaniti alle prime luci dell’alba e un istinto irrefrenabile lo aveva spinto a ritrarre il suo ospite. Attraverso linee e ombre, era riuscito fermare l’attimo e intrappolarne l’anima. «Allora, come ti senti?».
Notando il disagio calato nella stanza, provò a stemperare l’aria mostrandogli il disegno. «Ti piace?».
I grandi occhi chiari dello straniero baluginarono come diamanti d’inestimabile valore e un tremito leggero gli scosse le dita nel cammino a sfiorarsi le gote. «Sono io, questo? Sono davvero così?».
Il soccorritore abbandonò il talamo, gli sistemò i cuscini dietro la schiena e annuì con entusiasmo. Poi, imbarazzato, solcò la stanza per trovare le parole adatte a spiegare la situazione. «Sono mesi che non riesco ad esprimere nulla. Poi, ti salvo e mi torna l’ispirazione. È tutto maledettamente magnifico! La mia vita stava finendo nella spazzatura. Invece…sai che significa un sogno che si realizza? Non voglio metterti a disagio. Ma sono successe delle cose strane e oggi il mondo sembra diverso. È tutto assurdo. Come sei caduto nel fiume? Perché sei caduto, vero?».
«Se te lo dico, riderai di me» fu la risposta bisbigliata.
«Da ieri sera posso credere in tutto. Fidati!».
«Ho sentito qualcosa che mi sollevava. Mi sono girato, ma ho visto solo dei lunghi artigli. Prima che potessi reagire, le spire della corrente mi avevano inghiottito. Credevo di morire…» confidò l’interpellato, continuando a guardare l’immagine. «Sei molto bravo».
«Non sembra anche a te che si muova? Non ti pare d’esserci, lì dentro, steso tra le coltri?». Harry gli vezzeggiò le gote istintivamente, ma accorgendosi dell’azione troppo esplicita si ritrasse.
Il fruitore di tali attenzioni inghiottì rumorosamente e provò ad abbandonare il giaciglio. «Forse…forse è meglio che vada. Ho già dato troppo disturbo. Mi servono solo i vestiti e…».
«E una buona dose di riposo. Non stai ancora bene… come ti chiami, piccolo nuotatore?».
«Draco, mi chiamo Draco. Sei sicuro che non ti do disturbo?» domandò di nuovo, angustiato d’essere d’intralcio.
In risposta, l’artista sistemò un cavalletto di fronte al talamo e prese una tela bianca, “spiumazzando” i pennelli per il primo bagno di colore. «Assolutamente no. Comunque, per terminare le presentazioni: io mi chiamo Harry Potter. Allora, Draco, posso ritrarti?».
«Sei sicuro, di voler proprio me?».
«Mai stato più sicuro in tutta la mia vita». Incastrò la tavolozza nel pollice e si leccò le labbra già smarrito in arcani pensieri. «Voglio catturare il cielo limpido e soleggiato. Ora che l’ho trovato, non posso farmelo sfuggire».

***

«Accidenti! Siamo in ritardo. Hai visto i miei gemelli?». Harry provò a mascherare la trepidazione, come meglio poteva. Le dita longilinee dell’esile figura alle sue spalle si stagliarono sulla giacca scura, spingendolo a voltarsi.
«Dammi la mano, mister distrazione».
Sentì le labbra posarsi sul palmo con delicatezza e i ninnoli sostituirle un istante dopo. «Draco, siamo in…ritardo. E... se vai avanti così, lo saremo ancora di più». Sollevò l’amante con naturalezza, stendendolo sul divano.
«Volevo darti quello che cercavi disperatamente».
«Infatti, ora ce l’ho». Scese a lambirgli il petto, fino al ventre. II gemito sommesso lo spronò a proseguire. «Ti ho mai detto quanto ti amo?».
«Almeno tanto, quanto te l’ho detto io». Il compagno approfittò della momentanea distrazione, per sfuggirgli.
«Dove diavolo scappi, furbacchione?».
«Non arriveremo mai in tempo». Corse in camera, e tentò di chiudere l’uscio, ma l’altro riuscì ad infilare il piede tra la porta e il telaio.
«Almeno un altro bacio…». Corrugò la fronte e abbassò il capo, mostrando tutta la sua afflizione. «Potrei morire, se non mi accontenti».
«Solo uno, però».
Pronti a scambiarsi le effusioni, furono interrotti da un pesante bussare.
«Ci scommetto qualsiasi cosa che questo è…».
«Severus». Concluse il pittore sbuffando. Imbronciò la bocca e abbandonò la fonte del suo interesse, appressandosi all’uscio.
Nell’aprire, si trovò di fronte un uomo di bell’aspetto che lo fissava con un sorriso teso dipinto sul volto scarno e con la barba ingrigita dal tempo.
«Non sei ancora pronto?».
«Calmati» tentò di stemperare la tensione e lo invitò ad entrare.
«Siamo in ritardo, mister rivelazione dell’anno per l’estro e la pittura» aggiunse il manager, soddisfatto.
«E anche se fosse? Senza di me non possono iniziare».
«Purtroppo, essere famoso comporta anche degli obblighi. Lo sai benissimo». Saettò lo sguardo, studiando ogni angolo della casa. «La tua musa dov’è? Sai che tutti vogliono vedere se la sua bellezza è pari a quella che esprimi nei tuoi dipinti».
«Vogliono molto di più. Tutte le volte che lo presento, sia donne che uomini ne rimangono incantati».
«E come non potrebbero? Ha ipnotizzato anche te. Ti rendi conto che stai con lui da cinque anni?». Severus gli picchiettò la spalla ridacchiando divertito. «Ti ha proprio messo le redini, il ragazzino».
Harry annuì distrattamente. I ricordi tornarono alla notte ormai lontana dove qualcosa d’inspiegabile li aveva fatti incontrare.
Da allora, si erano amati senza promesse e senza paura di ciò che il domani gli avrebbe serbato. Socchiuse le palpebre ripensando al momento in cui aveva assistito al risveglio di quella creatura che sembrava un’apparizione, ma l’ingresso della stessa spezzo il fiume di pensieri. 
«Eccomi qui».
I due spettatori lo osservarono, mentre lisciava la camicia di seta chiara in armonia con l’incarnato pallido e sistemava i pantaloni di velluto nero che evidenziavano le cosce longilinee.
«Che succede? Non vado bene vestito così?».
«Sei perfetto» rispose il partner, ancora incantato. «Occhi violetti e labbra rosse come fragole mature. Chi non sarebbe ispirato da una meraviglia come te?».
«Concordo» aggiunse Severus. «Ma adesso andiamo». Bloccando sul nascere le smancerie, li spintonò bonariamente, obbligandoli ad abbandonare la casa.
Scesero in strada, dove la limousine bianca li attendeva. Potter alzò il capo ad osservare il cielo terso. La lugubre città splendeva rivestita da luna e stelle. Nel silenzioso osservare, parevano luccicare per lui e per la felicità che sentiva.
Il gruppetto salì in auto e percorse le strade semideserte, sfrecciando fino alla galleria in pieno centro.
I flash dei giornalisti brillarono all’orizzonte, rendendo visibile il tappeto rosso, steso per accoglierli.
Harry strinse l’amante e si rifugiò nelle sue iridi, dove per tutti quegli anni aveva trovato la forza di andare avanti.
Sollecitato dall’estro e dall’enfasi che gli trasmetteva, era tornato a creare opere d’inestimabile valore.
In ogni rappresentazione, racchiudeva un po’ dell’anima del suo ispiratore e un po’ della propria. In ogni quadro, vi era l’ombra del suo sguardo che carezzava le forme sinuose.
Sorrise, ripensando a un aneddoto nel primo anno di convivenza.
Aveva deciso di acquistare un nuovo appartamento. Un regalo per rendere la loro unione ancora più felice, ma la reazione di Draco l’aveva spiazzato. Si era inginocchiato, supplicandolo di restare nel vecchio loft.
E così, aveva comprato sia quello che il locale attiguo, trasformandoli in un tutt’uno.
«A che pensi?».
La domanda lo distolse dai ricordi. «A noi, come sempre». E a chi, cinque anni prima, gli aveva concesso questa gioia.
«È il tuo momento. Stanotte, tutto ciò per cui hai lottato si è strasformato in realtà».
«Ho già tutto quello che voglio. Senza te, non potrei vivere».
Si fissarono per una frazione di secondo senza dirsi una parola, prima di scendere e avviarsi nell'imponente sala mostre.
Nel corridoio, le tele erano appese in ogni angolo e lo stesso soggetto troneggiava tra le pennellate e l’incontro di svariate sfumature.
Il pittore si soffermò sull’immagine a carboncino, la prima con cui aveva catturato i tratti di quello che allora era uno sconosciuto.
Il volto era celato in parte dal guanciale e le labbra dischiuse sembravano muoversi al soffio flebile. Accarezzò il vetro che lo proteggeva, come a rimpadronirsi del cuore donatogli.
«È magnifico. La sua opera migliore». Una bella donna, dai fluenti capelli biondi, lo affiancò interessata alla sua creazione. «Mi chiedo, perché si ostini a non venderlo».
«Non si cede una parte di noi. Rischieremmo di perderci, se lo facessimo».
«Posseggo molti dei suoi quadri, signor Potter. Sono davvero unici. Ogni rifinitura trasmette un sentimento che va al di là di tutto».
Lo sguardo dell’ospite d’onore vagò nell’enorme stanza, fino ad incontrare il partner. «È quello che provo quando li dipingo. È quello che mi dona ogni volta che mi perdo in lui». Pronunciò le ultime sillabe, come una promessa eterna. «Vuole scusarmi?».
L’interlocutrice vide l’ispiratore di tanta arte avvicinarsi con passo ondulato e sensuale. «Immagino sia lui la sua musa. Davvero un angelo».
«Un angelo soltanto mio». Il pittore gli chiuse i palmi sulle gote e si abbassò a sfiorargli la bocca. «Andiamo via».
Draco sgranò gli occhi e annuì felice della proposta.
Non servì altro. Si diressero all’uscita, ma Severus riuscì a raggiungerli prima che si defilassero. «Dove state andando?».
«A casa». Potter gli strizzò l’occhio, continuando a camminare.
«Ma devi incontrare il senatore, ritirare il premio. Non puoi andartene».
«Non posso…certo. Ma lo sto facendo! Prendi tu il premio e salutami il senatore». Ridendo, sparirono dietro la porta girevole.
«Maledizione! E adesso? Come faccio?». Grattandosi la cute, l’agente tornò sui suoi passi, pensando a una scusa da sventolare a pro dell’azione incosciente.

***

L’uscio si spalancò frustando la parete e i due amanti entrarono, avvinti dalla passione. Senza staccarsi, raggiunsero la camera e caddero sul letto.
Le bocche suggellarono il loro amore. Le mani, bramose di desiderio, danzarono sotto le casacche. Gli abiti volarono sul pregiato parquet e i toraci si sfregarono in carezze sempre più audaci.
Levandosi sulle braccia, il ritrattista fissò la sua musa. «Oggi è un giorno speciale».
«Ogni giorno lo è». Il fiato rotto dall’emozione, srotolò le parole tra gli ansiti.
«Guarda». Indicò l’orologio a muro. «È passata la mezzanotte. Quindi, è già domani. Cinque anni fa, all’alba…ti ricorda niente?» Sedette sul ciglio ed estrasse dal comodino una scatolina rossa. «Questo è per te…anzi per noi». Gliela porse soddisfatto e attese che l’aprisse.
«Cos’è?».
«È solo un pensiero».
Gli occhi del compagno brillarono di commozione, quando vide i bracciali d’oro, su cui spiccava una targhetta. «Sono meravigliosi».
«Ho fatto incidere la scritta “per sempre”. Come ti ho detto in macchina, tutto ciò che desidero è qui, davanti a me. Non mi serve altro per essere felice. Vorrei fosse per sempre».
Indossarono l’oggetto che sanciva la loro unione. Le dita s’intrecciarono e le labbra s’unirono in un bacio delicato.
«Sarà per sempre».
Si stesero l'uno accanto all'altro, fissando il cielo stellato al di là della vetrata.
«Sei felice, Draco?».
«Perché me lo chiedi?».
«Ho bisogno di sentirtelo dire».
«Immensamente».
«Ne sei certo?».
«Sicurissimo».
Potter scese dal talamo, corse nello studio e tornò con il cavalletto e una tela bianca. «C’è una cosa che devo fare. Se mi libererò da questo peso, sono sicuro che nulla intaccherà il nostro mondo».
«Vuoi dipingere, ora?»
«No. Voglio mostrarti una cosa. Vieni a vedere, è giusto che tu sappia». Strofinò la superficie con un panno umido e una figura macabra affiorò sul tessuto.
Il giovane, quando fu di fronte al quadro, fissò il mostro dalla pelle di fuoco e le dita ne sfiorarono i lineamenti. «Dio mio…».
«La notte che ti ho salvato, ho incontrato questo mostro. Mi disse che per vivere non avrei dovuto rivelare a nessuno di averlo visto».
«Mi hai mentito» mormorò il partner, con voce rotta dal pianto.
«Che dici? Non ne ho mai avuto intenzione. Ora, sai tutto. Era giusto che…».
«Mi hai mentito!» Berciò, sbattendo il pugno sul dipinto. «Avevi promesso». Il suono metallico dal tono maschile e femminile saturò la stanza. «Avevi promesso…». continuò a piangere.
Harry cadde in ginocchio, quando colui che tanto amava si trasformò nell’essere che da cinque anni non abbandonava i suoi pensieri. L’urlo di dolore, lo costrinse a serrare i palmi sulle orecchie.
I vetri tremarono e le nubi nere tornarono a sovrastare la città.
«Lo sai da quanto tempo ti amo? Lo sai da quanto ti guardavo attraverso quei vetri, durante la notte?». Il “gargoyle” indicò il lucernario e un bagliore l’avvolse. «Sei stato tu a darmi quella forma. Erano i tuoi sogni e io…io avrei potuto finalmente vivere accanto a te. Perché!? Perché ci hai fatto questo!? Noi eravamo felici!».
Negli occhi di ratto, l'artista riconobbe l’anima del suo amato. «Ti prego…ti prego...».
«Non c’è nessuna preghiera. Non c’è più, ormai».
«Perdonami. Fa che tutto torni come prima. Non lasciarmi. Hai potuto farlo una volta. Permettici di essere felici”. Piangendo, cercò di raggiungerlo. Doveva sentire il cuore palpitare, nascosto tra le grinze.
Le zampe sibilarono sul pavimento. «Non ti avvicinare. Ciò che mi teneva in vita, non esiste più. Devo andarmene e tornare sul mio antico merlo».
«Tu non capisci, Draco! A me non importa chi tu sia. Voglio stare con te!».
«Come puoi dire una cosa del genere!? Ti rendi conto di come sono?» L’essere mosse i lunghi artigli, sfiorandogli la guancia.
«Io ti amo» sussurrò Harry, chiudendo gli occhi.
«Anche io. Sarai sempre con me. Non dimenticherò mai questi anni meravigliosi».
Il raggio lucente s’intensificò, investendo entrambi.
«No! È per sempre. Anche quella era una promessa. Non puoi infrangerla. Saresti come me». Pose il bracciale a sfiorare quello rimasto miracolosamente appeso al polso del perduto amore.
«Per sempre…».
«Sì, per sempre».
«Ne sei certo?».
Il pittore annuì.
«Sei certo di volere essere come me?».
«Mai stato più sicuro in tutta la mia…vita». Il timbro cambiò repentino. La voce divenne gracchiante e gli occhi scuri si trasformarono in pozze di pece, posate su un volto dal becco acuminato.
Entrambi si guardarono, prima di librarsi nell’aria. Le lastre di cristallo caddero, sfondate dalle moli possenti.
Nel grigiore notturno, ci fu un silenzio immoto. Poi, solo il gorgoglio dei gocciolatoi.
 

Nel decadente palazzo, c'è un appartamento ormai vuoto da decenni. L'unico locale con il soffitto da cui si può vedere il cielo.
Due statue lo scrutano, dall’antico capitello. Un lampo fende il buio e i bracciali d’oro spiccano, avvolti dal chiarore.
Fusi in una sola essenza, i due amanti si stringono.
Per sempre, avevi promesso.
Ne sei sicuro?
Oggi più che mai
”.



  
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