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Autore: nebbiolina    10/12/2009    1 recensioni
"Sta piovendo su tutta la città, e sulle persone che si stanno arrugginendo sotto di essa non trovando un motivo valido per non farlo. Cammino, percependo la sofferenza delle persone intorno a me, che cadono e sono troppo pigre per rialzarsi."
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Vestita di stracci lisi e luridi vago per questa città.

Con le catene ai polsi e i piedi scalzi avanzo lentamente, osservando lo spazio intorno a me.

Lo sporco su di me aumenta affondando i miei arti sulle tristi pozzanghere infangate di sangue e melma.

I miei capelli sono rovinati e in disordine.

I palazzi che mi circondano sono tutti uguali, scrostati e desolati.

L’asfalto è rovinato e la pioggia riflette le tristi scritte illuminate dei supermercati e le ancor più tristi luci natalizie.

Sta piovendo su tutta la città, e sulle persone che si stanno arrugginendo sotto di essa non trovando un motivo valido per non farlo.

Cammino, percependo la sofferenza delle persone intorno a me, che cadono e sono troppo pigre per rialzarsi.

Il freddo che emanano è glaciale.

 

Su un marciapiede staziona una prostituta, presto arriverà un cliente.

Sarò davanti a lui e non mi vedrà.

Pagherà col suo stipendio una prestazione di pochi minuti, di quelle che dentro ti lasciano il vuoto, il nulla.

Penserà che almeno il suo fisico è appagato.

Si sente in prigione, ripensa al suo vissuto e niente è come avrebbe voluto che fosse.

Dirà a sua moglie che uscirà a fare la classica partitella con i colleghi dell’ufficio, mentre lei rimarrà a casa, incastonata sul divano, a guardare una tivù che non le trasmette più nulla mangiando schifezze e ingrassando ogni giorno di più, ripensando ai sogni della bella ragazza che era.

Il loro unico figlio, nato per errore, si da agli arresti domiciliari in camera, ogni giorno.

Con la musica nelle orecchie non vuole sentire i silenzi di quella casa, con i genitori che ormai non si parlano e con cui non parla.

Eppure, non è questo che le persone desiderano?

Un lavoro dignitoso, una famiglia, una casa.

 

Proseguo lungo la strada, con le catene che sbattono sul mio corpo, lasciando lividi.

Arrivo davanti al classico bar malfamato, nel classico quartiere malfamato, della classica città anonima.

Un uomo sbronzo dalla faccia leggermente paonazza sta litigando con un altro uomo.

Sono davanti a loro, e non mi vedono.

Lui sarà un manager falciato dalla crisi economica, che oltre aver perso il lavoro ha perso anche sua moglie e le sue due bambine.

Si è ritrovato senza niente,  in quella casa enorme e terribilmente vuota.

Passa le sue serate a bere per non pensare, sperperando i suoi risparmi e a breve dovrà vendere tutto quello che gli rimane per continuare a rovinarsi il fegato, pensando a dove ha sbagliato, perché il destino lo ha costretto a tutto ciò.

Il suo avversario ora, però, non è se stesso come dovrebbe essere, ma l’altro uomo.

Un professionista dedito al gioco d’azzardo ha appena perso l’ennesima partita a poker.

E fra poco perderà la libertà fisica… quella mentale, purtroppo per lui, l’ha già persa da anni, e non si ricorda nemmeno perché.

Guarda il suo nemico, colui che ha vinto quella partita, ma perderà a breve la sua misera esistenza.

Detto fatto, il secondo estrae il coltello e l’affonda nella carne del manager.

Si rende conto solo dopo di quello che ha fatto, e non vedendomi più da anni, mi maledice.

Come se fosse colpa mia.

La strada è macchiata di rosso, qualcuno grida.

Io proseguo.

 

Mi ritrovo davanti un ragazzo, seduto per sempre su una sedia a rotelle.

Le sue gambe non potranno più reggere il suo corpo.

Sono davanti a lui e mi vede.

Mesi in ospedali passati a ripensare com’era il suo mondo una volta.

Com’era bello correre dietro a un pallone.

Com’era bello andare a ballare il sabato sera.

Com’era bello essere autosufficiente.

Com’era bello essere libero.

Mesi in ospedale a ringraziare il fato di avere ancora un mondo.

Potrà ancora vedere.

Potrà ancora sentire.

Potrà ancora respirare.

Potrà ancora comunicare.

Potrà ancora provare.

Mi guarda e mi vede.

Mi guarda e sorride.

Mi guarda e le mie catene si dissolvono.

Le mie vesti tornano nuove e brillanti.

I miei capelli sono di nuovo in ordine.

La mia pelle ritorna brillante e pulita.

Si avvicina a me, mi prende una mano.

Mi bacia.

Dalla sua bocca esce una frase semplice ma sentita:

“Ho voglia di te, Vita.”

 

Nota: c'è un omaggio a De Andrè in questa fanfic, non sò se qualcuno la noterà, ma mi è venuto spontaneo farla.
Colgo l'occasione per ringraziare coloro che hanno letto questa oneshot ed eventualmente anche le altre che ho pubblicato, e un ringraziamento speciale va a coloro che hanno perso qualche minuto a commentare.
Grazie mille
  
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