C’era una volta un orco cattivo.Le grandi fauci insanguinate luccicavano avvolte dalla luna, e il cupo sinistro gracchiare dell’ugola squarciava il silenzio della foresta incantata…
 
PROLOGO
 
I rami dei grandi abeti danzavano come spettri. Rumoreggiando rabbiosi, scuotevano il manto, che li appesantiva.
La neve cadeva leggera e incessante.
S’udì un uccello notturno sollevarsi in volo. Il piumaggio sfavillò colpito dal luccicore dei fiocchi e il canto funesto inghiottì il silenzio attraverso acuti trilli.
Il paesaggio era disturbato soltanto da un’enorme casa al limitare del bosco, che richiamava a sé l’unico alito di vita.
Il legno scuro la mimetizzava tra i fusti della boscaglia. Il fumo, aromatizzato d’eucalipto e quercia, usciva sinuoso dal comignolo, inondando l’aria.
La porta in ferro battuto si spalancò di botto e frustò contro la parete.
Un ragazzo uscì in fretta, attraversò il porticato e scese gli scalini.
I sottili capelli, a contatto con i fiocchi, si allungarono, appiccicandosi alla fronte. Il biondo luna si trasformò in un castano opaco. Le gocce d’acqua scivolarono lungo il collo.
Inciampò nell’ultimo gradino e rovinò sulla coltre bianca.
Avviluppato dal freddo, il corpo, sottile ed elegante, vacillò senza trovare tepore nella camicia e nei jeans.
Si sollevò e scosse la testa. Mille perle di ghiaccio vibrarono tutt’attorno.
Cercò di camminare, ma i piedi nudi furono inghiottiti ad ogni passo.
La bocca, dischiusa in respiri affrettati, condensava l’affanno in gelide nuvole di terrore.
“Non può essere. Non posso. Io… io devo…”. Il suo grido si diluì nell’aere.
Il volto si contorse, mostrando una maschera d’orrore e sofferenza. Le iridi d’argento inseguirono i rumori.
L’agitarsi del vento produceva una melanconica melodia, simile a una nenia lontana e infausta.
Iniziò a battere i denti, incapace di contenersi. Il sudore gelido colò lungo le gote, insinuandosi nella bocca. Le spalle erano scosse dai singhiozzi.
Si lasciò cadere a carponi e fu ammantato dal torpore. Cercò sostegno nelle braccia intirizzite.
Un liquido vermiglio sporcò il biancore. Lento e costante si mischiò al pianto.
Il sangue colava copioso dal naso. Provò a fermarlo. Con il dorso, tentò di cancellarne le tracce. Ma fu un vano tentativo.
Non si arresta l’inevitabile.
Non si può rinnegare ciò che si è.
Cercò di quietarsi, ma il cuore rumoreggiava nel petto e la sensazione di disorientamento non accennava a diminuire.
Emise un rantolio sommesso e affondò nella neve.
Poi, solo silenzio.
Di nuovo silenzio.