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Autore: PattyOnTheRollercoaster    13/12/2009    2 recensioni
[Dal capitolo 3]
Perfetto. La mia vita si può riassumere in pochi concetti: mi chiamo Robert, faccio l'attore, ho un figlio di cui non sapevo l'esistenza, e ho il brutto vizio di spargere per casa le mie calze come se qualcuno prima o poi le raccogliesse.
Faccio schifo... sul serio.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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2.The countdown

Quel pomeriggio scoprii diverse cose. Ad esempio come i genitori di Dana si erano arrabbiati a morte con lei quand’era rimasta incinta (come se si fosse messa incinta da sola) e, dopo aver finito il liceo, aveva trovato un lavoro e si era trasferita a Londra perché non sopportava di stare ancora a casa con loro. Di come aveva fatto un corso serale per avere un lavoro nell’editoria e di come doveva fare un viaggio nella sede centrale di un’agenzia per sostenere un esame. E, siccome doveva aspettare lì il risultato, doveva lasciare il bambino a qualcuno. Aveva chiesto ai suoi genitori, ma non c’era stato verso. Aveva provato a contattare una baby sitter ma costava molto più di quanto avrebbe potuto permettersi. Alla fine mi aveva scovato e raggiunto e a quanto pare aveva trovato la soluzione ideale.
Già, proprio ideale.
Lunedì Dana sarebbe partita, ma aveva deciso di lasciarmi Jonathan domenica sera, così non ci sarebbero stati troppi problemi alla partenza.
“Ascolta” dissi a Dana mentre ci stavamo mettendo d’accordo sulle modalità di consegna, come per un pacco, “magari possiamo uscire tutti assieme prima che tu parta”. La verità era che, prima di ritrovarmelo in casa, volevo vedere il bambino con i miei occhi e vedere come si comportava, e come si comportava Dana con lui.
“Mh, si ok. Tanto ho l’aereo all’una, quindi posso anche andare a dormire tardi. Prima posso passare da te per darti tutte le cose di cui avrai bisogno”.
“Tipo?” chiesi.
“Sembri schifato. Il periodo dei pannolini è passato da un pezzo, sai?” disse Dana, al che sospirai scoraggiato. “Hey … andrà tutto bene, scommetto che sei un bravissimo papà” disse posandomi una mano sulla spalla.
“Non ne sarei tanto sicuro” dissi angosciato.
“Io dico di si. Mi preoccuperei se non fossi spaventato. Così sei perfetto! Tutti i genitori hanno paura, almeno credo. Io ne avevo un sacco. Se è per questo ne ho ancora, sono tranquilla solo fuori”.
Nel guardarla mi scappò un sorriso. “Guardandoti non si direbbe per niente che hai un figlio”.
“Lo so” disse lei stingendo le labbra e annuendo, fissando il tavolino di fronte al quale eravamo seduti. “Sembra una cosa strana in effetti. Voglio dire, sono molto più da … rave party che da mamma con il suo bambino al parco giochi. Però devo dire che tu sembri molto più papà di me”.
“Chissà se è un bene” dissi appoggiandomi sullo schienale del divano e alzando la testa al soffitto.

Domenica, alle sette di sera, Dana bussò alla mia porta. “Ciao ti ho portato le cose” disse porgendomi un borsone da ginnastica.
“Ok” dissi sbirciando dietro di lei e prendendo il borsone. “Dov’è?” chiesi incerto.
“In macchina che ci aspetta”. Gettai il borsone vicino alla porta, presi la giacca e uscii. Fuori faceva molto freddo ed era già buio. Ci dirigemmo verso la macchina di Dana e lei mi porse le chiavi. “Vuoi guidare?” mi chiese. Io sbirciavo il sedile anteriore, dove c’era un bambino che faceva degli scarabocchi con le dita sulla condensa del finestrino e mi dava le spalle.
“Ok” dissi prendendo le chiavi. Aprii e mi sedetti al volante, voltandomi verso di lui. Nel momento esatto in cui mi girai lui fece lo stesso.
Trattenni il fiato, un calore mi invase e mi compresse le viscere in una morsa letale.
Era bellissimo. La cosa più bella e perfetta che avessi mai visto in tutta la mia vita. Se ne stava lì in silenzio, senza nemmeno accorgersi né immaginarsi di cosa mi stava facendo passare, di che tortura era guardarlo. E mi osservava con occhi così limpidi che quasi provai vergogna. Erano del mio stesso colore, e brillavano alla fioca luce che ancora c’era per strada. La morsa nelle mie viscere si faceva sempre più stretta e mi mancava il fiato. Mio figlio. Mio figlio. Ma avevo poi diritto a reclamarlo come mio in quel modo? Ad essere così possessivo? Osservai le sue guancie, piene, i suoi capelli un po’ castani, come i miei, e un po’ rossi, come quelli di Dana. Guardai le sue mani piccole, notai che aveva le unghie lunghe. Osservai il suo naso piccolo all’insù, dritto e perfetto. E come sembrava piccolo in quegli abiti! Una giacca verde e una felpa grigia, e dei jeans.
In quella non erano passati che uno o due secondi.
“Ciao” sussurrai.
“Ciao. Come ti chiami?” chiese, con voce squillante.
“Robert. E tu?” chiesi con il cuore in gola, anche se sapevo già il suo nome.
“Jonathan” disse.
In quel momento entrò Dana sul sedile posteriore, e mise la testa in mezzo ai due sedili davanti. “Questo è il mio amico Robert” disse a Jonathan. “Salutalo Johnny”.
“L’ho già fatto” disse lui voltandosi verso Dana.
“L’ha fatto” confermai, voltandomi verso di lei.
“D’accordo. Allora dove andiamo?”.
“Pensavo di andare a mangiare fuori” proposi.
“Andiamo a mangiare la pizza?” chiese Jonathan.
“Hey, basta pizza, capito?” disse Dana minacciandolo con un dito.
“Dai! Daaai” la pregò lui inclinando la testa di lato, mentre i capelli castano rossicci si muovevano con lui.
“Dai …” mi uscì detto, voltandomi verso Dana. Nemmeno fossi io il bambino!
“E poi basta fino all’ inizio della scuola dopo le vacanze?” chiese lei alzando un sopracciglio. Jonathan annuì convinto. “Allora andiamo” acconsentì. Guidavo, ma non vedevo la strada: Jonathan attirava il mio sguardo in un modo pazzesco. Come quando vedi per strada una persona vestita in modo strano, o come quando c’è qualcuno che non conosci che ha qualcosa sulla faccia e quindi non lo puoi avvisare: non puoi fare a meno di guardarlo.
Arrivammo in una pizzeria del centro, semplice ma abbastanza elegante, e la cameriera (oltre a sorridermi in modo osceno) ci diede un tavolino in un angolo.
Dopo aver ordinato Dana incrociò le dita sotto al mento e disse: “Johnny, ti sta simpatico Rob?”.
“Si, ma non mi piace il tuo nome” disse lui dondolando le gambe alla velocità della luce.
“Ma … tu puoi chiamarmi come vuoi” dissi preso alla sprovvista.
“Allora ti chiamerò Bob” disse convinto. Sorridendo, mi guardò dal basso verso l’alto. Era il sorriso migliore che avessi mai visto. Luminoso, sincero.
“Bene” riprese Dana. “Ti ricordi che ti ho detto che avrei dovuto lasciarti per qualche tempo da un amico?”. Jhonny annuì, guardandomi di sottecchi. “Starai con Robert. Io tornerò il ventinove, così passeremo il Capodanno insieme”.
“Ma io non voglio stare con lui” disse con voce lamentosa. Forse questo prima di vederlo mi avrebbe rallegrato, ma ora mi dava un po’ di tristezza. Mi sentivo inadatto, forse la persona meno adatta a tenere un bambino, un po’ come se Madre Teresa suonasse nei Kiss.
“Jonathan non essere maleducato” lo rimproverò Dana.
“Non importa, non importa” dissi io a voce bassa. “Vuole stare con sua madre, logico”. Dana mi guardò come se gli facessi pena, le labbra sottili rivolte all’ingiù.
“Non fa niente non si dicono queste cose” disse rivolta a Jonathan.
“E’ vero” aggiunsi io, “quando parli male di una persona devi farlo solo quando lei non c’è” mi raccomandai. Dovevo pur insegnargli qualcosa, no? Johnny sorrise.
“Robert!” esclamò Dana divertita. “E’ questo l’insegnamento che gli dai?”.
“Tutti parlano male delle altre persone, almeno una volta nella vita. E’ giusto che sappia prima che gli succeda qualcosa” dissi alzando le spalle come se fosse logico. Dana scosse la testa e alzò gli occhi al cielo.
“Ma quando arriva il ventinove?” chiese Johnny. Tirai fuori il portafoglio e uno di quei calendari tascabili. Vidi una cameriera e le chiesi di portarmi una biro.
“Guarda,” dissi a Johnny, avvicinandomi a lui, “noi ora siamo qui” dissi facendo un cerchietto sul quattordici di Dicembre. “Quando arriviamo qui” dissi cerchiando il ventinove, “tua mamma torna”.
“Quanti giorni sono?” chiese lui prendendo in mano il calendario.
“Quattordici. Facciamo così: ogni sera faremo una x sul giorno passato e faremo il conto all’indietro, ok?”.
“Ok”.
“Quello puoi tenerlo” dissi indicando il calendario.
“Grazie” disse lui sorridendo ed esaminando il retro del cartoncino plastificato.
Dana mi guardò mordendosi un labbro, sorridente. Non potei fare altro che ricambiare. Probabilmente fare il padre non comportava solo regalare calendari formato francobollo a tuo figlio, però mi sentivo realizzato.
Dopo la pizzeria passammo davanti ad un cinema e Dana propose di vedere un film. Devo ammettere che mai un cartone animato della Disney era stato così emozionante per me. Non guardavo più i cartoni da quando avevo undici anni, più o meno … ora so che Il Re Leone, in quanto a inventiva, non era nulla in confronto a quello che abbiamo visto. I cartoni di oggi lo fanno sembrare di una banalità incredibile.
Quando il film finì e noi stavamo tornando a casa Johnny si addormentò sul sedile posteriore dell’auto, comodamente allungato lungo tutti e tre i posti.
“Nella borsa c’è il mio regalo di Natale barra compleanno, non è che glielo potresti dare tu?”.
“Certo.” risposi guardando la strada, “Quand’è il suo compleanno?”.
“E’ a Natale” rispose Dana. “Lui odia essere nato a Natale”.
“In effetti anche a me darebbe fastidio che tutti ricevano dei regali al mio compleanno”.
“Già … dimmi, hai molti impegni in questi giorni?” mi chiese Dana preoccupata.
“No, non molti in realtà. Solo … dovrò dire ai miei che porterò a casa un bambino per le feste”.
Dana abbassò lo sguardo. “Scusa, come al solito non penso alle conseguenze di quello che faccio”.
“Se è per questo nemmeno io. Non è che è nato solo per tua volontà” dissi alludendo a Johnny.
“Si ma non è nemmeno completamente giusto portartelo così senza preavviso” disse sospirando.
“Hey non preoccuparti” dissi, cercando di tirarla su di morale. “Andrà tutto bene, non sarò un caso così disperato”. In realtà cercavo di rassicurare più me che lei.  Restammo un po’ in silenzio, poi mi venne in mente una domanda da fare: “Dana, lui non sa che sono suo padre, vero?”.
“No”.
“Voglio dirglielo” dissi lanciandole un’occhiata per vedere che faccia avrebbe fatto.
“Forse è meglio che glielo dici quando torno. Glielo diciamo assieme” propose lei.
“D’accordo. Mi sono divertito stasera, è … è perfetto. Ma non voglio diventare una cosa del tipo lo zio o cose del genere, da vedere solo quando hai voglia di divertirti”.
“Lo zio?” chiese Dana divertita.
“Si, hai capito, no?”.
“Certo. Non preoccuparti. Te l’ho detto, io volevo dirtelo fin dal principio, poi le cose … sono sfuggite un po’ di mano” disse a bassa voce.
“Capisco …” mi fermai di fronte a casa e Dana si voltò a guardare Johnny che dormiva.
“Non ci siamo mai separati per più di otto ore fin da quando è nato” disse con sguardo sofferto.
“Io …” deglutii, “ti prometto che ci penserò io. A tutto” dissi seguendo il suo sguardo. Johnny dormiva beatamente, non dava segno di poterci sentire e per questo ringraziavo il cielo, non volevo che sapesse quanto ero inetto.
Dana uscì dalla macchina e fece tutto il giro, poi aprì la portiera posteriore e prese in braccio il bambino che, come se nulla fosse, continuava a dormire. Cercando di essere il più silenzioso possibile la condussi in casa e le indicai la stanza per gli ospiti che, avevo deciso, sarebbe stata la sua camera. Chissà se gli sarebbe piaciuta? Dana scostò le coperte e vi infilò delicatamente Johnny. Non ho idea di come fece, ma riuscì a mettergli il pigiama mentre lui dormiva, e senza nemmeno svegliarlo.
Avevo davvero molte cose da imparare …
Quando Dana ebbe compiuto la complicata missione tornò in salotto e chiuse la porta della stanza di Johnny. “Allora vado” disse esitante. “Grazie mille Robert, non so davvero cosa dire”.
“Figurati. Sono contento che tu sia così sprovveduta, almeno sei venuta fino a qui. Non avrei mai pensato che fosse capitata una cosa del genere” dissi spostando il peso da un piede all’altro.
“Ti prometto che quando tornerò cambieranno un sacco di cose. Potrai vederlo quando vorrai, e ci metteremo d’accordo … magari per le vacanze, così sta un po’ con me e un po’ con te, e …”.
“Hey” dissi alzando le mani, “di questo parleremo con più calma. Vediamo prima se riesco a gestire la cosa per un paio di settimane, altrimenti significa che non c’è futuro”.
“Credo che nessuno sia davvero preparato a crescere un figlio. Voglio dire, per quanti libri uno abbia letto o quanti corsi abbia fatto, i bambini non li puoi imparare. Però vedi, tu sei così … così bravo, non so come descriverlo. Si vede lontano un miglio che te le la stai facendo nei pantaloni dalla paura, però vuoi ancora continuare”.
“Non so se questo mi rincuora” dissi corrugando la fronte. Dana rise e io mi unii a lei. “Comunque anche tu sei stata brava, non ti sei tirata indietro”.
“Grazie” disse Dana incamminandosi verso la porta. “Allora ci vediamo fra un po’. Non mi odiare se telefono ogni giorno”.
“Ma va, la tua chiamata sarà la mia ancora di salvezza” dissi aprendole la porta. La abbracciai sulla soglia di casa.
Improvvisamente fu come tornare a quel giorno: quel giorno in cui la lasciai. Ero ancora un adolescente senza problemi, senza un pensiero che fosse uno.
Senza il minimo sospetto che, in quel momento, mio figlio stava cominciando a crescere in lei.
“Grazie” fu l’ultima cosa che dissi a Dana prima di sciogliere il nostro abbraccio.





Mamma mia. A quanto pare Robert è colpito dal fatto di avere un figlio. Mah... chissà come mai? Dopotutto capita ogni giorno, no? XD Comunque, adesso che abbiamo messo le cose in chiaro, e Dana lascierà la città, adesso inizia il vero calvario di Robert! XD Tutto solo con un bambino da accudire!
...cavolo. A volte mi chiedo come ho fatto a fare una fic del genere. Io detesto i bambini piccoli, quelli dai 5 agli 11 anni circa. Vabè, non è questo il punto. Quello che volevo dire, è che ho scelto un'età precisa per Jonathan: non volevo che fosse troppo piccolo, ma non poteva nemmeno essere tanto grande. Spero di essere riuscita a prendere un'età giusta. O.o

Enris: grazie mille per la recensione! Sono felice che la storia t'interessi. Purtroppo il personaggio di Dana non comparirà molto, verrà solo citato di sfuggita a volte, ma la sua personalità si chiarirà più avanti. Anche a me sarebbe piaciuto trattarlo meglio, come personaggio è interessante, ma volevo che Robert e il bambino stessero assieme senza interferenze. Grazie ancora e al prossimo capitolo! ^^

A tutti gli altri che seguono la storia: grazie mille! ^^
Patty.
   
 
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