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Autore: araya    13/12/2009    2 recensioni
Questa fanfiction si è classificata seconda al contest "Project... Naruto?" indetto da Princess of the Rose. Di ritorno dalla guerra, il giovane Kakashi è distrutto sia nel corpo che nel fisico a causa della morte del suo migliore amico, Obito Uchiha. Rinchiuso nella prigione che lui stesso si è creato attorno, qualcuno verrà a fargli visita...
Genere: Triste, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kakashi Hatake, Obito Uchiha, Rin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fumo e Colpe Salve a tutti Signori e Signore! Per prima cosa voglio fare i complimenti a tutte le partecipanti al contest "Project... Naruto?", alla giudicia e a ValeHina che oltre ad essere arrivata prima ha pure fatto i banner, compreso il mio che è stupendo XD
Ora bando alle ciance e vi lascio alla storia!

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Fumo e Colpe

 

 

La nebbia che da quella mattina aleggiava su Konoha sembrava voler entrare in ogni casa, filtrando per ogni spiraglio o fessura come una tossina velenosa.

Molti, anche tra la popolazione civile, credevano fosse il segno che persino il tempo avesse deciso di commemorare i caduti di quella guerra devastante, facendo in modo che il sole non potesse tentare di cancellare l’angoscia e la tristezza della gente della Foglia.

Ma il giovane Kakashi, chiuso nella sua stanza dal ritorno al villaggio insieme a gli altri ninja, sapeva che il sole non avrebbe più riscaldato il suo cuore. Non dopo quello che aveva fatto.

Il grande specchio, che una volta era appartenuto a sua madre, rifletteva ora uno scenario deprimente e doloroso: in quella camera spartana, fatta eccezione per lo specchio e per il diploma d’Accademia di suo padre, Kakashi riusciva a scorgere la figura di un estraneo; perché il ragazzo senza maschera e dagli occhi diversi non poteva essere lui.

Kakashi Hatake non avrebbe mai mostrato il suo volto, Kakashi Hatake non avrebbe mai contemplato la propria immagine in un modo tanto disgustato, Kakashi Hatake non avrebbe mai pianto.

Nell’assoluta immobilità di quella grande camera, il bussare di qualcuno alla finestra colpì il giovane ninja come un fulmine a ciel sereno, suo malgrado i riflessi affinati durante gli anni di addestramento agirono al suo posto, e in una frazione di secondo si ritrovò in piedi accanto alla finestra. La nebbia all’esterno era talmente fitta che non riuscì a scorgere nessuno in strada, la curiosità lo spinse ad aprire di poco un’anta, ma continuava a non vedere nulla.

Seccato per il disturbo richiuse la finestra tirando persino le lunghe tende scure, e lentamente, come un anziano malato da tempo, tornò a sedersi nel suo angolo buio stringendosi le ginocchia al petto.

La stanchezza di quei giorni pesanti continuava a farsi sentire, ma Kakashi non aveva intenzione di addormentarsi, non avrebbe più chiuso occhio per il resto dei suoi giorni, e se questo avesse significato essere un morto ambulante, meglio, da molto ormai desiderava essere morto.

Preferibilmente schiacciato sotto un macigno da venti tonnellate.

Le lacrime cominciarono a scorrere lungo le guance scavate, una volta, tanto tempo fa, avrebbe riso di se stesso; ora non l’avrebbe fatto mai più.

L’abitudine, anche quella dura a morire, di rimanere vigile in ogni circostanza portò il neojonin a volgere ancora lo sguardo verso la finestra quando uno spiffero gelido fece ondeggiare le spesse tende. Strano, era sicuro di averla chiusa per bene; si impose di non badarvi, ma presto avrebbe dovuto farlo in ogni caso.

Lentamente, da sotto la cortina di tessuto scuro iniziò a formarsi una piccola nuvola di vapore, a qualche centimetro dal pavimento, che silenziosamente andava spandendosi per tutta la stanza, arricciandosi in sbuffi grigiastri.     

Grazie alla nuova vista, Kakashi riuscì a scorgere con la coda dell’occhio che c’era qualcosa in quella stanza, assieme a lui; il suo sguardo saetto prima di tutto verso il semplice tavolo all’angolo, lì dove teneva le sue armi, lì dove riposava anche una cornice capovolta insieme al vetro infranto. Quando, lentamente, rivolse la sua attenzione all’intruso la sorpresa gli svuotò completamente il cervello da ogni pensiero.

“Ciao Kakashi.”

Dalla nebbia che ormai aveva invaso tutta la camera si levava una figura agghiacciante, leggermente trasparente; la sua parte sinistra portava gli stessi vestiti, anche se di un colore perlaceo, di un appartenente alla casata degli Uchiha, ma tutto il suo lato destro era martoriato, il sangue lattiginoso ancora colava dai muscoli esposti all’aria e il viso sfregiato esibiva contemporaneamente una smorfia di dolore represso, li dove la dentatura era bene in vista, e un ghigno amaro dove la pelle era rimasta invece intatta.     

L’occhio destro incavato nell’orbita scorticata sembrava emettere un rosso bagliore, quasi a far da contrasto alla sua parte sinistra, dove un buco nero faceva bella mostra di se risaltando sulla pelle semitrasparente.

Il terrore che aveva preso il posto della sorpresa impedì a Kakashi di muovere un singolo muscolo, anche se la sua parte razionale gli stava urlando che probabilmente quella era un’illusione o una strana tecnica ninja, non poté far altro che negare ciò che aveva davanti. Il dolore era ancora troppo vivo per poter cedere alla ragione.

“No… n-non è possibile… t-tu non sei reale…”

Con entrambi gli occhi sbarrati il giovane Jonin fissava atterrito il suo defunto compagno di squadra Obito Uchiha.

Lentamente l’essere si avvicinò al ragazzo, ancora paralizzato contro il muro spoglio e quando parlò la sua voce aveva un che di dissonante, simile ma allo stesso tempo completamente diversa da quella del vero Obito.

“Sai perché sono venuto? Un genio come te dovrebbe averlo già capito…”

La nebbia che aleggiava docile nella stanza all’improvviso si riversò completamente su Kakashi, stringendolo in una morsa impalpabile e sollevandolo fino ad alcuni centimetri dal pavimento. Il giovane Jonin, ritrovata la lucidità e la forza di reagire, tentò di divincolarsi dalla stretta con ogni residuo di energia rimasta; ma fu tutto inutile, e quando si arrese alla presa di ferro lo spettro del suo migliore amico alzò la mano martoriata, come per colpirlo.

“Guarda come ti sei ridotto…”    

Con la testa ciondolante e gli arti stremati, Kakashi non aveva nemmeno la forza per convincersi di non avere a che fare con un fantasma, ed ormai sfinito si lasciò cadere mollemente a terra, quando la mano fumosa lo lasciò andare.

“La giovane promessa di Konoha… il Ragazzo Prodigio… il futuro Hokage… non vedo nessuno di loro qui. Davanti a me c’è solo un ragazzino incapace persino di parlare.”

Tra le lacrime di disperazione, in ginocchio davanti al fantasma del suo defunto compagno, distrutto sia nel corpo che nell’animo, Kakashi si ritrovò ad implorare.

“Ti prego… Ti prego… Uccidimi!”

Alzando lentamente il viso bagnato, il ninja allungò una mano verso i frammenti di vetro della vecchia foto, caduti in terra a causa del contraccolpo della sua caduta.

Spalancando l’unico occhio rimasto, il fantasma di Obito tentò di fermare la mano del ragazzo, senza riuscirci, ma il contatto tra la pelle calda di Kakashi e la gelida nebbia che costituiva il corpo dello spettro paralizzarono brevemente il braccio del ninja.

“Che cosa credevi di poter fare? Comportarsi in un modo tanto stupido…”

La rabbia nelle sue parole era più palpabile del suo stesso corpo fumoso.

“Come hai potuto pensare che io non sarei tornato per darti una lezione?”

Reggendosi ancora il braccio malandato, Kakashi chiuse gli occhi e scosse il folto ciuffo di capelli argentei, negando ostinatamente ogni pensiero che non fosse la redenzione mediante il suo sacrificio. Perché altrimenti Obito sarebbe tornato? Per cosa se non per vendicarsi? Dopo tutto era stata tutta colpa sua…

Il breve ma pesante silenzio che si era venuto a formare tra i due venne interrotto bruscamente dal suono quasi alieno del campanello d’entrata, attraverso le pesanti cortine alla finestra si riusciva a scorgere solo una sagoma minuta.

La voce che si insinuò nella nebbia apparteneva ad una ragazza, si sentiva chiaramente che si sforzava di mantenere un tono fermo, ma alla fine le sue parole s’incrinarono.

“Kakashi-kun? Sono Rin. Kakashi-kun… Sono venuta per vedere come stai… e per… parlare”.

Il fantasma di Obito si mosse leggermente verso la finestra da dove proveniva la voce roca della sua ex compagna di squadra.

“Rin…”

Sussurrando quel nome dall’unico occhio del fantasma colarono poche lacrime perlacee, subito estinte con forza dalla mano sana; lentamente lo spettro si voltò verso Kakashi, ancora inginocchiato a terra con lo sguardo fisso verso il suo defunto compagno.

“Scusami, è solo che… che… non riesco più a parlare con nessuno da quando… da quando…”

La voce della giovane kunoichi si spezzò, a stento riusciva a trattenere i singhiozzi, ed entrambi i suoi compagni di squadra capirono che stava piangendo al ricordo dell’incidente; molto probabilmente si sentiva profondamente in colpa per ciò che era accaduto ad Obito.

“Apri”

Ordinò il fantasma con voce ancor più tetra e flebile, ma il Jonin non aveva la forza per fare ciò che gli era stato ordinato, non aveva il coraggio di guardare in faccia Rin perché sapeva che se lui non avesse tentato di abbandonarla al proprio destino, ora forse sarebbero stati ancora tutti e tre insieme.

“Che cosa aspetti? Apri! Non hai capito che sta soffrendo?”

Obito sbraitò a Kakashi, tentando invano di afferrare il giovane ninja per il giubbotto.

“Non… non posso…”

Sconfitto, il giovane Jonin si lasciò cadere riverso a terra, voleva solo espiare la sua colpa, nient’altro, voleva solo morire; lentamente lasciò che le palpebre si chiudessero sopra i suoi occhi, creando così un dolce oblio scuro. Ma la voce dell’Uchiha risuonò ancora nelle sue orecchie.

“Mi avevi fatto una promessa, mi avevi promesso che ti saresti preso cura di lei e invece guardati! Non sei altro che uno stupido idiota che non è capace di reagire di fronte ad un ostacolo, te ne stai li a crogiolarti nel tuo dolore, senza pensare a quanto possa star male Rin. Dovresti vergognarti di te stesso, che razza di ninja è uno che non è capace di proteggere gli altri?”

Lo spettro si era allontanato dal corpo del ragazzo, ma il tono furente e disgustato dello spirito aveva sortito un effetto insperato: Kakashi riaprì gli occhi e rialzò la testa per fronteggiare il suo ex compagno.

“Credi che sia facile per me? Credi che se avessi potuto non sarei corso ad aiutarla? Ma… non ce la faccio, non riesco a mantenere la promessa che ti ho fatto… non ce la faccio…”

Ancora una volta le lacrime cercarono una via d’uscita, e lo sguardo di Obito si addolcì.

“Perché Kakashi? Perché non provi a reagire?”

Il giovane picchiò forte i pugni sul pavimento ancora invaso dalla nebbia, e si lasciò andare ad un urlo di sfogo prima di rispondere.

“… Perché è stata colpa mia! Perché non riesco a vivere con questo peso sulla coscienza! Non ce la posso fare…”

Nel sputare fuori quelle parole si portò la mano all’occhio sinistro, li dove brillava vermiglio lo Sharingan, da poco ereditato. Ma chi gli rispose non fu il fantasma, bensì qualcuno che era ancora fuori, immerso nella nebbia ad aspettare che qualcuno aprisse la porta.

“No… no, non è vero… Mi… mi dispiace… ti prego Kakashi… lasciami entrare… aiutami…”

Rin, stravolta dal pianto e dai singhiozzi si lasciò scivolare a terra, ancora con le mani aggrappate al pomolo dell’uscio,  sperando in qualche modo di trovarvi un appiglio, un’ancora di salvezza in quel mare di dolore che li stava facendo annegare tutti.

Con delicatezza, anche se il suo corpo perlaceo di spettro era impalpabile, Obito posò una mano sulla spalla del suo migliore amico e con dolcezza gli sussurrò parole di pace.

“Va da lei Kakashi, risvegliati da questo coma in cui sei caduto. Se vuoi espiare la tua colpa, allora vivi la vita con gioia in ogni suo istante; ama, vivi, sorridi anche per me. Fai tutto questo anche per me. Promettimelo.”

“No…”

“Promettimelo.”

Kakashi chiuse gli occhi e fece oscillare blandamente la testa, come a sottolineare il suo diniego, ma in fondo al suo cuore di ghiaccio ormai sciolto sapeva, sapeva che l’avrebbe fatto. Si sarebbe rialzato, sarebbe andato avanti per la sua strada e avrebbe vissuto la propria vita, tutto in nome del suo migliore amico; perché anche se Obito non c’era più, non l’aveva veramente abbandonato, sarebbe rimasto per sempre al suo fianco, alla sua sinistra.

“Va… va bene… ”

Stanco e distrutto sia nel corpo che nello spirito,  il ragazzo guardò con affetto il fantasma che gli sorrideva davanti e che stava lentamente ritornando nebbia; ma prima di andarsene per sempre rivolse un lungo sguardo nella direzione da cui proveniva il pianto sommesso della sua compagna e  parlò nuovamente al giovane Jonin, con assoluta calma e serenità.

“Mantieni anche la prima promessa, rendila felice… meglio di quanto avrei mai potuto fare io”

E così come era arrivato, insieme alla nebbia scomparve, senza lasciare prove evidenti del suo passaggio. Ma Kakashi sapeva che Obito aveva regione, e con fatica si rimise in piedi, barcollando aprì la porta di casa e trovò Rin accasciata sul primo gradino d’entrata; con cura l’aiutò a mettersi seduta e insieme piansero ancora e ancora, fino a quando il sole non fece capolino tra le nubi grigie. Capirono che ce l’avrebbero fatta, insieme nel ricordo del loro compagno, sarebbero andati avanti.

 

 

Fine.

Grazie ancora a chi la preferisce (???), recensice o solamente passa di qua XD

   
 
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