I
Giorni Dell’Abbandono
Domenica.
“...perciò verrai a cena da noi. Giovedì. Non
dimenticarlo!”
Victoire mi fissava con aria minacciosa dal camino,
regalandomi un’occhiata che conoscevo bene e che suonava tanto come non mi incanti, ho stabilito che verrai e
verrai, non accetto repliche.
“No di certo, Vic.” Sorrisi o, perlomeno, ci provai.
“Giovedì sera. Ehm, non vedo l’ora!”
L’aveva bevuta?
“Benissimo! A giovedì allora!”
L’aveva bevuta.
“Ciao Dom!”
“Ciao Vic. Salutami...salutami Teddy.”
Alzai una mano e lei mi sorrise per l’ultima volta
prima che il suo volto scomparisse dal mio camino, lasciando spazio alle braci
di un camino morente. Sospirai e, liberandomi dell’espressione forzatamente
contenta che avevo tenuto fino a qualche istante prima, mi tuffai senza forza
sul divano. Mi sentivo sfinita, lo sforzo di mantenere in atto tutta quella
sceneggiata aveva davvero sfibrato ogni membra del mio corpo.
Sapevo cosa ci voleva a quel punto e sapevo anche dove
trovarlo.
Secondo sportello in basso a destra, quello adibito a
dispensa. Scartai un paio di pacchi di caramelle, una bottiglia di succo di
zucca e infine recuperai, con un mezzo sorriso, l’anestetizzante di cui avevo
bisogno. Una bella, invitante, piena bottiglia di vino rosso. L’avevo
acquistata quasi per caso, senza farci neppure troppo caso, ma in quel momento
ringraziai il cielo per quell’acquisto folle che, a conti fatti, si era
rivelato davvero fortuito.
Recuperai un bicchiere dalla cucina, stappai il vino e
ne versai una dose abbondante.
Giovedì a cena da Victoire e Teddy, di rientro dalla
loro meravigliosa fantastica eccitante
luna di miele. Feci una smorfia e, in un unico fiato, mandai giù l’intero
contenuto del bicchiere. Il sapore dolciastro del vino mi stordì per un istante
ma sapevo che ci sarebbe voluto ben più di quello per offuscare il mio cervello
vigile, il cervello che mi aveva fatto guadagnare un posto tra le schiere dei
Corvonero fino ad un paio di anni prima. Ne ero sempre stata piuttosto
orgogliosa eppure, in quel frangente, desideravo con ardore poter staccare la
spina e liberarmi da qualsiasi altro inutile pensiero.
Victoire
e Teddy...
Versai un’altra dose di vino nel bicchiere.
Teddy
e Victoire.
Acciuffai il calice, storcendo appena il naso.
La
coppia più invidiata del Regno Unito. La coppia per eccellenza. La coppia
perfetta.
Dio avrei tanto, tanto voluto poter affogare in quel
vino...
Stavo giusto per portare il secondo bicchiere alle
labbra, quando avvertii distintamente il campanello del piccolo appartamentino
che avevo preso in affitto solo da qualche mese squillare con un fragore
indecente a mio avviso. Chi poteva essere a quell’ora? Controllai l’orologio:
le dieci e mezza di sera. Non aspettavo nessuno, ne ero sicura, e Rose sarebbe
dovuta essere a cena con Scorpius, perciò non poteva essere lei...no?
Il campanello trillò di nuovo e stavolta non mi
soffermai in astratti ragionamenti che non erano mai stati da me.
Ero un tipo pratico, io. Non mi perdevo in inutili
riflessioni, di solito. Merlino, che mi stava succedendo?
Raggiunsi la porta e, con un unico fluido movimento, la
spalancai.
“Lysander?” Domandai, più a me stessa che al ragazzo
biondo e dinoccolato che mi stava davanti.
Lui sorrise, sembrava vagamente a disagio. “A quanto
pare... Aspettavi qualcun altro?”
“No.” Scossi la testa e, in un attimo, ero ritornata la
Dominique fredda e impassibile di sempre. “Nessuno. Neanche te.”
“Infatti volevo farti una sorpresa...” Lysander arrossì
e lui non arrossiva mai. “Mi fai
entrare?”
“Certo.” Mi scostai su un lato e lo fissai mentre,
stranamente impacciato, si infilava dentro.
Io e Lysander potevamo considerarci qualcosa di molto
vicino a migliori amici. Eravamo finiti entrambe nella Casa di Corvonero,
mentre suo fratello gemello Lorcan era capitato con James in Grifondoro. Anche
se con una snervante tendenza a cacciarsi nei guai e a seguire il suo stupido
gemello e James e quell’altra testa matta di Fred nelle loro idee balzane,
Lysander aveva sempre avuto una sensibilità che, seppur ancora piuttosto
grezza, gli aveva fatto guadagnare molto più rispetto da parte mia di quanto
avessi mai immaginato possibile.
“Allora...” Iniziò Lysander poco dopo, senza sapere di
preciso che dire. “Sei da sola?”
“Ovvio. Abito da sola. Con chi dovrei essere?” Alzai un
sopracciglio mentre, con aria scettica, raggiungevo il divano.
“Io, beh...penso...penso nessuno.” Balbettò.
Corrugai la fronte.
Balbettò?!
“Che stavi facendo?”
Scrollai le spalle, fingendo una noncuranza che mal si
adattava al caos che albergava dentro di me. “Niente. Stavo per guardarmi un
film.” Era vero o, quanto meno, lo sarebbe stato presto se lui non fosse
sopraggiunto a sfatare i miei piani.
“Ah. Che film?”
“C’è un motivo per cui sei venuto a parte farmi il
terzo grado?” Gli rigirai la domanda, scontrosa.
Avevo appena sentito Victoire, avevo ricevuto un invito
a cui non avrei mai voluto presenziare e Lysander sembrava essere venuto solo
per farmi impazzire. Avevo il diritto di essere scontrosa!
Alla domanda, comunque, lui reagì inaspettatamente con
un goffo imbarazzo. Sì, sembrava davvero imbarazzato. Non ricordavo di averlo
mai visto in imbarazzo ad Hogwarts o mai.
“A dire il vero io...” Deglutì, evitando accuratamente
il mio sguardo. “Volevo solo farti compagnia. Per...per un po’.”
“Non te l’ho chiesto.”
Okay, era appena iniziato l’angolo della Dominique
Stronza. Mi odiavo quando facevo così. Non riuscivo a non fare così.
“Già...” Deluso? Era deluso? “Tu non chiedi mai niente,
giusto?” Mi sorrise e il suo era il sorriso sghembo che sfoderava sempre quando
perdeva la partita di Quidditch e non voleva mostrare la propria delusione.
Perciò sì,
era deluso. Ma per cosa? Che motivo c’era di essere deluso?
“Senti, lascia stare. Fingi che non sia mai venuto,
okay?” Si ritirò verso la porta, le mani nelle tasche del jeans e il viso contratto
in un’espressione tormentata. “Ho fatto uno sbaglio a venire...”
“Forse allora non saresti dovuto venire davvero.”
Replicai, rigida e dura più di quanto avrei mai voluto.
Lui mi fissò e, per un istante, qualcosa ruggì nel mio
stomaco dinanzi a quegli occhi così marroni, e sinceri.
“Forse hai ragione.” Sembrava aver ritrovato la sua
solita determinazione, così come io avevo ritrovato il mio cuore anche se la
scoperta non era stata così piacevole. “Non sarei dovuto venire.”
“Vattene. Nessuno ti obbliga a stare qui.” Lo fissai
severa, non mi piaceva sentirmi esposta, non mi piaceva quando riuscivano a
ferirmi.
Lysander ricambiò l’occhiata, i denti stretti sull’orlo
del labbro inferiore, e per un lungo momento rimanemmo così, a fissarci senza
dirci alcunché. Poi, prima ancora che potessi capacitarmi di quanto stesse
accadendo, lui aprì la porta e una folata gelida mi immobilizzò, ma non ero
sicura fosse dovuta al cambio di temperatura esterno.
“Mi dispiace... Mi dispiace per averti disturbata.”
Non
mi hai disturbata. Mi hai sentito? Non mi hai disturbata!
Ma la mia bocca seguiva leggi che il mio cervello non
riusciva a comprendere, rimanendo chiusa e zitta invece di rivelare ciò che il
mio cuore mi stava suggerendo di dire.
E rimasi così, come paralizzata, mentre Lysander
sgusciava fuori in un ultimo sospiro, gli occhi marroni che mi abbandonavano
alla solitudine che avevo volontariamente costruito attorno a me.
Sentii il rumore metallico della serratura scattare e
solo quando fui sicura di essere sola, che rilassai i muscoli. Non era
importante, mi dissi. Era solo Lysander, gli sarebbe passata prima di un’ora e
poi sarebbe ritornato tutto come prima, tutto come al solito tra noi.
Non era importante.
---
Lunedì.
Mi sbagliavo.
Non gli era passata né in un’ora, né in un giorno.
La bottiglia di vino era vuota e così anche la seconda,
e la terza.
---
Martedì.
Bottiglie di vino finite: cinque.
Puntate della prima stagione di I Giorni Dell’Abbandono: ventidue.
Puntate della prima stagione di I Giorni Dell’Abbandono viste: ventidue.
Gufi ricevuti dalla mamma: due.
Gufi ricevuti da Rose: sei.
Gufi ricevuti da Lysander: zero.
---
Mercoledì.
“Dom, lo so che sei lì dentro. Perciò o ti sbrighi a
muovere quel culo e a venire ad aprire, o giuro che butto giù la porta. Hai
capito? Dom! Guarda che non scherzo!”
Uhm...che ore erano?
Gettai un’occhiata all’orologio appeso alla parete,
regalo di zio Harry.
Le due. Chi poteva mai decidere di venire a bussare
alla mia porta e a rompermi alle due di notte? Grugnii e, alzandomi a fatica
dal divano, mi diressi a passi strascicati verso la porta.
Rose reggeva la bacchetta in una mano, il viso
corrugato in un cipiglio imbufalito e gli occhi ridotti a due fessure
inflessibili. Dietro di lei, spiccando nel suo metro e ottantasette di altezza,
Scorpius Malfoy dava fondo a tutto il suo aplomb per non gettarmi un’occhiata
disgustata. Non avevo bisogno dello specchio per sapere che versavo in
condizioni pietose, ma gradii comunque la premura.
“Che vuoi?” Biascicai, in una voce cantilenata che
stentai a riconoscere mia.
Per tutta risposta Rose mi guardò come se stesse
guardando un alieno. “Che voglio?!”
Ripeté, anzi, urlò.
“Abbassa la voce.” La ripresi, un cerchio mi comprimeva
la testa e sentivo che sarebbe potuta scoppiarmi se avesse continuato con tutti
quei decibel. “Mi fa male la testa...”
Arrancai verso il divano e, a peso morto, mi ci ficcai
sopra. Iniziavo davvero ad amare quel divano... Chiusi gli occhi e sprofondai
il capo nella spalliera.
“Merlino Dom, ma quanto hai bevuto? Ti rendi conto che
ti sto cercando da giorni? Non hai risposto ad un gufo, neanche uno!!”
Aprii un occhio, poi l’altro. Rose sostava dirimpetto a
me con l’aria di una pronta a cruciarmi. Sbuffai. Adoravo mia cugina, sul
serio, ma in quel momento volevo solo rimanere da sola e affogare in tutti gli
episodi de I Giorni Dell’Abbandono
che riuscivo a trovare, anche se era solo uno stupido telefilm Babbano.
“Dai Rose, siediti.” La invitò con voce pacata
Scorpius, una mano sulla spalla e gli occhi grigi fermi sul viso della sua
ragazza.
Non avevo mai legato poi tanto con il ragazzo anche se
l’avevo trovato sin da subito un tipo okay, pure piuttosto simpatico volendo.
Ma lì, vedendo il suo effetto benefico su Rose, non potei non ammirarlo. Era
palese quanto ci tenesse a lei, quanto la amasse, quanto la rispettasse e io
stessa non avrei saputo trovare niente di meglio per lei. Scorpius la rendeva
felice, la faceva sentire bene, completa,
e al di là di uno stupido cognome di famiglia, non c’era niente di più importante
al mondo.
“D’accordo.” Capitolò con un lungo sospiro Rose,
sedendosi sul tavolino basso davanti al divano. “Dom, mi dici solo una cosa?”
“Uhm.” Era un sì. Doveva essere un sì.
“Perché ti sei ridotta in questo stato?” Si morse la
lingua, preoccupata, e guardandola negli occhi seppi già in anticipo la
successiva domanda. “È per...lui?”
Lui. Teddy Remus Lupin. Il ragazzo che aveva sposato
mia sorella, mio cognato, colui che avrei dovuto considerare un fratello, come
lui faceva con me.
Ma la verità era sempre stata da tutt’altra parte,
nascosta dietro a cumuli di fredda indifferenza e artificiale felicità. Io mi
ero innamorata di Teddy, forse
persino prima di Victoire. E quando lui aveva iniziato ad interessarsi a lei,
quando aveva iniziato a guardarla come io
guardavo lui, quando aveva iniziato a
corteggiarla con quei suoi modi un po’ goffi e impacciati...il mondo, in
quell’istante, si era aperto in una voragine che aveva risucchiato tutto,
tutto.
Eppure non avevo pensato a Teddy in quei giorni. Me ne
resi conto lì per lì, con gli occhi di Rose posati addosso e quelli di Scorpius
che vagavano per la stanza per non risultare troppo invadente. Certo l’idea di
andare a cena da loro, di sentirli parlare della loro vita da neo-sposati, di
vederli guardarsi e sorridersi come non avrei mai potuto fare io, mi stava
abbastanza stretta da indurmi ad affogare ogni pensiero nell’aroma dolce del
vino. Era stato l’input ad aprire quella prima bottiglia, ma non potevo
addossargli la colpa anche delle successive. Ancora una volta, le cose erano
andate diversamente da come ci si aspettava.
Scossi la testa e presi un ampio respiro. “No.” Buttai
fuori quindi, e, prima di rendermene conto, aggiunsi... “Ho litigato con
Lysander.”
Ammetterlo mi procurò una strana morsa all’altezza
dello stomaco. Pensai che era normale. Non avevo mai litigato con Lysander
prima di allora, non seriamente comunque.
“Lysander?” Anche Rose sembrava piuttosto sorpresa di
apprendere la notizia.
Annuii, senza dire nulla, senza sapere cosa dire.
“Come mai?”
“È una cosa stupida.” Risposi e pensai che lo era, Merlino, lo era davvero.
Rose abbassò la testa, gettò un’occhiata fugace a
Scorpius e infine ritornò a puntare i suoi svegli occhi marroni su di me. Non
avevo mai fatto caso a quanto fossero simili a quelli di Lysander... Mi diedi
della stupida, era ovvio che non potevano esserlo, stavo diventando
semplicemente matta.
“Dom, tu lo sai vero cosa prova Lysander per te?” Non
era una domanda, ma mi ritenni lo stesso in dovere di rispondere.
“Siamo amici. Credo...penso mi voglia bene.” O, almeno,
me ne aveva voluto.
Lei boccheggiò un paio di volte alla mia risposta,
tuttavia fu la reazione di Scorpius a lasciarmi maggiormente interdetta. Si era
passato una mano nei capelli biondissimi – persino più chiari dei miei – e
aveva arricciato le labbra in un sorriso appena accennato, quasi incredulo. Gli
gettai un’occhiata perplessa e lui, di rimando, scrollò con nonchalance le
spalle ampie.
“Voi Weasley siete tutte così scettiche?” Mi chiese,
sembrava divertito da questa nuova consapevolezza.
Per tutta risposta Rose gli lanciò un’occhiataccia, per
poi ritornare a concentrarsi su di me.
“Che intende dire?” Le chiesi, stordita.
La testa non accennava a smetterla di girare e ad essa
si era aggiunta anche una fastidiosa sensazione di nausea alla bocca dello
stomaco.
“Dominique.” Rose mi fissava seria, fin troppo per i
mie gusti. “Lysander non ti ha mai considerato davvero un’amica.”
Sentirglielo dire con una tale semplicità, quasi fosse
stato ovvio e lampante, mi procurò più dolore di quanto una vita persa in un
amore impossibile mi aveva mai dato.
Lysander non mi considerava un’amica. Strinsi i pugni,
cercando di ricacciare indietro qualsiasi emozione. Lysander non mi considerava
un’amica. Non dovevo pensare, non avrei dovuto starci così male, non era
giusto, non era normale. Lysander non mi aveva considerato mai un’amica.
“Se le cose stanno così, poteva anche lasciarmi in
pace.” Mugugnai, dura e glaciale come un iceberg.
Di rimando Rose mi lanciò un’occhiata allarmata, ciò
nonostante fu Scorpius a parlare per lei.
“Ancora non l’hai capito?” Alzò gli occhi al cielo e,
in quel momento, lo odiai.
Odiai lui, e Rose, e Lysander che mi aveva sempre
mentito, e Victoire, e Teddy...e me,
che avevo lasciato a tutti la possibilità di prendersi gioco di me, di giocare
con i miei sentimenti, di abbassare il ponte per permettere a chiunque di
entrarci.
“Lysander è innamorato di te.” E poi le parole di
Scorpius, il continuo della frase precedente e io mi pentii per averlo odiato, per
aver odiato Rose, e Lysander, e Victoire, e Teddy.
Lysander era innamorato di me? Che significava? Era
impossibile, non poteva essersi innamorato di me, non...non aveva alcun senso.
“Dom, è la verità.” Mi disse anche Rose, più afferrata
del solito in campo di sentimenti.
Un po’ come me: era facile parlare delle situazioni
degli altri ed elargire consigli, ma quando poi ero io il soggetto in
questione...
“No.” Scossi la testa con veemenza, non potevo
crederci. “Non è vero. Lysander non può essersi innamorato di me...non me l’ha
mai detto!”
“Pensava di non avere possibilità.” Tentò di spiegarmi
Rose, ma io ero ostinata a non crederle.
“Avrebbe dovuto dirmelo!” Ripetei, come una bambina
capricciosa.
“Forse avrebbe dovuto farlo.” Mi concesse, fin troppo
determinata per illudermi che avesse deciso di desistere così di punto in
bianco. “Ma questo non cambia le cose, Dom. Lysander si è davvero innamorato di te. Probabilmente sin dal primo giorno.
Avrebbe dovuto dirtelo? Sì, avrebbe dovuto. Ma andiamo Dom, tu lo avresti sul
serio lasciato fare?!”
Strinsi le labbra.
No, dannazione. No! Era sbagliato, era tutto sbagliato,
era illogico e irrazionale, assurdo...era assurdo.
“Voglio restare sola.”
“Ma-”
Alzai il capo e i miei occhi azzurrissimi si fusero con
quelli marroni di Rose. “Per favore.” La supplicai, come non avevo mai fatto in
vita mia.
Lei lo sapeva, mi conosceva persino meglio di me, per
questo annuì e, con un sospiro, si alzò dal tavolino, Scorpius subito al suo
fianco.
“Uscirai da qui, vero?” Mi domandò poco prima di
andarsene, in apprensione.
Annuii. Era tutto ciò che riuscivo a fare in quel
momento.
“D’accordo allora. Ricordati che per qualsiasi cosa, se
tu...se hai bisogno di qualcuno, io...io ci sono okay?”
Annuii di nuovo, sembravo un automa.
“Andiamo via, Rose. Lasciala un po’ da sola a pensare.”
La voce strascicata di Scorpius inondò la stanza e io lo ringraziai di cuore
per quell’accortezza.
Percepii l’accenno di assenso di mia cugina e rimasi
immobile mentre loro uscivano, senza neppure voltarmi a guardarli. La porta si
richiuse e io, sprofondata nel divano, ritornai nel mio mondo di solitudine.
Lysander era innamorato di me...
---
Giovedì.
Mi ero fatto una doccia, mi ero vestita e mi ero
finalmente recata a lavoro. Essendo mancata per tre giorni, avevo un bel po’ di
lavoro arretrato e parecchie pratiche da sbrigare, però per una volta ne fui
felice. Dedicarmi a qualcosa, a qualunque cosa, era un ottimo metodo per
smettere di pensare senza rifugiarmi in una buon bottiglia di vino rosso.
Ero ancora piuttosto scossa dalle parole di Rose, di
più per il fatto che dopo tre giorni Lysander non aveva ancora mosso il primo
passo, ma avevo deciso di non pensarci.
Forse
poteva essersi innamorato di me, ma di sicuro dopo domenica e dopo la sua
assenza prolungata e ostinata, non doveva esserlo più. Si era disinnamorato di
me. Era l’unica soluzione possibile, l’unica in grado di spiegare la sua
mancanza al mio fianco, il suo sorriso pronto a consolarmi, le sue battute
stupide ma dannatamente divertenti.
Per un istante avevo pensato persino di disdire
l’invito a cena di Victoire, poi però avevo ricevuto quel gufo minatorio e ogni
illusione era crollata come castelli di carta.
Alle nove avevo risolto una buona dose di fascicoli,
tanto da riuscire a guadagnarmi un’occhiata soddisfatta dal mio capo,
estremamente gratificante dopo la partaccia che mi aveva riservato all’entrata.
Lavorare all’ufficio di Magisprudenza poteva avere le sue grane, però era
sempre stato un lavoro che trovavo stimolante, in grado di coinvolgermi
completamente. Avevo deciso di perseguire quella carriera dal mio secondo anno,
quando mi ero ritrovata ad ascoltare le chiacchiere dotte di un amico di papà
operante in quel campo, e da allora non mi ero mai neanche lontanamente pentita
della scelta.
Erano quasi le nove e mezza quando chiusi tutto e mi
avviai verso l’uscita. Victoire non amava i ritardi ed io, a conti fatti, ne
portavo uno già abbastanza grande per farla impazzire. Meglio non sfidare la
sorte.
“Alla buon’ora!” Mi accolse mia sorella quando mi
presentai davanti casa sua.
Scrollai le spalle. “Ero al lavoro.” Biascicai, non
avevo voglia di sorbirmi la paternale o di dare spiegazioni.
“Dai Vic, falla entrare.” Ad arrivare in mio soccorso
ci pensò come sempre la voce rassicurante di Teddy.
Alzai il capo e persi qualche battito quando intrecciai
lo sguardo con quello di mio cognato. I capelli blu, il pantalone cachi e la
maglia beige. Sul viso dai lineamenti gentili, il sorriso gentile e caloroso di
sempre, quello che mi aveva fatto innamorare sin da subito di lui.
“Ciao Teddy.” Lo salutai con un groppo in gola.
“Ciao Dom.”
“Entra.” Victoire si spostò di lato, ancora vagamente
imbronciata, e io finalmente fui libera di accedere all’interno.
La casa era bella, dovevo ammetterlo, mia sorella aveva
sempre avuto buon gusto per queste cose. Moderna e insieme confortevole, con
tutte le comodità possibili e immaginabili e un grosso salotto posto ad un lato
del soggiorno.
“Andiamo a cenare adesso.” A riscuotermi dalle mie
elucubrazioni mentali, sopraggiunse ancora una volta la voce di Victoire,
stavolta decisamente più accomodante di prima. “Tra un po’ dovrò buttare
tutto!”
“Sì.” Annuii e, senza aggiungere altro, la seguii in
cucina, Teddy dietro di noi.
La tavola era già carica di pietanze di ogni tipo e io
mi sorpresi della cura con cui mia sorella sembrava essersi dedicata al
cucinare. A casa di solito non era mai stata così meticolosa. Certo sapeva
cucinare molto meglio di me e ci si dedicava anche con maggiore impegno, ma non
vi aveva mai speso troppo tempo per servire un pollo dorato come quello o delle
fettine di zucca così precise.
Il matrimonio doveva averle fatto davvero bene, pensai
mentre lei mi riempiva il piatto di cibo.
“Allora, com’è andato il viaggio di ritorno?” Domandai,
più per smorzare il silenzio che per vera curiosità.
Rimpiansi la vicinanza di Lysander. Se fosse stato con
me, lui sarebbe stato in grado di trovare argomenti migliori da rifilare, molto
più divertenti. Io non ero un’amante delle conversazioni, preferivo il
silenzio, la calma.
“Tutto bene. Teddy ha dormito per tutto il tempo!”
Scherzò Victoire, di ottimo umore.
Lui arrossì appena al commento ma non sembrava
arrabbiato e, a sottolineare questo dato di fatto, sopraggiunse la leggera
pacca sulla mano che le diede, in un gesto molto molto intimo.
Girai appena la testa, in imbarazzo. Non mi piaceva
sentirmi da terzo incomodo. Se ci fosse stato Lysander...
No!
Basta! Smettila subito Dominique!
“Raccontatemi.” Li esortai, tutto pur di smetterla di
pensare.
Quasi non avesse atteso altro per tutta la serata,
Victoire si apprestò subito in una descrizione dettagliata del suo viaggio,
soffermandosi sui posti, sulle cose che avevano visto, sulle particolarità che
avevano trovato. Di quando in quando anche Teddy si univa al racconto,
aggiungendo dettagli o anche solo per prendere affettuosamente in giro mia
sorella. Io li fissai, li fissai a lungo, e fu in quel preciso momento che
capii.
Teddy e Victoire erano davvero la coppia perfetta.
Io non sarei riuscita a farlo ridere a quel modo, a
farlo entusiasmare tanto per un semplice aneddoto. Non sarei mai stata in grado
di riempire il suo vuoto come sembrava fare alla perfezione Victoire, mai. Non
eravamo fatti per stare insieme, non sarei stata capace di colmare le sue
giornate, di lenire i suoi momenti di dolore, di farlo ridere anche quando
sembrava che al mondo non ci fosse più niente per ridere...
E poi me ne resi conto.
Non stavo più pensando a loro. Non parlavo di Teddy e
Victoire. Mi stavo riferendo a Lysander.
---
Venerdì.
Presi un profondo respiro e, in un impeto improvviso di
coraggio, suonai il campanello. Avevo appena finito di lavorare ed era dalla
sera prima a casa di Vic e di Teddy che avevo deciso cosa avrei dovuto fare.
Parlare con Lysander, adesso, mi sembrava la sola cosa importante da fare.
La porta si aprì e una testa bionda, tremendamente
simile a quella del mio migliore amico, ne fece capolino.
“Ah, sei tu.” Sbadigliò pigramente Lorcan, gettandomi
un’occhiata confusa dall’alto del suo metro e novanta.
“Ciao anche a te, Lorcan.” Risposi, fredda.
Per quanto fossero gemelli, Lorcan era completamente
diverso dal fratello. Era ironico, insensibile e dannatamente sfrontato.
Giuravo di detestarlo, ma in realtà delle volte mi risultava difficile non
ridere del suo atteggiamento libero, o invidiarlo persino.
“Qual buon vento ti porta qui?” Mi domandò incrociando
le braccia al petto lui, facendo da barriera tra me e l’interno di casa
Scamander.
“Devo parlare con Lysander.” Risposi, perfettamente
controllata nonostante il pronunciare quel
nome avesse fatto nascere in me nuovi dubbi.
Era stata davvero una buona idea? Forse lui non avrebbe
voluto parlarmi... Forse l’avevo ferito troppo in profondità per sperare di
cavarmela a così buon mercato e non importava se ci stavo male, non importava
se non ci dormivo la notte, non importava se desideravo vederlo sorridermi di
nuovo come non avevo desiderato mai niente in vita mia.
“Non c’è.” Mi rispose quasi subito Lorcan, per poi
alzare un sopracciglio con aria perplessa. “Perché vuoi parlare con lui?”
“Non credo siano affari tuoi.” Lo freddai. “Dov’è?”
“Non credo siano affari tuoi.” Mi liquidò alla mia
stessa maniera lui, il sorriso sibillino che lo aveva sempre contraddistinto
stampato su quella sua faccia di bronzo.
“Lorcan non sono davvero in vena di perdere tempo con
te.” Lo avvisai, minacciosa. “Ho bisogno di parlare con tuo fratello.”
“Questo l’ho capito. Ma come ti ho già detto, mio
fratello non c’è. È uscito.”
Oh.
Era uscito? Con chi? Perché?
“Stai bene?”
Alzai il capo, sorpresa, e notai che Lorcan mi fissava
con un cipiglio stupito. Non credo mi avesse mai visto così delusa e
amareggiata come in quel momento. Scrollai le spalle e sospirai.
“Quando tornerà?”
“Non lo so. Ha detto che faceva tardi.” Rispose vago
lui, gli occhi marroni così tanto simili a quelli del gemello impiantati ancora
su di me.
Era una bugia, lo sapevo. Lorcan non dava mai risposte
troppo evasive, l’essere preciso era sempre stato un suo pregio. Se non mi
lasciava vedere suo fratello, era perché lui non voleva vedere me. Il concetto
era così chiaro da stupirmi per non averci pensato prima. E faceva male...
Morgana, faceva dannatamente male...
“Puoi...puoi dirgli che sono passata?” Non era proprio
una domanda, la mia voce era bassa e roca.
Lorcan annuì, particolarmente sensibile una volta
tanto. “Solo questo?”
No.
Digli che mi dispiace, che sono una stupida, che non avevo capito niente. Digli
che mi manca, che mi manca tanto.
“Sì. Solo questo.”
Mi voltai e, con un groppo alla gola, mi incamminai.
Avevo appena superato il cancello di casa Scamander quando sentii qualcosa
colarmi lungo le guance. Allungai una mano, le tastai e mi stupii di scoprire
che stavo piangendo.
Stavo proprio
piangendo.
---
Sabato.
Avevo mandato un gufo a Rose per non farla
impensierire, dove avevo scritto che stavo bene, che non c’era bisogno che
mandasse a monte la sua cena per starmi vicino.
Era una bugia. Stavo a pezzi. Ma avevo promesso a lei e
a me stessa che non avrei bevuto e così feci. Neanche un sorso di vino, per
quanto l’idea di ubriacarmi e smetterla di pensare fosse fin tropo allettante
per i miei gusti.
Avevo girato mezzo mondo per rintracciare la seconda
stagione de I Giorni Dell’Abbandono,
senza trovare uno straccio di niente. L’ultimo negozio in cui ero andata, mi
aveva detto che aveva venduto l’ultimo cofanetto giusto quella mattina. Perciò,
ritornata a casa, non mi era rimasto che sorbirmi ancora una volta i ventidue
episodi della prima, che sapevo talmente bene da conoscere la maggior parte
delle parole.
In quel momento il protagonista, Derek, stava tentando
di riavvicinare la protagonista, Mary, dopo essersene andato per un mese in
America a seguito di una serie di fraintendimenti con lei.
Io mi sentivo un po’ come Mary: sola, delusa e
abbandonata dall’unica persona che avrei mai pensato potesse lasciarmi.
“Ritorna con me.”
Dissi, ripetendo a voce alta e all’unisono le battute di Derek. “Ritorna da me.”
Sospirai. Non sarebbe tornato. Cioè, Mary sì, sarebbe
tornata con lui, lo sapevo. Ma Lysander no, non l’avrebbe fatto. Non sarebbe
ritornato più...mai più...
D’altro canto, come avrei potuto biasimarlo? Non mi ero
comportata granché bene con lui. Non avevo capito i suoi sentimenti, non gli
ero stata vicina nel momento del bisogno, non ero stata una buona amica...
Avrebbe dovuto odiarmi. Io mi odiavo.
“Per favore Mary,
ritorna. Sono stato un idiota, lo so. Non avrei dovuto lasciarti andare, non
sarei dovuto partire. Avrei dovuto combattere, tu...” Trattenni il fiato,
così come Derek, sapendo perfettamente di cosa stesse parlando. “...tu te lo meriti.”
E Lysander? Lysander se lo meritava? Sì, se lo
meritava, non c’erano dubbi.
Faceva bene a non volermi parlare. Faceva bene ad
odiarmi, a non voler accettare di vedermi. Avrebbe fatto bene a chiudere
qualsiasi rapporto con me.
Chiusi gli occhi e affondai il viso nel cuscino
poggiato sulle mie gambe. Ma perché ero stata così cieca? Come avevo fatto a
non capirlo prima?
“Io lo amo...” E la consapevolezza di me stessa arrivò
così, a tradimento, perdendosi nel vuoto e nel silenzio della casa.
Persino Derek aveva smesso di parlare...
Sentii una morsa stringermi il cuore, sentii lo stomaco
arrovellarsi, sentii freddo, sentii dolore, sentii una gran voglia di piangere
e di urlare. Non c’era più niente da fare, vero? Mi ero innamorata di Lysander,
ma l’avevo capito troppo tardi. Non c’era felicità per me, non era destino che
io la trovassi. Forse avrei dovuto vivere una vita di rimpianti, una vita dove
avrei capito le cose sempre un minuto più tardi, una vita dove non c’era spazio
per la gioia.
Ero destinata a nascondere ogni emozione e a rivelarle
solo quando non ci sarebbe stato più tempo per esse.
Mi accasciai su un fianco, gli occhi lucidi e rivolti
alla televisione, senza però guardarla davvero. Non volevo vedere Mary
sorridere, non volevo vederla abbracciare il suo Derek, non volevo vedere la
sua felicità e sapere che non sarebbe mai potuta essere anche la mia. Avrebbe dovuto
odiarlo, odiarlo!! Perché aveva
deciso di perdonarlo? La vita reale non era così... Lei aveva sofferto tanto e
lui era stato un tale stupido...!
Lysander mi odiava. Era venerdì. Mi odiava sul serio
stavolta.
Non so per quanto tempo rimasi in quella posizione, gli
occhi aperti senza però focalizzarsi su niente. Non so quanto tempo spesi in
quei pensieri. Non so neppure quando iniziò la sigla di chiusura del telefilm,
lasciandomi lì con l’amaro in bocca.
Sarebbe durata tra Derek e Mary? Avrebbero imparato a
sostenersi a vicenda, a smetterla di farsi male? Sarebbe andato tutto bene, o
lui avrebbe rovinato tutto, come al suo solito?
Mi stavo ancora ponendo tutte quelle domande, quando
avvertii il familiare suono del campanello di casa squillare. Chiusi gli occhi.
Non mi importava, di chiunque si fosse trattato – tanto non sarebbe stato lui,
lui mi odiava – poteva anche andarsene a quel paese, non l’avrei aperto.
Non volevo vedere nessuno. O meglio, nessuno che
avrebbe potuto essere. L’unica persona di cui avevo bisogno in quel momento,
aveva appena deciso a ragione di chiudere ogni ponte con me.
Presi il telecomando e riavviai l’ultimo episodio della
prima stagione di I Giorni Dell’Abbandono.
Era la quarta volta consecutiva che lo vedevo. Avrei voluto rimanere lì a
vederlo per sempre, ad illudermi di essere Derek, di avere una seconda
possibilità, anche se sapevo benissimo di non avercela.
Era appena partita la sigla di apertura quando, con uno
scatto secco, udii la porta di casa spalancarsi. Chiusi gli occhi. Se erano
venuti ad uccidermi, non li avrei fermati, volevo solo tenermi fuori dal mondo,
non mi importava di niente.
“Dominique?”
Stavo sognando. Dovevo essermi addormentata. Quella voce non poteva essere lì, non
davvero.
“Dom?”
Era così strano sentire il mio nome pronunciato ancora
da lui... Anche se non era reale, anche se era solo il frutto della mia
immaginazione, del mio sub inconscio, faceva un certo effetto ora sentirgli
pronunciare il mio nome. Non c’avevo mai fatto caso prima, un’altra cosa che avevo
sempre dato per scontato.
“Dom!” Percepii una mano sul mio braccio, mi sentii
tirare e afferrare nel contempo dall’altra mano all’altro braccio.
Chiunque fosse stato, l’intruso stava tentando di
sollevarmi.
“Dom per favore, sono io, sono Lysander!”
Aprii gli occhi, piano, quasi temessi che se avessi
fatto un pochino più velocemente quella sensazione di calore fosse scivolata
via per sempre.
Due iridi marroni mi fissavano preoccupate. Una bocca
morbida, lineamenti definiti, capelli biondo scuro... Le sue mani ancora sulle
mie braccia, potevo percepirlo distintamente per via del fuoco che sentivo
divampare sotto il suo tocco.
“Lysander.” Ripetei il suo nome, assaporandolo sulla
punta della lingua, gli occhi incollati nei suoi.
“Già.” Scrollò le spalle lui, in un lieve imbarazzo, le
labbra arricciate a delineare un sorriso gentile.
Il mio
sorriso.
“Mi sono preoccupato. Ho suonato un sacco di volte ma
non rispondeva nessuno e così mi sono ricordato che lasci sempre la chiave di
scorta sopra la porta.” Mi spiegò, anche se io non avevo chiesto nulla a
riguardo, forse timoroso che io avessi potuto prendermela per quella sua
irruzione.
Mi ero comportata così male in passato con lui?
“Lorcan mi ha detto che sei passata a casa.” Continuò
poco dopo Lysander, sembrava in imbarazzo, ma non mi lasciò le braccia e io fui
felice di questo. “Scusa se non sono venuto prima. Avevo bisogno di riflettere,
sai.”
“Sei arrivato ad una conclusione?” Domandai a
bruciapelo, in un sussurro quasi.
Avevo dimenticato quanto doloroso potesse essere
parlare dopo aver trascorso tutto quel tempo nel più ostinato silenzio.
Lysander mi fissò per un lungo istante, quasi stesse
studiando il mio viso, prima di annuire. “Sì.”
“Bene.”
Ma non andava bene, dentro mi sentivo morire.
“Quindi...?” Lo incitai a continuare: se proprio doveva
dirmi che non voleva avere più nulla a che fare con me, era meglio che lo
facesse subito, di modo da lasciarmi affogare poi nel mio dolore e nelle
puntate viste e riviste de I Giorni
Dell’Abbandono.
Per tutta risposta Lysander sospirò, mi lasciò andare
le braccia e si sedette accanto a me, interrompendo qualsiasi contatto visivo.
Percepii il cambiamento con un groppo alla gola, ma mi costrinsi a rimanere al
mio posto. Lo vidi passarsi una mano tra i capelli come faceva sempre quando
stava per dire qualcosa di spiacevole e fu come se un cuscino di spilli mi
perforasse il petto.
“Non sono stato onesto con te, Dominique. Non...” Si
fermò per un istante, valutando le parole migliori da utilizzare.
Avrei voluto dirgli che non c’erano parole migliore,
che doveva dirlo e basta, senza preoccuparsi per me, che me lo meritavo, mentre
invece me ne rimasi zitta al mio posto, rigida come un tronco in attesa di
sentirgli dichiarare tutto il disprezzo che nutriva nei miei confronti.
“...non ti ho detto sempre la verità.” Prese un
profondo respiro, ma non si girò a guardarmi e io lo ringraziai per questo, non
avrei sopportato di leggere la pietà per la mia sorte nei suoi occhi.
Strinsi i pugni, piuttosto: sapevo che era arrivato il
momento in cui mi avrebbe mandato al diavolo.
“Quello che sto cercando di dirti è che ti ho mentito,
Dom. Ti ho mentito dal primo giorno, sul treno per Hogwarts.”
Credo di averlo sempre saputo, ma sentirgli dire che mi
disprezzava dal primo istante... Ingoiai amaro e ricacciai indietro tutto. Non
potevo abbassare la corazza e scoppiare a piangere, non sarebbe stato da me e
Lysander era troppo sensibile per dirmi quello che pensava davvero sapendo di
ferirmi.
Perciò rimasi così, in silenzio, in attesa del verdetto.
“Non è vero che sei un’amica per me. Cioè, non solo almeno. La verità è che tu mi sei
piaciuta da subito, Dominique. Voglio dire, non come amica. Mi piacevi piacevi.” Si passò una mano sul viso, a
disagio, dire quelle cose doveva essere molto difficile per lui e io,
nonostante il dolore e il mio sentirmi rifiutata, desiderai per un istante di
poterlo abbracciare, di confortarlo come aveva sempre fatto lui con me.
Poi mi accorsi del verbo. ‘Piacevi’. Al passato.
Lysander mi odiava. Forse un tempo potevo essergli
piaciuta, ma adesso... Adesso non più.
“James pensava che io dovessi dirtelo, ma non ho mai
avuto il coraggio per farlo. Lo sai, sono un Corvonero.” Ridacchiò appena, ma
senza alcuna traccia di divertimento.
Dunque anche James lo sapeva? Beh, non c’era da
stupirsi, probabilmente lo sapevano anche Lorcan e Fred. Erano inseparabili
quei quattro.
“E poi tu eri così innamorata di Teddy, e continuavi a
rifiutare tutti...” Fece spallucce con leggerezza, anche se sapevamo entrambe
che non c’era nulla di semplice o facile in quello che ci stavamo dicendo. “E
io per te ero come un fratello... Non ci si innamora dei fratelli, no?”
Sentii il mio cuore stringersi in una morsa e l’aria
mancarmi. Merlino quanto stupida ero stata... L’avevo fatto soffrire tanto, vero?
“Però non aveva importanza. Ti ero vicino, ti fidavi di
me, mi volevi bene a tuo modo... Per me era abbastanza.”
“Lysander...” Provai a dire, incapace di trattenermi su
quell’ultima rivelazione.
Era stato tutto quel tempo al mio fianco accontentandosi
delle briciole che avevo saputo regalargli?! Ero una stronza. Ero una fottuta
stronza.
“No, no, lasciami finire ti prego. Non so se riuscirò a
farlo, dopo.”
Annuii, anche se quel ‘dopo’ mi aveva quasi uccisa.
Lysander prese un altro profondo respiro, si scompigliò
i capelli e tornò a fissarsi la punta delle scarpe.
“Domenica ero venuto a dirti tutto.” Mi confessò e io
dovetti mordermi il labbro con forza per non lasciar andare il singhiozzo che
sentivo pronto.
Era venuto per confessarmi tutto e io come lo avevo
ripagato? Cacciandolo? Mi odiavo, come non avevo mai odiato nessuno.
“Lorcan mi aveva convinto a rivelarti ogni cosa. Ma poi
tu mi hai detto che non avevi bisogno di me e io... Diamine, io lo so che è così.” Scrollò la testa, come
se il pensiero da solo riuscisse ancora a fargli male, e io strinsi di più la
presa sul labbro, fino a sentirlo sanguinare. “Però il fatto è che sono io ad
aver bisogno di te. Anche se è difficile, anche se so che non mi vorrai mai. Io
non sono me stesso senza di te, Dominique.”
Il tempo, il cuore, il respiro... Fermato. Si era tutto
fermato ed eravamo solo noi due, sospesi in una bolla di sapone ancora troppo
fragile per lasciarsi andare.
“Io...” Tentai, la voce impastata dalla confusione.
“Non devi dirmi niente, Dom, davvero!” Mi interruppe
tuttavia Lysander, girandosi finalmente dalla mia parte per regalarmi uno di
quei suoi sorrisi caldi e rassicuranti.
Lo stava facendo di nuovo, notai. Si stava preoccupando
per me, che io mi sentissi a mio agio. Anche dopo avermi detto tutte quelle
cose, come se pensasse potessi arrabbiarmi o, peggio ancora, offendermi per
quella sua rivelazione...
“Non sono venuto qui sperando che tu ricambiassi. Lo so
che non è così.” Fece una smorfia e, per un istante, fu lampante il dolore che
stava provando. “Volevo solo che tu lo sapessi, okay? Ti prometto che non
cambierà niente, che sarà tutto come prima se...se me lo permetti.”
Lo guardai, interdetta, e poi scossi la testa, piano,
pianissimo. “No.” Negai. “Non sarà come prima, non...”
Le parole mi morirono in gola dinanzi alla sua
delusione. Stava pensando di avermi persa per sempre? Si stava pentendo delle
sue parole?
“Bene allora... Se è questo che vuoi...” Si alzò, lo
sconforto che albergava sul suo viso, riempiendo il mio dolore.
Lo vidi avvicinarsi alla porta ancora aperta, sentii
chiaramente i suoi occhi su di me.
No!
Non hai capito niente, non... Lysander!
Strinsi i pugni, non avrei lasciato che lo pensasse
nemmeno un secondo di più.
“Non è come pensi!” Mi affrettai a dire, allarmata, girandomi
sulla poltrona per poter incrociare ancora la sua figura. “Sono io a non volere
che sia tutto come prima.”
Lui mi fissò, sconcertato, e io dovetti prendere un
paio di boccate profonde prima di continuare. Non era facile per me dire quelle
cose, non ne ero mai stata capace. Non ero brava con i sentimenti, io, ma per
Lysander avrei superato quelle mie insicurezze, i miei limiti, se lo meritava.
“Pensavo tu mi disprezzassi...” Confessai, con un
magone all’altezza dello stomaco.
Lui mi guardò colpito poi, richiudendo la porta, si
avvicinò a grandi falcate al salotto, raggiungendomi e prendendomi ambo le mani
tra le sue, mentre si sedeva sul tavolino basso di fronte a me.
“Quando sono venuta a casa tua... Pensavo non volessi
parlarmi più.” Aggiunsi, trovando il coraggio di farlo dalla sua presa, senza
però riuscire a guardarlo in viso.
“Dom...”
Gli strinsi una mano e lui capì, da quel gesto, che era
il mio turno adesso di lasciarmi parlare. Annuì e stette in silenzio, pronto ad
ascoltare qualsiasi parola fosse uscita dalla mia bocca. Mi inumidii le labbra,
il cuore che mi martellava nel petto.
“Dopo che te ne sei andato, mi sono chiusa in casa, ho
bevuto e mi sono vista tutti gli episodi de I
Giorni Dell’Abbandono. Ho provato a non pensare a te, a noi, alla nostra
litigata...” Abbassai il capo, faceva male ricordare quei momenti. “Mercoledì è
venuta Rose, con Scorpius, e mi ha detto che tu...che tu ti eri innamorato di
me.”
Arrossii al pensiero, era strano pensare certe cose
nonostante tutto.
“Ma io non potevo crederci, non volevo crederci. Perché avresti dovuto? Io...io non me lo
merito...” Presi un altro profondo respiro, mi sentivo soffocare. “Giovedì sono
andata a cena da Vic e...Teddy. Ma non faceva così male come pensavo, non...non
era neanche lontanamente paragonabile a come mi sentivo per la storia tra noi.
E ieri quando sono venuta... Pensavo davvero
che tu non volessi vedermi mai più.”
“Dom...” Non lo bloccai, non sapevo che altro dire. “Io
non potrei mai, mai smettere di
volerti vedere.”
Abbozzai un sorriso, ma riuscii a tirar fuori solo una
smorfia triste. “Pensavo che tu mi odiassi.” Dissi invece, rivelando finalmente
il pensiero che, più di tutti, riusciva a farmi stare male.
Sentii due dita premere sotto al mio mento e, l’attimo
dopo, i miei occhi erano cristallizzati in quelli marroni di Lysander.
“Non ti odio. Non potrei odiarti. E tu te lo meriti,
Dom, hai capito? Te lo meriti. Ti meriti di essere felice, di avere qualcuno
che ti ami, che si prenda cura di te...”
“Ma io non voglio nessuno.” Scossi la testa,
correggendomi subito dopo dinanzi all’aria abbattuta che gli lessi in viso.
“Non voglio nessuno a parte tu.”
Dirlo mi fece sentire scoperta, esposta, ma sapevo che
di Lysander potevo fidarmi. Non mi avrebbe fatto male. Era Lysander.
“Io...” Non terminai la frase, non ci riuscivo, mi
sentivo stordita da tutte quelle dichiarazioni.
Io lo amavo. Lui non mi odiava. Forse c’era ancora
speranza per noi...
Lysander sorrise, così, di punto in bianco, ed era il
sorriso più bello e sincero che avessi mai visto.
“Ti amo anche io.” E, senza smettere di sorridermi o di
guardarmi, avvicinò il suo viso al mio fino ad annullare ogni distanza tra le
nostre labbra.
Era il nostro primo bacio ed era assolutamente
perfetto. Sentii le sue mani farsi largo attorno alla mia vita e io di rimando
gli gettai le mie al collo. Volevo sentirlo vicino, volevo averlo più vicino,
volevo non dovermi mai separare da lui, dalle emozioni intense che riusciva a
farmi provare, dalla gioia che mi stava regalando...
Lo tirai verso di me e lui caracollò sul divano,
accanto a me, senza tuttavia interrompere il bacio. Mi protesi verso di lui e,
fregandomene di risultare sfacciata, mi misi a cavalcioni sulle sue gambe. Le
sue mani mi carezzavano con dolcezza la schiena, inconsapevoli dei brividi che
riuscivano ad emanare in tutto il mio corpo.
Approfondii il bacio, cercando di metterci dentro
quanta più passione e amore e intensità riuscissi ad infilarci. Non era da me
essere così impetuosa, ma non potevo smetterla di esserlo. Mi ero appena resa
conto che erano secoli che il mio corpo voleva quel tipo di contatto con lui e
adesso che la mia fisicità aveva fatto pace con il mio cuore, tutto mi sembrava
possibile, reale.
“Aspetta, aspetta Dom.” Ad un tratto Lysander si scostò
da me quel tanto che bastava per interrompere il bacio e guardarmi negli occhi.
Sembrava felice, soddisfatto, quasi si stesse
trattenendo dal mettersi a saltare.
Sbuffai, seccata. “Che c’è?” Domandai sgarbata.
Volevo baciarlo, volevo sentire il suo respiro sul mio
volto e le sue mani sul mio corpo... Non riuscivo a capire il motivo della sua
interruzione. Mi sembrava così ingiusto... Forse non gli piacevo abbastanza?
Sapevo di essere una bella ragazza, con tutti i miei capelli biondi e gli occhi
chiarissimi. Ma forse Lysander preferiva altri tipi di bellezza, forse ero
troppo appariscente per i suoi gusti, forse non ero abbastanza...
“Dominique...” Non mi ero accorta di aver abbassato la
testa se non avessi sentito di nuovo la sua mano sotto al mio mento, pronto ad
alzarmela per costringermi a guardarlo negli occhi. “Se continui così non sarò
più in grado di fermarmi.” Confessò, ridendo di cuore nonostante un certo
rossore a colorargli le guance.
“Non fermarti, allora.” Lo sfidai, ignorando con forza
il rossore che era apparso a mia volta sul mio viso.
Lysander ridacchiò e mi bacio l’angolo della bocca,
felice. “Voglio fare le cose per bene con te.”
Feci una smorfia pensando a quante ragazze doveva aver
abbracciato a quel modo, baciato come aveva fatto con me...
“Dominique.” Mi richiamò, ancora, costringendomi per la
terza volta a sostenere il suo sguardo.
Sospirai, non riuscivo ad essere arrabbiata con lui
sapendo che dopotutto era innamorato di me, di me, da sempre, anche quando stava con le altre.
“D’accordo, come vuoi.” Scesi dalle sue gambe e mi
sedetti accanto a lui, mettendo su un finto broncio che lo fece scoppiare a
ridere e la sua risata, miracolosamente, rilassò anche me.
“Ti ho portato una cosa.” Ammise, alzandosi dal divano
per raggiungere, senza preavviso, il mobiletto vicino la porta d’ingresso.
Lo seguii con lo sguardo e mi stupii di trovare un
pacco che non avevo visto prima. Lysander lo prese e, l’attimo dopo, era di
nuovo seduto accanto a me.
“Tieni, è per te.” Disse, porgendomi il pacco regalo
con un sorriso caldo ad illuminargli il viso.
Lo scrutai con attenzione, dubbiosa, ma lo presi lo
stesso e, con una certa calma, lo aprii. Sgranai gli occhi. Non poteva essere
vero...
“Ma è la seconda stagione de I Giorni Dell’Abbandono!” Esclamai con un’enfasi che non pensavo di
possedere, girando poi la testa nella sua direzione per regalargli un’occhiata
confusa. “Dove l’hai trovata?”
“In un negozio Babbano.” Scrollò le spalle Lysander,
vagamente imbarazzato. “Doveva essere il mio regalo di perdono.”
Sorrisi. Sorrisi davvero e, in un impeto di gioia
inconsulta, gli buttai le braccia al collo, baciandogli le guance, il naso, la
fronte, il mento. Mi sentivo felice, piena, appagata come non lo ero mai stata
in tutta la mia vita e sapevo che non dipendevo dal cofanetto sulle mie gambe.
Era Lysander... Era tutto merito suo.
“Lo vediamo insieme?” Mi propose, una volta che io ebbi
riacquisito abbastanza autocontrollo da darmi una calmata.
“Sì.” Annuì, gli occhi che mi brillavano per
l’emozione.
Lysander mi sorrise, recuperò il cofanetto e infilò il
primo dvd nel lettore, sedendosi di nuovo accanto a me e passandomi un braccio
attorno alle spalle per avermi più vicina. Appoggiai la testa sul suo petto e,
in una completa sensazione di benessere, mi costrinsi a concentrarmi sulla
sigla di apertura del telefilm. Lo sentii baciarmi la fronte e sorrisi, appena,
proprio mentre Derek faceva lo stesso con la sua Mary.
Dio, ero schifosamente felice.
Amavo Lysander, Lysander mi amava a sua volta e stavamo
vedendo la seconda stagione de I Giorni
Dell’Abbandono.
Tutto quello che sarebbe venuto dopo, ero più che
pronta per affrontarlo.
“A
proposito Rose. Perché ti sei portata anche Scorpius mercoledì scorso?”
“Nel
caso avessi dovuto buttar giù la porta o costringerti a seguirmi al San Mungo. Ero
preoccupata. Però adesso stai bene, no?”
“Sì.
Adesso sto bene.”
The
End
Stavo
guardando Bridget Jones ieri sera e dal nulla è venuta fuori questa idea. L’ho
scritta molto velocemente, di getto, perché non volevo perdere le sensazioni
che rivedere quel film mi ha riportato a galla. Anche sei avrei dovuto studiare, ma vabbè.
È la
prima volta che mi cimento da sola con questa coppia, anche se la adoro e ho
coinvolto persino Hermione Luna a scrivere su di loro! ^.- Con mia immensa
gioia, tra l’altro. E poi è in prima persona, dal punto di vista di Dominique,
perciò non so davvero cosa pensare.
Mi
farebbe tanto, tantissimo piacere sapere cosa ne pensate. Se vi è piaciuta. Se no.
Il
titolo...boh, è venuto fuori da solo, neanche pensavo di inserirci dentro un
telefilm con un nome simile. XD
Adesso
scappo, devo ancora ripetere cinque capitoli e mercoledì c’è l’esame...brr, non voglio pensarci. Per chi sta
aspettando il nuovo capitolo di The
photograph, arriverà molto probabilmente mercoledì stesso. Oltre alla
mancanza di tempo ci si è aggiunto anche un guasto a internet, giusto per
completare il tutto. Guasto che sono riuscita a riparare solo qualche ora fa.
Bene,
alla prossima allora. Sperando di avere più tempo... Attendo i vostri pareri,
come sempre! ^-^
Baci.
memi J