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Autore: Alkimia    15/12/2009    2 recensioni
E se Christine si innamorasse di Erik fin dall'inizio? E se i direttori del teatro assoldassero qualcuno per indagare sul Fantasma dell'Opera e stanarlo? E se, per tutti, le cose si rivelassero ancora più complicate di quanto sembrano?... Non sono una grande fan della coppia Erik/Christine, ma mi sono sempre chiesta se le cose potevano andare diversamente, questa è la risposta che mi sono data.
Genere: Azione, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Buona settimana nuova, buon tutto... siamo leggermente in ritardo ma ieri sera proprio mentre stavo postando ho ricevuto una visita e ho dovuto desistere.
 Ringrazio i miei lettori e le mie due recensitrici (si dice così? @_@) ma vi comunico che non avete indovinato chi è il famigerato origliatore (quindi niente caramelle, se le mangia tutte il Maestro)... ma vi anticipo che non è importante il CHI quanto il PERCHE'.
 Detto ciò... prima di venire al capitolo, veniamo a noi...
 @ Amy: Bella l'immagine del Maestro in tenuta da Morte Rossa accomunato a un boero da scartare... non mi piacciono i boero ma ti assicuro che dopo questa associazione mentale non dormirò la notte. Eh si, quell'uomo ha un effetto deleterio sulla mia sanità mentale, nel caso non si fosse ancora capito. Sullo spezzare la lancia a favore del Carciosconte sono d'accordo con te, lo so che la vicenda del Fantasma dell'Opera andrebbe guardata secondo il punto di vista dell'epoca in cui è stata scritta... ma Erik è il mio amore letterario e non si comanda al cuore XD (angolino del ritorno all'adolescenza da fangirl: e poi... cioè... se uno mi ci piazza lì lo Scozzese vestito come un modello di Armani, con quegli occhi, quelle movenze e tutto il resto... bhe... suvvia, siamo fatti di carne! XD). Alex è Alex... meravigliosamente (o odiosamente, a seconda dei punti di vista) buono. Lo so... ciccino di zia Elby sua... E il caro BB mi rende sempre molto fiera di lui, contenta che vi piaccia ^^
 @ bloodred_rose: I vestiti di Carlotta sono TUTTI fantastici! Io voglio uno spin-off di POTO con Carlotta e la ricerca della sartoria perduta o qualcosa del genere... Io sono un'amante dei cattivi e quando ho messo su questa fanfiction sapevo che Alex sarebbe stato troppo buono per essere amato, soprattutto se messo a confronto con la sua controparte molto più "fika"... però vabbè, i personaggi sono tutti come dei figli per me *_* (ok, sto cadendo nello smielato). Spero che il capitolo che segue placherà la tua curiosità.

 Questo capitolo è di una lunghezza oscena quindi lo divido in due parti per comodità.

Your obidient servant

*******

CAPITOLO QUINDICESIMO - PARTE PRIMA

Chiaroscuro

«Erik!» la voce echeggiò nella caverna, un suono melodioso anche se incrinato da un accento di ira.
«Mia cara, cosa c'è che ti rende così nervosa stasera?» disse l'uomo voltandosi lentamente in direzione dell'entrata attraverso la quale Christine era comparsa. Si era tolta l'abito da festa e si era sciacquata la faccia, aveva sciolto i capelli e adesso sembrava di nuovo una bambina. Una bambina con troppo fuoco nel cuore per sembrare ancora innocente agli occhi di chi sapeva cogliere certe cose o semplicemente di chi aspettava un suo sguardo meno reverenziale e più profondo.
«E avete anche il coraggio di chiedermelo?!» esclamò.
«In effetti, sì». Erik trattenne a stento una risata, vederla così agitata, con le gote arrossate di furore lo divertiva.
«Siete pazzo! Siete stato un incosciente! Piombare lì nel teatro, in mezzo a tutti, quando c'è gente che vi da la caccia! E per cosa poi?  Sono veramente sconvolta dal vostro esibizionismo».
L'uomo alzò le spalle e sorrise beffardo,
«Avevo disegnato quel costume tempo fa e l'ho fatto confezionare da uno dei migliori sarti della città, sarebbe stato un vero peccato non indossarlo»
«Non siete divertente...».
Christine lo osservò con espressione crucciata, dopo qualche secondo di silenzio lui sospirò e sorrise
«Sì, devo convenire che non è il mio miglior talento» concluse.
«Smettetela! in nome di Dio!». la voce della fanciulla era diventata stridula cominciando a tremare in un principio di pianto. «Io... se vi fosse accaduto qualcosa... oh mio Dio... Erik possibile che non c'è niente che vi spinga a essere un po' più prudente, non avete nessun motivo per preservarvi in vita?».
Quando tutte le emozioni di quella sera si condensarono in due grosse lacrime che scivolarono oltre le ciglia della sua piccola musa, sia il Fantasma dell'Opera, sia l'uomo che si nascondeva dietro quella lugubre leggenda sentirono il cuore esplodere.
L'Angelo della Musica non voleva essere causa di dolore per la sua protetta. Si alzò con uno scatto dalla sedia dello scrittorio e le andò incontro,
«Ah, certo. Il motivo più valido è qui, davanti a me» disse Erik prendendola tra le braccia con un impeto tale che persino le lacrime diventarono immobili gemme di sale sulle sue guance.
Christine sollevò lo sguardo e lo fissò negli occhi,
«Non potrei mai sopportare di perdervi...» disse. «Non avete il diritto di mettere in pericolo voi stesso, non potete arrivare a stravolgermi la vita e poi correre il rischio di lasciarmi di nuovo da sola!».
Erik rimase a bocca aperta, la tenera passionalità con cui Christine aveva pronunciato quelle parole gli fece accelerare il battito all'inverosimile e spazzò via ogni riserva di razionalità. Gli era sempre difficile mantenere il controllo quando era con lei, quando lei gli era così vicina, ma soprattutto in quel momento non riuscì a fare a meno di sentire il sangue incendiarsi e reagire a quella sensazione inebriante e incontrollabile, prese il volto di Christine tra le mani e la baciò, senza soffermarsi a verificare che lei fosse d'accordo, senza preamboli, famelico e impetuoso, con le labbra che sfioravano quelle della giovane, con la lingua che giocava irriverente con quella di lei.
Christine era rimasta immobile, le mani posate sugli avambracci di Erik, il respiro incollato a quello dell'uomo, come se le loro vite fossero inesorabilmente legate. La ragazza lo attirò maggiormente a sé, sentendo il bacino di Erik aderire al suo addome, strinse tra le dita i lembi della sua camicia, poi gli legò le braccia attorno al collo, aggrappandosi a lui quasi con disperazione. Si staccarono solo quando ebbero bisogno di aria, respirando quel tanto che bastava a placare il bisogno di ossigeno per poi baciarsi ancora, stavolta con più tenerezza, con le mani che accarezzavano i capelli e le spalle, per poi cercarsi, intrecciarsi e tornare ad accarezzarsi, con movimenti febbrili.
Erik ricoprì di baci il volto di Christine, sentendo la pelle delicata della giovane diventare incandescente sotto le sue labbra che non avevano mai toccato la pelle di una donna, per poi scendere a baciarle il collo, mentre le mani le abbassavano la stoffa del vestito scoprendo le spalle e il petto quasi fino al seno.
Christine si sentì sciogliere sotto quei baci così arditi e si strinse un po' di più a lui sfiorando con l'anca l'eccitazione dell'uomo che rispose a quel tocco inatteso con un gemito soffocato, per poi prendere a sollevarle la stoffa della gonna senza smettere si baciarla.
in un attimo di lucidità Christine prese il volto di Erik tra le mani e lo guardò con aria smarrita,
«Erik... no...» ansimò mentre lui riprendeva ad armeggiare con i lacci del suo vestito.
«Erik, no, vi prego...» ripeté sciogliendosi dall'abbraccio dell'uomo e indietreggiando di un passo.
Lui la guardò per lunghi secondi cercando di riprendere fiato, la ragazza teneva lo sguardo basso, il volto era arrossato all'inverosimile per l'imbarazzo.
«Di cosa hai paura Christine?» le domandò pacato.
«Di me...» rispose lei senza alzare lo sguardo.
L'uomo si poggiò con una mano sul piano dello scrittoio e cercò di calmarsi,
«Immagino che non è quello che ti hanno insegnato» commentò in tono grave. «Ti avranno parlato di onore e di peccato»
«Possibile che voi non abbiate morale?» borbottò lei piccata.
«E chi stabilisce cosa è morale? Loro? Quella gente che si affanna ad apparire brava gente, che si lava la coscienza in un'acquasantiera ogni domenica e poi è incapace di accettare un uomo solo perché è diverso?! Se credi che siano loro i detentori della morale allora al mondo c'è davvero qualcosa di sbagliato»
«Non siate cinico... cercate di capire...»
«Non ti obbligherei mai a questo, a niente che tu non voglia Christine, ma mi si stringe il cuore al pensiero che tu abbia paura di te stessa solo perché provi ciò che è legittimo che un essere umano senta, ci sono cose ben peggiori del desiderio per trovare la dannazione, credimi».
Christine si voltò dandogli le spalle, incapace di sostenere il suo sguardo o semplicemente di rispondere alle sue parole. Restò a fissare il muro di pietra davanti a lei, incapace anche ad andarsene e lasciare quel discorso in sospeso.
Erik la guardò senza dire niente respirò lentamente, avvertiva un fastidioso dolore al bassoventre, ma lo preoccupava maggiormente la possibilità che Christine si potesse sentire ferita, non le aveva detto quelle cose per convincerla a fare qualcosa di cui lei non era convinta, aveva solo espresso un  parere. Se avesse voluto semplicemente prenderla per placare la smania che quell'amore gli aveva riversato nelle vene lo avrebbe già fatto, ma era una mostruosità che quella fanciulla non meritava, e non voleva che lei pensasse minimamente che il suo rifiuto di concedersi a lui in quel momento lo aveva fatto adirare o offendere. Erik aveva la certezza che Christine era sua, che gli apparteneva, e ciò gli bastava, ci sarebbe stato tempo per tutto il resto, in nome dell'amore che provava per lei avrebbe aspettato anche se si sentiva divorare dal desiderio.
Le si avvicinò e le posò delicatamente le mani sulle spalle,
«È tutto a posto» le mormorò con dolcezza.
Lei rispose con un singhiozzo e si asciugò le lacrime con il dorso della mano, Erik la fece voltare e le fece cenno di seguirla.
«Vieni, voglio mostrarti una cosa, bambina mia».
Lei sembrò tranquillizzata dalla calma dell'uomo e gli andò dietro.
Erik si chinò a raccogliere una cartella di cartone da un vano di un mobile e sfogliò tra i disegni che erano sistemati all'interno, estrasse un foglio di spessa carta ruvida da disegno e lo porse a Christine,
«L'ho fatto molto tempo fa, credo la prima volta che ti ho vista» le disse.
Lei osservò il foglio incuriosita e si ritrovò a sorridere. Al centro del pezzo di carta era disegnata con un carboncino una bambina di setto o otto anni inginocchiata a mani giunte davanti a un candelabro, con una cascata di riccioli che le ricadevano sulle spalle,
«Ma sono io da bambina...» mormorò intenerita. «Oh, è bellissimo»
«Tienilo, è un regalo» rispose Erik accennando un sorriso.
La giovane lo guardò commossa,
«Grazie».
Erik le baciò una mano e le accarezzò dolcemente i capelli.
«Mio Dio, ma è tardissimo!» esclamò Christine notando l'orario segnato da un orologio sistemato su una mensola oltre la spalla del suo maestro
«Resta con me stanotte!» esclamò Erik con aria supplichevole. «Ti prego, non lasciarmi solo... ti giuro che non accadrà niente che tu non voglia».
La ragazza inclinò la testa di lato e lo fissò pensierosa. Non sapeva fino a che punto fosse una buona idea, ma lo amava, lo avrebbe voluto accanto tutta la vita, non poteva rifiutargli anche quello...
«Siete sicuro che per voi non sia ancora più difficile?» domandò sentendosi avvampare.
«Non lo sarà» rispose Erik deciso.
«Resterò» concluse la giovane. «Ma solo se voi farete una cosa per me...»
«Chiedimi quello che vuoi»
«Voglio che vi togliate quella maschera, che non riteniate di doverla indossare quando siete con me».
A quella richiesta Erik trasalì, il suo sguardo diventò duro e spento, rimase per un attimo a bocca aperta pensando che lei, malgrado fosse tanto giovane riuscisse sempre a trovare il modo di spiazzarlo, nel bene e nel male.
Scosse il capo energicamente corrugando la fronte e distolse lo sguardo da quello della ragazza,
«No, Christine. Se solo avessi idea di quanto mi disgusta ciò che sono...» mormorò.
Lei gli prese una mano tra le sue,
«Quando ci incontrammo la prima volta e io ebbi l'impudenza di togliervi la maschera mi diceste che non avrei dovuto vedere il vostro volto prima di essermi affezionata a voi per ciò che eravate oltre le apparenze. Ebbene, dubitate del mio affetto?»
«No, e proprio perché non dubito del tuo affetto non voglio che sia avvelenato dal ribrezzo per il mio viso...».
Christine sospirò,
«Ammetto che ho avuto paura di voi, ammetto che ci sono stati momenti in cui ho dubitato, in cui ho provato rabbia... ma mai, neppure una volta, ho pensato che ciò che si cela sotto quella maschera avrebbe potuto essere rilevante. Fidatevi di me, come io mi sono fidata di voi» concluse.
Erik si sentì con le spalle al muro, per lei si trattava di fiducia e non poteva darle torto, e non poteva negarle quel gesto di resa ora che lei era lì, pronta ad amarlo, ma la paura di rischiare di perderla per quei lineamenti deformi, che non erano mai stati una colpa ma solo una croce da portare, lo lasciò impietrito, imbambolato davanti al suo sguardo senza riuscire a pensare lucidamente a cosa fare. Christine ormai era ferma nella sua posizione e decise che valeva la pena azzardarsi a ripetere quel gesto che la prima volta aveva scatenato l'ira di Erik, sollevò una mano e fece scorrere una carezza lenta sulla guancia sinistra dell'uomo, fino ad arrivare al bordo della maschera di cuoio. Negli occhi di Erik passò un lampo lucido di paura, come se fossero stati gli occhi di un bambino, o semplicemente gli occhi di un uomo indifeso davanti a ciò che sente più grande di lui.
Lo sguardo di Christine si posò sulla guancia destra di Erik non appena la maschera cadde in terra, lui fece per ritrarsi, ma le mani della ragazza nelle sue gli imposero di resistere all'impulso di coprirsi il viso. E in quel momento Christine dimostrò di essere più coraggiosa e decisa di quanto lo era stato lui. Lo osservò senza curiosità e senza stupore, non c'era la minima traccia di turbamento nel suo viso, solo un velo di malinconia, non tanto per ciò che stava guardando ma per il pensiero di come quel volto imperfetto si fosse rivelata una condanna per un uomo che al di là di quell'evidente imperfezione le appariva bellissimo e che la piaga che si estendeva dalla narice alla tempia non riusciva a renderle repellente, malgrado deformasse i suoi lineamenti eleganti.
Christine pensò che gli angeli dovevano averlo invidiato per la sua bellezza, al punto che Madre Natura, per placare la loro ira, lo aveva reso imperfetto senza infierire più di tanto su uno dei suoi figli migliori.
«Dunque, ti piace quello che vedi?» domandò Erik gelido.
La ragazza ricambiò lo sguardo freddo con un'espressione tranquilla,
«Non c'è nulla che mi dispiace in ciò che vedo, se è questo che volete dire. Siete troppo importante per me perché possa preoccuparmi del vostro viso» rispose.
L'uomo deglutì e cercò di evitare di sciogliersi in lacrime, non voleva impietosirla o commuoverla, si limitò ad annuire,
«Se mai posso sperare in una forma di salvezza, non puoi che essere tu» le mormorò con un tono così toccante che la ragazza gli si gettò tra le braccia e lo strinse a sé accarezzandogli la guancia piagata e baciandogli la fronte.
Erik si staccò da lei e le accarezzò il viso,
«Sono stanco, bambina mia, e credo sia stata una serata intensa anche per te. Meglio andare a dormire...» le disse.
«Sì, avete ragione» concordò Christine, dirigendosi con lui verso l'insenatura in cui era sistemato il barocco letto a forma di cigno, la ragazza si lasciò avvolgere dalla sensazione confortevole di quel materasso morbido e di quelle lenzuola che avevano impresso tra le loro pieghe l'odore di Erik. La consapevolezza di quell'amore la colpì come uno schiaffo al viso, facendola scivolare con la testa affondata sul guanciale, si sistemò su un fianco e sentì Erik stendersi accanto a lei, cingendole la vita con un braccio.
Christine si addormentò cullata dalle carezze di Erik che le passava teneramente le dita tra i capelli, giocando con i suoi riccioli.
Appena la giovane prese sonno l'uomo decise di alzarsi dal letto e allontanarsi da lei. Starle vicino, dormirle accanto, era più difficile di quanto pensasse e le emozioni di quella sera gli avevano fatto salire un groppo in gola che minacciava di soffocarlo se fosse rimasto steso a letto. Decise di lasciare la sua casa, di andare abbastanza lontano da riuscire a pensare agli ultimi avvenimenti a mente lucida, sperando che Christine non si svegliasse e non notasse la sua assenza.

*

Le fischiavano le orecchie, aveva in testa ancora lo scoppiettio dei fuochi di artificio che avevano fatto compagnia alle stelle, al punto che per ognuno di quei bagliori lei aveva pensato che valesse la pena di esprimere un desiderio.
Josephine fece una piroetta volteggiando nella penombra. Aveva detto ai suoi genitori che sarebbe voluta rimanere a teatro e festeggiare l'arrivo del nuovo anno con le sue compagne, in realtà era uscita di nascosto, come faceva spesso, per incontrarsi con il suo innamorato. Era stato difficile organizzare tutto senza che nessuno la scoprisse, ma ne era valsa la pena.
Lui le aveva chiesto di sposarla, le aveva detto che sarebbero scappati insieme se fosse stato necessario, se i genitori di lei non avrebbero acconsentito alla loro unione. Le aveva fatto tante promesse a fior di labbra, promesse che un cuore onesto e romantico non avrebbe lasciato al vento, le aveva messo in mano il suo cuore e aveva steso ai suoi piedi un futuro incerto ma pieno di tutto il devoto amore di cui un ragazzo avrebbe mai potuto essere capace.
Josephine sentì la felicità formicolargli nelle vene e nei muscoli, come se riempisse il suo corpo di minuscole bollicine d'aria che la rendevano leggera. Rise tra sé e sé e sciolse il nastro che le legava i capelli.
Osservò uno scorcio di cielo da un'alta finestra in cima al corridoio e ringraziò Dio di tanta gioia. Se gli angeli del Paradiso avessero potuto vederla, avrebbero pensato che fosse una stella caduta per sbaglio dal cielo di Parigi, tanto la sua anima brillava.
Un improvviso fruscio alle sue spalle fece sobbalzare la ragazza che si voltò di colpo a osservare la penombra nel timore di essere stata scoperta. La sua mente cercò di formulare una scusa plausibile per giustificare la sua presenza lì a quell'ora, ma nessuno venne verso di lei. Pensò di essersi impressionata ma vide un'ombra muoversi all'improvviso, come una massa di buio che prendeva forma davanti ai suoi occhi.
Non ci fu tempo né di pensare, né di dire qualsiasi cosa. L'ombra si avventò su di lei e la spinse contro il muro, tappandole la bocca con una mano fasciata da un guanto. La ragazza tentò di ribellarsi a quella stretta, tremò quando la mano libera del suo assalitore si insinuò sotto la sua gonna, ma non c'era niente da fare, il suo corpo era troppo esile per lottare contro la figura possente che la teneva inchiodata contro quel muro e le strappava rabbiosa la stoffa degli abiti e della biancheria.
E un attimo dopo non ci fu più tempo, né spazio, né aria, né buio, né luce, mentre artigli mostruosi le dilaniavano l'anima e le martoriavano il corpo.

*

Christine si voltò di schiena e allargò le braccia sulla superficie soffice del materasso. Era sola in quel letto, tutto intorno a lei non c'era nient'altro che buio.
Anche se Erik si era alzato e si era allontanato mentre lei dormiva, la ragazza poteva sentire comunque il suo calore attraverso le lenzuola e nell'oscurità di quella notte si sentì stranamente al sicuro, come avvolta da un morbido involucro impalpabile che la proteggeva. Si sentì lontanissima dalla bambina che cercava il sole augurandosi di non incontrare mai ombre sul suo cammino, si sentì diversa, si sentì una donna con la consapevolezza che non sempre la parte migliore delle cose è quella chiara e luminosa, che la felicità può nascondersi anche nella notte, ed era quella notte che lei voleva vivere, quel buio con la sua pace, quelle stelle che tracciavano una strada impervia ma ricca di cose da scoprire. Quella luna che ammiccava con il suo sorriso d'argento sospeso nel cielo, oltre le pareti del teatro, al di sopra degli uomini, della loro testarda e ostentata ricerca della razionalità...

Grasp it, sense it tremulous and tender . . .
Turn your face away
from the garish light of day,
turn your thoughts away
from cold, unfeeling light
and listen to the music of the night . . .

Erik aveva ragione. Aveva avuto ragione fin dall'inizio.

E che notte sia!...

Che notte sia, pensò la ragazza.

… Quanta più notte che può.

*

Il primo giorno dell'anno cominciò avvolto da una coltre di foschia e da nuvole che non portavano pioggia ma che toglievano sole e azzurro al cielo di Parigi.
Madame Giry aveva dormito poco e male quella notte, aveva preso sonno solo alcune ore dopo l'alba e si era addormentata pensando che non le importava, che avrebbe dormito tutto il giorno se ne avesse sentito il bisogno.
In giorni come quelli non succedeva mai niente, il teatro era vuoto e tutti quelli che di solito lo popolavano erano a casa a riprendersi dalla nottata di festeggiamenti.
Il polverone che si era alzato dopo la comparsa del Fantasma era destinato a travolgere tutto l'universo che ruotava attorno all'Opera Populaire, ma non era quello il momento di pensarci.
Tuttavia, le speranze di riposo che avevano attraversato la mente di Eloise prima che scivolasse in un sonno profondo furono spazzate via da una violenta bussata di porta,
«Mamma, mamma, apri! In nome del cielo!».
La voce di Meg era sconvolta, ansimante e tremula. Al suono della voce di sua figlia così turbata Eloise non ci mise più di un secondo a passare dal sonno al suo consueto stato vigile e, avvolgendosi rapidamente nella vestaglia, aprì la porta della sua camera.
Meg era in lacrime, tremava e sembrava che faticasse a parlare.
«Figlia mia! Cosa è successo?» domandò Madame Giry con il cuore che cominciava a martellarle violentemente nel petto.
«Oh, mamma... mamma! È terribile... oddio...». La ragazza si aggrappò alla vestaglia della donna e  le nascose la testa nel petto.
«Meg! Ora calmati» esclamò Eloise prendendo il volto di sua figlia tra le mani. «Fammi capire cosa è successo».
La ragazza scosse la testa, era come se non riuscisse a trovare le parole, si limitò a strattonare sua madre come per accompagnarla da qualche parte. Eloise si lasciò guidare senza opporre resistenza e si rese conto che sua figlia la stava conducendo verso il corridoio che immetteva nell'ingresso del collegio.
Fu lì che Eloise vide un crocchio di ragazzine accalcate attorno a qualcosa che giaceva inerme ai loro piedi. A guardarlo da lontano sembrava un cumulo di stracci, ma all'improvviso una ballerina si staccò dal gruppo e andò incontro alla direttrice del balletto lasciando uno spazio vuoto attraverso il  quale la donna poté vedere che quella a terra era una ragazza.
«Cosa è successo?» chiese con ansia.
«Madame Giry... non lo sappiamo» squittì la ballerina. «L'abbiamo trovata qui stamattina... fissa il vuoto e non parla, quando abbiamo provato ad aiutarla a rialzarsi ci ha gridato di non toccarla»
«Tornate nelle vostre camere, signorine! Subito!» intimò la direttrice del balletto. «Spostatevi, lasciatela respirare... Meg tu calmati e dammi una mano».
Mentre le ragazze sfollavano, pur continuando a guardarsi alle spalle per osservare quello che succedeva, Eloise si chinò su Josephine. La piccola e aggraziata ballerina dalla bellezza angelica ora era un ammasso di vesti lacere, capelli arruffati e lividi viola che le coprivano il corpo mezzo svestito.
Madame Giry si tolse la vestaglia e la coprì, poi si sistemò accanto a lei,
«Chérie, cosa ti è successo?» le chiese con dolcezza, quando avrebbe solo voluto urlare dall'orrore immaginando perfettamente cosa le fosse accaduto.
«Josephine, avanti parla» disse Meg imponendosi di stare calma e avvicinandosi lentamente per cingerle le spalle con un braccio.
«Non è stata colpa mia... non è stata colpa mia...» squittì la ragazzina con una voce che non sembrava più nemmeno la sua.
«Certo che no, mia cara, certo che no...» la rassicurò Madame Giry che in quel momento dovette far ricorso a tutta la sua forza d'animo per mantenere la calma. «Ma non vuoi dirci chi è stato?»
«È stato lui... lui...»
«Lui chi, tesoro?» insistette Meg.
«Il Fantasma dell'Opera» concluse Josephine lapidaria.
Meg lanciò verso sua madre uno sguardo duro e colmo di rancore, ma Eloise scosse energicamente la testa, poi aiutò la ragazza ad alzarsi e l'accompagnò nella sua stanza dove le preparò un bagno e le fece indossare vestiti puliti.
Josephine ormai reagiva passivamente a ogni cosa, si lasciò togliere le vesti lacere e immergere nella vasca. Meg schizzò fuori dalla stanza stravolta dall'angoscia quando vide i lividi che coprivano il corpo della compagna e che erano più marcati ad altezza delle cosce.  
Quando Josephine tornò presentabile e sembrò essersi calmata, Madame Giry le spiegò che ora avrebbero dovuto chiamare la polizia. Non avrebbe voluto farlo, se la ragazza avesse ripetuto ai poliziotti quello che aveva detto poco prima a lei e a Meg, che era stato il Fantasma dell'Opera, sarebbe cominciata una caccia all'uomo ancora più accanita di quella messa in opera da Bertrand. Ma non aveva alternative, il fatto che era accaduto quella notte doveva essere denunciato.
«Josephine, mia cara, tu sei sicura di quello che hai detto prima a me e a Meg, che sia stato il Fantasma dell'Opera?» si limitò a chiederle.
«Certo...» rispose lei mentre un lampo di orrore le attraversava lo sguardo.
«Ma come puoi dirlo se non lo hai mai visto?»
«Madame Giry... chi altri può essere stato?».
Già, chi altri? Si chiese Eloise.

Madame Giry mandò a chiamare i direttori. Se non fosse stato per un fatto tanto tragico avrebbe provato quasi piacere a rovinare il sonno a quei due buoni a nulla.
Poco dopo arrivarono due gendarmi per interrogare Josephine.
Madame Giry rimase con lei tutto il tempo e fu grata al cielo che il poliziotto che raccolse la versione dei fatti della ragazza fosse così delicato e discreto.
Quando i gendarmi lasciarono il teatro, Eloise accompagnò la povera ragazza nei suoi alloggi e le fece bere un bicchiere d'acqua in cui aveva sciolto qualche goccia di valium e attese che si addormentasse. Sarebbe stato un sogno profondo e senza sogni, Madame Giry si augurò che fosse anche senza incubi, anche se probabilmente, dopo quella terribile notte, gli incubi sarebbero diventati una costante nella vita di quella povera anima innocente.
Con un sospiro di pena Eloise lasciò la stanza e si avviò verso i suoi alloggi. Doveva pensare... doveva vedere Erik...
Era certa che non era stato lui, non ci avrebbe creduto nemmeno se lo avesse visto con i propri occhi.
Stava per raggiungere la sua stanza quando sentì che qualcuno le bussava delicatamente sulla spalla. Si voltò per trovarsi davanti un volto di donna segnato da profonde occhiaie, souvenir di una notte insonne come la sua,
«Voi siete Madame Ginette Dubois, giusto?» chiese.
La donna annuì,
«Sì, madame. Scusate il disturbo ma dovevo parlarvi...» rispose.
«Madame, vi prego di credermi, non voglio sembrarvi scortese ma non è il momento, una delle mie ragazze ha avuto una brutta avventura... ah, figuriamoci, per come volano le notizie in questa città, ne sarete già al corrente tra poco... in ogni caso, perdonatemi, ma devo chiedervi di tornare un'altra volta».
Madame Ginette si aggrappò con decisione al braccio dell'altra donna,
«Vi supplico, è una questione troppo importante, non può essere rimandata...» disse con occhi talmente imploranti che Eloise non riuscì a mandarla via, la condusse nella sua stanza e chiuse la porta.
«Accomodatevi» la invitò cercando di racimolare un po' di cordialità e rivolgendole il miglior sorriso che riuscì a trovare. «Dite, vi ascolto»
«Sono qui per mio figlio...» esordì Madame Ginette rimanendo impalata in mezzo alla stanza.
«Ah, non so che dirvi, Alexandre non è qui»
«Non sto parlando di Alexandre, sto parlando di Erik!»
«Come dite?» domandò Eloise sussultando, di certo aveva capito male.
«Sono qui per Erik, lui è mio figlio».

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Ok, lo stupro non è argomento facile da trattare, specie in una storia di fantasia, mi sembra persino un pò "irrispettoso" usare una cosa simile per una cosa futile come di fatto è una fanfiction quindi ho deciso di non calcare troppo la mano.

 Per quel che riguarda la rivelazione finale... quando ho pensato alla trama di questa storia mi sono detta che il risvolto stile "beautiful" poteva suscitare due reazioni: la prima reazione era quella "accidenti che inghippo interessante" la seconda reazione era: "che schifo! mandiamo la neuro a casa di Elby". Ne sono consapevole...  qualunque sia la vostra reazione, se non mi vedete più in giro è perchè qualcuno la neuro l'ha chiamata davvero.
 Al prossimo capitolo.

Capitolo reinserito il 27\12\2011
   
 
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