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Autore: Ernil    16/12/2009    5 recensioni
Neville ignora il coprifuoco. Snape torna sul luogo del delitto.
Sporgersi può risultare pericoloso.
Genere: Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Neville Paciock, Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sommario: Neville ignora il coprifuoco. Snape torna sul luogo del delitto.

Sporgersi può risultare pericoloso.

Pairing: Neville/Severus. Ma così poco, così poco...

Rating: Verde.

Disclaimer: non possiedo nessuno di questi magnifici personaggi; la poesia è di Kipling (mi rifiuto di tradurla, è stupenda così); l’iniziativa è di Criticoni. Io scrivo e basta...

Beta: Geilie. Sopravvive alle mie stravaganze, che vanno e vengono a ondate...

Note dell’Autrice/1: scritta perché la follia dilaga e io ci nuoto dentro. Tradotto per i comuni mortali, è per la “Pecora!Challenge” di Criticoni. La fic doveva rispondere ai seguenti requisiti: 

1) sia presente una o più pecore - vere, finte, pelouche, stampigliate sulle mutandine, come-ve-pare;
2) sia presente uno o più belati - veri, finti, imitati, conseguenze di un orgasmo, come-ve-pare;
3) siano presenti tutti i seguenti termini (ove possibile, possono essere volti al femminile e/o al plurale, come-ve-pare): orrendo, esaltato, utile.

I requisiti ci sono tutti, andateveli a cercare.

Note dell’Autrice/2: avevo progettato di usare questa poesia per tutt’altra storia (stessa ship, però XD). Ma Criticoni chiama, l’istinto risponde! Buttata giù in un’ora e venti minuti esatti *___*

 

 

[We have done with Hope and Honour, we are lost to Love and Truth,
We are dropping down the ladder rung by rung,
And the measure of our torment is the measure of our youth.
God help us, for we knew the worst too young!
Our shame is clean repentance for the crime that brought the sentence,
Our pride it is to know no spur of pride,
And the Curse of Reuben holds us till an alien turf enfolds us
And we die, and none can tell Them where we died.
We're poor little lambs who've lost our way,
Baa! Baa! Baa!
We're little black sheep who've gone astray,
Baa--aa--aa!
Gentlemen-rankers out on the spree,
Damned from here to Eternity,
God ha' mercy on such as we,
Baa!
Yah! Bah!

 

Gentlemen-rankers, Kipling]

 

 

 

« Non dovresti essere qui, Longbottom ».

Neville alzò lo sguardo dalle profondità scure della notte. La Torre d’Astronomia era davvero alta. Neville a volte si chiedeva come dovesse essere cadere da lì. Precipitare, scendere, arrotolarsi nel buio.

Cadere. Come Dumbledore un centesimo di secondo dopo il lampo di luce verde che aveva strappato la notte.

Dumbledore era già morto quando era precipitato, ma Neville si chiedeva comunque... ogni tanto... come dovesse essere.

Si chiese dove fosse stato Snape quando aveva scagliato la maledizione. Se da dove si trovava aveva potuto vedere le vesti attorcigliarsi attorno alle braccia di Albus come serpenti, il mantello sventolare come una bandiera troppo sbattuta dal vento.

O forse si trovava esattamente dove si trovava adesso, dove Neville poteva sentirlo alle sue spalle.

Non dovresti essere qui, Longbottom.

« Neanche lei dovrebbe esserci » sibilò, stringendo i pugni. La notte sfuggì dalle sue dita. Snape non disse niente, non subito.

Neville avrebbe voluto voltarsi e sferrare un pugno a quel silenzio, ma le sue mani erano ancora deboli. Lo erano sempre state. Non era bravo a fare a pugni.

Non era bravo a fare niente.

Tranne forse rimanere in silenzio nello stesso posto dove Dumbledore (il suo corpo riposava in riva al lago, ma non c’era luna a illuminarlo) Dumbledore era stato assassinato, e voltare le spalle all’assassino. Stringendo le sue dita paffute.

Senza piangere, anche se le lacrime premevano agli occhi.

« Paura, Longbottom? »

La voce di Snape fu calma, uno sputo sull’orgoglio di Neville. Certo che aveva paura. Certo che aveva paura. Sentiva le braccia tremare di paura.

Snape non ce l’aveva, Neville lo sapeva. Snape era il padrone del mondo. Snape era il padrone di lui, della scuola, padrone di farsi un giro nello stesso posto dove aveva ucciso Dumbledore, perché l’assassino torna sempre sul luogo del delitto.

Snape poteva tornare sulle pietre macchiate di sangue come un signore, calcare come un principe il luogo dove aveva ucciso, come se fosse stata una decisione a lungo ponderata, la scelta di un dio troppo a lungo provocato che decide infine di calpestare il pagano.

Snape era padrone di farlo, padrone di masturbarsi la mente con il ricordo della morte, delle ultime parole di Dumbledore – una supplica...

« Io la odio » sibilò Neville.

« Non sei il solo ».

« Nessuno la odia come la odio io! » Neville urlò (strillò, Neville, hai strillato come una ragazzina) senza accorgersene e si voltò, tremando di terrore e rabbia. Più terrore che altro quando lo vide.

Un conto era immaginarselo, alto e nero, avvolto di tenebre come un demone fatto di fili, a incombere dietro di lui, le dita adunche sulle sue spalle, il fiato sul suo collo. Fino a che lo immaginava, era solo un altro dei mostri che abitavano sotto il letto e spiavano dagli sgabuzzini. Finché immaginava, poteva urlare Riddikulus e Snape sarebbe svanito come la nebbia all’alba.

Ma voltarsi e trovarlo ...

La mente di Neville si riempì di terrore. Il viso di Snape, più magro di quanto lo avesse mai visto, non era così vicino come aveva pensato, ed era meglio così. Perché se si fosse avvicinato un po’ di più, Neville lo avrebbe scaraventato di sotto, urlando o senza urlare perché il panico gli attanagliava la gola come un amante.

Quando Snape sorrise, la notte parve frantumarsi. Non c’era buio che potesse opporsi al buio di quel sorriso. Un buco nero si sarebbe annientato di disperazione, e Neville retrocesse finché non sentì il cornicione della torre contro la schiena, sotto di lui il vuoto e davanti il mostro, e pensò di capire come avesse dovuto sentirsi Dumbledore.

La morte gli stava sorridendo. 

« Pensi di essere l’unico a odiarmi? È un privilegio che concedo a molti, invero, Longbottom ». La voce di Snape, di solito così bassa e controllata, suonò alle orecchie di Neville aspra e senza senso.

Neville avrebbe chiuso gli occhi, se non avesse saputo che Snape gli sarebbe saltato alla gola.

Era fuori durante il coprifuoco, e nessuno, nemmeno Blaise, lo sapeva. Il suo cadavere sarebbe stato seppellito ai margini della Foresta Proibita, trasfigurato e seppellito, come si diceva che fosse accaduto a Crouch...

Il sorriso di Snape perdurava, dolce e orrendo.

« Che cosa fai fuori a quest’ora della notte, Longbottom? »

Cercavo qualcosa che ho perduto.

Cercavo te. Te.

Te.

Non ho perduto niente.

Tu me l’ hai rubato.

Ridammelo. 

Ridammelo!

« Ho perso... » la voce gli tremò, spiegazzandosi nella sua bocca « ...la strada ».

Snape si avvicinò di un passo. Se avesse fatto un passo di più, Neville lo avrebbe buttato di sotto. Davvero.

Lo avrebbe fatto.

Giurava.

« Sei una povera piccola pecorella che ha perso la strada, Longbottom? (*) »

Neville strinse le pietre dei cornicioni come se potessero salvarlo. Se Snape si fosse avvicinato di un altro passo...

Snape non si avvicinò. Rimaneva davanti a lui come il fantasma del padre di Amleto, come cazzo si chiamava.

C’è del marcio in Danimarca.

Gli venne da ridere, poi da vomitare.

« Sei andato fuori pista, Longbottom? Una povera piccola pecora nera che ha sbandato? (*) »

Snape era un pazzo esaltato. Snape era un pazzo esaltato, lui era il giochetto di quella sera. La paura gli scorreva nelle vene come acido, corrodendo tutto al suo passaggio.

« Dimmi che hai conosciuto Speranza e Onore, dimmi che hai perso contro Amore e Verità (*) » disse Snape, e all’improvviso la sua voce fu così triste che Neville, potendo si sarebbe tappato le orecchie con le mani.

Ma le sue mani erano fuse con la pietra di quei cornicioni, e poteva sentire il caldo del corpo di Dumbledore appoggiato nello stesso posto (1).

Se fa un altro passo, lo butto di sotto.

Piantala, rispose una voce aspra e stanca del suo animo. Piantala di trovare scuse. Piantala di rimandare. Uccidilo adesso!

« Se fa un altro passo, la ammazzo » disse Neville con voce tremante, con cuore tremante, con mani e animo tremanti.

Qualcosa di molto simile a dolce sorpresa passò sul viso di Snape.

« Oh » disse, e Neville follemente pensò che, se aveva mai visto Snape sul punto di ridere, era in quel momento. « Allora fallo, Longbottom ».

Snape fece un passo avanti.

Era così vicino che Neville avrebbe potuto contare le rughe del suo viso. Era così vicino che il suo mantello sembrava abbracciarli entrambi. Era così vicino che Neville sentiva il suo respiro sulla fronte, caldo e breve, e l’odore strano della sua pelle.

Era semplicemente troppo vicino.

Neville si sentì improvvisamente claustrofobico. Snape aveva invaso il suo spazio.

Snape era padrone. 

« Se ne vada » sussurrò, la voce ridotta a un filo di nylon. « Via ». 

« No » mormorò Snape, si sarebbe potuto dire all’orecchio se solo non fosse stato così alto. « No. Sono un demone, giusto? » Respiro. « Esorcizzami ».

« Vattene » gemette Neville. Era tornato un bambino, il bambino che suo zio Algie teneva per una caviglia sospeso oltre il balcone, per poi accettare una tartina. « Vattene ».

« Mandami via ». Il sussurro di Snape era una tortura per le sue orecchie. « Mandami via. Avevi detto che mi avresti ucciso? Uccidimi ».

Neville si ritrasse un po’ di più, consapevole di starsi quasi distendendo con la schiena nel vuoto, ora. Sentiva le pietre delle mura premere contro il bacino.

La notte era fredda, il mantello di Snape lo circondava come un secondo strato di buio. Non c’erano stelle, e doveva concentrarsi perché il respiro sembrava rarefarsi, l’aria era viziata e impura, il cielo era pieno di fumo e stava per crollare su di lui; c’era una crepa che si allungava nella cupola celeste, avevano perso la chiave di volta. 

« Via » sussurrò. « Via ».

« Povera piccola pecora » sussurrò la voce che riempiva il suo universo. « Ti sei perso? Baa-aa-aa (*) ». La voce di Snape riassumeva in sé tutto lo scherno che Neville aveva sentito in tutti i suoi diciassette anni di vita.

La paura. La goffaggine. Le mani che tremavano mentre sistemava la boccetta di inchiostro rovesciata.

« Non mi faccia del male ».                                     

« Questo dipende da te. Io faccio solo il male utile ».

Ah, le bugie! Quante ne aveva dette, Snape, nella sua vita?

« Bugiardo » mormorò Neville. « Bugiardo! (2) »

Snape sospirò sopra di lui e un nuovo manto di tenebre si stese su Neville, che fissava gli stivali neri di Snape e tentava di ricordarsi di respirare, continuare a respirare, respira, Neville, l’alba arriverà presto.

« Non mi credi, vero? La gente non crede mai che qualcuno debba fare il lavoro sporco e tornare a casa con il sangue che gli arriva fino ai gomiti ». Finalmente Snape si abbassò e parlò al suo orecchio, rendendo Neville certo che la sua essenza, il suo unto si sarebbe infiltrato nella sua mente, dentro di lui, attraverso l’orecchio. Impuro. Contaminato e condannato per sempre, da qui all’eternità (*). « Baa-aa-aa ».

Neville strinse gli occhi, infine. Non riuscì più a tenerli aperti, l’aria era irrespirabile, le gambe gli cedevano, le vene tremavano. Si tirò un po’ più indietro, e ormai era praticamente seduto sul cornicione, e il mondo cedette quando la bocca di Severus toccò la sua tempia.

Non fu un bacio; Snape si era appoggiato a lui, come se volesse riposare per un attimo la testa, e aveva adagiato il viso contro la tempia destra di Neville, e le sue labbra sfiorarono la pelle sudata di Neville.

Neville si tirò indietro con un gemito di disperazione, e il vuoto si aprì sotto di lui come un fiore che sboccia a primavera.

Per un attimo pensò che sarebbe caduto e tutto quello si sarebbe disciolto mollemente; per un attimo pensò che il burattinaio sarebbe stato così misericordioso da tagliare i suoi fili lì, ora, e nessuno avrebbe mai saputo, nemmeno lui, dell’infamia e del marchio delle labbra di Snape sulla sua pelle.

Snape gli mise le mani sulla schiena e lo trattenne.

Neville sentiva ogni vena delle mani di Snape; ogni rilievo, lieve o aspro, delle sue dita.

Poteva vedere il cielo; c’era una nuvola grigia. Aveva la forma di un animale; sapeva qual era. Un animale tremebondo. Come lui.

Le mani sulla sua schiena premettero nella carne e lo risollevarono.

« Non così in fretta, Longbottom » sussurrò la voce di Snape, tornata nelle sue normali dimensioni. Solo una voce. Solo un uomo. Solo un assassino.

Era uscito dalla cappa di oscurità di Snape. La fredda aria della notte asciugava le gocce di sudore sulla sua fronte.

Le mani di Snape lo riportarono dal vuoto a contro le pietre del cornicione della torre. Neville ci si aggrappò come un ubriaco.

Gli istanti passarono lenti mentre il mondo riprendeva colori. L’opaco nero della notte tornava un blu profondo e infinito, le nuvole riprendevano a scivolare per la loro strada, su, nell’alto dei cieli (3), e Neville sentì che aveva ancora delle mani. Mani che non aveva usato, né per allontanare Snape né per aggrapparsi.

Non voleva toccare Snape. Mai più.

« Non... » quando tentò di parlare la voce gli crollò come un bambino ai suoi primi passi. Prese fiato; l’aria che gli riempì i polmoni sembrò anche bruciarli, un fuoco purificatore. « Non ho nessun debito » disse infine. « Nessuno. Con lei ». Gli occhi gli bruciavano per l’intensità della vita, ma riuscì comunque a guardare Snape.

« Certo che no » disse Snape, annoiato. « Ma se vuoi scendere, Longbottom, ci sono le scale. Gradino dopo gradino (*) ».

Neville scosse la testa. A tratti pesava, a tratti sembrava troppo leggera. La tempia destra bruciava, e continuò a bruciare anche quando cominciò a fare le scale, gradino dopo gradino, tenendosi la mano sulla pelle infiammata, e quando posò la testa sul cuscino anche il cuscino prese fuoco.

Quella notte, sognò pecore senza cani. Non erano bianche, e di nera non ce n’era nessuna.

 

 

 

(*) Ho segnato così tutti i pezzi che sono stati presi dalla poesia iniziale.

(1) Da “Le memorie di Adriano”, di Marguerite Yourcenar: “ (...) le mura che faccio puntellare sono ancora calde del contatto di corpi scomparsi”.

(2) Me ne sono accorta solo alla quarta o quinta rilettura, ma con ogni probabilità questi due “Bugiardo” vengono da “Dicembre 1944” di SOemmeOS (io non ti ringrazio mai abbastanza, Emme).

(3) Da “X Agosto” di Giovanni Pascoli

 

 

Note dell’Autrice:

Ehm, che cosa dovrei dirvi? Spero che vi sia piaciuta? Nah. Mi è piaciuto troppo scriverla. Beh, spero che quando conterete le pecore per addormentarvi, però, vi ricordiate di questo XD

(P.S. Per chi si stesse chiedendo se questa fic possa avere legami con “Another brick in the wall”: perché no?)

 

 

 

 

   
 
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