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Autore: Averroe    18/12/2009    6 recensioni
Naruto è cresciuto. È cresciuto, e sa che passare dal ruolo di apprendista a quello di maestro non è affatto facile. Soprattutto se si ha di fronte allievi come quelli che gli sono stati affidati.
“Come va?”, fece Naruto, casuale.
“Benone”, replicò Ryo. “Lo sai, Kinuye-chan stava elaborando strane teorie sulle tue tendenze sess…”
Il giovanotto fu prontamente zittito dalla giovane collega, che gli si fiondò addosso tappandogli la bocca senza tanti complimenti.
“Parlavamo di roba da mangiare”, trillò la ragazzina, angelica.

E, alle spalle, una squadra come la sua.
“Avevo un amico, quando avevo la tua età.”
[prosieguo di Naruto sensei]
Genere: Generale, Commedia, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Naruto Uzumaki, Nuovo Personaggio, Sakura Haruno
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'Naruto Sensei'
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Ed eccomi tornata, dopo secoli di assenza. Sì, sì, sono ancora viva. Perdonatemi se vi ho illuso.

Bene, questa fan fiction sarebbe il seguito dell’obbrobrio a titolo Naruto Sensei, a cui, siccome mi ero assai dilettata nella stesura, ho pensato bene di dare un proseguimento. Come si dice, le disgrazie non vengono mai sole. Temo che lettura di quanto segue sia quasi incomprensibile per chi non avesse letto la prima delle due shot, vista l’introduzione di nuovi personaggi. (Ne approfitto per ringraziare infinitamente chi ha commentato Naruto Sensei: Shalala, Capitatapercaso, Yum, Talpina Pensierosa e quell’infame di violet_hill: grazie di cuore!)

A chiunque legga, oltre che offrire gratitudine sempiterna, pongo un quesito. Dal momento che questa shot avrà probabilmente a sua volta un prosieguo (ehm…), mi trovo a dover affrontare un atroce dubbio. Il dilemma affonda le proprie radici nell’oscura e infida parola pairing. Il punto è che mi frullava in testa l’idea malsana di portare il nostro amico sull’altra sponda del metaforico fiume dove ad aspettarlo chiaramente ci sarebbe quel grandissimo bastardo di Sasuke Uchiha. Mia sorella, che è perfida e legge puntualmente ciò che scrivo, quando si è informata ed è venuta a conoscenza delle mie deprecabili intenzioni, mi ha platealmente diffidata dal portare a termine il progetto. Indi, mi è sembrato corretto rivolgermi ai cortesi lettori per avere delucidazioni su quale sarebbe il risvolto più apprezzato, siccome per me più o meno fa lo stesso. Chi avesse la bontà di recensire sarebbe idolatrato virtualmente dalla sottoscritta se ne approfittasse per esporre il proprio parere.

Grazie di cuore e, se non vi siete ancora stufati, buona lettura.

 

 


 

 

Naruto sapeva che gestire una squadra di giovanissimi ninja presumibilmente incapaci non sarebbe stato affatto semplice. Soprattutto visti gli allievi che gli erano stati affibbiati. Una combriccola di rifiuti sociali, in sostanza. Se fosse stato una persona ancorata al passato, avrebbe detto che di certo per questa ragione la sua squadra aveva parecchie affinità con lui. Ma non era questo il caso, dunque il jinchuuriki preferiva dedicarsi esclusivamente ad intensificare quanto più possibile la fiducia nelle proprie capacità, che senz’altro gli sarebbe servita.

 

 

Nel tempo

 

 

“Puah. Che schifo.”

“Non fare lo schizzinoso, Ryo. Mica lo devi prendere in mano.”

“Sì, ma che cavolo, ho appena mangiato!”

“Siamo tutti partecipi del tuo profondo cordoglio, ma magari lo saremmo di più se la piantassi di dar aria alla bocca.”

“Ma come siamo acide stamattina! Di’, Kin, cosa mangi a colazione? Limonata e marmellata di agrumi?”

“Tappati quella specie di discarica che hai al posto della cavità orale, imbecille.”

“Uh, parli anche forbito! Sono estasiato.”

“Falla finita, cretino. E poi ti ho detto di non chiamarmi Kin.”

“Cercavo solo di rimediare alla bruttezza del tuo no … come non detto.”

Il ragazzino si allontanò prudentemente dalla compagna di team, che evidentemente al momento aveva l’unica aspirazione di gonfiarlo di botte, mentre il terzo compare osservava la scena con vago diletto, facendo oscillare lo sguardo ammiccante tra i commilitoni e l’escremento supposto felino attorno al quale orbitava il gruppetto.

Naruto sospirò, scuotendo il capo. Cominciava a domandarsi seriamente, lui che non aveva alcun interesse nel porsi quesiti di qualsivoglia genere viste le complicazioni inevitabili che comportavano, a quanto ammontasse anche solo approssimativamente il numero di felini a Konoha. Era una questione interessante, visto il fatto che ogni team, in qualsiasi epoca e in qualunque condizione, riceveva come primo incarico l’arduo compito di recuperare un qualche gattino smarrito non si sapeva come. Le possibili spiegazioni erano due: o le condizioni climatiche della Foglia erano tali da garantire una straordinaria prolificazione della specie, oppure ogni santa volta le autorità del villaggio contattavano le medesime persone e facevano sì che queste dietro pagamento spedissero volontariamente in giro i propri animaletti domestici, esclusivamente ad usum delle giovani squadre ninja appena costituite.

Il cervello del jinchuuriki fumava ancora copiosamente nel tentativo di tenere dietro a questi astrusi ragionamenti già fin troppo complessi per il ragazzo, quando il volenterosissimo fanciullo noto al mondo col nominativo di Ryo Tsurayaki si fece avanti esponendo il proprio ragionevole punto di vista.

“Sensei, io dico che questa merda è di gatto, quindi il sacco di pulci è passato per di qua. Ci muoviamo?”

Naruto si riscosse con un sobbalzo, portando lo sguardo sui tre ragazzetti, i quali lo osservavano piuttosto perplessi. Quindi sorrise con aria vagamente ebete e si appropinquò al gruppo.

“Bene, andiamo!”, esclamò soddisfatto, e precedette la squadra nella marcia, posizione privilegiata che in ogni caso non gli impedì di udire distintamente l’opportuno intervento di Ryo: “Uh, secondo me fuma oppio. Per non dire altro.”

“Imbecille”, grugnì Kinuye tra sé, ferma nel suo punto di vista.

“Secondo me invece farebbe bene a te, un po’ di oppio”, considerò Eisen vago.

“Mercenario dei miei stivali”, ringhiò appena percettibilmente Ryo, piccato.

Naruto sussultò. Non si sarebbe aspettato che gli altri membri della squadra sapessero della ‘professione’ del terzo componente. Evidentemente la sua fama era relativamente diffusa. Il jinchuuriki lanciò un’occhiata fulminea allo Zeshin, giusto per accertarsi che non saltasse al collo del compagno – con un sicario non si poteva mai sapere – ma il ragazzino non fece una piega, seguitando a camminare spensierato, mani in tasca e naso per aria con fare svagato. Gli parve unicamente che avesse distolto repentinamente lo sguardo dagli altri due, ma probabilmente fu solo un’impressione.

“Ehi! Per di qua!”, gridò di colpo Ryo, balzando improvvisamente da un lato per una viuzza traversa.

Naruto si arrestò con uno scarto del tutto carente in grazia, in tempo per scorgere i due allievi dietro di lui catapultarsi attraverso uno stretto vicolo al seguito del primo, il quale correva a perdifiato con piglio vagamente scomposto dietro ad una sagoma agile e fugace – presumibilmente appartenente al micio ricercato. Sbuffò riluttante, trascinandosi a propria volta nella medesima direzione e raggiungendo in un batter di ciglio i tre ragazzini. Li seguì da vicino, senza intervenire, tenendoli d’occhio. I tre si esibirono in un rocambolesco inseguimento, saltabeccando a destra e a manca in uno spettacolo indubbiamente dotato di un certo fascino ma molto poco produttivo a livello concreto. Il felino non faceva una piega nonostante le urla belluine di Ryo e scartava di continuo, in una sorta di complesso slalom tra pali e passanti, disperdendo i propri accaniti inseguitori con abilità mirabile per un comunissimo gatto. Naruto studiò i propri allievi, vagamente deluso. Ryo si scagliava avanti in agili scatti, con baldanza, senza però ottenere il minimo risultato; Kinuye aveva una certa eleganza nelle movenze ma sembrava molto poco interessata all’attività, pareva più intenta a dilettarsi nel balzare da una postazione all’altra, saltando su davanzali, bancarelle, tettoie e canali di scolo, senza che questo comportasse il minimo vantaggio ai fini della missione; Eisen infine aveva l’aria di uno che stia pensando a tutto meno che a dare la caccia ad un gatto.

Quando il felide si arrestò di colpo, si voltò verso il team, rizzò il pelo e con una vanitosa piroetta si dileguò verso la boscaglia presso Konoha, il jinchuuriki si fermò mollemente e lanciò un’occhiata torva al gruppo. Il vicolo li aveva condotti ad un’altra delle vie principali di Konoha, gremita di gente. Era impossibile raggiungere l’obiettivo in tempi rapidi.

Naruto sospirò, abbattuto. Era drammaticamente evidente che nessuno dei tre ragazzini fosse seriamente preoccupato per l’esito della missione, che per il momento si presentava come un colossale fiasco.

“Vergognatevi”, grugnì, con vago infantilismo. Puntò contro i tre un indice con piglio enfatico. “Vi state comportando come un branco di incapaci!”

I tre lo guardarono storto.

“Dovete impegnarvi”, insistette lui. “Voglio che portiate a termine questa missione con successo, sono stato chiaro?”

“Che rompimento”, osservò Ryo, raffinato, alzando gli occhi al cielo.

“Sensei, ma è proprio necessario che perdiamo il nostro tempo dietro a una palla di pelo ambulante?”, domandò Kinuye, corrucciata.

Naruto sospirò. “Sentite, sono stato anch’io un genin. Cosa credete? Non trovavo certo divertente questo genere di incarichi. Eppure vi garantisco che servono. Non è una perdita di tempo, Kin … uye”, rettificò all’istante, cogliendo una scintilla assassina negli occhi della ragazzina. Sorrise scanzonato. “Non è una perdita di tempo, perché … perché … Beh, perché sì e basta.”

“Perché lo dici tu?”, cantilenò Ryo con scherno.

“Infatti”, convenne con approvazione il jinchuuriki, tronfio.

“Mi sa che non ha colto …”, borbottò il ragazzino rivolto al compagno. Quello gli rivolse un ghigno fuggevole, poi tornò a studiare il maestro.

“Non ha nessun senso inseguire un gatto”, asserì poi, dopo alcuni istanti di impassibile ponderazione. “Non è come un cane. Anche se lo riportassimo al proprietario, scapperebbe di nuovo. Lasciamolo in pace, tornerà a casa quando ne avrà voglia.”

Naruto sbuffò, spazientito. “È ovvio che dare la caccia a un gatto non serva a un tubo, e che questo sia un compito completamente idiota. Ma è la vostra missione, e dovete portarla a termine. Punto. Fine del discorso.”

Kinuye sollevò il mento, arricciando il naso. “Per la serie fa’ quello che ti dicono, agisci e non pensare, recluta?”

Naruto sgranò un po’ gli occhi, colto alla sprovvista. Kinuye lo squadrava con aria di sfida, simulando indignazione, Ryo ghignava sornione ed Eisen sorrideva sotto i baffi, furtivamente.

Storse la bocca, piccato.

“No! No, no e no! Certo che no. Un ninja non deve mai smettere di pensare, quale che sia il suo incarico. Ma per il momento voi siete solo un branco di marmocchi incapaci, perciò fate quello che vi dico io. Fine del discorso.”

Ammiccò trionfante, fiero di sé.

Vedendo però che i tre lo studiavano poco convinti, e scorgendo in quell’istante con la coda dell’occhio una chioma rosa decisamente familiare fare timidamente capolino nel suo campo visivo, rivolse un cenno autoritario alla squadra, deciso.

“E adesso muovetevi! Avete visto da che parte è andato il sacco di pulci, datevi una mossa. Io vi raggiungo nel bosco. Non penso necessitiate di aiuto per acchiappare un innocuo gattino. Sbaglio?”

“Umphf”, replicò Ryo, spavaldo.

“Sarà meglio. Anche perché poco fa mi è sembrato che il micetto vi abbia fatto mangiare la polvere.”

I tre lo osservarono con palese sdegno, quindi, senza proferire verbo, si scagliarono tra la folla, marciando risoluti verso il bosco. Naruto li seguì con gli occhi per un breve tratto, con un sorriso soddisfatto, e fu con un sottile piacere che si volse verso Sakura Haruno, baldanzoso.

“Sakura chan!”, chiamò dimenando una mano, benché fosse evidente che la ragazza lo avesse già avvistato. “Sakura chaaaan!”

“Ti vedo, baka!”, rise lei venendogli incontro.

Naruto sorrise.

 

 

Una decina di minuti dopo passeggiavano fianco a fianco per le strade di Konoha. Il jinchuuriki gesticolava con enfasi, parlando in fretta.

“… Ma in fondo le prime missioni sono sempre una gran rottura di scatole, eh Sakura chan? Per il momento quei tre marmocchi non hanno cavato un ragno dal buco, ma dico io, come si fa ad essere così privi di … di …”

“Interesse?”

“Mhh …”

“Volontà?”

“Quello! Ecco, come si fa a non avere un minimo di volontà di portare a termine il proprio primo incarico? Noi, la prima volta che …”

Si interruppe, perdendo immediatamente slancio. Puntò lo sguardo a terra, mordendosi la lingua. Quando sbirciò da dietro le ciocche scorse il volto incupito di Sakura.

“Sakura chan … Mi dispiace, io non volevo parlare di …”

La dottoressa rizzò il capo, sorridendo in modo vagamente forzoso.

“Ma smettila, Naruto! Non è mica un argomento tabù. A proposito, sono stata da lui proprio l’altro giorno …”

Naruto serrò le labbra, distogliendo gli occhi. Sakura lasciò l’esordio in sospeso per qualche istante, poi sospirò.

“… Ma forse … forse sei tu che non vuoi parlarne.”

Naruto scosse il capo, gli occhi ostinatamente puntati a terra.

“Se vuoi parlare di Sasuke puoi farlo quando ti pare e piace, Sakura chan.”

La kunoichi lo osservò in silenzio qualche minuto, rallentando l’andatura. Infine si fermò, e lo costrinse a fare altrettanto poggiandogli una mano sulla spalla.

“Sono certa che si sistemerà tutto”, mormorò con scarsa convinzione.

Naruto non sollevò lo sguardo, e Sakura parve recuperare fervore.

“Naruto”, articolò lentamente, con fermezza. “Guardami.”

Il jinchuuriki non reagì.

“Guardami”, ripeté lei, scrollandolo leggermente, e lui obbedì.

“Ascolta”, riprese allora la giovane, decisa. “So perché parlare di lui è per te così straziante. Cosa credi, che non capisca quello che pensi? So che il problema non è tanto il fatto che Sasuke non possa neppure avvicinarsi al villaggio, quanto che a te, a differenza di Kakashi e me, non è stato concesso di fargli visita …”

“No, Sakura”, la interruppe Naruto con tono incolore, stancamente. “Non è come dici. Non è vero che non mi è stato concesso. È lui che me lo impedisce.”

“Forse tu non sei stato sufficientemente determinato nell’opporti”, ribatté lei, aspra.

Naruto scosse il capo, ridacchiando seccamente. “Ah, non sono stato sufficientemente determinato. Beh, Sakura, l’ho riportato a casa. È il meglio che sono riuscito a fare, e scusa se è poco. Ho fatto tutto quello che era in mio potere, e se adesso lui non mi vuole tra i piedi, beh, onestamente mi va benissimo così. So che sembra stupido lasciar perdere adesso, ma in fondo ci siete tu e il sensei a sostenerlo, e io non ho più voglia di lottare con i suoi capricci e il suo stramaledetto orgoglio.”

Lo sguardo della ragazza si addolcì. “Naruto, mi dispiace. Davvero, mi dispiace da morire. L’unico a cui dovrebbe essere davvero riconoscente sei tu, e invece …” Scosse il capo. “Dagli ancora un po’ di tempo.”

Un po’ di tempo? Sakura, sono passati quattro anni. Quattro anni da quando quel bastardo di Madara ha avuto la fine che meritava, quattro anni da quando Sasuke anziché rientrare a Konoha è stato recluso a kilometri da qui. Quattro, capisci? Quattro fottuti anni e ancora lui non si decide a volermi guardare in faccia.”

Sakura lo guardò a lungo, gli occhi lucidi. Poi batté le palpebre e deglutì.

“Hai ragione. Hai ragione, hai ragione. Ma … Che cosa ti devo dire? Sono passati quattro anni, è vero. E forse ne passeranno altrettanti prima che vi parliate di nuovo. Non dico che sia giusto, anzi, però ormai le cose stanno così. È troppo tardi perché sia tu a sistemarle, e credo che forzarle potrebbe compromettere la situazione. Tsunade lavora duramente per noi, lo sai …”

“Lo so.”

“… E ha bisogno di tutto tranne che di ulteriori problemi. Per il momento l’equilibrio è intatto, e …” Corrugò la fronte ad occhi chiusi, mordendosi un labbro. “Abbi pazienza, Naruto”, concluse con voce tremante.

Naruto sorrise mestamente.

“Ma certo, Sakura chan”, sussurrò. Tese una mano e le accarezzò affettuosamente una guancia, asciugandole una lacrima. “Nonna Tsunade risolverà tutte le questioni burocratiche. Nel giro di poco Sasuke sarà completamente libero, vedrai”, disse meccanicamente.

La kunoichi annuì con convinzione, tirando su col naso, come una bambina. Finiva sempre così. Era sempre lui a rassicurarla, per quanto fosse sempre meno sicuro di ciò che le diceva.

“Ora dovrei andare”, disse piano.

Sakura si asciugò in fretta le lacrime, sforzandosi di sorridere.

“Ma certo! I tuoi allievi ti staranno aspettando.” Rise forzatamente. “Non vedo l’ora di conoscerli. Sono certa che non fai loro onore lamentandoti in questo modo. Prima o poi me li devi presentare, eh!”

“Senz’altro. Chissà che non trovi qualche giovane medico da arruolare nel tuo esercito di poveri medic ninja sottomessi dalla tua violenza.”

“Naruto!”, sbottò Sakura fintamente minacciosa.

Il jinchuuriki si allontanò di gran carriera, agitando platealmente un braccio mentre la sua compagna di team lo guardava con un misto di affetto, malinconia e soffusa speranza.

 

 

Tre mesi dopo.

 

Naruto schivò un ramo prominente di cui non si era accorto, e con uno scarto si proiettò in avanti verso un’altra fronda. Balzò rapidamente da un appoggio all’altro, con scioltezza. Una manciata di minuti dopo deviò verso destra. Allacciò le dita ad un appiglio naturale e con un ardito volteggio atterrò morbidamente al suolo. Inspirò a fondo l’aria fresca e vagamente aromatica del tramonto, beandosi del tepore dei raggi che gli sfioravano il volto. Le ultime, fumose luci del sole morente disegnavano i contorni del paesaggio con un tratto d’oro. Socchiuse gli occhi, avvertendo una sensazione di benessere quasi totale. Aveva imparato a confinare le riflessioni dannose, quelle che lo tormentavano e gli sigillavano lo stomaco in una morsa di indistinta sofferenza e irrefrenabile senso di colpa, in un angolo remoto della mente, un angolo che non frequentava mai – o quasi –, un angolo dal quale esse non potevano nuocere. Questa sorta di arginamento solitamente funzionava in modo soddisfacente, e soprattutto negli ultimi mesi, in cui era stato troppo impegnato per soffermarsi a riflettere sui suoi fallimenti, preferendo concentrarsi sui successi che si prefiggeva di raggiungere. Come suo solito.

Sospirò e si addentrò ulteriormente nella macchia. Si arrestò un paio di tronchi dopo. Sorrise tra sé. Fece per avanzare, ma poi preferì restare fermo in quella postazione privilegiata, al riparo delle fronde ondeggianti. Osservò con sguardo ridente la scena che gli si parava innanzi.

Kinuye passeggiava serenamente in su e in giù sul tronco di un albero massiccio, saggiando con evidente compiacimento il proprio controllo sul chackra. Alle pendici della pianta Ryo se ne stava bellamente stravaccato su di un grosso masso dalla superficie scabra, seguendo con sguardo annoiato i movimenti della compagna. La ragazzina gli rivolse un’occhiata soddisfatta, quindi spiccò un piccolo salto, dandosi una spinta leggera, e con una specie di piroetta si staccò dal tronco per poi far aderire le piante dei piedi ad un ramo più in alto.

Ryo grugnì.

“Esibizionista megalomane.”

Lei lasciò penzolare le braccia nel vuoto, a testa in giù.

“Suvvia, Ryo-kun, smettila di roderti nell’invidia”, cinguettò beffarda.

“Invidia?”, ripeté il giovinetto, storcendo il naso. “E, di’ un po’, di cos’è precisamente che dovrei essere invidioso?”

Kinuye si voltò completamente verso di lui, con una smorfia ironica.

“Ma delle mie ineguagliabili capacità, mi sembra ovvio!”

Ryo drizzò leggermente le spalle, sornione.

“Vuoi farmi credere di pensare seriamente che io non sarei capace di fare altrettanto?”

“Naturalmente. Onestamente, Ryo, non c’è proprio paragone.”

Il ghigno sul volto del ragazzino si ampliò.

“Ah sì?”

“Sì.”

“Sai cosa ti dico?”

Kinuye saltellò allegramente avanti e indietro, spensierata.

“Cosa?”

Ryo si sistemò meglio sulla sua seduta, senza cessare di sorridere.

“Che sono sicuro che adesso ti distrai e cadi.”

La ragazzina storse il naso, indifferente.

“Che sciocchezza. Perché dovrei distrarmi?”

“Scommettiamo?”

“Sei un imbecille, Ryo.”

“Ah, è così, eh?” Il ragazzetto sogghignò, schiarendosi platealmente la gola. “Naruto-sensei è innamorato di te.”

“ARGH!”

E Kinuye precipitò a terra con un tonfo sordo.

Il jinchuuriki trasalì, mordendosi l’interno di una guancia a sangue per soffocare un’esclamazione d’incredulità. Certo ne aveva, di fantasia, il giovinastro.

Ryo esplose in una risata roboante e impietosa, ribaltandosi indietro. Kinuye si tirò su barcollando, scrollandosi le foglie di dosso con aria indignata. Fulminò il compagno con uno sguardo assassino. Raccolse un sasso da terra e glielo scagliò addosso con foga.

“Idiota!”, inveì, mentre quello ancora si sbellicava.

“Visto? Ti sei distratta”, tentò di canzonarla tra i singulti.

“Pezzo di cretino! Razza di cerebroleso, menomato mentale dei miei stivali!”

“Addirittura”, commentò il ragazzino impassibile, ricomponendosi.

Kinuye lo studiò in cagnesco, minacciando di tirargli dietro qualche altra arma impropria.

“Fesso”, ruminò, giusto per ribadire il concetto.

Ryo ghignò beato.

“Oh, andiamo, era solo una battuta.” Improvvisamente assunse un’aria maligna, assottigliando gli occhi. “Ma, forse, a te piacerebbe che fosse vero. Eh, Kin-chan?”

Naruto per poco non scivolò dal ramo su cui si era appollaiato. Kinuye arrossì fino alla radice dei capelli, assumendo un’espressione tanto esterrefatta quanto sdegnata.

“Ma come ti viene in mente?!”, tuonò. “Ha dieci anni più di me!”

“E con questo? L’età non può essere un ostacolo insormontabile.”

“Ma cosa dici?! Finiscila. Non mi interessano queste cose”, replicò, placandosi. “E poi”, soggiunse, con aria repentinamente saputa, “sarei una povera illusa se perdessi il mio tempo dietro a lui.”

“Ah, ma davvero?”, fece Ryo divertito.

“Certamente. Il sensei non si interesserebbe mai minimamente a me, e sai perché?”

“Perché sei una racchia cinica e rompiscatole?”

Kinuye lo perforò con un’occhiata astiosa.

“No, coglione. Il motivo è un altro, e mi sembra più che evidente.”

Il ragazzino corrugò la fronte, perplesso.

“E quale sarebbe?”

Kinuye lo guardò, ragionevole.

“Naruto-sensei è gay, ovviamente!”

La rivelante dichiarazione fu seguita da un silenzio pregno di pathos, mentre Naruto per poco non si strozzava con la sua stessa saliva. Forse aveva fatto male a starsene lì nascosto a spiare i propri allievi.

Ryo fissava la compagna di team ad occhi sbarrati. Kinuye torreggiava su di lui, trionfante.

“Non dirmi che non ci avevi mai pensato.”

“No, in effetti”, articolò Ryo dopo un paio di minuti di palese smarrimento. “Come ti è venuto in mente, scusa?”

Lei scrollò le spalle, noncurante.

“Beh, direi che si vede.”

“A me non sembra.”

“Perché tu sei un povero pirla, Ryo-kun. Ma dico, hai visto quante belle ragazze gli ronzano intorno, ultimamente?”

“Insomma …”

“Lascia stare, tu ci sei troppo abituato. Ti garantisco che di pretendenti ne ha, eppure non ha mai dato retta a nessuna di lor …”

“Eh-ehm … Ehi, ragazzi!”

I due ragazzini si voltarono di scatto. Naruto si avvicinò loro in fretta, ansioso di interrompere la conversazione. Ryo e Kinuye si scambiarono un’occhiata eloquente, quindi salutarono il loro sensei.

“Come va?”, fece lui, casuale.

“Benone”, replicò Ryo. “Lo sai, Kinuye-chan stava elaborando strane teorie sulle tue tendenze sess …”

Il giovanotto fu prontamente zittito dalla giovane collega, che gli si fiondò addosso tappandogli la bocca senza tanti complimenti.

“Parlavamo di roba da mangiare”, trillò la ragazzina, angelica.

“A-ah sì?”, balbettò Naruto.

“Certo! Ti piacciono i ravioli, Sensei?”

“Preferisco il ramen.”

“E ti pareva”, mugugnò Ryo, massaggiandosi la mandibola bistrattata.

“Dov’è Eisen?”, domandò Naruto, guardandosi intorno.

Ryo scrollò il capo.

“Va’ a sapere.”

“A casa, forse”, congetturò Kinuye, stringendosi nelle spalle. “L’altro giorno uno dei suoi fratelli gli ha spedito un comunicato, mi pare. Magari lo hanno convocato per … Beh, per …”

“Un’assemblea familiare”, completò Ryo beffardo. “Sotto a chi tocca! Chi facciamo fuori settimana prossima?

“Ryo”, sibilò Naruto, fulminandolo con un’occhiataccia. L’allievo si scusò con un’innocente scrollata di spalle. Kinuye sbuffò, scuotendo il capo.

“Piuttosto che dire stupidaggini, perché non taci?”

“Ehi, c’è ancora libertà di parola da queste parti!”

Libertà di parola, non parole in libertà. E in ogni caso quello che dici non avrebbe senso comunque, perché Eisen-kun deve attenersi ad un accordo se vuole soggiornare a Konoha.”

Ryo alzò gli occhi al cielo, con aria esasperata.

“Sì, certo. Niente omicidi, come no.”

“Guarda che è vero”, grugnì Naruto, infastidito.

Il ragazzino fece spallucce.

“Sarà. Io non mi fiderei.”

Il jinchuuriki serrò le labbra, fissandolo con irritazione.

“Ryo, falla finita”, suggerì Kinuye, atona.

“Ma certo. Mi sigillo la bocca.”

“Avrebbero dovuto fartelo a due anni, non appena hai iniziato a parlare.”

“Ah. Ah. Ah. Che spiritosa.” Il giovane ninja si volse verso il proprio Sensei, che lo guardava ancora storto. “Ehi, Sensei, non te la prendere così tanto! Stavo solo scherzando. E poi anche se Eisen uccide la gente, questo non significa che non sia una brava persona, eh. Mica ucciderà noi. Questo è già un bene, no? Almeno ci sopportiamo.”

Naruto sospirò.

“Certo.”

Kinuye aggrottò le sopracciglia.

“C’è qualcosa che non va, Naruto-sensei?”

Il jinchuuriki le rivolse un sorriso leggermente forzato.

“No, Kin-chan. Va tutto bene.”

La ragazzina scrollò le spalle, poco convinta.

“Se lo dici tu”, borbottò. “Sakura-san mi ha invitata a cena per stasera”, annunciò poi, improvvisamente raggiante.

Naruto sorrise ancora.

“Cenate insieme spesso. La cosa mi fa piacere, ma … devo temere un’alleanza alle mie spalle?”

“Sono già alleate, Sensei”, dichiarò Ryo, superiore. “Sono donne. Infide per definizione.”

Con quest’affermazione il ragazzino si guadagnò un possente scappellotto dalla vicina. Naruto sghignazzò, cogliendo gli effetti dell’influenza della sua vecchia compagna di squadra.

“Di’, Kin-chan, non è che mi diventi medic ninja anche tu, eh?”

“No di certo, Sensei! La diagnostica sembra interessante, ma la gente solitamente non mi sopporta. Non sarei mai capace di gestire il rapporto con un paziente.”

Naruto ridacchiò, grattandosi distrattamente la nuca.

“Sei irrecuperabile, Kin-chan.”

“Assolutamente vero”, convenne Ryo. “Non ci sono speranze, è una causa persa. E … Merda!”, imprecò improvvisamente, battendosi una manata sulla fronte.

“Che c’è?”

“Merda! Porca vacca! Tsunade-sama mi aveva affidato un incarico … una di quelle scempiaggini a proposito di riordinare fascicoli e roba del genere … Merda! Dovevo essere lì mezz’ora fa! L’Hokage mi farà a pezzi!”

“Oh, sì, credo che nonna Tsunade non sarà per niente contenta … Auguri.”

“Grazie tante, Sensei.”

“Ti conviene darti una mossa”, suggerì Kinuye, tranquilla.

“Ah, grazie tante anche a te!”, grugnì il ragazzino, fiondandosi nella macchia a tutta velocità. “Sono fritto!”, piagnucolò la sua voce distante tra gli alberi.

Kinuye lo seguì con uno sguardo a metà tra la denigrazione e il divertimento. Poi sollevò gli occhi sul volto di Naruto.

“Dovrei raggiungere Sakura-san, adesso.”

Il jinchuuriki annuì.

“Andiamo. Ti accompagno.”

“Ti fermi con noi?”

Naruto scosse il capo.

“No, non credo.”

La ragazzina gli rivolse un’occhiata pungente, sorridendo appena.

“Guarda che se è per la tua mania per il ramen, possiamo anche cenare all’Ichiraku. Per me non è un problema, e neanche per Sakura-san, credo. Lei ci sarà abituata, poveretta.”

Naruto rispose al sorriso, mentre si incamminavano con calma.

“No, non è per questo. Anch’io sono capace di adattarmi, cosa credi?”

“Non ho mai messo in dubbio le tue abilità, Sensei.”

“Mi prendi in giro?”

Kinuye sgranò gli occhi, simulando incredulità.

“Certo che no, Naruto-sensei! Come ti viene in mente?”

“Umphf.”

La ragazzina trillò in una breve risata.

“Allora perché non vuoi venire? Non ti va?”, incalzò.

Naruto abbassò lo sguardo.

“Sono solo un po’ stanco.”

Kinuye gli lanciò un’occhiata di sbieco, senza dire nulla.

Giunsero all’interno della zona abitata, dove rallentarono l’andatura. La popolazione di Konoha rifluiva in ondate regolari attraverso le strade del villaggio.

“Sensei? Posso chiederti una cosa?”

Naruto si voltò a guardare l’allieva, sollevando le sopracciglia. La ragazzina camminava spedita al suo fianco, gli occhi bassi.

“Dimmi.”

“Tu e Sakura-san eravate compagni di squadra.”

“Sì, certo.”

Kinuye annuì, senza sollevare lo sguardo.

“Ecco, mi domandavo … Cioè, a volte ho l’impressione che voi due siate … tristi per qualcosa. E’ come se ci fosse qualcosa che vi fa soffrire.”

Il jinchuuriki distolse lo sguardo, sforzandosi di ridacchiare come al solito.

“Andiamo, Kin, che stupidaggini vai dicendo? Tutti hanno qualcosa che li immalinconisce ogni tanto, è naturale.”

“Questo lo so”, replicò ferma la ragazzina. “Quello che cerco di dire … Tu parli spessissimo di Sakura-san. E anche lei ti nomina sovente. Ma nessuno di voi due parla mai del …”

“Oh, guarda, siamo quasi arrivati.”

Kinuye si volse verso di lui con uno scatto del capo, inviandogli un’occhiataccia.

“Se non vuoi parlarmene, basta dir …”

“No, non voglio, in effetti.”

La ragazzina sussultò, guardandolo colta di sorpresa. Poi chinò il capo, battendo le palpebre in evidente imbarazzo.

“Capisco. Ti chiedo scusa.”

Naruto sospirò. Tese il braccio e la invitò a fermarsi con un cenno. Lei obbedì in silenzio.

“Kin, non è che non voglia parlarne con te. E’ solo che …” Sorrise leggermente, scostandole un ciuffo di capelli dalla faccia. La ragazzina sgranò gli occhi, ritraendosi automaticamente. Lui seguitò a sorridere mestamente. “Non è una storia interessante, Kin. Non farmi parlare di queste cose.”

“Come preferisci.”

Fece per voltarsi, ma il jinchuuriki la fermò. Le rivolse un’occhiata malinconica.

“Avevo un amico, quando avevo la tua età”, disse lentamente. “Lui mi ricopriva di insulti dal mattino alla sera, perché era un bastardo presuntuoso e pieno di sé.”

Kinuye si volse del tutto verso di lui, quasi con circospezione. Il suo sguardo era attento.

“Era così convinto di essere irrimediabilmente solo da non accorgersi dei momenti in cui non lo era”, seguitò Naruto. “Era troppo orgoglioso per accettare qualunque offerta di amicizia.”

“Ma voi non …?”

“Sì, eravamo amici. Perché lui faceva finta che non lo fossimo. In effetti faceva veramente cagare come amico, però tutto sommato funzionava. Non potevo pretendere di meglio. Poi un giorno lui se n’è andato.”

S’interruppe. Kinuye lo fissava in attesa.

“… Andato?”, mormorò per spronarlo a continuare.

“Sì. Quando l’ho rivisto sembrava un’altra persona. Tutte quelle sue caratteristiche negative che conoscevo bene e che erano state una facciata che mascherava i suoi sentimenti erano diventate la sua natura, cancellando il resto. Ho trascorso molto tempo a cercare di recuperare quello che sembrava essere andato perduto, e a cercare di riportarlo indietro. Troppo tempo, forse. Eppure rifarei tutto, dall’inizio alla fine.”

Naruto cessò ancora di parlare, serrando le labbra. Kinuye lo guardava con occhi colmi di abbattuta attenzione, stupita.

“E … e non è mai più tornato?”, domandò.

Il jinchuuriki sollevò gli occhi su di lei, rimettendo a fuoco la realtà del presente. Sorrise amaramente.

“Sì. Sì, è tornato.”

La ragazzina spalancò gli occhi. Lui scosse il capo.

“È tornato, ma non nel modo in cui speravo. È tornato dalle parti di Konoha, non a casa. È tornato qui, non da me.”

Tacquero entrambi. I passanti sfilavano loro affianco, scostandosi o urtandoli leggermente. Alla fine Kinuye gli rivolse un timido sguardo comprensivo.

“Mi dispiace, Sensei”, mormorò.

Naruto scrollò le spalle.

“Non farlo. Non ne vale la pena.” Deglutì e le rivolse un sorriso stiracchiato. “E adesso finiamola di rimestare il passato. Te l’avevo detto, che non era una storia interessante. Su, va’ da Sakura, ti starà aspettando.”

“… Sì.”

Kinuye si voltò con riluttanza e si allontanò gradualmente, a piccoli passi. Dopo qualche istante si volse indietro, come a volersi accertare delle condizioni di Naruto. Lui le lanciò un’occhiata fintamente allegra e lei si voltò di nuovo.

“Ah, Kin?”

La ragazzina si fermò.

“Sì?”

Naruto aggrottò le sopracciglia, ghignando appena.

“Tu pensi che io sia gay?”

Kinuye sgranò gli occhi, arrossendo vistosamente.

“Assolutamente no, Sensei”, balbettò imbarazzata.

“Sicura?”

“Sicurissima”, replicò lei arricciando il naso, rossa e infastidita. “La cosa non mi interessa per niente. Le tue preferenze sessuali non sono affar mio”, grugnì, per poi fiondarsi alla velocità della luce all’interno del locale dove la attendeva Sakura.

Naruto la guardò finché non scomparve oltre il telo, mentre il sorriso gli si spegneva sulle labbra.

Si voltò e si incamminò verso casa.

 

 

Una settimana più tardi.

 

Ryo salutò Kinuye e seguì con lo sguardo la ragazzina che svoltava l’angolo tra i palazzi a più piani, diretta verso il proprio minuscolo appartamento. Poi si voltò indietro con un ghigno.

“Sensei!”

Naruto si riscosse dal torpore in cui era caduto senza rendersene conto.

“Uh?”

“Tu ti fermi ancora dieci minuti, eh? Devi ancora insegnarmi come si fa a …”

“Beh, veramente prima di cena dovrei andare da nonna Tsunade a fare rapporto sull’ultima missione.”

Ryo sgranò gli occhi con contrarietà.

“Vuoi scherzare? Preferisci quella vecchiaccia isterica al tuo allievo modello?”

“Ehi, vacci piano con le parole: l’unico che può dare della vecchia all’Hokage a cuor leggero è il sottoscritto, chiaro?”

“Ah sì? Cos’è, un insulto brevettato?”

Naruto ridacchiò.

“Non posso restare davvero, Ryo. L’ultima volta la nostra amica ha dato di matto. Non posso ignorarla sempre, poveretta.”

Il ragazzino sbuffò.

“E va bene. Fa’ come ti pare. Eisen!”, urlò. “Datti una mossa, voglio utilizzare proficuamente questo schifo di serata.”

Proficuamente?”, ripeté scettico l’interpellato emergendo da dietro una siepe. Si esibì in un ghigno felino. “Se mi dimostri di saper veramente cosa significa ti offro la cena.”

Naruto batté le palpebre, perplesso, mentre Ryo spalancava gli occhi per poi corrucciarsi, irritato.

“Non dire stronzate”, grugnì il ragazzino. “E adesso sbrigati. Solo perché sei ricco sfondato e puoi sprecare tutti i soldi che vuoi, non significa che tu debba sentirti autorizzato a sprecare tempo, specialmente se si tratta del mio tempo. Ti aspetto al solito posto, recupera la tua roba e muovi quelle auree chiappe di killer prezzolato.”

E si dileguò, sparendo nel vicolo che portava alla macchia.

“Coglione d’un sicario”, ruminò udibilissimamente nell’allontanarsi.

Naruto non riuscì ad evitare di sussultare dinanzi a quegli aperti riferimenti all’attività di Eisen. Il quale, impassibile, lo guardò e fece un cenno nella direzione in cui si era diretto Ryo.

“Non lo sapeva”, dedusse tranquillamente, piuttosto divertito.

Naruto sospirò, scuotendo il capo con una certa incredulità.

“Non ti dà fastidio quel che si dice di te?”

Eisen sollevò il capo, distogliendo lo sguardo leggermente sorpreso dalla sacca in cui stava riponendo l’attrezzatura.

“Ti riferisci alle battute di Ryo sugli assassini a pagamento o a chi sostiene che sono una spia?”

“A entrambe le cose”, rispose Naruto avvertendo una fitta d’irritazione al pensiero di quel che era in grado di fare la gente semplicemente parlando.

Eisen si strinse nelle spalle.

“Ci sono abituato.”

“Ma non è giusto!”

Eisen ridacchiò con scherno.

“Beh, credo che questo dipenda dai punti di vista.”

Naruto scosse il capo con convinzione.

“Ascolta, io …”

“No.”

Il jinchuuriki si interruppe, confuso. “Come?”

“No. So cosa stai per dire. Iruka sensei mi ha parlato di te, una volta, e mi ha raccontato come ti trattava la gente in passato. Suppongo volesse dirmi indirettamente di non preoccuparmi delle dicerie che girano sul mio conto.” Sorrise lievemente tra sé, di un sorriso che non pareva quello di un dodicenne. “Come se ne avessi bisogno.”

“Ma, Eisen …”

“Non è la stessa cosa, Sensei.”

Naruto lo studiò imbronciato. “Come sarebbe a dire, scusa?”

Eisen sollevò ancora lo sguardo e lasciò vagare le iridi grigie lungo i rami degli alberi in lontananza, le cui fronde stormivano al vento dondolando pigramente.

“La gente era ingiusta con te”, disse infine, dopo un lungo silenzio. “Ti odiava per qualcosa che non dipendeva da te. ti detestava per quello che eri. Invece io sono odiato per quello che faccio. Ed è giusto così. Me lo merito.”

Scrollò il capo tra sé e riportò gli occhi in basso. Naruto lo fissava esterrefatto.

“Cosa?”

“Hai sentito, Sensei”, tagliò corto il ragazzino, chiudendo la borsa con un gesto secco.

Naruto sospirò.

“Quello che dici non ha senso, Eisen. Non posso accettare che un ragazzo come te subisca tutto questo.”

“Ma io non lo subisco. Ci sono delle cose che ho fatto …”

Benché il suo volto fosse rimasto completamente inespressivo, Naruto ebbe l’impressione che fosse rabbrividito impercettibilmente.

“Sì che lo subisci”, ringhiò il jinchuuriki dopo un lungo silenzio, accalorandosi. “Iruka mi ha detto che sei stato addestrato a … a fare quello che fai sin dall’infanzia. È stata un’imposizione. È inaccettabile, questa situazione va risolta.”

“Non c’è proprio niente da risolvere. Calmati, non è il caso di prendersela per questo.”

Naruto si mosse nervosamente, incredulo.

“Come puoi parlare così? Quale pensi che sarà il tuo futuro?”

“Non spetta a te preoccupartene.”

“Ti sbagli. Mi spetta eccome. Sono il tuo maestro. Mi presenterò personalmente a casa tua, e parlerò col capostipite della tua famiglia, se necessario.”

Eisen lo studiò di sottecchi, scettico.

“Dubito che questa sarebbe una buona idea.”

“Perché no?”

Il ragazzino ridacchiò, come se lo trovasse molto buffo.

“Perché ti affaccendi sempre tanto per gli altri, eh, Sensei? Sei sicuro che ne siano degni?”

Il jinchuuriki lo guardò alcuni istanti, colto di sorpresa. Abbassò lo sguardo e gli si avvicinò con lentezza. Poi improvvisamente sorrise, più calmo. Allungò il braccio e gli appoggiò una mano su una spalla.

“Tu di sicuro, Eisen.”

L’allievo sorrise lievemente, con il suo sguardo ammiccante.

“Questo è molto gentile da parte tua, Sensei, ma, davvero, non ce n’è bisogno.”

Naruto scosse lentamente il capo.

“Non è solo per te. il fatto è che …” S’interruppe un istante, a disagio. Lasciò vagare lo sguardo tra gli steli d’erba che solleticavano i ciottoli disseminati sul terreno, incerto. “… C’è una persona, che conoscevo … a cui tenevo molto, diciamo. Il tuo carattere, a dispetto delle apparenze, è diverso dal suo, però … certi tuoi atteggiamenti, il tuo sguardo a volte me la ricordano.”

“E questo è negativo?”

Naruto si strinse nelle spalle.

“Non saprei.”

Eisen abbassò lo sguardo, come ponderando tra sé.

“Questa persona è morta?”, domandò distaccato.

“È come se lo fosse. Per me.”

Eisen sollevò lo sguardo sul suo volto e lo studiò con aria vagamente confusa.

In quell’istante dall’angolo emerse un imbufalito Ryo Tsurayaki, che si fiondò tra i due con espressione furente.

“Ehi, dico, grazie tante! Venti minuti ad aspettare, non si fa vivo un cane, vengo qui e vi trovo a fare conversazione come se niente fosse. Cioè, infinite grazie per la considerazione, eh.”

Eisen alzò gli occhi al cielo.

“Oh, cazzo!”, trasalì d’un tratto Naruto. “Questo significa che sono drammaticamente in ritardo!”

“Ah-ha, oggi tocca a te, eh, Sensei?”

“Taci, Ryo, non è affatto divertente.”

Il ragazzino ghignò.

“Tsunade-sama ti farà a pezzi”, considerò spensierato. Poi si volse verso il compagno. “E tu muoviti, porco cane! Abbiamo ancora un quarto d’ora di tempo per massacrarci di botte, approfittiamone!”

“Se proprio ci tieni”, replicò Eisen indolente, lasciandosi trascinare via dall’altro.

“Buona serata, Sensei!”, urlò Ryo, mentre Eisen gli rivolgeva un rapido cenno.

Naruto osservò in silenzio i due allontanarsi fianco a fianco. Camminavano rapidamente ostentando sicurezza, nonostante i corpi minuti sommersi dai vestiti abbondanti.

Provò a rivedere in loro quelli che erano stati lui e Sasuke alla loro età, ma non fu sicuro di riuscirci. Li guardò a lungo, assorto, e restò immobile anche dopo che furono spariti.

Forse quello era il momento giusto per lasciarsi definitivamente alle spalle Sasuke.

Forse quello era il momento giusto per dare fuoco ai brandelli sfilacciati di sofferenza che ancora lo ancoravano a quel passato che si sforzava – forse con vigliaccheria – di ignorare. Era il momento di tagliare completamente i ponti. Lasciare che le corde si logorassero non sarebbe mai stato sufficiente. Era riuscito a crearsi una vita, adesso, e non avrebbe permesso a Sasuke, anche lontano, di distruggergliela. Il tempo lenisce tutte le ferite, gli avevano detto. Non ci aveva mai realmente creduto, di tempo ne era già passato tanto. Ma forse il tempo necessitava di appoggio per operare la sua lenta guarigione. E nel tempo lui avrebbe lasciato che il ricordo di Sasuke si diluisse, fino a scomparire come una goccia d’inchiostro nell’oceano. Nel tempo Sasuke avrebbe perso definizione fino a divenire un’immagine sfocata appartenente ad una sfera innocua e facilmente ignorabile. Nel tempo il suo nome sarebbe precipitato fino a cessare di evocare frustrazione, delusione e senso di colpa. Nel tempo Sasuke sarebbe morto, pur essendo ancora vivo.

Doveva smettere di pensare a come riunire i cocci di una squadra caduta a pezzi senza più speranze di essere ricomposta, e concentrarsi unicamente sul team ancora da plasmare.

Serrò le dita a pugno, con decisione. Non conosceva ancora a sufficienza i propri allievi da poter stabilire quale sarebbe stato il loro comportamento in futuro. E, del resto, neppure conoscere Sasuke gli era servito. Però conosceva a fondo la storia, l’aveva vissuta in prima persona.

No, si disse, non avrebbe mai permesso che si ripetesse.

  
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