Ed
eccomi tornata, dopo secoli di assenza. Sì, sì, sono ancora viva. Perdonatemi
se vi ho illuso.
Bene,
questa fan fiction sarebbe il seguito dell’obbrobrio a titolo Naruto Sensei, a cui, siccome mi ero
assai dilettata nella stesura, ho pensato bene di dare un proseguimento. Come
si dice, le disgrazie non vengono mai sole. Temo che lettura di quanto segue
sia quasi incomprensibile per chi non avesse letto la prima delle due shot,
vista l’introduzione di nuovi personaggi. (Ne approfitto per ringraziare infinitamente
chi ha commentato Naruto Sensei: Shalala,
Capitatapercaso,
Yum,
Talpina
Pensierosa e quell’infame di violet_hill: grazie di cuore!)
A
chiunque legga, oltre che offrire gratitudine sempiterna, pongo un quesito. Dal
momento che questa shot avrà probabilmente a sua volta un prosieguo (ehm…), mi
trovo a dover affrontare un atroce dubbio. Il dilemma affonda le proprie radici
nell’oscura e infida parola pairing.
Il punto è che mi frullava in testa l’idea malsana di portare il nostro amico
sull’altra sponda del metaforico fiume dove ad aspettarlo chiaramente ci
sarebbe quel grandissimo bastardo di Sasuke Uchiha. Mia sorella, che è perfida
e legge puntualmente ciò che scrivo, quando si è informata ed è venuta a
conoscenza delle mie deprecabili intenzioni, mi ha platealmente diffidata dal
portare a termine il progetto. Indi, mi è sembrato corretto rivolgermi ai
cortesi lettori per avere delucidazioni su quale sarebbe il risvolto più
apprezzato, siccome per me più o meno fa lo stesso. Chi avesse la bontà di recensire
sarebbe idolatrato virtualmente dalla sottoscritta se ne approfittasse per
esporre il proprio parere.
Grazie
di cuore e, se non vi siete ancora stufati, buona lettura.
Naruto
sapeva che gestire una squadra di giovanissimi ninja presumibilmente incapaci
non sarebbe stato affatto semplice. Soprattutto visti gli allievi che gli erano
stati affibbiati. Una combriccola di rifiuti sociali, in sostanza. Se fosse
stato una persona ancorata al passato, avrebbe detto che di certo per questa ragione
la sua squadra aveva parecchie affinità con lui. Ma non era questo il caso,
dunque il jinchuuriki preferiva dedicarsi esclusivamente ad intensificare
quanto più possibile la fiducia nelle proprie capacità, che senz’altro gli
sarebbe servita.
Nel tempo
“Puah.
Che schifo.”
“Non
fare lo schizzinoso, Ryo. Mica lo devi prendere in mano.”
“Sì,
ma che cavolo, ho appena mangiato!”
“Siamo
tutti partecipi del tuo profondo cordoglio, ma magari lo saremmo di più se la
piantassi di dar aria alla bocca.”
“Ma
come siamo acide stamattina! Di’, Kin, cosa mangi a colazione? Limonata e
marmellata di agrumi?”
“Tappati
quella specie di discarica che hai al posto della cavità orale, imbecille.”
“Uh,
parli anche forbito! Sono estasiato.”
“Falla
finita, cretino. E poi ti ho detto di non chiamarmi Kin.”
“Cercavo
solo di rimediare alla bruttezza del tuo no … come non detto.”
Il
ragazzino si allontanò prudentemente dalla compagna di team, che evidentemente
al momento aveva l’unica aspirazione di gonfiarlo di botte, mentre il terzo
compare osservava la scena con vago diletto, facendo oscillare lo sguardo
ammiccante tra i commilitoni e l’escremento supposto felino attorno al quale
orbitava il gruppetto.
Naruto
sospirò, scuotendo il capo. Cominciava a domandarsi seriamente, lui che non
aveva alcun interesse nel porsi quesiti di qualsivoglia genere viste le
complicazioni inevitabili che comportavano, a quanto ammontasse anche solo
approssimativamente il numero di felini a Konoha. Era una questione
interessante, visto il fatto che ogni team, in qualsiasi epoca e in qualunque
condizione, riceveva come primo incarico l’arduo compito di recuperare un
qualche gattino smarrito non si sapeva come. Le possibili spiegazioni erano
due: o le condizioni climatiche della Foglia erano tali da garantire una
straordinaria prolificazione della specie, oppure ogni santa volta le autorità
del villaggio contattavano le medesime persone e facevano sì che queste dietro
pagamento spedissero volontariamente in giro i propri animaletti domestici,
esclusivamente ad usum delle giovani
squadre ninja appena costituite.
Il
cervello del jinchuuriki fumava ancora copiosamente nel tentativo di tenere
dietro a questi astrusi ragionamenti già fin troppo complessi per il ragazzo,
quando il volenterosissimo fanciullo noto al mondo col nominativo di Ryo
Tsurayaki si fece avanti esponendo il proprio ragionevole punto di vista.
“Sensei,
io dico che questa merda è di gatto, quindi il sacco di pulci è passato per di
qua. Ci muoviamo?”
Naruto
si riscosse con un sobbalzo, portando lo sguardo sui tre ragazzetti, i quali lo
osservavano piuttosto perplessi. Quindi sorrise con aria vagamente ebete e si
appropinquò al gruppo.
“Bene,
andiamo!”, esclamò soddisfatto, e precedette la squadra nella marcia, posizione
privilegiata che in ogni caso non gli impedì di udire distintamente l’opportuno
intervento di Ryo: “Uh, secondo me fuma oppio. Per non dire altro.”
“Imbecille”,
grugnì Kinuye tra sé, ferma nel suo punto di vista.
“Secondo
me invece farebbe bene a te, un po’ di oppio”, considerò Eisen vago.
“Mercenario
dei miei stivali”, ringhiò appena percettibilmente Ryo, piccato.
Naruto
sussultò. Non si sarebbe aspettato che gli altri membri della squadra sapessero
della ‘professione’ del terzo componente. Evidentemente la sua fama era relativamente
diffusa. Il jinchuuriki lanciò un’occhiata fulminea allo Zeshin, giusto per
accertarsi che non saltasse al collo del compagno – con un sicario non si
poteva mai sapere – ma il ragazzino non fece una piega, seguitando a camminare
spensierato, mani in tasca e naso per aria con fare svagato. Gli parve
unicamente che avesse distolto repentinamente lo sguardo dagli altri due, ma
probabilmente fu solo un’impressione.
“Ehi!
Per di qua!”, gridò di colpo Ryo, balzando improvvisamente da un lato per una
viuzza traversa.
Naruto
si arrestò con uno scarto del tutto carente in grazia, in tempo per scorgere i
due allievi dietro di lui catapultarsi attraverso uno stretto vicolo al seguito
del primo, il quale correva a perdifiato con piglio vagamente scomposto dietro
ad una sagoma agile e fugace – presumibilmente appartenente al micio ricercato.
Sbuffò riluttante, trascinandosi a propria volta nella medesima direzione e
raggiungendo in un batter di ciglio i tre ragazzini. Li seguì da vicino, senza
intervenire, tenendoli d’occhio. I tre si esibirono in un rocambolesco
inseguimento, saltabeccando a destra e a manca in uno spettacolo indubbiamente
dotato di un certo fascino ma molto poco produttivo a livello concreto. Il
felino non faceva una piega nonostante le urla belluine di Ryo e scartava di
continuo, in una sorta di complesso slalom tra pali e passanti, disperdendo i
propri accaniti inseguitori con abilità mirabile per un comunissimo gatto.
Naruto studiò i propri allievi, vagamente deluso. Ryo si scagliava avanti in agili
scatti, con baldanza, senza però ottenere il minimo risultato; Kinuye aveva una
certa eleganza nelle movenze ma sembrava molto poco interessata all’attività,
pareva più intenta a dilettarsi nel balzare da una postazione all’altra,
saltando su davanzali, bancarelle, tettoie e canali di scolo, senza che questo
comportasse il minimo vantaggio ai fini della missione; Eisen infine aveva
l’aria di uno che stia pensando a tutto meno che a dare la caccia ad un gatto.
Quando
il felide si arrestò di colpo, si voltò verso il team, rizzò il pelo e con una
vanitosa piroetta si dileguò verso la boscaglia presso Konoha, il jinchuuriki
si fermò mollemente e lanciò un’occhiata torva al gruppo. Il vicolo li aveva
condotti ad un’altra delle vie principali di Konoha, gremita di gente. Era
impossibile raggiungere l’obiettivo in tempi rapidi.
Naruto
sospirò, abbattuto. Era drammaticamente evidente che nessuno dei tre ragazzini
fosse seriamente preoccupato per l’esito della missione, che per il momento si
presentava come un colossale fiasco.
“Vergognatevi”,
grugnì, con vago infantilismo. Puntò contro i tre un indice con piglio
enfatico. “Vi state comportando come un branco di incapaci!”
I
tre lo guardarono storto.
“Dovete
impegnarvi”, insistette lui. “Voglio che portiate a termine questa missione con
successo, sono stato chiaro?”
“Che
rompimento”, osservò Ryo, raffinato, alzando gli occhi al cielo.
“Sensei,
ma è proprio necessario che perdiamo il nostro tempo dietro a una palla di pelo
ambulante?”, domandò Kinuye, corrucciata.
Naruto
sospirò. “Sentite, sono stato anch’io un genin. Cosa credete? Non trovavo certo
divertente questo genere di incarichi. Eppure vi garantisco che servono. Non è
una perdita di tempo, Kin … uye”, rettificò all’istante, cogliendo una
scintilla assassina negli occhi della ragazzina. Sorrise scanzonato. “Non è una
perdita di tempo, perché … perché … Beh, perché sì e basta.”
“Perché
lo dici tu?”, cantilenò Ryo con scherno.
“Infatti”,
convenne con approvazione il jinchuuriki, tronfio.
“Mi
sa che non ha colto …”, borbottò il ragazzino rivolto al compagno. Quello gli
rivolse un ghigno fuggevole, poi tornò a studiare il maestro.
“Non
ha nessun senso inseguire un gatto”, asserì poi, dopo alcuni istanti di
impassibile ponderazione. “Non è come un cane. Anche se lo riportassimo al
proprietario, scapperebbe di nuovo. Lasciamolo in pace, tornerà a casa quando
ne avrà voglia.”
Naruto
sbuffò, spazientito. “È ovvio che
dare la caccia a un gatto non serva a un tubo, e che questo sia un compito
completamente idiota. Ma è la vostra missione, e dovete portarla a termine.
Punto. Fine del discorso.”
Kinuye
sollevò il mento, arricciando il naso. “Per la serie fa’ quello che ti dicono, agisci e non pensare, recluta?”
Naruto
sgranò un po’ gli occhi, colto alla sprovvista. Kinuye lo squadrava con aria di
sfida, simulando indignazione, Ryo ghignava sornione ed Eisen sorrideva sotto i
baffi, furtivamente.
Storse
la bocca, piccato.
“No!
No, no e no! Certo che no. Un ninja non deve mai smettere di pensare, quale che
sia il suo incarico. Ma per il momento voi siete solo un branco di marmocchi
incapaci, perciò fate quello che vi dico io. Fine del discorso.”
Ammiccò
trionfante, fiero di sé.
Vedendo
però che i tre lo studiavano poco convinti, e scorgendo in quell’istante con la
coda dell’occhio una chioma rosa decisamente familiare fare timidamente
capolino nel suo campo visivo, rivolse un cenno autoritario alla squadra,
deciso.
“E
adesso muovetevi! Avete visto da che parte è andato il sacco di pulci, datevi
una mossa. Io vi raggiungo nel bosco. Non penso necessitiate di aiuto per
acchiappare un innocuo gattino. Sbaglio?”
“Umphf”,
replicò Ryo, spavaldo.
“Sarà
meglio. Anche perché poco fa mi è sembrato che il micetto vi abbia fatto
mangiare la polvere.”
I
tre lo osservarono con palese sdegno, quindi, senza proferire verbo, si
scagliarono tra la folla, marciando risoluti verso il bosco. Naruto li seguì
con gli occhi per un breve tratto, con un sorriso soddisfatto, e fu con un
sottile piacere che si volse verso Sakura Haruno, baldanzoso.
“Sakura
chan!”, chiamò dimenando una mano, benché fosse evidente che la ragazza lo
avesse già avvistato. “Sakura chaaaan!”
“Ti
vedo, baka!”, rise lei venendogli incontro.
Naruto
sorrise.
Una
decina di minuti dopo passeggiavano fianco a fianco per le strade di Konoha. Il
jinchuuriki gesticolava con enfasi, parlando in fretta.
“…
Ma in fondo le prime missioni sono sempre una gran rottura di scatole, eh
Sakura chan? Per il momento quei tre marmocchi non hanno cavato un ragno dal
buco, ma dico io, come si fa ad essere così privi di … di …”
“Interesse?”
“Mhh
…”
“Volontà?”
“Quello!
Ecco, come si fa a non avere un minimo di volontà di portare a termine il
proprio primo incarico? Noi, la prima volta che …”
Si
interruppe, perdendo immediatamente slancio. Puntò lo sguardo a terra,
mordendosi la lingua. Quando sbirciò da dietro le ciocche scorse il volto
incupito di Sakura.
“Sakura
chan … Mi dispiace, io non volevo parlare di …”
La
dottoressa rizzò il capo, sorridendo in modo vagamente forzoso.
“Ma
smettila, Naruto! Non è mica un argomento tabù. A proposito, sono stata da lui
proprio l’altro giorno …”
Naruto
serrò le labbra, distogliendo gli occhi. Sakura lasciò l’esordio in sospeso per
qualche istante, poi sospirò.
“…
Ma forse … forse sei tu che non vuoi
parlarne.”
Naruto
scosse il capo, gli occhi ostinatamente puntati a terra.
“Se
vuoi parlare di Sasuke puoi farlo quando ti pare e piace, Sakura chan.”
La
kunoichi lo osservò in silenzio qualche minuto, rallentando l’andatura. Infine
si fermò, e lo costrinse a fare altrettanto poggiandogli una mano sulla spalla.
“Sono
certa che si sistemerà tutto”, mormorò con scarsa convinzione.
Naruto
non sollevò lo sguardo, e Sakura parve recuperare fervore.
“Naruto”,
articolò lentamente, con fermezza. “Guardami.”
Il
jinchuuriki non reagì.
“Guardami”,
ripeté lei, scrollandolo leggermente, e lui obbedì.
“Ascolta”,
riprese allora la giovane, decisa. “So perché parlare di lui è per te così
straziante. Cosa credi, che non capisca quello che pensi? So che il problema
non è tanto il fatto che Sasuke non possa neppure avvicinarsi al villaggio,
quanto che a te, a differenza di Kakashi e me, non è stato concesso di fargli
visita …”
“No,
Sakura”, la interruppe Naruto con tono incolore, stancamente. “Non è come dici.
Non è vero che non mi è stato concesso.
È lui che me lo impedisce.”
“Forse
tu non sei stato sufficientemente determinato nell’opporti”, ribatté lei,
aspra.
Naruto
scosse il capo, ridacchiando seccamente. “Ah, non sono stato sufficientemente
determinato. Beh, Sakura, l’ho riportato a casa. È il meglio che sono riuscito
a fare, e scusa se è poco. Ho fatto tutto quello che era in mio potere, e se
adesso lui non mi vuole tra i piedi, beh, onestamente mi va benissimo così. So
che sembra stupido lasciar perdere adesso, ma in fondo ci siete tu e il sensei
a sostenerlo, e io non ho più voglia di lottare con i suoi capricci e il suo
stramaledetto orgoglio.”
Lo
sguardo della ragazza si addolcì. “Naruto, mi dispiace. Davvero, mi dispiace da
morire. L’unico a cui dovrebbe essere davvero riconoscente sei tu, e invece …”
Scosse il capo. “Dagli ancora un po’ di tempo.”
“Un po’ di tempo? Sakura, sono passati
quattro anni. Quattro anni da quando quel bastardo di Madara ha avuto la fine
che meritava, quattro anni da quando Sasuke anziché rientrare a Konoha è stato
recluso a kilometri da qui. Quattro, capisci? Quattro fottuti anni e ancora lui
non si decide a volermi guardare in faccia.”
Sakura
lo guardò a lungo, gli occhi lucidi. Poi batté le palpebre e deglutì.
“Hai
ragione. Hai ragione, hai ragione. Ma … Che cosa ti devo dire? Sono passati
quattro anni, è vero. E forse ne passeranno altrettanti prima che vi parliate
di nuovo. Non dico che sia giusto, anzi, però ormai le cose stanno così. È
troppo tardi perché sia tu a sistemarle, e credo che forzarle potrebbe
compromettere la situazione. Tsunade lavora duramente per noi, lo sai …”
“Lo
so.”
“…
E ha bisogno di tutto tranne che di ulteriori problemi. Per il momento
l’equilibrio è intatto, e …” Corrugò la fronte ad occhi chiusi, mordendosi un
labbro. “Abbi pazienza, Naruto”, concluse con voce tremante.
Naruto
sorrise mestamente.
“Ma
certo, Sakura chan”, sussurrò. Tese una mano e le accarezzò affettuosamente una
guancia, asciugandole una lacrima. “Nonna Tsunade risolverà tutte le questioni
burocratiche. Nel giro di poco Sasuke sarà completamente libero, vedrai”, disse
meccanicamente.
La
kunoichi annuì con convinzione, tirando su col naso, come una bambina. Finiva
sempre così. Era sempre lui a rassicurarla, per quanto fosse sempre meno sicuro
di ciò che le diceva.
“Ora
dovrei andare”, disse piano.
Sakura
si asciugò in fretta le lacrime, sforzandosi di sorridere.
“Ma
certo! I tuoi allievi ti staranno aspettando.” Rise forzatamente. “Non vedo
l’ora di conoscerli. Sono certa che non fai loro onore lamentandoti in questo
modo. Prima o poi me li devi presentare, eh!”
“Senz’altro.
Chissà che non trovi qualche giovane medico da arruolare nel tuo esercito di
poveri medic ninja sottomessi dalla tua violenza.”
“Naruto!”,
sbottò Sakura fintamente minacciosa.
Il
jinchuuriki si allontanò di gran carriera, agitando platealmente un braccio
mentre la sua compagna di team lo guardava con un misto di affetto, malinconia
e soffusa speranza.
Tre mesi dopo.
Naruto
schivò un ramo prominente di cui non si era accorto, e con uno scarto si proiettò
in avanti verso un’altra fronda. Balzò rapidamente da un appoggio all’altro,
con scioltezza. Una manciata di minuti dopo deviò verso destra. Allacciò le
dita ad un appiglio naturale e con un ardito volteggio atterrò morbidamente al
suolo. Inspirò a fondo l’aria fresca e vagamente aromatica del tramonto,
beandosi del tepore dei raggi che gli sfioravano il volto. Le ultime, fumose
luci del sole morente disegnavano i contorni del paesaggio con un tratto d’oro.
Socchiuse gli occhi, avvertendo una sensazione di benessere quasi totale. Aveva
imparato a confinare le riflessioni dannose, quelle che lo tormentavano e gli
sigillavano lo stomaco in una morsa di indistinta sofferenza e irrefrenabile
senso di colpa, in un angolo remoto della mente, un angolo che non frequentava
mai – o quasi –, un angolo dal quale esse non potevano nuocere. Questa sorta di
arginamento solitamente funzionava in modo soddisfacente, e soprattutto negli
ultimi mesi, in cui era stato troppo impegnato per soffermarsi a riflettere sui
suoi fallimenti, preferendo concentrarsi sui successi che si prefiggeva di
raggiungere. Come suo solito.
Sospirò
e si addentrò ulteriormente nella macchia. Si arrestò un paio di tronchi dopo.
Sorrise tra sé. Fece per avanzare, ma poi preferì restare fermo in quella
postazione privilegiata, al riparo delle fronde ondeggianti. Osservò con
sguardo ridente la scena che gli si parava innanzi.
Kinuye
passeggiava serenamente in su e in giù sul tronco di un albero massiccio,
saggiando con evidente compiacimento il proprio controllo sul chackra. Alle
pendici della pianta Ryo se ne stava bellamente stravaccato su di un grosso
masso dalla superficie scabra, seguendo con sguardo annoiato i movimenti della
compagna. La ragazzina gli rivolse un’occhiata soddisfatta, quindi spiccò un
piccolo salto, dandosi una spinta leggera, e con una specie di piroetta si
staccò dal tronco per poi far aderire le piante dei piedi ad un ramo più in
alto.
Ryo
grugnì.
“Esibizionista
megalomane.”
Lei
lasciò penzolare le braccia nel vuoto, a testa in giù.
“Suvvia,
Ryo-kun, smettila di roderti nell’invidia”, cinguettò beffarda.
“Invidia?”,
ripeté il giovinetto, storcendo il naso. “E, di’ un po’, di cos’è precisamente
che dovrei essere invidioso?”
Kinuye
si voltò completamente verso di lui, con una smorfia ironica.
“Ma
delle mie ineguagliabili capacità, mi sembra ovvio!”
Ryo
drizzò leggermente le spalle, sornione.
“Vuoi
farmi credere di pensare seriamente che io non sarei capace di fare
altrettanto?”
“Naturalmente.
Onestamente, Ryo, non c’è proprio paragone.”
Il
ghigno sul volto del ragazzino si ampliò.
“Ah
sì?”
“Sì.”
“Sai
cosa ti dico?”
Kinuye
saltellò allegramente avanti e indietro, spensierata.
“Cosa?”
Ryo
si sistemò meglio sulla sua seduta, senza cessare di sorridere.
“Che
sono sicuro che adesso ti distrai e cadi.”
La
ragazzina storse il naso, indifferente.
“Che
sciocchezza. Perché dovrei distrarmi?”
“Scommettiamo?”
“Sei
un imbecille, Ryo.”
“Ah,
è così, eh?” Il ragazzetto sogghignò, schiarendosi platealmente la gola.
“Naruto-sensei è innamorato di te.”
“ARGH!”
E
Kinuye precipitò a terra con un tonfo sordo.
Il
jinchuuriki trasalì, mordendosi l’interno di una guancia a sangue per soffocare
un’esclamazione d’incredulità. Certo ne aveva, di fantasia, il giovinastro.
Ryo
esplose in una risata roboante e impietosa, ribaltandosi indietro. Kinuye si
tirò su barcollando, scrollandosi le foglie di dosso con aria indignata.
Fulminò il compagno con uno sguardo assassino. Raccolse un sasso da terra e
glielo scagliò addosso con foga.
“Idiota!”,
inveì, mentre quello ancora si sbellicava.
“Visto?
Ti sei distratta”, tentò di canzonarla tra i singulti.
“Pezzo
di cretino! Razza di cerebroleso, menomato mentale dei miei stivali!”
“Addirittura”,
commentò il ragazzino impassibile, ricomponendosi.
Kinuye
lo studiò in cagnesco, minacciando di tirargli dietro qualche altra arma
impropria.
“Fesso”,
ruminò, giusto per ribadire il concetto.
Ryo
ghignò beato.
“Oh,
andiamo, era solo una battuta.” Improvvisamente assunse un’aria maligna, assottigliando
gli occhi. “Ma, forse, a te piacerebbe che fosse vero. Eh, Kin-chan?”
Naruto
per poco non scivolò dal ramo su cui si era appollaiato. Kinuye arrossì fino
alla radice dei capelli, assumendo un’espressione tanto esterrefatta quanto
sdegnata.
“Ma
come ti viene in mente?!”, tuonò. “Ha dieci anni più di me!”
“E
con questo? L’età non può essere un ostacolo insormontabile.”
“Ma
cosa dici?! Finiscila. Non mi interessano queste cose”, replicò, placandosi. “E
poi”, soggiunse, con aria repentinamente saputa, “sarei una povera illusa se
perdessi il mio tempo dietro a lui.”
“Ah,
ma davvero?”, fece Ryo divertito.
“Certamente.
Il sensei non si interesserebbe mai minimamente a me, e sai perché?”
“Perché
sei una racchia cinica e rompiscatole?”
Kinuye
lo perforò con un’occhiata astiosa.
“No,
coglione. Il motivo è un altro, e mi sembra più che evidente.”
Il
ragazzino corrugò la fronte, perplesso.
“E
quale sarebbe?”
Kinuye
lo guardò, ragionevole.
“Naruto-sensei
è gay, ovviamente!”
La
rivelante dichiarazione fu seguita da un silenzio pregno di pathos, mentre
Naruto per poco non si strozzava con la sua stessa saliva. Forse aveva fatto
male a starsene lì nascosto a spiare i propri allievi.
Ryo
fissava la compagna di team ad occhi sbarrati. Kinuye torreggiava su di lui,
trionfante.
“Non
dirmi che non ci avevi mai pensato.”
“No,
in effetti”, articolò Ryo dopo un paio di minuti di palese smarrimento. “Come
ti è venuto in mente, scusa?”
Lei
scrollò le spalle, noncurante.
“Beh,
direi che si vede.”
“A
me non sembra.”
“Perché
tu sei un povero pirla, Ryo-kun. Ma dico, hai visto quante belle ragazze gli
ronzano intorno, ultimamente?”
“Insomma
…”
“Lascia
stare, tu ci sei troppo abituato. Ti garantisco che di pretendenti ne ha,
eppure non ha mai dato retta a nessuna di lor …”
“Eh-ehm
… Ehi, ragazzi!”
I
due ragazzini si voltarono di scatto. Naruto si avvicinò loro in fretta,
ansioso di interrompere la conversazione. Ryo e Kinuye si scambiarono
un’occhiata eloquente, quindi salutarono il loro sensei.
“Come
va?”, fece lui, casuale.
“Benone”,
replicò Ryo. “Lo sai, Kinuye-chan stava elaborando strane teorie sulle tue
tendenze sess …”
Il
giovanotto fu prontamente zittito dalla giovane collega, che gli si fiondò
addosso tappandogli la bocca senza tanti complimenti.
“Parlavamo
di roba da mangiare”, trillò la ragazzina, angelica.
“A-ah
sì?”, balbettò Naruto.
“Certo!
Ti piacciono i ravioli, Sensei?”
“Preferisco
il ramen.”
“E
ti pareva”, mugugnò Ryo, massaggiandosi la mandibola bistrattata.
“Dov’è
Eisen?”, domandò Naruto, guardandosi intorno.
Ryo
scrollò il capo.
“Va’
a sapere.”
“A
casa, forse”, congetturò Kinuye, stringendosi nelle spalle. “L’altro giorno uno
dei suoi fratelli gli ha spedito un comunicato, mi pare. Magari lo hanno
convocato per … Beh, per …”
“Un’assemblea
familiare”, completò Ryo beffardo. “Sotto a chi tocca! Chi facciamo fuori settimana prossima?”
“Ryo”,
sibilò Naruto, fulminandolo con un’occhiataccia. L’allievo si scusò con
un’innocente scrollata di spalle. Kinuye sbuffò, scuotendo il capo.
“Piuttosto
che dire stupidaggini, perché non taci?”
“Ehi,
c’è ancora libertà di parola da queste parti!”
“Libertà di parola, non parole in libertà. E in ogni caso
quello che dici non avrebbe senso comunque, perché Eisen-kun deve attenersi ad
un accordo se vuole soggiornare a Konoha.”
Ryo
alzò gli occhi al cielo, con aria esasperata.
“Sì,
certo. Niente omicidi, come no.”
“Guarda
che è vero”, grugnì Naruto, infastidito.
Il
ragazzino fece spallucce.
“Sarà.
Io non mi fiderei.”
Il
jinchuuriki serrò le labbra, fissandolo con irritazione.
“Ryo,
falla finita”, suggerì Kinuye, atona.
“Ma
certo. Mi sigillo la bocca.”
“Avrebbero
dovuto fartelo a due anni, non appena hai iniziato a parlare.”
“Ah.
Ah. Ah. Che spiritosa.” Il giovane ninja si volse verso il proprio Sensei, che
lo guardava ancora storto. “Ehi, Sensei, non te la prendere così tanto! Stavo
solo scherzando. E poi anche se Eisen uccide la gente, questo non significa che
non sia una brava persona, eh. Mica ucciderà noi. Questo è già un bene, no?
Almeno ci sopportiamo.”
Naruto
sospirò.
“Certo.”
Kinuye
aggrottò le sopracciglia.
“C’è
qualcosa che non va, Naruto-sensei?”
Il
jinchuuriki le rivolse un sorriso leggermente forzato.
“No,
Kin-chan. Va tutto bene.”
La
ragazzina scrollò le spalle, poco convinta.
“Se
lo dici tu”, borbottò. “Sakura-san mi ha invitata a cena per stasera”, annunciò
poi, improvvisamente raggiante.
Naruto
sorrise ancora.
“Cenate
insieme spesso. La cosa mi fa piacere, ma … devo temere un’alleanza alle mie
spalle?”
“Sono
già alleate, Sensei”, dichiarò Ryo,
superiore. “Sono donne. Infide per definizione.”
Con
quest’affermazione il ragazzino si guadagnò un possente scappellotto dalla
vicina. Naruto sghignazzò, cogliendo gli effetti dell’influenza della sua
vecchia compagna di squadra.
“Di’,
Kin-chan, non è che mi diventi medic ninja anche tu, eh?”
“No
di certo, Sensei! La diagnostica sembra interessante, ma la gente solitamente
non mi sopporta. Non sarei mai capace di gestire il rapporto con un paziente.”
Naruto
ridacchiò, grattandosi distrattamente la nuca.
“Sei
irrecuperabile, Kin-chan.”
“Assolutamente
vero”, convenne Ryo. “Non ci sono speranze, è una causa persa. E … Merda!”,
imprecò improvvisamente, battendosi una manata sulla fronte.
“Che
c’è?”
“Merda!
Porca vacca! Tsunade-sama mi aveva affidato un incarico … una di quelle
scempiaggini a proposito di riordinare fascicoli e roba del genere … Merda!
Dovevo essere lì mezz’ora fa! L’Hokage mi farà a pezzi!”
“Oh,
sì, credo che nonna Tsunade non sarà per niente contenta … Auguri.”
“Grazie
tante, Sensei.”
“Ti
conviene darti una mossa”, suggerì Kinuye, tranquilla.
“Ah,
grazie tante anche a te!”, grugnì il ragazzino, fiondandosi nella macchia a
tutta velocità. “Sono fritto!”, piagnucolò la sua voce distante tra gli alberi.
Kinuye
lo seguì con uno sguardo a metà tra la denigrazione e il divertimento. Poi
sollevò gli occhi sul volto di Naruto.
“Dovrei
raggiungere Sakura-san, adesso.”
Il
jinchuuriki annuì.
“Andiamo.
Ti accompagno.”
“Ti
fermi con noi?”
Naruto
scosse il capo.
“No,
non credo.”
La
ragazzina gli rivolse un’occhiata pungente, sorridendo appena.
“Guarda
che se è per la tua mania per il ramen, possiamo anche cenare all’Ichiraku. Per
me non è un problema, e neanche per Sakura-san, credo. Lei ci sarà abituata,
poveretta.”
Naruto
rispose al sorriso, mentre si incamminavano con calma.
“No,
non è per questo. Anch’io sono capace di adattarmi, cosa credi?”
“Non
ho mai messo in dubbio le tue abilità, Sensei.”
“Mi
prendi in giro?”
Kinuye
sgranò gli occhi, simulando incredulità.
“Certo
che no, Naruto-sensei! Come ti viene in mente?”
“Umphf.”
La
ragazzina trillò in una breve risata.
“Allora
perché non vuoi venire? Non ti va?”, incalzò.
Naruto
abbassò lo sguardo.
“Sono
solo un po’ stanco.”
Kinuye
gli lanciò un’occhiata di sbieco, senza dire nulla.
Giunsero
all’interno della zona abitata, dove rallentarono l’andatura. La popolazione di
Konoha rifluiva in ondate regolari attraverso le strade del villaggio.
“Sensei?
Posso chiederti una cosa?”
Naruto
si voltò a guardare l’allieva, sollevando le sopracciglia. La ragazzina
camminava spedita al suo fianco, gli occhi bassi.
“Dimmi.”
“Tu
e Sakura-san eravate compagni di squadra.”
“Sì,
certo.”
Kinuye
annuì, senza sollevare lo sguardo.
“Ecco,
mi domandavo … Cioè, a volte ho l’impressione che voi due siate … tristi per
qualcosa. E’ come se ci fosse qualcosa che vi fa soffrire.”
Il
jinchuuriki distolse lo sguardo, sforzandosi di ridacchiare come al solito.
“Andiamo,
Kin, che stupidaggini vai dicendo? Tutti hanno qualcosa che li immalinconisce
ogni tanto, è naturale.”
“Questo
lo so”, replicò ferma la ragazzina. “Quello che cerco di dire … Tu parli
spessissimo di Sakura-san. E anche lei ti nomina sovente. Ma nessuno di voi due
parla mai del …”
“Oh,
guarda, siamo quasi arrivati.”
Kinuye
si volse verso di lui con uno scatto del capo, inviandogli un’occhiataccia.
“Se
non vuoi parlarmene, basta dir …”
“No,
non voglio, in effetti.”
La
ragazzina sussultò, guardandolo colta di sorpresa. Poi chinò il capo, battendo
le palpebre in evidente imbarazzo.
“Capisco.
Ti chiedo scusa.”
Naruto
sospirò. Tese il braccio e la invitò a fermarsi con un cenno. Lei obbedì in
silenzio.
“Kin,
non è che non voglia parlarne con te.
E’ solo che …” Sorrise leggermente, scostandole un ciuffo di capelli dalla
faccia. La ragazzina sgranò gli occhi, ritraendosi automaticamente. Lui seguitò
a sorridere mestamente. “Non è una storia interessante, Kin. Non farmi parlare
di queste cose.”
“Come
preferisci.”
Fece
per voltarsi, ma il jinchuuriki la fermò. Le rivolse un’occhiata malinconica.
“Avevo
un amico, quando avevo la tua età”, disse lentamente. “Lui mi ricopriva di
insulti dal mattino alla sera, perché era un bastardo presuntuoso e pieno di
sé.”
Kinuye
si volse del tutto verso di lui, quasi con circospezione. Il suo sguardo era
attento.
“Era
così convinto di essere irrimediabilmente solo da non accorgersi dei momenti in
cui non lo era”, seguitò Naruto. “Era troppo orgoglioso per accettare qualunque
offerta di amicizia.”
“Ma
voi non …?”
“Sì,
eravamo amici. Perché lui faceva finta che non lo fossimo. In effetti faceva
veramente cagare come amico, però tutto sommato funzionava. Non potevo
pretendere di meglio. Poi un giorno lui se n’è andato.”
S’interruppe.
Kinuye lo fissava in attesa.
“…
Andato?”, mormorò per spronarlo a continuare.
“Sì.
Quando l’ho rivisto sembrava un’altra persona. Tutte quelle sue caratteristiche
negative che conoscevo bene e che erano state una facciata che mascherava i
suoi sentimenti erano diventate la sua natura, cancellando il resto. Ho
trascorso molto tempo a cercare di recuperare quello che sembrava essere andato
perduto, e a cercare di riportarlo indietro. Troppo tempo, forse. Eppure
rifarei tutto, dall’inizio alla fine.”
Naruto
cessò ancora di parlare, serrando le labbra. Kinuye lo guardava con occhi colmi
di abbattuta attenzione, stupita.
“E
… e non è mai più tornato?”, domandò.
Il
jinchuuriki sollevò gli occhi su di lei, rimettendo a fuoco la realtà del
presente. Sorrise amaramente.
“Sì.
Sì, è tornato.”
La
ragazzina spalancò gli occhi. Lui scosse il capo.
“È
tornato, ma non nel modo in cui speravo. È tornato dalle parti di Konoha, non a casa. È tornato qui, non da me.”
Tacquero
entrambi. I passanti sfilavano loro affianco, scostandosi o urtandoli
leggermente. Alla fine Kinuye gli rivolse un timido sguardo comprensivo.
“Mi
dispiace, Sensei”, mormorò.
Naruto
scrollò le spalle.
“Non
farlo. Non ne vale la pena.” Deglutì e le rivolse un sorriso stiracchiato. “E
adesso finiamola di rimestare il passato. Te l’avevo detto, che non era una
storia interessante. Su, va’ da Sakura, ti starà aspettando.”
“…
Sì.”
Kinuye
si voltò con riluttanza e si allontanò gradualmente, a piccoli passi. Dopo qualche
istante si volse indietro, come a volersi accertare delle condizioni di Naruto.
Lui le lanciò un’occhiata fintamente allegra e lei si voltò di nuovo.
“Ah,
Kin?”
La
ragazzina si fermò.
“Sì?”
Naruto
aggrottò le sopracciglia, ghignando appena.
“Tu
pensi che io sia gay?”
Kinuye
sgranò gli occhi, arrossendo vistosamente.
“Assolutamente
no, Sensei”, balbettò imbarazzata.
“Sicura?”
“Sicurissima”,
replicò lei arricciando il naso, rossa e infastidita. “La cosa non mi interessa
per niente. Le tue preferenze sessuali non sono affar mio”, grugnì, per poi
fiondarsi alla velocità della luce all’interno del locale dove la attendeva
Sakura.
Naruto
la guardò finché non scomparve oltre il telo, mentre il sorriso gli si spegneva
sulle labbra.
Si
voltò e si incamminò verso casa.
Una settimana più
tardi.
Ryo
salutò Kinuye e seguì con lo sguardo la ragazzina che svoltava l’angolo tra i
palazzi a più piani, diretta verso il proprio minuscolo appartamento. Poi si
voltò indietro con un ghigno.
“Sensei!”
Naruto
si riscosse dal torpore in cui era caduto senza rendersene conto.
“Uh?”
“Tu
ti fermi ancora dieci minuti, eh? Devi ancora insegnarmi come si fa a …”
“Beh,
veramente prima di cena dovrei andare da nonna Tsunade a fare rapporto
sull’ultima missione.”
Ryo
sgranò gli occhi con contrarietà.
“Vuoi
scherzare? Preferisci quella vecchiaccia isterica al tuo allievo modello?”
“Ehi,
vacci piano con le parole: l’unico che può dare della vecchia all’Hokage a cuor
leggero è il sottoscritto, chiaro?”
“Ah
sì? Cos’è, un insulto brevettato?”
Naruto
ridacchiò.
“Non
posso restare davvero, Ryo. L’ultima volta la nostra amica ha dato di matto.
Non posso ignorarla sempre, poveretta.”
Il
ragazzino sbuffò.
“E
va bene. Fa’ come ti pare. Eisen!”, urlò. “Datti una mossa, voglio utilizzare
proficuamente questo schifo di serata.”
“Proficuamente?”, ripeté scettico
l’interpellato emergendo da dietro una siepe. Si esibì in un ghigno felino. “Se
mi dimostri di saper veramente cosa significa ti offro la cena.”
Naruto
batté le palpebre, perplesso, mentre Ryo spalancava gli occhi per poi
corrucciarsi, irritato.
“Non
dire stronzate”, grugnì il ragazzino. “E adesso sbrigati. Solo perché sei ricco
sfondato e puoi sprecare tutti i soldi che vuoi, non significa che tu debba
sentirti autorizzato a sprecare tempo, specialmente se si tratta del mio tempo. Ti aspetto al solito posto,
recupera la tua roba e muovi quelle auree chiappe di killer prezzolato.”
E
si dileguò, sparendo nel vicolo che portava alla macchia.
“Coglione
d’un sicario”, ruminò udibilissimamente nell’allontanarsi.
Naruto
non riuscì ad evitare di sussultare dinanzi a quegli aperti riferimenti
all’attività di Eisen. Il quale, impassibile, lo guardò e fece un cenno nella
direzione in cui si era diretto Ryo.
“Non
lo sapeva”, dedusse tranquillamente, piuttosto divertito.
Naruto
sospirò, scuotendo il capo con una certa incredulità.
“Non
ti dà fastidio quel che si dice di te?”
Eisen
sollevò il capo, distogliendo lo sguardo leggermente sorpreso dalla sacca in
cui stava riponendo l’attrezzatura.
“Ti
riferisci alle battute di Ryo sugli assassini a pagamento o a chi sostiene che
sono una spia?”
“A
entrambe le cose”, rispose Naruto avvertendo una fitta d’irritazione al
pensiero di quel che era in grado di fare la gente semplicemente parlando.
Eisen
si strinse nelle spalle.
“Ci
sono abituato.”
“Ma
non è giusto!”
Eisen
ridacchiò con scherno.
“Beh,
credo che questo dipenda dai punti di vista.”
Naruto
scosse il capo con convinzione.
“Ascolta,
io …”
“No.”
Il
jinchuuriki si interruppe, confuso. “Come?”
“No.
So cosa stai per dire. Iruka sensei mi ha parlato di te, una volta, e mi ha
raccontato come ti trattava la gente in passato. Suppongo volesse dirmi
indirettamente di non preoccuparmi delle dicerie che girano sul mio conto.”
Sorrise lievemente tra sé, di un sorriso che non pareva quello di un dodicenne.
“Come se ne avessi bisogno.”
“Ma,
Eisen …”
“Non
è la stessa cosa, Sensei.”
Naruto
lo studiò imbronciato. “Come sarebbe a dire, scusa?”
Eisen
sollevò ancora lo sguardo e lasciò vagare le iridi grigie lungo i rami degli alberi
in lontananza, le cui fronde stormivano al vento dondolando pigramente.
“La
gente era ingiusta con te”, disse infine, dopo un lungo silenzio. “Ti odiava
per qualcosa che non dipendeva da te. ti detestava per quello che eri. Invece io sono odiato per quello
che faccio. Ed è giusto così. Me lo
merito.”
Scrollò
il capo tra sé e riportò gli occhi in basso. Naruto lo fissava esterrefatto.
“Cosa?”
“Hai
sentito, Sensei”, tagliò corto il ragazzino, chiudendo la borsa con un gesto
secco.
Naruto
sospirò.
“Quello
che dici non ha senso, Eisen. Non posso accettare che un ragazzo come te
subisca tutto questo.”
“Ma
io non lo subisco. Ci sono delle cose
che ho fatto …”
Benché
il suo volto fosse rimasto completamente inespressivo, Naruto ebbe
l’impressione che fosse rabbrividito impercettibilmente.
“Sì
che lo subisci”, ringhiò il jinchuuriki dopo un lungo silenzio, accalorandosi.
“Iruka mi ha detto che sei stato addestrato a … a fare quello che fai sin
dall’infanzia. È stata un’imposizione. È inaccettabile, questa situazione va
risolta.”
“Non
c’è proprio niente da risolvere. Calmati, non è il caso di prendersela per
questo.”
Naruto
si mosse nervosamente, incredulo.
“Come
puoi parlare così? Quale pensi che sarà il tuo futuro?”
“Non
spetta a te preoccupartene.”
“Ti
sbagli. Mi spetta eccome. Sono il tuo maestro. Mi presenterò personalmente a
casa tua, e parlerò col capostipite della tua famiglia, se necessario.”
Eisen
lo studiò di sottecchi, scettico.
“Dubito
che questa sarebbe una buona idea.”
“Perché
no?”
Il
ragazzino ridacchiò, come se lo trovasse molto buffo.
“Perché
ti affaccendi sempre tanto per gli altri, eh, Sensei? Sei sicuro che ne siano
degni?”
Il
jinchuuriki lo guardò alcuni istanti, colto di sorpresa. Abbassò lo sguardo e
gli si avvicinò con lentezza. Poi improvvisamente sorrise, più calmo. Allungò
il braccio e gli appoggiò una mano su una spalla.
“Tu
di sicuro, Eisen.”
L’allievo
sorrise lievemente, con il suo sguardo ammiccante.
“Questo
è molto gentile da parte tua, Sensei, ma, davvero, non ce n’è bisogno.”
Naruto
scosse lentamente il capo.
“Non
è solo per te. il fatto è che …” S’interruppe un istante, a disagio. Lasciò
vagare lo sguardo tra gli steli d’erba che solleticavano i ciottoli disseminati
sul terreno, incerto. “… C’è una persona, che conoscevo … a cui tenevo molto,
diciamo. Il tuo carattere, a dispetto delle apparenze, è diverso dal suo, però
… certi tuoi atteggiamenti, il tuo sguardo a volte me la ricordano.”
“E
questo è negativo?”
Naruto
si strinse nelle spalle.
“Non
saprei.”
Eisen
abbassò lo sguardo, come ponderando tra sé.
“Questa
persona è morta?”, domandò distaccato.
“È
come se lo fosse. Per me.”
Eisen
sollevò lo sguardo sul suo volto e lo studiò con aria vagamente confusa.
In
quell’istante dall’angolo emerse un imbufalito Ryo Tsurayaki, che si fiondò tra
i due con espressione furente.
“Ehi,
dico, grazie tante! Venti minuti ad aspettare, non si fa vivo un cane, vengo
qui e vi trovo a fare conversazione come se niente fosse. Cioè, infinite grazie
per la considerazione, eh.”
Eisen
alzò gli occhi al cielo.
“Oh,
cazzo!”, trasalì d’un tratto Naruto. “Questo significa che sono drammaticamente
in ritardo!”
“Ah-ha,
oggi tocca a te, eh, Sensei?”
“Taci,
Ryo, non è affatto divertente.”
Il
ragazzino ghignò.
“Tsunade-sama
ti farà a pezzi”, considerò spensierato. Poi si volse verso il compagno. “E tu
muoviti, porco cane! Abbiamo ancora un quarto d’ora di tempo per massacrarci di
botte, approfittiamone!”
“Se
proprio ci tieni”, replicò Eisen indolente, lasciandosi trascinare via
dall’altro.
“Buona
serata, Sensei!”, urlò Ryo, mentre Eisen gli rivolgeva un rapido cenno.
Naruto
osservò in silenzio i due allontanarsi fianco a fianco. Camminavano rapidamente
ostentando sicurezza, nonostante i corpi minuti sommersi dai vestiti
abbondanti.
Provò
a rivedere in loro quelli che erano stati lui e Sasuke alla loro età, ma non fu
sicuro di riuscirci. Li guardò a lungo, assorto, e restò immobile anche dopo
che furono spariti.
Forse
quello era il momento giusto per lasciarsi definitivamente alle spalle Sasuke.
Forse
quello era il momento giusto per dare fuoco ai brandelli sfilacciati di
sofferenza che ancora lo ancoravano a quel passato che si sforzava – forse con
vigliaccheria – di ignorare. Era il momento di tagliare completamente i ponti.
Lasciare che le corde si logorassero non sarebbe mai stato sufficiente. Era
riuscito a crearsi una vita, adesso, e non avrebbe permesso a Sasuke, anche
lontano, di distruggergliela. Il tempo lenisce tutte le ferite, gli avevano
detto. Non ci aveva mai realmente creduto, di tempo ne era già passato tanto.
Ma forse il tempo necessitava di appoggio per operare la sua lenta guarigione.
E nel tempo lui avrebbe lasciato che il ricordo di Sasuke si diluisse, fino a
scomparire come una goccia d’inchiostro nell’oceano. Nel tempo Sasuke avrebbe
perso definizione fino a divenire un’immagine sfocata appartenente ad una sfera
innocua e facilmente ignorabile. Nel tempo il suo nome sarebbe precipitato fino
a cessare di evocare frustrazione, delusione e senso di colpa. Nel tempo Sasuke
sarebbe morto, pur essendo ancora vivo.
Doveva
smettere di pensare a come riunire i cocci di una squadra caduta a pezzi senza
più speranze di essere ricomposta, e concentrarsi unicamente sul team ancora da
plasmare.
Serrò
le dita a pugno, con decisione. Non conosceva ancora a sufficienza i propri
allievi da poter stabilire quale sarebbe stato il loro comportamento in futuro.
E, del resto, neppure conoscere Sasuke gli era servito. Però conosceva a fondo
la storia, l’aveva vissuta in prima persona.
No,
si disse, non avrebbe mai permesso che si ripetesse.