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Autore: Mizar    21/12/2009    6 recensioni
Quando hai sedici anni tutto quanto ti sembra facile, soprattutto se sei ricco, bello e sei il capitano della squadra giovanile della tua città... Fic partecipante al contest:"The Angels' Fall"
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Polvere di stelle


Voglio maledirti Raccolgo le forze per gridarti La rabbia che sola posso darti Con l'anima a pezzi ormai
(F.Simone da Cara Droga)




Quando hai sedici anni tutto quanto ti sembra facile, soprattutto se sei ricco, bello e sei il capitano della squadra giovanile della tua città.
La tua strada è spianata.
Le ragazze del liceo fanno a botte per uscire con te, ma tu, bellamente, le ignori perché puoi permetterti di meglio.
Questo ero io.
Io che pensavo che tutto mi fosse dovuto.
Io che avevo già il mondo in tasca.
Io che ero certo di non commettere gli errori sciocchi dei comuni e ‘sfigati’ mortali.
“Beato te Alex”, dicevano i miei amici.
“Ragazzi, c’è chi può e chi no”, replicavo con poca modestia e loro ridacchiavano.
Fuori casa ero uno sbruffone ma, tra le pareti domestiche, soffrivo come un cane.
Vedevo la mia famiglia sgretolarsi; i miei genitori allontanarsi inesorabilmente, persi in una nebbia di noia e soldi.
La combattevano cercando emozioni tra altre lenzuola e io, purtroppo, sapevo.
Mio padre aveva avuto una relazione anche con una mia prof ed era stato molto imbarazzante vederla così avvilita, quando la loro storia era finita.
Così, per fuggire alla tristezza che mi aggrediva non appena mettevo piede nella nostra villa, cercavo di stare fuori il più possibile.
Ero un ragazzo del buio, un Dark Angel e la notte era mia amica.
Durante i miei vagabondaggi notturni avevo conosciuto tanta gente e, insieme, ci divertivamo a fare cazzate, sballandoci con fumo, alcol, qualche volta anche pastiglie.
Una delle tante notti passate in discoteca conobbi Laura.
Era bellissima ed eterea.
Capelli biondi, lunghi fino alla vita e grandi occhi verdi; sembrava una principessa elfica.
Allora ero un patito del Tolkien.
Elfi, Hobbit e mercanzia varia erano il mio pane quotidiano.
Laura incarnava perfettamente il mio tipo di donna e, così, quella notte finimmo a letto insieme.
Oddio, letto è una parola grossa, visto che nessuno di noi due aveva una casa sua, ma ci arrangiammo come potevamo sull’auto di Riky che, sbuffando e brontolando, alla fine mi aveva dato le chiavi.
Dopo la ‘scopata’, perché quello era stato, non certo il grande amore, tirai fuori uno spinello e, insieme, ce lo fumammo, anche se, per un atleta, il fumo era deleterio e ancora di più quel genere di vita.
Io, però, me né ‘strafregavo’.
Avevo una costituzione fisica perfetta per genetica e tutti i compagni di squadra m’invidiavano.
“Non male questa roba”, mi aveva detto Laura, soffiando dalle labbra rosse una voluta di fumo, “ma per vivacizzare un po’ la serata io preferisco ‘altro’…”
L’altro era, semplicemente, diacetilmorfina. Se non sapete di cosa sto parlando vuole dire che siete persone fortunate.
La diacetilmorfina, o comunemente detta eroina, è un farmaco che all’inizio ti apre le porte del paradiso e poi ti getta all’inferno.
Il primo buco è una cosa incredibile.
In un nanosecondo ti trasformi nell’essere più potente dell’universo e sei così felice...
Poi scopri che questa felicità diventa sempre più breve e che al risveglio ti aspetta solo fango. Avete mai letto il libro ‘Noi i ragazzi dello zoo di Berlino?’
Se sì ricorderete molto bene come Cristiana F descrive la sua prima crisi d’astinenza:


* Avevo un freddo bestiale.
Stavo guardando una scatola.
Improvvisamente mi ballò sotto gli occhi.
Erano i colori che brillavano di un forte pazzesco e mi facevano male agli occhi.
Era soprattutto un rosso che mi faceva paura.
Del rosso avevo sempre avuto paura quando stavo in acido.
Sotto l'effetto dell'eroina il rosso era un colore molto dolce.
Quando uno stava sballato il rosso, come tutti i colori, diventava bello come leggermente velato.
Adesso c'era di nuovo questo rosso aggressivo su questa dannata scatola.
La mia bocca era piena di saliva.
La ingoiavo, ma mi tornava subito.
Era come se ritornasse su.
Poi la saliva scomparve e mi venne una bocca secca e appiccicosa.
Tentai di bere qualcosa, ma non funzionò.
Tremavo dal freddo finché a un certo punto mi venne un gran caldo tanto che mi colava il sudore.
Svegliai Detlef e gli dissi: "Mi sta succedendo qualcosa".
Detlef mi guardò in faccia e disse: "Hai le pupille grosse quanto due piattini".
Stette a lungo in silenzio e poi disse piano: "E così, ragazza mia, anche tu sei arrivata".
Tremavo di nuovo e dissi: "Ma che mi succede?".
Detlef disse: "Stai a rota".




Stai a rota…
Fa quasi ridere come termine, ma se l’avete provato sapete che di ridicolo non c’è proprio niente.
E’ come se il tuo corpo e la tua anima venissero fatte a pezzi e, quando sei lì che invochi la morte, perché non ce la fai più, pensi che, cazzo, tu non vuoi andartene così, mentre sbavi e vomiti sul pavimento, contorcendoti come un animale.
Se sopravvivi, e di solito è così, allora cerchi di ritornare in paradiso, ma il paradiso sintetico costa uno sproposito e dura sempre meno.
Arrivi a doverti bucare non più per essere un dio, ma semplicemente per sopravvivere, camminare, parlare e sei disposto a tutto per quel buco...
Cominci a vendere la tua roba: i libri di scuola, le scarpe firmate, il Monclear, la moto…
La scuola ‘va a puttane’, la tua vita di prima pure:niente più calcio, niente più donne che ti vogliono, niente più notorietà...
Gli amici cominciano ad allontanarsi da te, soprattutto dopo che li hai ripuliti dei soldi e dei gioielli su cui riesci a mettere le mani, fosse anche una catenina d’argento sottile come un filo, ma tu te ne freghi.
Lei ti aiuta a fartene di nuovi: sono i clienti a cui spacci la roba, sono i ricettatori che valutano la tua mercanzia, sono i depravati a cui ti prostituisci o, più semplicemente, gli altri zombie come te.
Ormai sei un relitto, vivi solo per quei momenti d’oblio che ti prosciugano anche di quel po’ d’anima che ti è rimasta.
Smetti di mangiare con regolarità, di lavarti.
Non hai più interessi e hai continui sbalzi d’umore.
I denti diventano neri e poi cadono.
I tuoi genitori provano ad aiutarti, ma non sanno come fare.
Comincia il calvario della disintossicazione.
Entri ed esci dall’ospedale.
Il tuo sangue è inondato di medicinali, per lo più tranquillanti, e il tuo cervello è sempre meno lucido.
Psicologi, assistenti sociali e volontari cercano di starti vicino, ma alla fine è sempre Lei che vince: Lei che ti chiama con una voce così melodiosa a cui non sai resistere, Lei che ti promette l’immortalità, mentre ti sta uccidendo piano piano.
A questo punto fuggi.
Fuggi dall’ospedale, dalla comunità, dalla tua casa.
Cominci a fare la vita del cane randagio e vai sempre più a fondo.
Poi succede…
Quel momento arriva per tutti e tu non sei diverso.
Se sei fortunato te la cavi per il rotto della cuffia, se no finisci nel mondo dei più.
Laura è morta così.
L’hanno trovata riversa su una panchina del parco.
Era gennaio e, durante la notte, la neve era scesa a coprire il suo corpo ormai spento.
Anche Giulio, Andrea, Alessia e Mario se ne sono andati per una ‘spada’ di roba mal tagliata.
Alessia era diventata madre da un anno e il suo bambino doveva essere il passaporto per riuscire ad uscire dall’inferno, ma non è stato così.
Andrea aveva un sogno: andare a vivere in America e aprire una pizzeria, insieme a sua madre, napoletana verace.
Giulio era diplomato al conservatorio e suonava il violino divinamente.
Mario si era appena innamorato e, per il suo nuovo compagno, voleva impegnarsi a smettere.
Siamo tutti qui, adesso: Angeli caduti che guardano da lontano il mondo dei vivi, non facendone più parte.
Presto anche Sauro e Marcello ci raggiungeranno.
Sono malati d’AIDS all’ultimo stadio. Sì ragazzi, alla fine siamo tutti morti.
Della mia compagnia non s’è salvato nessuno.
So che qualche fortunato ce la fa, ma ci vuole molta forza e, anche, molto ‘culo’.
E’ difficile, credetemi.
Vi starete chiedendo perché vi parlo di queste cose?
Cosa voglio da voi?
La verità è che non voglio nulla.
Ho un unico rimpianto, però: aver sprecato così la mia vita.
Potevo farne tante di cose, allora, ma non sto parlando di carriera, soldi o ‘roba’ così; in realtà il mio rimpianto più grande e di non aver mai amato o essere stato amato da qualcuno.
Mi dispiace enormemente essermene andato senza lasciare nulla di me, se non un ricordo sbiadito e nemmeno troppo lusinghiero.
Quando questi pensieri mi colgono sento la tristezza montare dentro e, allora, guardo voi ed è divertente vedere cosa ‘combinate’ in quel mondo che ho lasciato troppo presto e che, a volte, mi manca ‘un casino’.
Spesso riconosco storie analoghe alla mia e mi dispiace.
Anche se adesso l’eroina non c’è più, anche se le nuove droghe sono più lente e per rendervi zombie impiegheranno molto tempo, alla fine so che l’inferno si aprirà anche per voi.
Non sto a farvi la morale, anche perché, da uno come me, sarebbe veramente ridicolo.
Vorrei però evitarvi un’inutile calvario, per voi e per chi vi ama.
Sono presuntuoso?
Forse, ma lo sono sempre stato no?

Fine

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*Brano tratto dal libro Noi i ragazzi dello zoo di Berlino.


** Questa storia è ambientata nella metà degli anni settanta alla fine degli anni ottanta, l’ultimo periodo in cui l’eroina l’ha fatta da padrona.


   
 
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