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Autore: braver than nana    21/12/2009    3 recensioni
**Buon compleanno, Sacchan <3**
Ci giurammo di stare insieme per sempre. Di far sopravvivere quello che allora non era neanche amore a discapito di tutto.
Lui non risponde. Mi prende solo il viso tra le mani e mi bacia, assaggiando le mie stesse lacrime.
Lui non risponderà mai. Perché non sceglierà mai ed è orribile da parte mia chiedergli di farlo.
Ma so che mi sarà sempre accanto.
Che mi basterà guardare fuori dalla finestra del mio appartamento mentre piove.ShikaKiba
Genere: Romantico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Kiba Inuzuka, Shikamaru Nara
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Mentre piove.

 

Al freddo e al gelo erano le uniche parole che mi venivano in mente, e mi vengono tutt’ora, stretto in una sciarpa scura travolto dalla tramontana e mentre iniziano a cadere le prime sottili gocce che preannunciano le vera pioggia.

È una delle frasi più conosciute di quella famosa canzone natalizia che impara da bambini e che si continua canticchiare per tutta la vita, ogni volta che si vede all’orizzonte l’avvicinarsi delle feste.

Le luci intermittenti e incantatrici appese in una vetrina dell’ultimo negozio ancora aperto mi avvisano che quel pensiero è in tema col periodo dell’anno, facendomi risvegliare dal torpore dei ricordi.

 

Diciassette dicembre. Era il giovedì di diciassette anni fa, era giovedì come il diciassette di quest’anno.

 

Il negozio allora aveva una piccola insegna e un vetro sempre un po’ sporco che esponeva una grande cesta. Al suo interno piccoli, piccolissimi cuccioli di ogni razza s’inseguivano e si coccolavano per riscaldarsi.

Se si guardava bene, nel fondo del negozio, si scorgeva ogni tipo di animale ma io avevo occhi solo per un piccolo cagnolino bianco con le orecchie castane, quasi rossicce.

Era il più vivace, voleva giocare e cercare quel calore che gli altri compagni condividevano, ma i cani che erano con lui in quella grande cuccia lo respingevano.

Andavo spesso, sempre da solo, per dargli un po’ di compagnia e continuare ad interrogarmi su quello strano comportamento.

Eravamo io e lui, da soli.

 

 

Quel giorno il cane bianco mi guardava ed io guardo il piccolo cane bianco.

Abbaiava ma il suo lamento arrivava flebile poiché i vetri spessi rinchiudevano la sua richiesta d’aiuto.

Sul vetro appannato dalla condensa, era appeso un cartello che annunciava la chiusura del negozio e nella cesta era rimasto solo Akamaru.

Non mi ricordo neanche quando iniziai a chiamarlo così, ma andando tutti i giorni sarebbe stato sciocco non trovargli un nome. Anche se probabilmente era abbastanza sciocco anche venire solo per fissare malinconicamente quel cucciolo.

Chiesi al commesso, l’unica volta che misi piede in quella stanzetta calda, quando sarebbe potuto costare prenderlo.

La cifra spropositata mi fece subito abbandonare quell’idea malsana di risparmiare per poi portarlo a casa con me. I cani in casa mia non sono mai stati un problema, mia sorella aveva il suo e potevo giocarci, ma io volevo Lui.

Sbuffai guardando l’orario. Ero già in ritardo per l’allenamento di pallone e anche quella volta il mister mi avrebbe obbligato a fare tutti quegli esercizi in più.

Lo salutai con una mano e lui appoggiò il muso contro il vetro ricambiando abbaiando triste.

Ancora un giorno e poi la vecchia baracca addobbata per l’avvicinarsi del Natale avrebbe chiuso. Cosa ne sarebbe stato del cane?

Mi decisi ad andare via mentre il cielo già nuvoloso iniziò a far cadere piccole e fredde gocce sul mio viso.

Sorrisi amaramente pensando che se avessi pianto non se ne sarebbe accorto nessuno.

 

Mi sentivo abbastanza cretino per quella sensazione di abbandono che sentivo dentro, infondo era solo un cane. Non avevo mai neanche avuto la possibilità di accarezzarlo eppure lo sentivo così vicino. Era diventato un amico e mi sembrava di star voltandogli le spalle.

L’amicizia era sempre stato il valore più importante.

 

Con la testa alta e gli occhi socchiusi e lucidi m’incamminai sul marciapiede verso il vicino campetto. Pensai che probabilmente fosse già zuppo e che allenarsi quel giorno sarebbe stato ancora più pesante visto il fardello schiacciante che sentivo dentro.

 

- Ragazzo!

 

Una voce annoiata provava a gridare nella mia direzione ma il rumore della pioggia che sbatteva contro ogni angolo della città ovattava ogni suono.

 

- Tu! Con il maglione grigio!

 

Passi veloci si stavano avvicinando a me e d’un tratto un telo verde scuro coprì la mia testa.

Sbattendo gli occhi bagnati dalle lacrime e dalla pioggia, riportai la mente alla realtà e mi resi conto che qualcuno, probabilmente la stessa persona che mi chiamava e che avevo sentito avvicinarsi, mi aveva coperto dalla pioggia con un grande ombrello.

Mi girai e mi trovai davanti un ragazzo che avevo già visto da qualche parte.

 

- Sempai Nara?

- Inuzuka, sei tu? Ma che ci fai qui sotto questa pioggia?

- Ecco, io… Sto andando all’allenamento di calcio.

 

Il ragazzo sorrise e mi guardò dall’alto della sua statura sorridendo.

Fu la prima volta che parlai con Shikamaru Nara. La sua faccia era conosciuta perché frequentavamo la stessa scuola ma lui era due anni sopra di me.

Di lui avevo sentito che dormiva sempre durante le lezioni e che era il ragazzo della sorella di Gaara. Molte gli andavano dietro ma la sua ragazza era così gelosa che bastava che qualcuna si avvicinasse a lui che andava ad attaccare briga.

A primo impatto pensai che stessero molto bene insieme.

Lei così energica e lui con quell’aria sempre annoiata.

Erano un bel contrasto anche nei colori, lei con quella carnagione scura e i capelli biondi mentre lui così pallido e dal codino castano.

Forse era anche molto brava a risvegliarlo da quel tepore che sembrava accompagnarlo sempre e lui sapeva tenergli testa.

Mi sembravano proprio una bella coppia.

 

Ricambiai il sorriso asciugando con la manica della felpa ormai completamente bagnata il viso.

 

- Non credo che oggi vi allenerete, con questo tempaccio è praticamente impossibile.

- Già, non ci avevo pensato.

 

Sospirai guardandomi attorno e rendendomi conto che quelle poche gocce che avevo sentito iniziare a scendere erano diventate una tormenta dalla quale ero stato preso in pieno.

 

- Senti, ti va di prendere qualcosa di caldo? Ti vedo abbastanza sconvolto.

 

Annuì senza troppa convinzione e mi lasciai trascinare senza alcun timore nel primo bar che incontrammo.

Le orecchie iniziarono ad andare a fuoco al contrasto di temperatura una volta entrati nel locale, quasi completamente vuoto, e ci sistemammo nel tavolo più caldo e nascosto della stanza.

Mi scrollai di dosso la giacca che mi si stava incollando al corpo con tutta la sua pesantezza e mi sentii subito meglio. Avevo solo la maglia di calcio, umida anche quella, ma vicino ad un caminetto che scoppiettava natalizio ritrovai la mia lucidità e finalmente potei dedicarmi al ragazzo che mi aveva salvato.

 

- Le sono davvero molto grato, io…

- Oh ma dai, non darmi del lei che se no mi sento vecchio. Sono Shikamaru.

- Già lo so.

 

Ci fermammo a guardarci per qualche istante.

Aveva un sopracciglio alzato e reggeva il viso con una mano mentre mi osservava serio. Io non riesco a ricordare il volto o l’espressione che mi coprì la faccia. Ricordo solamente lo stomaco che si attorcigliava sotto il suo sguardo indagatore.

Non mi faceva sentire a disagio. Lui mi osservava, scavava dentro e leggeva tutto quello che riusciva attraverso i miei occhi, eppure non mi sono mai sentito in imbarazzo sotto il suo sguardo.

Il locale iniziava a riempirsi e il rumore aumentava col passare del tempo mentre noi, nascosti in un angolo da ogni sguardo, avevamo il nostro silenzio scandito solo da qualche sua rara domanda. Io rispondevo per niente stranito da quello squarcio nella realtà.

Pensandoci, col tempo, quella in cui ci trovammo fu una situazione veramente assurda.

Avevamo passato anni interi a scontrarci, ad incrociarci per i corridoi delle scuole che si erano succedute in uno strano coordinamento e non avevamo mai avuto l’occasione di vederci veramente.

 

Shikamaru non era solo l’annoiato della quinta sbarra ragazzo di Sabaku No Temari.

Lui era un ragazzo incredibilmente intelligente, con tante aspirazioni e uno spiccato senso della giustizia.

Amava stare per tanto tempo a guardare le nuvole perché lo rilassava e per cercare di interpretare le varie forme di zucchero filato.

Era un ragazzo dolcissimo e amava molto la sua ragazza.

 

- Temari è proprio una bella ragazza, anche se a me fa un po’ paura.

- Già, è l’impressione vuole dare a tutti. Ma in realtà è solo una forma di protezione. Verso lei, i suoi fratelli e anche verso di me.

- Vuol dire che con te è meno isterica?

- No, credo che con me raggiunga i massimi livelli isterici.

 

Ridemmo insieme subito prima di essere scossi dal rumore prepotente di tuono.

Guardarci attorno un po’ scossi fece esplodere la bolla che ci aveva racchiuso fino ad un momento prima e il caos del bar ci assalì peggio del tuono.

 

L’orologio segnava le otto di sera.

 

Sembrava impossibile ma avevamo parlato per quasi tre ore.

Ripresi la maglia che ormai si era completamente asciugata e la infilai velocemente deciso ad uscire per tornare a casa. Per allontanarmi dai residui saponosi della nostra bolla d’infinito.

Potevamo scivolare e non rialzarci mai più da quella situazione.

I soldi della consumazione sul tavolino, un saluto in una mano e l’altra che già girava la maniglia per uscire e scomparire sotto la pioggia che ancora scendeva aggressiva.

 

- Ti accompagno a casa.

 

La voce che avevo ascoltato per tutto il pomeriggio mi raggiunse alle spalle e di nuovo ebbi il suo ombrello sulla testa. Non ebbi il coraggio di negargli quella gentilezza, avevo sperato fino all’ultimo che mi raggiungesse.

 

Poco dopo eravamo già sotto casa mia ed io torturavo il portachiavi in metallo divenuto troppo freddo cercando di aprire la serratura.

Le dita mi tremavano e iniziavo a bagnarmi di nuovo, fuori dalla portata del grande ombrello verde, travolto dall’acqua gelida.

Una mano calda, probabilmente quella che aveva sempre tenuto in tasca, avvolse la mia e la tenne ferma affinché infilassi quella maledetta chiave.

 

- Shikamaru, io volevo…

 

Girai il viso bagnato e sconvolto verso di lui, con un gesto irrazionale ed impulsivo. Quella probabilmente fu l’azione più sconsiderata della mia vita, che cambiò radicalmente ogni aspettativa e ogni possibile futuro che credevo di avere davanti.

La sua mano era ancora nella mia e con l’altra, lasciando andare l’ombrello, mi tirò a sé facendo scontrare i nostri corpi e unendo le nostre labbra in uno strano e freddo bacio.

La pioggia gelida batteva ancora sopra di noi.

Io serrai gli occhi e lo strinsi ancora a me, più forte. Assalii la sua bocca affamato di lui, realizzando quel desiderio inconscio che avevo agognato per tutto il pomeriggio senza neppure farci troppo caso.

Respirare era difficile ma non volevo staccarmi dalle sue labbra, dalle sue braccia.

Se lo avessi lasciato, non lo avrei potuto stringere più. Era così inevitabile quel suo ritorno alla semplice vita di tutti i giorni dopo quel bacio che non mi fece soffrire più di tanto.

 

Lui mise le sue mani ormai fredde sulle mie spalle e mi allontanò. Mi guardò negli occhi e fu come ritornare al caldo di quel bar all’interno di quella nostra piccola boccia di perfezione.

Annuimmo lentamente, congelando quel momento e quella tacita promessa che si scambiarono i nostri occhi.

 

Il giorno seguente, davanti alla porta di casa mia, trovai Akamaru che mi aspettava abbaiando in una cesta di vimini. Nonostante fossi sicuro della sua provenienza un biglietto nascosto sul fondo, rischiarò ogni incertezza.

 

Ora smetterai di osservarlo da lontano, ora è tuo.

Proprio come ho smesso io.

 

Solo davanti al cagnolino, prendendolo in braccio e coccolandolo, riuscii a versare quelle lacrime che mi erano rimaste in gola per tutta la notte.

 

***

 

Erano passati diciassette lunghi anni.

Li ho vissuti come una dolce tortura e ogni anno torno davanti a quel negozio rimasto invenduto per tanto tempo con il mio cane. Appena decido che era il momento di andare via, vedo lui che mi viene incontro.

 

L’anno dopo il nostro primo vero incontro lui partì per l’Università e non potevamo più incontrarci e scontrarci per i corridoi della scuola o della città, non potevamo scappare e nasconderci da tutti dietro il muro di una sana amicizia per rimanere solo noi.  Eppure sapevo che bastava un semplice dubbio o incertezza per vederlo arrivare.

Poi, dopo tanti anni di fidanzamento, lui e Temari, decisero di sposarsi.

Non mi sembravano più una bella coppia e non sapevo se fosse la gelosia che mi corrodeva o la nuova ottica con cui li osservavo. I racconti dei loro litigi e della sua possessività mi turbavano ogni volta.

 

Il suo sguardo mi faceva tanta tenerezza. Dentro di lui, per diciassette anni, ha avuto atto una battaglia lunga e sanguinosa alla quale non sono ancora riuscito a porre fine.

Shikamaru combatteva, dilaniato dall’amore. Non riusciva a prendere una decisione e per quanto ci pensasse, per quanto non abbia mai smesso di pensarci, neanche con la sua intelligenza fuori dal comune era mai riuscito a trovare una soluzione.

Non esiste una soluzione.

 

Le mille luci di quello che ora è un banale negozio di elettronica si sono improvvisamente spente e un ragazzo incappucciato esce per abbassare la saracinesca. Mi guarda stranito e va via.

È arrivato il momento di andare via.

 

Mi volto e lui è , come ogni anno, con quell’ombrello stretto tra le mani. Solo che questa volta manca qualcuno all’appello e anche lui se ne accorge.

 

- Dov’è Akamaru?

- Lui… È morto quattro giorni fa.

 

Stringo i pugni e aspetto quell’abbraccio di cui ho avuto bisogno durante la sua malattia e durante questi ultimi quattro giorni.

In un passo mi raggiunge e finalmente posso sciogliermi tra le sue braccia.

 

- Adesso, senza di lui e senza di te vicini, non so proprio come andare avanti…

 

Sussurro piano quelle parole stringendo spasmodicamente il suo giubbotto chiaro.

Lo so, che è ingiusto, che non posso parlargli così. Infondo io sono sempre stato l’altro e che la fede luccicante alla sua mano sinistra ha più diritti di una promessa fatta tanti anni fa, dopo quel bacio straziante.

Ci giurammo di stare insieme per sempre. Di far sopravvivere quello che allora non era neanche amore a discapito di tutto.

Lui non risponde. Mi prende solo il viso tra le mani e mi bacia, assaggiando le mie stesse lacrime.

Lui non risponderà mai. Perché non sceglierà mai ed è orribile da parte mia chiedergli di farlo.

 

Ma so che mi sarà sempre accanto.

Che mi basterà guardare fuori dalla finestra del mio appartamento mentre piove.

 

 

Fine.

 

Non voglio dire niente sulla fic, su com’è scritta e sugli errori che tu avresti potuto correggermi con uno dei tuoi betaggi. Non ne voglio parlare.

 

Voglio solo dirti due, anzi tre parole.

Ti. Voglio. Bene.

Lo stai sentendo? Le senti arrivare fino a lì, lontana come sei? Devi assorbirle per bene, queste piccole paroline, perché sono vere e sincere. Non è una frase scritta a caso, lo sappiamo entrambe che queste paroline così sputtanate *scusa l’epiteto* dette tra di noi hanno un significato reale. Perché la pensiamo allo stesso modo.

Non pensavo ne avrei incontrate ancora di persone, di amiche così speciali eppure così lontane. Non ci speravo più e poi sei arrivata tu.

Tanti auguri di buon compleanno, Sacchan. Anche se in lieve ritardo.

Ci ho messo il cuore in ogni singola parola…

 

Nacchan.

   
 
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