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Autore: Vala    21/12/2009    0 recensioni
Il percorso di una ragazza attraverso i vari cicli scolastici, brevi episodi prendendo spunto dalla memoria per descrivere come una bambina preferisce crescere cercando di isolarsi dalla vita comune scegliendo la fantasia al di sopra della realtà fino alla maturità, quando la società la porterà a stringere legami con il mondo esterno al di fuori della sua testa.
1 stadio - asilo
2 stadio - elementari
3 stadio - medie
4 stadio - superiori
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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È una bella giornata di sole, tutti sembrano molto felici di uscire per la consueta ora di ricreazione. Io guardo titubante il confine di ombra che mi separa dalla luce accecante, mi proteggo gli occhi e faccio un passo indietro. Non mi piace il sole, mi fa male agli occhi, e poi non mi piace neanche stare fuori in giardino, devo sempre fare la coda per salire sull’altalena o per usare qualche altro gioco. E non mi piace neanche stare troppo con gli altri bambini, ogni volta che gioco con loro mi faccio male.
Dietro di me qualcuno mi da delle leggere spinte: è mia madre. Insegnante d’asilo ma all’altra sezione, mi incoraggia ad andare a giocare con gli altri. Io le sorrido ed esco sotto il sole. I miei capelli biondi brillano, vale la pena di uscire solo per vederli luccicare. Ora sono felice, non mi da poi tanto fastidio. Le mie gambe di bimbetta si affrettano a raggiungere la zona delle altalene, l’unico vero gioco che mi piaccia da morire. Quasi corro perché ne ho vista una libera, ma nel giro di mezzo secondo ecco che quell’antipatico di Luca ci sale e me la occupa. Non serve a niente guardarlo male o lamentarsi, mi appoggio contro il palo di sostegno e attendo. Immediatamente mi si avvicina qualche bambina con la sua barbie in mano. Me la fa vedere mentre le accarezza i capelli. È una bella bambola, anche io ne ho una simile a casa in soffitta dove scappo a giocare nascosta da tutti. Sorrido e scambio qualche parola con lei sui cartoni animati del giorno prima o su qualche pubblicità di giocattoli. Le altalene non si liberano, in compenso si avvicina qualche altra bambina. Io comincio ad essere nervosa. Non mi piace parlare, non mi piace averle attorno, non mi piace che mi si avvicinino così tanto. Le bambine cominciano a parlare tra di loro, così io ne approfitto per scappare lontano dalla massa di fastidiosi.
Ah, eccolo il mio rifugio, il mio castello impenetrabile! Mi butto a quattro zampe e striscio sotto un cespuglio le cui foglie mi proteggono non solo dalla vista dei miei compagni ma anche dai raggi del sole. E lì gioco. Come si fa a giocare sotto un cespuglio da soli? Forse non ve lo ricordate, ma quando si è bambini si gioca con qualunque cosa. In teoria si gioca anche con chiunque, ma questo non è il mio caso. Io amo la solitudine, amo stare per i fatti miei con la mia fantasia. E allora ecco che una foglia di una forma particolare diventa un gioiello, le formiche che camminano sono i miei cuccioli che devo proteggere da quella cattivona della cavalletta, le mie gambe che scalciano simulano l’acqua del fiume ed il vento leggero che mi soffia tra i capelli è la brezza che annuncia un tornado devastante che porta via tutto. Silenzio, sento delle voci fuori dal mio castello, degli invasori che mi stanno circondando. Mi faccio piccola piccola, pronta a difendere il mio rifugio dall’attacco dei terribili pirati che vogliono rubarmi i tesori e rapirmi. Eccoli, li vedo, iperattivi che corrono e si rincorrono fuori dalla mia tana accogliente, scattano e si guardano attorno. Mi stanno di certo individuando, staranno organizzando un piano d’attacco per costringermi ad uscire allo scoperto ed affrontarli. Afferro la spada al mio fianco, pronta a difendermi da chiunque voglia farmi del male…e arriva il preannunciato tifone. I miei cuccioli scappano via spaventati, la cavalletta salta impaurita da una forza più grande della sua, e io alzo gli occhi ad osservare con un misto di stupore e innocenza il mio rifugio divelto non dalla forza del vento ma dalle mani di mia madre che ora mi sorride indulgente ma un po’ seccata.
“Perché non vai a giocare con gli altri bambini?” mi chiede. Perché non voglio. Ma come si fa a rispondere una cosa del genere? Anche se sono piccola lo so che è una cosa sbagliata da dire. Mi giro un attimo e vedo che tra i bambini che stanno giocando a rincorrersi a qualche metro dal mio cespuglio c’è anche il terribile Luca. Bene, questo vuol dire che probabilmente è libera l’altalena.
Mia madre mi fa uscire da sotto le fronde verdi, di nuovo alla luce accecante, e io sgambetto via dopo una leggera carezza alla testa. Corri corri, magari è davvero libera. L’obiettivo davanti a me. Pronti! Afferro la catena con entrambe le mani, con un salto riesco a raggiungere il posto di comando e avvio i motori. Qualche calcio violento, e le catene tintinnano mentre prende il via il moto che mi permetterà di volare in alto, sopra tutti gli altri. Libera. Uno e due, sempre più forte! Sorrido ora, mi viene voglia di urlare di gioia. Incerta, stacco prima una mano, poi l’altra, comunque premendo le spalle contro le catene per evitare di perdere l’equilibrio e fare un brutto volo. Più forte! Le catene premute contro le mie spalle diventano il vento che oppone resistenza alle mie ali, i miei capelli che frustano il viso sono mossi dalle correnti aeree che rischiano di farmi precipitare. Quando scendo è per una corrente sbagliata, quando risalgo è perché le mie ali hanno incontrato una corrente giusta. Vola, sempre più in alto! Getto uno sguardo sotto di me e saluto con la mano i paesi e le creature che alzano il naso all’insù per vedermi volteggiare. Uno di loro mi indica e dice di stare attento, è una bella popolana dai capelli racchiusi in una treccia. Richiama la mia attenzione sul sole, è troppo vicino. Io alzo gli occhi a guardare quel globo di fuoco, ne sono attratta come nel mito di Icaro che mi piace tanto, e aumento il battito delle mie ali, sempre più in alto, fino alla fonte della vita! Se mi concentro mi sembra quasi di toccarlo. Come saranno i miei occhi azzurri illuminati in pieno dai caldi raggi? Sembreranno due zaffiri splendenti come mi hanno detto le signore del paese? E allora gli uccelli che volano in alto sono delle arpie invidiose dei miei occhi e me li vogliono strappare. Io li chiudo perché non me li rubino, e recito una formula per scacciarle. È una filastrocca stupida dalle rime scontate, ma non mi viene in mente nulla di meglio. La canticchio sottovoce, conto fino a tre e riapro gli occhi. Le arpie sono lontane, hanno capito che sono un avversario più forte di loro. Sorrido al vento, sorrido al cielo, sorrido a me stessa. Sono libera! Ma poi il sole comincia a bruciarmi, le mie ali si stancano e qualche piuma cade. Perdo potenza, sono costretta a volare più in basso. Non posso vincere contro il Dio Helios. Sto perdendo quota velocemente, il sorriso che scompare man mano che torna visibile la terra e la popolana con le braccia conserte attende che io mi posi rinunciando al dominio del cielo per rientrare tra i comuni mortali.
“Avanti, gli altri stanno già rientrando tutti! Non vorrai fare tardi per la palestra?” mi richiama al mondo reale la maestra mentre scendo dall’altalena, i capelli arruffati e le guance rosse per l’emozione del volo.
Sgambetto di corsa dietro ai miei compagni. Il sogno è finito. Ma che importa, ora c’è la palestra, e potrò giocare ad assaltare il castello o a spostare i macigni come Ercole.
Quando si è bambini non c’è limite alla fantasia, posso sognare quello che voglio. Ma da sola. Icaro non è precipitato in gruppo. Ercole non ha sorretto il mondo con l’aiuto di una squadra di operai. E a me basta la mia mente per giocare al fantastico. Perché far finta di essere mamme o simili? Noioso e complicato. Io non ho fretta di crescere, molto meglio il mondo dentro la mia testa con la sua solitudine e la sua libertà.
  
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