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Autore: Artemisia Black    26/06/2005    4 recensioni
vi prego...ho bisogno di sapere se vi piace questa cosa strana che ho creato....ok? Bax Misia
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Concerto in Si Bemolle

Concerto in Si Bemolle

Per quale stronzissimo motivo non è ancora arrivato? Si stava domandando nascosto dietro le tendine di pizzo appese alle finestre del soggiorno. Sua madre adorava quelle orribili tendine. Ma quello non era proprio il momento di stare a sindacalizzare a proposito dei gusti arredativi di una donna di 45 anni, per lo più vedova.

E dannatamente religiosa.

Tirò una manata allo stipite della porta lì accanto.

Non era ancora l'alba…e Kim era fottutamente in ritardo. Doveva calmarsi. Tornò in cucina e si rollò una canna. Le dita cominciarono a tremargli. Però almeno ora non pensava al ritardo del su amico d'infanzia.

Kim.

Un nome un perché. Non si ricordava neppure il cognome. Era orfano e sin da quando era in fasce tutti lo avevano soprannominato così.

Kim.

Ma non era quello il momento di pensare al passato di quello stronzo ritardatario. E proprio mentre spegneva il suo calmante nel posacenere preferito di sua madre, un boato lungo il vialetto annunciò l'arrivo di Kim. Si alzò dalla sedia talmente in fretta da farla ribaltare all'indietro, contro il mobile bar della cucina. -'fanculo - strinse tra i dentimantre la rimetteva violentemente al suo posto. Afferrò la borsa ed uscì di casa. Kim era lì, sorriso da ammaliatore latino, seduto sui sedili di pelle blu della sua Cadillac di non si sa bene di preciso di quale anno.

Era blu. La Cadillac.

- ciao Angelo!' - gli disse mentre richiudeva lo sportello della macchina. Angelo rispose rollando un'altra canna mentre Kim riavviava il motore della macchina e ripartiva come una scheggia verso la fine della strada. - dove andiamo? - a un concerto…- rispose rapido Kim imboccando la statale per il deserto. Angelo annuì passandogli la canna.

Stava cominciando a nascere il sole, in fondo all'enorme distesa di nulla chiamata deserto. E a poco a poco inghiottiva anche la piccola periferia nella quale erano cresciuti.

Kim si riassettò sul sedile.

Perché cazzo si era messo quei dannati calzoni di pelle poi…eh…gli piacevano un sacco…

Angelo lo fissò mentre il vento già caldo del deserto gli spettinava i capelli nerissimi all'indietro. - che concerto? - domandò inforcando gli occhiali da sole di sua madre. Kim sorrise innocentemente e per tutta risposta infilò una cassetta nel mangianastri.

Blues.

Kim impazziva per il blues.

Aveva cominciato ad amarlo quando iniziò a fare il barman, all'età di 16 anni, nel locale di strip in fondo a Park Avenue. Era cresciuto così, tra belle donne, puzzo di sigaro e fumi di alcool. Faceva da informatore per un grosso giro di trafficanti d'armi.

Non parlava molto il vecchio Kim.

Una bara quanto la sua Cadillac blu notte. E a quanto sapeva lui, Angelo, era l'unico col quale ancora s'intratteneva in una qualche specie di conversazione.

O in qualche specie di gita fuori porta.

Come questa.

Angelo era ormai abituato alle sue stranezze. Chissà cos'era il concerto….

Il giovane Kim s'accese una sigaretta, tamburellando con le dita a ritmo di musica, sul volante. Come aveva fatto a diventare così dannatamente ricco? Angelo aveva la risposta. Ma non voleva porre la domanda. - Alu è morto - disse improvvisamente Kim tra un accordo in do maggiore e un assolo di chitarra. - così pare… - rispose Angelo torturandosi il pollice coi denti. - freddato mentre si faceva la doccia…che morde di merda - continuò Kim mettendo il braccio fuori dal bordo della macchina e graffiando il vento con le dita della mano aperte. - tra quanto arriviamo? - cambiò argomento Angelo. Non aveva voglia di parlare di quella sega di Alu. Era uno stronzo.

E non gliene fregava nulla della morte di uno stronzo.

- Cristo Angie…siamo partiti da meno di un'ora… - rispose Kim sorridendo. Angelo era fatto così. Tutto e subito. Anche se a 26 anni viveva ancora con sua madre. Un'ex spogliarellista del locale dove lavorava Kim. Ma poi aveva conosciuto uno stronzo di predicatore e allora…così va la vita…a volte.

- Ancora con quelle dannate camicie a fiori? - incalzò Kim . Angelo aveva quella passione. L'unica, a parte le canne. Numerose, coloratissime, inguardabili camicie a fiori.

Era bello, Angelo. E il suo nome rispecchiava perfettamente il suo viso dai lineamenti morbidi, occhi color caffè e naso greco. Faceva impazzire tutte le ragazzine del quartiere, anche se preferiva, e si sapeva, le donne sposate sulla quarantina.

Sapevano amare.

Così diceva. Non come un'amante, ma come una madre. La madre che lui adorava.

E forse era per questo che non l'abbandonava.

- dovresti tagliarli quei capelli Angie… - sospirò Kim. Era vero. troppo lunghi. Sembrava un frocio. Lui e la sua chioma di boccoli castani lunghi oltre le spalle. - a mia madre piacciono…- rispose passandosi le dita sulla fronte e portandosi una ciocca dietro l'orecchio. Mossa inutile. Il vento gliela rubò un'altra volta.

Kim gli sorrise con gli occhi, occhi di ghiaccio. Blu notte come la sua macchina. Impazziva per il blu. E quando aveva chiesto alla commessa del negozio se avevano lo stesso paio di pantaloni di pelle però di quel colore…bè, il finale lo conoscete…dovette ripiegare sul nero. Ma non si lamentava il vecchio Kim. Si adattava, come aveva sempre fatto.

E per ovviare al problema del nero disse che probabilmente era il colore dell'universo quando non c'era il sole… erano queste le pieghe del carattere di Kim che Angelo adorava.

Ma non sopportava il suo modo di essere così dannatamente estraneo al mondo. - perché hanno fatto fuori Alu? - Kim s'attardò sulla possibile risposta.

Angelo guardava l'orizzonte ormai chiaro dove la sfera del sole sfumava tra le linee del miraggio. - era un leccaculo di merda…- informatore? - Kim assentì col capo. - c'entra Il Grasso? - Angie non dovresti ficcare il naso in certe cose… - e tu allora? -

Si guardarono, mentre la bara blu macinava vite sull'asfalto della strada deserta.

Le loro vite.

Entrambi scoppiarono a ridere.

La risata solare di Angelo accompagnava quella roca e stanca di Kim. Come gli accordi del pianoforte accompagnano il sax di sottofondo suonato dall'autoradio. - non me ne frega un cazzo di quell'indiano di merda… - continuò Angelo. Kim smise per un momento di ridere. - non essere razzista Angie…è pur sempre servito a qualcosa… - mmm? - la sua deplorevole morte ha coperto il vero traditore…non credi? - Angelo non capiva. Di cosa diavolo stava parlando Kim? - cosa c'entri tu con tutta questa storia del Grasso? - assolutamente nulla...ho sentito i suoi scagnozzi parlarne giù al club...-

Era vero. Kim aveva aperto quel club quando era appena ventenne. Ora era il più frequentato dalla mala locale. Ma Kim, si sapeva, era un vero affarista.

E sapeva farsi i cazzi suoi. Per questo era così fottutamente ricco. Anche se viveva in un mini appartamento sopra il locale….non gliene fregava poi molto dei soldi. Gli piacevano gli affari. E amava quel locale.

Punto. Kim era fatto così.

- comunque Angelo, non dovresti parlare di certe cose cazzo! Sai che è pericoloso… - eh…è un mondo di merda…che ci vuoi fare… - rispose accendendosi l'ennesima sigaretta. Kim gliela rubò dalle dita. Aveva caldo e cominciava a sudare in quegli stronzi di pantaloni di pelle. 45° all'ombra.

Era già ora di pranzo. Angelo rollò una canna per l'occasione e stappò un paio di birre ormai calde come piscio. Ma c'erano solo quelle.

Il sole lentamente continuava a calare.

Mentre le lancette dell'orologio da polso di Angelo scendevano sempre più verso le ore serali. Kim non portava orologi. Scandiva il tempo in base alla luce del giorno….e sapeva perfettamente, sempre, che ore fossero. Così, solo guardando le ombre. Aveva imparato a farlo in orfanotrofio, quando aveva sei anni o giù di lì. - mi dici dove andiamo? - domandò Angelo. La bocca stanca dal troppo silenzio. L'impazienza nata dalla curiosità. - te l'ho detto Angie…a un concerto… - si, ma di che? - lo vedrai…è uno spettacolo che volevo farti vedere da un bel po'… - Angelo non domandò più nulla. Si fidava di Kim.

Soprattutto quando faceva il misterioso.

Avvolto nei suoi pantaloni di pelle, con la camicia bianca di lino sbottonata e i capelli al vento. Chissà a cosa pensava quando si richiudeva la porta del suo appartamento alle spalle, nel buio di quelle silenziose, poche stanze.

La bara blu svoltò improvvisamente a sinistra, verso il tramonto, con un sordo rumore di ciottoli sotto le ruote.

Una nube di polvere dietro l'auto.

Lì finiva il deserto.

Angelo guardò Kim che sorrise senza neanche voltarsi. Ormai sapeva sempre quando Angelo lo guardava a quel modo. Silenziosamente, mentre poneva per l'ennesima volta la stessa domanda, ripetuta sulle note dell'ennesima canzone blues….

Il paesaggio trasmutava lentamente. le rocce rossastre del deserto, le sue chiazze di sabbia brillante sotto gli ultimi raggi del sole andavano via via sciamando, confondendosi con alberi marciti o troppo stanchi. Dalla sabbia cresceva un leggero strato di stoppa. La strada s'immergeva sempre più in un terreno umido. Ai lati comparivano i primi arbusti verdi mentre Angelo guardava, appoggiato sul cruscotto della macchina, gli occhiali da sole sulla testa, una vecchia casa coloniale abbandonata ricoperta di edera scura.

Kim svoltò verso la casa, parcheggiando l'auto sotto un roseto cremisi. - siamo arrivati? - domandò Angelo ottenendo finalmente un si come risposta. Kim cominciò a camminare inoltrandosi in un alto canneto. Il passaggio era abbastanza sgombro. Il frinire delle cicale si faceva sempre più insistente. - vieni qui spesso… - constatò Angelo notando la familiarità nei gesti di Kim. - ogni volta che posso… - è tua la casa? - no, era di Alu… - ah… - rispose Angelo cercando l'occorrente per rollare un'altra canna. - e che concerto ci fanno qua… - Kim si fermò in mezzo al sentiero di canneti abbattuti sui quali marciavano schiere di formiche rosse. Lì. Fermo, sorridente, incorniciato dalle alte quinte dei canneti verdi inondati dalla luce rossa del sole dietro le sue spalle. I pantaloni di pelle brillavano come fossero stati bagnati.

Si scompigliò i capelli sulla nuca ed estrasse un pacchetto di sigarette accendendosene rapidamente una e cominciando a fumare.

Angelo si accese la canna. Il profumo dolce della marijuana si mischiava con l'umidità di quel posto. Si era dimenticato di lasciare a sua madre un biglietto con scritto che non sarebbe tornato per cena. - vieni… - disse Kim riprendendo a camminare.

Poco dopo abbandonarono il fitto canneto giungendo sulle rive di un paesaggio lagunare. Angelo non conosceva il nome di quel fiume e probabilmente, non lo conosceva nemmeno Kim. Entrambi erano sempre stati due seghe in geografia e poi, non gliene poteva fregare di meno del nome di uno stronzo di fiume. Ma il paesaggio, doveva ammetterlo, era straordinario….

Kim si appoggiò al tronco di un grande albero di magnolia in fiore. Per terra i petali bianchi cominciavano a marcire.

Era strano come, quel posto di una straordinaria bellezza, potesse marcire così in fretta.

Effimero. Ecco cos'era. Effimero.

Ripeté col pensiero Angelo.

Quanto la bellezza di sua madre e probabilmente quanto la sua. Incredibile come, nel giro di pochi anni e poche conoscenze, sua madre fosse diventata la classica comare di quartiere. Lei, Angel, la punta di diamante del Club di strip nel quale lavorava. Il suo nome, Angelo, lo doveva allo pseudonimo che usava sua madre quando saliva in pedana e trasformava in polvere di stelle i sogni più perversi degli spettatori. Da qui il nome d'arte…

- allora? - allora cosa?… - rispose Kim senza anteporre alcuna maschera alla sua solita espressione lontana. - dimmi Kim…perché mi hai portato qui? - te l'ho già detto mi pare… - tu e le tue stronzate… - Kim abbassò lo sguardo per poi rialzarlo un attimo dopo.

Uno stormo di fenicotteri si muoveva silenzioso lungo la foce del fiume. - non trovi che siano splendidi? - domandò dolcemente. Angelo gettò la canna in un rivolo d'acqua che la trascinò via rapidamente. - avanti Kim… - incalzò Angelo. Cominciava a capire. - ti vogliono far fuori Angie… - lo so… -

Kim si voltò a guardarlo. La sorpresa celata nei suoi occhi blu freddi come il mattino.

Una brezza profumata fischiò attraverso i rami della magnolia facendo scivolare a terra alcuni petali. Angelo sospirò profondamente stirandosi. I boccoli trasportati dal vento scompostamente. - perché? - sarebbe meglio come…non credi? - rispose Angelo.

Quel paesaggio gli piaceva sempre più. Strinse gli occhi passandosi una mano tra i capelli. Kim abbassò lo sguardo, accarezzando l'erba dorata sotto i suoi piedi. - perché lo sai? - sospetto… - o certezza? - continuò Kim voltandosi a fissare Angelo. Le ultime luci del sole danzavano tra i riflessi rossi dei suoi capelli castani. - non so Kim…me lo sentivo sotto la pelle…puoi capirmi? - Kim annuì. Certo che lo capiva. Non gli era mai successo di sentirsi a quel modo ma…ne aveva sentite tante da dietro il bancone del bar. Talmente tante da riuscire ad immedesimarsi. Anche se non si era mai domandato come si sarebbe potuto realmente sentire se si fosse trovato dal lato opposto del bancone.

Probabilmente avrebbe continuato a sorseggiare il suo rum. Facendosi scivolare addosso tutte le stranezze di quel mondo. - è come quando eravamo bambini…ricordi? Quando ci nascondevamo nel retrobottega del vecchio Berth, al negozio di alimentari all'angolo…a fumare quelle schifose sigarette che comprava mia madre…quelle economiche senza filtro. Stavamo lì, dietro le casse di birra e accendevamo. Ogni rumore un pericolo. Tu aspiravi e io provvedevo a scacciare il fumo con le mani. Poi era il mio turno e tu facevi lo stesso -

Kim sorrise amaramente. La tristezza dei ricordi lo faceva sentire lontano da quel mondo.

- è così che ti senti? Come se ti avessero scoperto? - domandò accarezzando con le dita un fiore di magnolia proteso verso il suo viso.

Una macchia d'ombra si posava lentamente sui suoi occhi.

- si, come se mi avessero scoperto… - rispose Angelo sbottonandosi la camicia.

Si voltò a guardare l'amico. Il suo cuore ebbe un sussulto. Era sempre così quando Kim lo guardava a quel modo. Era successo rare volte, sempre seguite da abissi di amarezza. - fallo Kim…mi hai portato qui per questo… - Kim abbassò lo sguardo, una risata roca sgorgò dal suo animo. In lontananza il rumore del mare. Sollevò lo sguardo verso il sole, sfiorando con le labbra il fiore di magnolia. - come hai fatto a capirlo? - domandò corrugando la fronte. - lo so da molto tempo…- già…altrimenti come avresti fatto a vendermi ad Alu? - sospettavo sapessi di Alu… - terminò Angelo.

Un gruppo di fenicotteri s'alzò in volo facendo vibrare il silenzio. Kim continuava a guardare il sole stringendo gli occhi. Il riflesso dell'astro nelle sue iridi scure le faceva sembrare irreali, create da un'artista che possiede nelle vene la follia di voler sfidare Dio.

Riversò il suo sguardo in quello di Angelo.

Aveva sospettato che sarebbe finita a quel modo…e si era dimenticato di lasciare un biglietto a sua madre.

Che irrecuperabile testa di cazzo…però almeno le aveva rimpinguato l'esiguo conto in banca.

La vendita d'informazioni era servita…almeno a qualcosa.

- io so sempre tutto Angie…- la voce di Kim sembrava il rumore del vetro infranto.

Così appariva alle orecchie di Angelo. E per quanto riguardava ciò che aveva appena sentito…era vero. Kim sapeva sempre tutto. - posso chiederti solo un favore? - tutto quello che vuoi Angie… - rispose Kim. Angelo sorrise. Avrebbe tanto voluto chiedere di evitare quello che inevitabilmente sarebbe successo.

Ironia.

Kim sorrise accorgendosene. Non era stato nei suoi intenti.

- scusami… - di cosa? - Kim sorrise amaramente. Cominciava a sentire il sapore del sangue sulla punta della lingua… - dimmi… - sospirò.

- chi è il Grasso? - hai un fottuto microfono addosso o la tua curiosità è più forte del tuo sangue freddo? - adesso però l'hai fatto apposta… - ironia…che brutta cosa… - rispose Kim. La sua mano scivolò rapida verso la sua schiena.

Angelo seguiva i suoi movimenti.

La vista cominciava a cedere. Non credeva che avrebbe mai avuto paura di Kim…

…ma quella, a ben vedere, non era paura…

- hai paura Angelo? - ecco, sapeva anche quello. Ma forse, questa volta, Kim si era sbagliato. - no, non ho paura…forse…rimpianto - credo sarebbe stata meglio la paura… - hai perfettamente ragione…perché hai inventato la storia del concerto? - non l'ho inventata-

Angelo aggrottò perplesso la fronte.

- ora ti dirò tutto quello che non ho mai detto -

- non voglio sapere nulla Kim…a che servirebbe? I morti non parlano… - no, ma forse te lo devo… - d'accordo…anche se forse ho già capito di chi si tratta…il Grasso sei tu…non è forse vero Kim? -

Stupito.

Kim era davvero stupito. - sapevo che non eri uno stupido Angie…l'ho sempre saputo - disse tristemente estraendo dal bordo dei pantaloni di pelle dietro la schiena la pistola. Lasciò cadere il braccio lungo il fianco mentre ammirava nuovamente il pascolare intoccabile dei fenicotteri. Angelo non sapeva. Non voleva sapere.

Se quello che stava provando era l'incredulità del sogno o la consapevolezza del presente. Era certo però che la consapevolezza era la peggiore tra le due…

- tu sai troppe cose Angelo… - Angelo annuì accendendosi una sigaretta e lasciandosi andare alla vista dei suoi occhi. Da quando aveva deciso di tradire Kim?

- ti ammiravo Kim…ma la mia ammirazione nei tuoi confronti è diventata ossessione e infine…invidia… - perché? Stava per domandare Kim. Ma aveva il sospetto che Angelo non avesse finito. Avrebbe tanto voluto evitare di farlo fuori ma quello era il suo compito.

Doveva. Punto

E a capo.

Non erano più ragazzini. E Angelo era consapevole di quello che stava facendo e forse, pensava inconsciamente, quello era ciò che desiderava.

Angie era stanco di quel mondo….lo era sempre stato. - volevo farti tornare quello di un tempo, anche a costo di farti marcire in galera…rivolevo il mio amico d'infanzia…e ora mi accorgo di aver fatto una stronzata…di essere stato infantile, egocentrico e stupido…ma forse, non è da tutti morire in un posto come questo, e ti ringrazio…è vero sai? Oggi qui c'è stato un concerto… - sospirò Angie voltandosi a guardare l'amico.

- dì a mia madre che le ho sempre voluto bene… - non doveva finire così… - ma noi l'abbiamo voluto - è vero… - Kim, qual è il tuo vero nome? Non me l'hai mai detto… - Kim sorrise arrossendo lievemente - perché vuoi saperlo? - vorrei conoscere il nome di chi ho ammirato fino alla morte… - Kelly… -

Angelo sorrise ampiamente - credevo di essere l'unico ad avere un nome ridicolo… - il tuo nome non è ridicolo Angie… - Kim fissò l'amico un'altra volta.

Doveva farlo.

Doveva farlo ora, altrimenti non avrebbe più avuto il coraggio. Aveva sempre voluto bene ad Angelo. L'aveva sempre protetto, ma questa volta…non poteva perdonarlo.

E quello, nel mondo in cui erano cresciuti, era l'unico modo. Angelo si voltò verso Kim.

La luce rossa del sole accendeva il bianco dei fiori sulle loro teste di una luce violenta, quasi autunnale.

Kim sollevò l'arma che teneva stretta tra le dita, mentre Angelo ammirava la sua alta figura appoggiata al tronco scuro dell'albero.

Kim premette il grilletto…una lacrima scivolò lungo il suo viso, dolorosa quanto la ferita apertasi nel petto di Angelo.

Il battito del suo cuore cessò, mentre il sangue si fermava nelle sue pupille…

…e forse era a causa di questo che la luce si era fatta più rossa.

Il rumore di un'onda invase i suoi sensi mentre l'aria tepida accompagnava il suo corpo verso l'umida terra sotto i suoi piedi. Sbattè forzatamente le palpebre, cercando di mettere a fuoco il volto di Kim sopra il suo.

Aveva gli occhi arrossati.

Si stupì di quanto fossero belli gli occhi di un assassino.

Così distanti dalla vita da poterne raccogliere ogni minima sfumatura, ogni particolare irrilevante. Angelo cercava di trattenere l'ultimo respiro, non voleva andarsene, cominciava ad avere paura…un freddo intenso scaturiva dal suo cuore ormai spezzato, lungo tutto il suo corpo, raggiungendo infine gli occhi.

Lentamente le immagini si facevano più scure e sempre più insistentemente l'abisso oltre il precipizio accoglieva i suoi sensi. Kim passò una mano tra i capelli di Angelo scostandoglieli dal viso…

- lascialo Angie…lascialo andare… - sussurrò accostando le proprie labbra a quelle dell'amico. Angelo chiuse gli occhi mentre lasciava che l'ombra della sua anima scivolasse attraverso le labbra, unendosi ai ricordi terreni di Kim, continuando così a vivere nella sua memoria, scomparendo tra le pieghe della sua coscienza…

Quello fu l'ultimo desiderio di Angelo.

Kim si rialzò, rinfoderando la pistola. Aveva fatto quello che doveva fare.

Un senso di disgusto s'impadronì di lui mentre guardava intensamente il volto di Angelo ai suoi piedi.

Le iridi volte al cielo rosso, le mani abbandonate lungo i fianchi.

La ferita aperta sul suo torace…sbocciata come una rosa scarlatta.

La sua espressione serena e forse un po' stupita…rassegnata….

Un rivolo di sangue scivolava verso il collo disegnando la linea del petto lungo la curva dello sterno.

Non poteva lasciarlo così. Avrebbe chiamato la polizia, lasciato un indizio su chi appartenessero quelle splendide spoglie, ancora più belle, così incorniciate da un tappeto di petali morti.

Si abbassò per abbottonare la camicia a fiori di Angelo.

La fantasia floreale della stoffa mimetizzava il rosso del sangue ancora caldo.

I petali accanto al suo corpo cominciavano a tingersi di rosso…

…era strano come la sensazione di un arrivederci, piuttosto che un addio, si faceva strada nella sua anima…

…poteva ancora considerarsi un uomo con un'anima?

Angelo avrebbe sicuramente risposto con un si…e probabilmente per l'amore che nutriva nei suoi confronti cancellò quella domanda dai suoi pensieri. Quello stesso amore che lo aveva spinto a compiere quel gesto. Se Angelo doveva morire, sarebbe stato lui, Kim, a decidere dove, quando…come…non un sicario qualsiasi. Non avrebbe sopportato la vista del volto di Angelo sfigurato da un buco in fronte. Ed era anche per questo che aveva deciso di colpirlo al cuore…le altre ragioni, non voleva ammetterle…nemmeno a sé stesso….

Accarezzò un ultima volta il volto che per tanto tempo aveva riempito la sua esistenza, mentre i raggi del sole morente danzavano vividi sulla superficie dell'acqua e tra i suoi capelli.

- a presto Angelo… - sussurrò Kim sollevandosi.

Guardò un'ultima volta il sole illuminare l'orizzonte prima di voltargli le spalle e incamminarsi verso l'oscurità della notte in agguato oltre il canneto.

Lo stormo di fenicotteri si alzò in volo.

Il suono frenetico del battito d'ali accompagnava i passi di Kim come l'appaluso dopo il concerto….

…il sipario del giorno si chiuse dietro le sue spalle mentre raggiungeva la macchina.

Un fiore rosso si posò sul cofano blu.

Kim sorrise, allungando la mano a raccoglierlo, mentre l'ultimo sguardo di Angelo scivolava sui suoi capelli neri.

I loro occhi s'incrociarono un'ultima volta mentre il motore spezzava il silenzio.

Non sapeva se era stata colpa della luce morente del giorno o del silenzio umido di quel poso…ma a Kim, l'immagine del ricordo di Angie seduto sul cofano che gli porgeva quel fiore non dispiaceva affatto…

…ma soprattutto gli piaceva pensare che il sorriso dipinto su quelle labbra fosse stato l'unico vero sorriso che Angie avesse mai fatto…

…e quel sorriso…era per Kim.

  
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