Capitolo
4
Il
regalo di uno sconosciuto, il primo indizio.
Al
di là della finestra c’era solo una strada vuota, l’acqua scivolava su di essa
ed andava ad accumularsi nelle pozzanghere, portando tutte le sporcizie che
trova nel suo cammino. Si chiese perché non poteva essere come l’acqua, lavare
via tutto e depositarsi in un luogo, poi il sole l’avrebbe fatta evaporare e
tutto sarebbe rimasto lì, a terra, in un buco, lontano dalla strada e da lei.
Invece,
se riusciva ad alleviare qualche dolore –ammesso che ci riuscisse- non riusciva
a toglierselo di dosso, e finiva per addossarsi colpe che non aveva, ad
impicciarsi in questioni che non la riguardavano. Come aveva fatto quella sera
con Momo.
Aveva
sbagliato, lo ammetteva, eppure non riusciva a sentirsi dispiaciuta per il
sonoro schiaffo che aveva rifilato ad una perplessa Hinamori.
Quella
razza di cagna traditrice... voleva vederla soffrire, piangere, disperarsi come
era successo al suo capitano –non che lei lo avesse mai visto piangere, ma
immaginava avesse fatto ciò, quando si ritrovò a casa solo, dopo aver scoperto
l’infedeltà della persona che amava di più al mondo -.
Anni
fa, quando Hitsugaya e Momo erano nel bel mezzo della
loro bellissima relazione, ricordava di averli visti in un parco, nel rukongai: passeggiavano. Aveva notato che il suo capitano
rideva, felice.
La
prima volta che lo vedesse ridere così liberamente, spensieratamente. Pensò, allora,
che Momo fosse la donna adatta a quel ragazzino glaciale che nel frattempo si era
fatto uomo: un bellissimo uomo, per la precisione.
Credeva
che di lì a poco si sarebbero sposati; convivevano da un po’ ed era normale
pensarla così. Ma improvvisamente la coppia più bella della Soul Society si
ruppe. Senza alcun motivo, non ci furono litigate, niente. Matsumoto
credeva fosse stato proprio questo a ferire di più Toshiro.
Chissà da quanto tempo Hinamori teneva nascosta
quella relazione, da quanto aveva smesso di amarlo? Lo aveva mai amato? Si era
concessa così al primo arrivato in casa?
Si
era scervellata per anni e aveva concluso fosse solo confusione: Momo si era
trovata sola e fragile agli inganni di quello e si era lasciata trasportare
dalla passione del momento. Per questo aveva cercato di convincere il suo
capitano a perdonarla. Ma lei, per una seconda volta, stava per ferirlo... si
stava sposando! Quella relazione, allora, si era già consumata anche prima di
quella sera.
Era
uno schifo... odiava quella cagna e il suo consorte.
Cosa
doveva fare ora Rangiku Matsumoto?
Se ne doveva stare a casa ed aspettare il ritorno del suo capitano. Questo era
ciò che doveva fare come tenente; ma come essere umano sentiva di doverlo dire
a Toshiro. Doveva.
***
Esco
dalla stanza con una espressione abbattuta. Mio fratello è stato ferito e io
non posso fare niente per curarlo, rischierei solo di metterlo più in pericolo.
Non mi sono mai sentita così inutile in vita mia.
Sto
camminando per il corridoio quando lo vedo: Hitsugaya
kun è in piedi appoggiato sul muro e mi segue con lo
sguardo. Cerco di sorridere ma non riesco a fare altro che una smorfia
spaventosa; lui mi fa un cenno con il capo e inizia ad allontanarsi.
Faccio
un profondo respiro e prendo la mia decisione: voglio sapere esattamente cosa
sta succedendo.
-
Hitsugaya kun … vorrei …
vorrei che mi spiegassi … questo – balbetto fissando il pavimento, non ho il
coraggio di guardarlo in faccia.
Sembra
pensarci su, non so se lo faccia per torturarmi o se veramente ci stia
riflettendo, fatto sta che mi chiede di seguirlo in salotto. E io lo faccio.
Ci
sediamo l’uno di fronte all’altra. Deglutisco e aspetto che sia lui a parlare,
ma si limita a osservarmi.
Mi
sento sciogliere sotto quell’occhiata ghiacciata, per quanto paradossale possa
sembrare.
-
Bene. Che cosa vuoi sapere? –
Mi
guardo intorno sperando che i mobili mi diano la risposta.
“Non
fare quella faccia da ebete”
Ecco
che si ricomincia.
“No, va benissimo.
Quell’espressione piace ai maschi”
“Stai
zitta che non capisci niente”
Agito
la testa cercando di scacciare le voci:
ho questa brutta abitudine, quando sono nervosa.
Infatti
ora lui mi sta guardando con una certa diffidenza, devo sembrare una pazza.
“Non
agitarti come un pesce fuori acqua”
“ E’ la tua voce che
glielo fa fare”
“
Chiudi il becco, qui bisogna recuperare la situazione”
“Uno: questo tizio
sembra di marmo, neanche se ci mettessi vicino una stufa si scioglierà un
pochino”
Scoppio
a ridere per la battuta, ma Hitsugaya kun non può averla sentita, quindi per lui io sto ridendo
senza un apparente motivo, e questo mi preoccupa non poco.
“Due – e tu, là fuori
smettila, di ridere -: è troppo bello per te”
“Guarda
che lei è anche noi …”
-
Smettetela!! Non ci sto capendo più
niente - urlo scattando in piedi. Mi
fermo improvvisamente. Non ci credo. Ho urlato per davvero! E’ finita. Sono finita.
-
Ho urlato... vero? – chiedo sperando che, per qualche minuto, lui sia diventato
sordo.
-
Sì – risponde.
Nascondo
il viso fra le mani e cerco di formulare una frase di senso compiuto, ma
l’unica cosa che riesco a balbettare è: - Le vocine … - e indico la mia testa –
dentro … le vocine! – andare in giro in mutande sarebbe meno imbarazzante di
questo.
-
Ah – risponde atono.
-
Non sono pazza… non sono scema! –
-
D’accordo -
Smetto
di agitarmi e sbatto le palpebre diverse volte.
Che razza di risposta è quella?
-
Che c’è? Perché mi guardi così? –
-
Niente! – dico sorridendo. I sorrisi posso fare molto.
-
Allora? –
-
Eh? – piego un po’ la testa.
-
Che cosa vuoi sapere? – domanda un po’ scocciato.
-
Ah, sì! … voglio sapere perché gli Hollow mi stanno
cercando! –
Sbuffa
e guarda da un’altra parte. Hanno ragione le vocine: è davvero bello. E non
solo dico per l’aspetto, anche se non lo conosco c’è qualcosa nella sua voce,
nel suo sguardo, nel suo modo di atteggiarsi che mi attira, qualcosa che non ho
mai percepito prima. Una sensazione completamente sconosciuta e piacevole.
-
Mi stai ascoltando? –
-
Ah?! Scusa io … puoi iniziare da capo? –
-
Stai attenta, non lo ripeterò un’altra volta –
-
Okay! –
-
Hai un potere molto particolare: puoi rigenerare qualunque cosa... non importa
quanto sia grave la ferita, puoi sempre guarirla. Insomma, riporti le cose al
loro stato originale. Se usato per curare, come fai tu, è innocuo, ma ci sono
altri casi in cui può diventare pericoloso –
-
Ehm … ma io … -
-
Urahara mi ha detto che hai raggiunto livelli
altissimi. Riesci persino a rifiutare la morte –
-
Questo … questo era un segreto –
-
Suppongo, allora, che tu capisca il perché –
-
E che cosa vorrebbero far tornare? –
-
Avrai di certo sentito della guerra fra la Soul Society e Aizen
–
Annuisco.
-
Be’ è probabile che vogliano riportarlo in vita, è risaputo che i seguaci hanno
bisogno di una guida –
-
Hanno già perso una volta, che senso ha rifare una guerra che non vinceranno? –
-
Ma loro contano su di te, garantiresti loro l’immortalità –
-
Io … io non … lo riporterei mai in vita! –
-
Troverebbero il modo per costringerti –
-
Non lo farei, mia madre preferì andarsene
piuttosto che fare ciò che le chiedevano! Io farei lo stesso! –
-
Personalmente l’ho sempre trovata una mossa azzardata –
-
Non capisco –
Ma
non ha il tempo di spiegarsi perché nella stanza piombano Pyo
e Tatsuki. Le saluto, ma loro non guardano me bensì Hitsugaya kun, e l’espressione di
Tatsuki non sembra per niente rassicurante.
-
Eh … eh - rido come un’idiota – vi
presento Hitsugaya Toshiro kun! – esclamo cercando di ravvivare l’atmosfera, anche se
sono la prima ad essere triste.
-
Abbiamo già avuto la spiacevole opportunità di conoscerci – replica l’amica di
mia madre. Capisco subito che fra loro non c’è un buon rapporto.
-
Arisawa –
-
Hitsugaya –
Mi
sembra quasi di vedere lampi e fulmini tra di loro. E io sono in mezzo e potrei
venire abbrustolita. Pyo mi guarda compassionevole.
-
Cosa ci fai qui? – domanda Tatsuki.
Lui
la fissa come cercando la risposta da dare, poi si alza e inizia a camminare.
-
Non sono affari che ti riguardino, perciò vedi di non ostacolarmi –
Si
limita a osservarlo turpe, incrocia le braccia ed esce dalla stanza. Anche lui
se ne va.
***
Circondò
le gambe con le braccia e vi tuffò dentro la testa.
Sapeva
creare solo problemi, e non riusciva nemmeno a risolverli. Che razza di persona
inutile.
-
Come ti senti? – chiese Pyo sedendosi vicino.
-
Uno schifo –
-
Mi dispiace –
-
Lo so –
Era
un discorso senza entusiasmo, parole di circostanza per evitare di toccare
l’argomento più importante.
-
Qualunque cosa tu stia per chiedermi, per favore non farlo. Io non posso dire
niente –
La
voce di Hime suonò supplichevole alle orecchie
dell’amica.
Aveva
lo sguardo stanco e la voce mal ferma, ricurva sotto il peso del senso di
colpa.
Pyo sospirò.
-
Ho capito. Questi sono affari di Hime chan, che Hime chan deve risolvere. Ma se un giorno lei potrà e avrà
voglia di racontarli a Pyo,
Pyo sarà sempre lì per ascoltarla. Perciò Hime può sentirsi triste,
ma non sola. Ci saranno sempre tutti per Hime
– disse poco prima di alzarsi e avviarsi alla porta.
-
Grazie –
Rimasta
sola nella stanza, continuò a osservare il pavimento mentre rifletteva sulle
parole dello shinigami. Sarebbero venuti a prenderla
e si sarebbe scatenato un altro conflitto. Non conosceva i particolari della
guerra con Aizen, ma sapeva che c’erano state molte
vittime. Quanta gente doveva morire ancora perché capissero che non aveva
senso? Nessun obbiettivo giustificava il
massacro che si era perpetuato anni addietro, nessun dannatissimo capo avrebbe
lasciato i suoi sottoposti a morire come mosche, si sarebbe piuttosto
intromesso nella loro battaglia per salvarli dai nemici.
Orihime
diceva sempre che Aizen era una persona cattiva, che
per lui gli altri contavano meno di zero e che persino le persone che
fedelmente avevano ubbidito a ogni suo commando, le aveva lasciate svanire nel
nulla. E ogni volta che sua madre parlava di lui la voce diventava sottile e
gli occhi si spegnevano.
Pyo diceva che percepiva
paura, un terrore tremendo.
Hime
non ebbe mai l’opportunità di chiedere ulteriori spiegazioni alla madre.
-
Hime san, suo fratello si è svegliato e ha chiesto di
lei – l’informò Tessai. Si alzò di scatto, sussurrò
un “grazie mille” e corse a più non posso in direzione della stanza dove si
trovava Hashiro.
Si
fermò sulla porta.
Che
cosa poteva dire per scusarsi? Come avrebbe reagito lui?
-
Pensi rimanere lì per tutta la vita? –
-
Ah?! –
-
Entra! –
Fece
come chiesto dal ragazzo. Una volta dentro si limitò a osservare il pavimento.
In quelle ultime ore aveva un ossessivo interesse per il parquet.
Chiuse
gli occhi aspettando di ricevere la ramanzina, ma Hashiro
tacque.
-
Mi dispiace – disse non riuscendo più a sostenere quell’aria di pesante
silenzio che si era creato.
-
E per cosa? –
Alzò
la testa di scatto: voleva urlare, non ce la faceva più a tenersi dentro tutto.
-
Perché sei ferito, perché io non ti ho curato e perché ti hanno attaccato per
colpa mia e perch… -
-
Scusati anche per le volte che mi facevi le codine mentre dormivo sul divano –
-
Non è uno scherzo! – esclamò con le lacrime agli occhi – saresti potuto morire
… -
-
Ma sono ancora vivo –
-
Non importa! Questo non doveva succedere … è tutt … -
-
Smettila! –
-
Eh?! –
-
Di solito sono io quello che combina i casini, perciò non rubarmi il ruolo
proprio ora, Hime –
-
Non … non capisco –
-
Quella specie di shinigami con i capelli bianchi mi
ha spiegato tutto –
- Hitsugaya kun … -
-
Sì … suppongo che mi abbia detto il suo nome- disse tirandosi su con la forza
delle braccia.
-
Ehi! No! Che fai? Così ti si riaprono le ferite! Stai …. Stai gi … Ah! –
Il
movimento di Hashiro fu così veloce che non riuscì a
reagire, in pochi secondi si ritrovo stritolata fra le braccia di suo fratello.
Un abbraccio energico che la faceva sentire protetta.
***
Tatsuki
si sedette sul ciglio della strada; da lì riusciva a scorgere il traffico
cittadino. Era così lontano da sembrare quasi innaturale, come se fosse su un
altro pianeta.
“Quando
vengo qui, mi sembra che il resto del mondo sia distante anni luce con i suoi
rumori e problemi … mi piace stare qui” ripeteva spesso Orihime.
Lei
non aveva dato troppo peso a quelle parole, ma ora, a distanza di anni, sentiva
di poterle comprendere. Almeno un po’.
Doveva
tristemente ammettere di aver capito davvero poco l’unica persona che avesse
mai considerato come una sorella. Invece Orihime aveva sempre capito tutto di
lei, l’aveva appoggiata in tutto.
C’era
sempre stata per “Tatsuki chan”.
Lei,
al contrario, aveva criticato le scelte fatte dall’amica, ritenendole sbagliate
e poco coerenti.
Quando
Orhime iniziò a frequentare Grimmjow,
dovette passare davvero molto tempo affinché Tatsuki
si decidesse a parlare con “quello strano tipo dai capelli azzurri”.
Ma
anche in seguito, le cose non andarono come Orihime si sarebbe augurata: Tatsuki era gelosa, profondamente gelosa del fatto che
quell’uomo, dall’aria cattiva, avesse tutte le attenzioni dell’ amica. I
sorrisi di Orihime non erano più per lei, le battute di Orihime non erano per
far ridere lei. Era come se lui si fosse preso tutto e avesse scaricato il peso
dei suoi crimini su Inoue.
Infatti
sorrideva di meno o con un’aria nostalgica.
Ma,
ragionandoci in quel momento, Tatsuki si accorse che
Orihime aveva smesso da molto tempo di ridere come faceva di solito.
Sì:
quando era tornata da quel posto lo sguardo si era spento e le risate erano
diventate finte, false.
Sì.
Riguardando tutto da quel punto di vista, gli ultimi anni di vita della sua
amica avevano più senso, acquistavano un significato quasi completamente
diverso; nonostante ciò, era consapevole di non aver raggiunto la verità,
perché nessuno gliela voleva mostrare. Perché non erano affari suoi.
La
morte della sua migliore amica non la riguardava.
“E’
stato un incidente, ci dispiace” aveva detto anni fa Hitsugaya.
Avevano
inviato una persona completamente estranea, una persona che stonava.
Si
ricordava di aver cercato, fra la massa di shinigami
che erano di fronte a casa sua, il volto
di Ichigo.
E
lui ,dall’altra parte della strada, la fissava con lo sguardo vuoto e le
sopracciglia, di solito aggrottate, erano, in quell’occasione, contratte in una
smorfia di dolore.
Aveva
tolto dalla porta Hitsugaya con uno spintone e si era
diretta verso il vecchio amico.
Lo
aveva preso a pugni e a calci e lo aveva insultato. Gli aveva dato la colpa di
tutto.
E
lui non si era lamentato, non aveva cercato di bloccarla, non aveva risposto.
Prima
che venisse allontanata, aveva distinto chiaramente sul volto di Kurosaki delle lacrime e un singhiozzo.
Se
uccidere Ichigo avesse riportato in vita Orihime, lei
lo avrebbe fatto, a quel tempo.
Ma
con il passare degli anni, Tatsuki era riuscita a
comprendere che la sua amica era morta per
lui. Comportandosi in quel modo avrebbe reso del tutto vano il sacrificio
di Orihime e il suo amore sconfinato per un uomo che non l’aveva mai
corrisposta. Che la aveva illusa e poi lasciata.
Odiava
tutto quanto. Detestava tutto questo.
La
storia non poteva ripetersi, non doveva.
***
Se c’era qualcosa che infastidiva
l’imperturbabile Toshiro Hitsugaya,
era quell’orologio appeso sulla parete del negozio Urahara.
Da
diverse ore lo guardava scandire i secondi ed i minuti con il solito ticchettio
monotono.
Spostava
ritmicamente gli occhi dalla lancetta più lunga al pendolo che oscillava
costantemente, e lo avrebbe fatto, fino alla fine dei tempi.
00:00
Entrò
nel suo ufficio, vuoto e oscuro a quell’ora di notte. Rimase per qualche
istante sulla soglia, come se il suo cervello avesse smesso di dargli ordini.
Dopo qualche attimo si diresse con automatismo meccanico verso la scrivania
dove lo aspettava già un altro cumulo di fogli.
Prese
la penna e con movimenti precisi e naturali, quasi fosse nato per compierli,
iniziò a compilarli con la solita scrupolosità che lo distingueva dagli altri
capitani.
La
sua mente però, in quel momento, non era lì.
Toshiro,
quella notte, non stava svolgendo il lavoro in anticipo: stava cercando di
sfogarsi, senza riuscirci fra l’altro.
Pensava
continuamente a lei, e a ciò che una volta aveva provato per lei.
È curioso e triste al contempo come una persona
alla quale si è molto legati, in meno di un’ora possa diventare così poco.
Pensava
a lei, ma non riusciva a vederla come prima, non riusciva ad amarla come prima.
Come
se Momo non contasse niente, come se tutti quegli anni non fossero serviti a
niente.
Le
voleva bene, sì, ma poco. Troppo poco rispetto a prima.
E
questo faceva male, tanto male.
00:02
Socchiuse
gli occhi, come se volesse incenerire il pendolo. Il tempo trascorreva
velocemente, nel mondo reale.
Poteva
percepire il passare del tempo sugli oggetti, ma soprattutto sulle persone.
Come
la polvere ricopre gli oggetti, così il tempo segnava il viso della gente, e
marchiava a fuoco anche le loro anime.
Avevano
poco tempo, gli umani.
I
minuti passavano inesorabilmente, diventando piccoli kamikaze che si
schiantavano contro di lui, arrugginendo la sua speranza e lasciando segni
tangibili sulla sua pelle. Diventando cadaveri di momenti che non tornano mai,
come un obitorio del tempo, come un esercito del passato.
Crudeli,
deliziosamente crudeli, perché a loro piaceva morire, mentre le persone li
rincorrevano disperatamente, costantemente.
Del
resto non potevano fare altro, e nemmeno gli shinigami.
E
per lui non era diverso.
00:03
Muoveva
la mano senza pensare ai gesti che compiva. Come al solito controllava
costantemente l’orologio. Poi un movimento brusco quasi lo fece sobbalzare.
Lasciò andare la penna che rimbalzò per due volte, macchiando il foglio con due
punti di inchiostro.
La
donna dai capelli arancioni che gli stava davanti aveva una espressione triste
e gli occhi, di solito contenti e furbi, erano rossi e gonfi.
Qualunque
cosa avesse da dirgli, lui non voleva ascoltarla. Non in quel momento.
“Non
era a casa, capitano” disse poi finalmente il luogotenente. Entrò nella stanza
e chiuse il fusuma.
Lui
non rispose. Si alzò e si sedette sul divano, tanto per sfuggire allo sguardo
misero della donna.
“Capitano
…”
“Non
mi va di parlarne …”
“Magari
…”
“Né
ora né mai, Matsumoto” disse perentorio.
La
donna annuì tenendo lo sguardo basso. Hitsugaya non
ebbe il coraggio di guardarla: non avrebbe sopportato altre inutili lacrime.
Si
sforzò di osservare il paesaggio fuori dalla sua finestra, ma il buio e le
pioggia fitta rendevano quasi impossibile la sua contemplazione.
Due
ali si muovevano nella oscurità ed aspettavano che venisse aperta loro la
finestra. Toshiro si alzò e con movimenti così lenti
da sembrare eterni, l’aprì.
La
farfalla si diresse a piccoli giri verso la tenente, che la fissò con aria
perplessa come se non capisse cosa dovesse fare.
“Dimmi
il messaggio” ordinò esasperato il capitano, vedendo che quella non accennava a
muoversi.
Lei
annuì senza convinzione. Alzò la mano e aspettò che la farfalla si posasse su
di essa.
“A
tutti i capitani del gotei tredici: s’informa che la
missione affidata al capitano della quinta brigata, Ichigo
Kurasaki, è fallita” la voce di Matsumoto
s’incrinò ulteriormente, diventando un sussurro piatto “ I capitani Kuchiki Byakuya e Hitsugaya Toshiro sono pregati di
recarsi al più presto verso i sekaimon”
Lasciò
cadere il braccio senza delicatezza e il suo sguardo spento spaventò il suo
capitano.
“Matsumoto …” iniziò avvicinandosi.
Lei
scosse la testa e gli occhi vuoti si riempirono, di terrore.
Indietreggiò.
“Matsumoto …”
Scosse
la testa con più convinzione.
“Mi
spiace. So che era una tua amica” fu l’unica cosa che riuscì a dire.
Lei
chiuse gli occhi per provare a calmarsi e, per fortuna di Toshiro,
questi rimasero asciutti.
L’oltrepassò
ma venne fermato dalla sua voce tentennante.
“Vengo
con lei, capitano”
“Hai
già fatto abbastanza, torna a casa, Matsumoto.”
replicò chiudendo il fusuma dietro di lui.
00:05
I
suoi occhi ormai erano incatenati al movimento del pendolo. E quando si ritrovò
due grandi occhi neri a un palmo dal suo viso non poté fare altro che tirarsi
all’indietro.
La
ragazza lo guardò seria.
-
È tutto a posto, Hitsugaya kun?
– domandò.
Annuì.
-
Mi spiace aver interrotto i tuoi pensieri! – esclamò dopo un breve silenzio. –
solo che era da un po’ di tempo che eri li fermo a fissare l’orologio - si
giustificò segnalando l’oggetto con la mano libera, nell’altra teneva un affare
nero e rettangolare; Toshiro non riuscì ad
identificarlo meglio.
-
Da un po’? Precisamente da quanto è che mi osservi? – chiese piuttosto
infastidito.
-
Beeep! Beccata! – esclamò grattandosi il capo,
imbarazzata.
Rimasero
un attimo in silenzio.
Nella
penombra della stanza non riusciva a distinguere i tratti del viso di Hime, tanto che avrebbe potuto affermare che si trovava di
fronte alla copia identica di Orihime. Ma avendola osservata a lungo durante la
cena -non perché avesse particolare interesse- doveva dire che in realtà non si
assomigliavano poi così tanto.
Il
fisico prosperoso di Orihime, che ricordava fastidiosamente quello della sua
tenente, non era stato ereditato da Hime, che era
magrolina ed esile. Inoltre la ragazza aveva gli occhi neri e alcune lentiggini
sul volto.
I
lunghi capelli arancioni erano raccolti in due trecce ed indossava un pigiama
del medesimo colore.
-
Che ci fai ancora sveglia? – chiese – non avete qualcosa chiamato scuola, voi?
–
-
Sì … però non riuscivo a dormire – spiegò prendendo posto su una sedia del
tavolo – e poi mi sono ricordata che Pyo mi ha
prestato il suo portatile –
-
Portatile? –
-
È un computer … aspetta che te lo faccio vedere!! Ci sono moltissimi giochi! Ma
io non sono brava, magari tu sei più capace di me!!! –
Aveva
visto degli aggeggi simili solo nel istituto di tecnologia e ricerca ed erano
comunque più grossi.
-
Senti, Jagger… -
-
Hime! … preferisco se mi chiami Hime
–
-
D’accordo, Hime. Stavo pensando che sarebbe più
sicuro se ti accompagnassi a scuola, non si mai quando possono colpire gli Hollow, vorrei evitare incidenti come questo di oggi –
La
ragazza smise di armeggiare con il portatile e lo guardò per qualche istante,
senza proferire parola.
- Suppongo che sarà abbastanza fastidioso,
però … -
-
È fantastico – sussurrò, poi come rendendosi conto delle sue parole, scosse la
testa - cioè no … volevo dire che … per
me va bene … si ecco per me va bene- balbettò.
-
Bene –
Rimasero,
ancora una volta, in silenzio, a fissarsi.
Non
avrebbe saputo dire il perché, ma quella ragazza …
Non
riuscì a concludere il pensiero giacché fu interrotto da una musichetta
proveniente dal cosiddetto “portatile”.
-
Guarda è già pronto – lo informò Hime. – vuoi
provarci tu? Io non sono capace!! Guarda si fa così …
***
Con
movimenti fluidi e sorprendentemente precisi – non sapeva di possedere certe
attitudini, soprattutto manuali – finì d’incartare il grazioso diario arancione
che aveva tenuto , fino a qualche minuto fa, tra le mani.
Lo
guardò con una certa nostalgia, chissà per quanto non lo avrebbe più rivisto.
Lo appoggiò sul tavolo di fronte a lui avendo l’accortezza di non produrre alcun
rumore: era diventato parecchio nervoso in quel periodo; preferiva tacere e
guardarsi dietro le spalle, costantemente. Era nel covo della volpe, e lui era
solo una gallina.
Senza
accorgersi si ritrovò a pensare alla sera di molti anni fa, quando aveva
sottratto quel diario alla vera proprietaria. Un furto del quale non si pentiva
affatto, e anche se la donna probabilmente lo aveva odiato per il suo gesto,
lui si era sempre sentito sereno. Almeno aveva l’illusione di sapere qualcosa
di quell’essere che tanto l’incuriosiva, di quella persona che fu capace di
provare pietà per qualcuno che l’aveva maltrattata e strappata dal suo mondo.
Sentì
un frusciò di vesti appena fuori dalla stanza e alzò il capo con uno scatto
minaccioso e gli occhi attenti, inconsapevolmente aveva portato la mano vicino
alla sua spada: non si sapeva mai, in territorio nemico meglio essere sempre
prudenti.
Ma,
con suo grande sollievo, incrociò solo due occhi azzurri, freddamente rabbiosi.
Si chiedeva come quella donna avesse potuto amare la sua completa antitesi.
-
Non spaventarti così. Sono solo io – disse l’altro entrando. Il suo sguardo
diventò di rimprovero, non si usava più chiedere permesso? Ad ogni modo preferì
tacere. – Non fare quella faccia – aggiunse ancora sorprendendolo. La donna lo
aveva cambiato. Era da anni che trattava con quella “pantera” eppure ogni volta
che lo trovava di fronte quasi si spaventava. Come se lo riscoprisse ogni
giorno diverso. Quella donna rimaneva davvero un mistero, perché non era certo
merito della pantera, ma di quella donna.
Tirò
fuori una mano dalle tasche e prese il pacchetto appena lasciato da lui sul
tavolo, lo seguì con gli occhi.
-
Per Hime – sussurrò poi leggendo nella pseudo carta
da regalo. Lo lanciò malamente sul tavolo. – ti sei pure sforzato di scegliere
una carta del suo colore preferito – commentò con il preciso intento di
deriderlo.
-
Mi sorprendi, Grimmjow. Non credevo ricordassi quale
fosse il suo colore preferito – replicò pacatamente.
Lo
sguardo dell’altro divenne minaccioso: a Ulquiorra
sembrò quasi che si fosse offeso, non che a lui interessasse particolarmente ma
voleva capire quell’uomo, la persona che la donna aveva scelto.
-
Si può sapere con quale diritto la regali a qualcuno? Non ti apparteneva, al
massimo sarei io a dovermelo tenere – fece per allungare la mano, ma il quarto
espada fu decisamente più veloce.
-
Non mi sembra t’importi molto. Non hai mosso un dito per salvare Orihime. Non
hai mai voluto rivedere i tuoi figli – rispose un po’ scocciato. Stava perdendo
tempo, e in quel momento il tempo era una variabile fondamentale, anche solo
qualche minuto avrebbe potuto fare la differenza. Si avviò verso la porta
segnando la fine della loro breve conversazione.
-
Non parlare di cose che non conosci. Prima o poi mi riprenderò ciò che mi
appartiene – ringhiò Grimmjow poco prima che l’altro
espada sparisse.
Angolino
di Hoshimi
Ehilà,
ladies and gentleman! Ricompaio nei vostri schermi
dopo più di non so quanti accidenti di mesi XD. Spero possiate perdonarmi; ho
avuto poca ispirazione in questo periodo, avevo poi finito di scrivere questo
capitolo da molto tempo ma non ne ero mai soddisfatta, e finora devo dire che
il dialogo fra Toshiro e Hime
non mi convince particolarmente, perciò è probabile che apporti delle
modifiche, anche perché contatterò la mia beta... solo che non ho voluto farvi
aspettare oltre e l’ho postato così... Mi auguro non faccia troppo schifo. Se avete un qualunque tipo di consiglio è ben
accettato, serve solo a migliorarmi e ne ho bisogno... davvero tanto. Adesso
smetto di parlare e rispondo alle recensioni.
-
Black Hayate: grazie mille
per la recensione … ti ha preso il pezzo di Momo? Io quando l’ho scritto mi
sono divertita molto, è stata dura ma sono contenta ti abbia colpita ^^ . Alla
prossima.
-
valerya90 : Grazieeee!! Per me è sempre bello quando
mi dicono che scrivo bene **, è un gran bel complimento, grazie grazie grazie. Eh eh! Sono successe molte cose in questo capitolo XD.
-Yoko_kun:
La sparizione di Grimmjow? Sì, anche a me è piaciuta
molto scriverla ed è una fra le parti che più problemi mi ha creato, dopo “Lo
Schiaffo” (sorride sadica mentre si rigode la scena). Sono contenta che tu
abbia trovato giusto il fatto che Grimmjow se ne
andasse perché ero abbastanza riluttante all’idea (avevo pensato persino di
farlo morire XD). Grazie e alla prossima ^^ .
-edwardandme: Sono contenta che la trama ti sembri avvincente,
non segui Bleach? Dovresti iniziare! È gran bel
manga/anime. Anche se Twilight non mi piace, anzi sai
perfettamente che mi sono rifiutata di andare avanti nella lettura dopo le
prime 50 pagine di New Moon, ho letto la
tua FF e mi è piaciuta la trama originale … e il fatto che Bella (ride di
cattiveria) … Bravissima così si fa! XD Grazie ancora e alla prossima ^^