Anime & Manga > Bleach
Segui la storia  |       
Autore: Hoshimi    22/12/2009    7 recensioni
Aizen è stato sconfitto. Orihime Inoue scompare improvvisamente. Ichigo arriva troppo tardi. La stessa sera in cui Orihime vede la fine della sua vita, un altro legame si spezza. "Ora non erano più Toshiro e Momo. Ora lui era Hitsugaya e lei Hinamori.Due persone divise, due vite perpendicolari : si erano incontrate in un punto ma ciò non sarebbe successo, mai più." Il primo capitolo parla di qualche anno prima che la vicenda si evolva (manca infatti il secondo protagonista che è un personaggio inventato da me, la figlia di Orihime). Spero di avervi incuriositi, almeno un po'. (Non so se i personaggi sono OOC ma lo metto per evitare brutte sorprese)
Genere: Romantico, Malinconico, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Hitsugaya Toushirou, Un pò tutti
Note: OOC, What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 4

Il regalo di uno sconosciuto, il primo indizio.

Al di là della finestra c’era solo una strada vuota, l’acqua scivolava su di essa ed andava ad accumularsi nelle pozzanghere, portando tutte le sporcizie che trova nel suo cammino. Si chiese perché non poteva essere come l’acqua, lavare via tutto e depositarsi in un luogo, poi il sole l’avrebbe fatta evaporare e tutto sarebbe rimasto lì, a terra, in un buco, lontano dalla strada e da lei.

Invece, se riusciva ad alleviare qualche dolore –ammesso che ci riuscisse- non riusciva a toglierselo di dosso, e finiva per addossarsi colpe che non aveva, ad impicciarsi in questioni che non la riguardavano. Come aveva fatto quella sera con Momo.

Aveva sbagliato, lo ammetteva, eppure non riusciva a sentirsi dispiaciuta per il sonoro schiaffo che aveva rifilato ad una perplessa Hinamori.

Quella razza di cagna traditrice... voleva vederla soffrire, piangere, disperarsi come era successo al suo capitano –non che lei lo avesse mai visto piangere, ma immaginava avesse fatto ciò, quando si ritrovò a casa solo, dopo aver scoperto l’infedeltà della persona che amava di più al mondo -.

Anni fa, quando Hitsugaya e Momo erano nel bel mezzo della loro bellissima relazione, ricordava di averli visti in un parco, nel rukongai: passeggiavano. Aveva notato che il suo capitano rideva, felice.

La prima volta che lo vedesse ridere così liberamente, spensieratamente. Pensò, allora, che Momo fosse la donna adatta a quel ragazzino glaciale che nel frattempo si era fatto uomo: un bellissimo uomo, per la precisione.

Credeva che di lì a poco si sarebbero sposati; convivevano da un po’ ed era normale pensarla così. Ma improvvisamente la coppia più bella della Soul Society si ruppe. Senza alcun motivo, non ci furono litigate, niente. Matsumoto credeva fosse stato proprio questo a ferire di più Toshiro. Chissà da quanto tempo Hinamori teneva nascosta quella relazione, da quanto aveva smesso di amarlo? Lo aveva mai amato? Si era concessa così al primo arrivato in casa?

Si era scervellata per anni e aveva concluso fosse solo confusione: Momo si era trovata sola e fragile agli inganni di quello e si era lasciata trasportare dalla passione del momento. Per questo aveva cercato di convincere il suo capitano a perdonarla. Ma lei, per una seconda volta, stava per ferirlo... si stava sposando! Quella relazione, allora, si era già consumata anche prima di quella sera.

Era uno schifo... odiava quella cagna e il suo consorte.

Cosa doveva fare ora Rangiku Matsumoto? Se ne doveva stare a casa ed aspettare il ritorno del suo capitano. Questo era ciò che doveva fare come tenente; ma come essere umano sentiva di doverlo dire a Toshiro. Doveva.

***

Esco dalla stanza con una espressione abbattuta. Mio fratello è stato ferito e io non posso fare niente per curarlo, rischierei solo di metterlo più in pericolo. Non mi sono mai sentita così inutile in vita mia.

Sto camminando per il corridoio quando lo vedo: Hitsugaya kun è in piedi appoggiato sul muro e mi segue con lo sguardo. Cerco di sorridere ma non riesco a fare altro che una smorfia spaventosa; lui mi fa un cenno con il capo e inizia ad allontanarsi.

Faccio un profondo respiro e prendo la mia decisione: voglio sapere esattamente cosa sta succedendo.

- Hitsugaya kun … vorrei … vorrei che mi spiegassi … questo – balbetto fissando il pavimento, non ho il coraggio di guardarlo in faccia.

Sembra pensarci su, non so se lo faccia per torturarmi o se veramente ci stia riflettendo, fatto sta che mi chiede di seguirlo in salotto. E io lo faccio.

Ci sediamo l’uno di fronte all’altra. Deglutisco e aspetto che sia lui a parlare, ma si limita a osservarmi.

Mi sento sciogliere sotto quell’occhiata ghiacciata, per quanto paradossale possa sembrare.

- Bene. Che cosa vuoi sapere? –

Mi guardo intorno sperando che i mobili mi diano la risposta.

“Non fare quella faccia da ebete”

Ecco che si ricomincia.

“No, va benissimo. Quell’espressione piace ai maschi”

“Stai zitta che non capisci niente”

Agito la testa cercando di scacciare le voci: ho questa brutta abitudine, quando sono nervosa.

Infatti ora lui mi sta guardando con una certa diffidenza, devo sembrare una pazza.

“Non agitarti come un pesce fuori acqua”

“ E’ la tua voce che glielo fa fare”

“ Chiudi il becco, qui bisogna recuperare la situazione”

“Uno: questo tizio sembra di marmo, neanche se ci mettessi vicino una stufa si scioglierà un pochino”

Scoppio a ridere per la battuta, ma Hitsugaya kun non può averla sentita, quindi per lui io sto ridendo senza un apparente motivo, e questo mi preoccupa non poco.

“Due – e tu, là fuori smettila, di ridere -: è troppo bello per te”

“Guarda che lei è anche noi …”

- Smettetela!! Non ci sto capendo più niente - urlo scattando in piedi. Mi fermo improvvisamente. Non ci credo. Ho urlato per davvero! E’ finita. Sono finita.

- Ho urlato... vero? – chiedo sperando che, per qualche minuto, lui sia diventato sordo.

- Sì – risponde.

Nascondo il viso fra le mani e cerco di formulare una frase di senso compiuto, ma l’unica cosa che riesco a balbettare è: - Le vocine … - e indico la mia testa – dentro … le vocine! – andare in giro in mutande sarebbe meno imbarazzante di questo.

- Ah – risponde atono.

- Non sono pazza… non sono scema! –

- D’accordo -

Smetto di agitarmi e sbatto le palpebre diverse volte. Che razza di risposta è quella?

- Che c’è? Perché mi guardi così? –

- Niente! – dico sorridendo. I sorrisi posso fare molto.

- Allora? –

- Eh? – piego un po’ la testa.

- Che cosa vuoi sapere? – domanda un po’ scocciato.

- Ah, sì! … voglio sapere perché gli Hollow mi stanno cercando! –

Sbuffa e guarda da un’altra parte. Hanno ragione le vocine: è davvero bello. E non solo dico per l’aspetto, anche se non lo conosco c’è qualcosa nella sua voce, nel suo sguardo, nel suo modo di atteggiarsi che mi attira, qualcosa che non ho mai percepito prima. Una sensazione completamente sconosciuta e piacevole.

- Mi stai ascoltando? –

- Ah?! Scusa io … puoi iniziare da capo? –

- Stai attenta, non lo ripeterò un’altra volta –

- Okay! –

- Hai un potere molto particolare: puoi rigenerare qualunque cosa... non importa quanto sia grave la ferita, puoi sempre guarirla. Insomma, riporti le cose al loro stato originale. Se usato per curare, come fai tu, è innocuo, ma ci sono altri casi in cui può diventare pericoloso –

- Ehm … ma io … -

- Urahara mi ha detto che hai raggiunto livelli altissimi. Riesci persino a rifiutare la morte –

- Questo … questo era un segreto –

- Suppongo, allora, che tu capisca il perché –

- E che cosa vorrebbero far tornare? –

- Avrai di certo sentito della guerra fra la Soul Society e Aizen

Annuisco.

- Be’ è probabile che vogliano riportarlo in vita, è risaputo che i seguaci hanno bisogno di una guida –

- Hanno già perso una volta, che senso ha rifare una guerra che non vinceranno? –

- Ma loro contano su di te, garantiresti loro l’immortalità –

- Io … io non … lo riporterei mai in vita! –

- Troverebbero il modo per costringerti –

- Non lo farei, mia madre preferì andarsene piuttosto che fare ciò che le chiedevano! Io farei lo stesso! –

- Personalmente l’ho sempre trovata una mossa azzardata –

- Non capisco –

Ma non ha il tempo di spiegarsi perché nella stanza piombano Pyo e Tatsuki. Le saluto, ma loro non guardano me bensì Hitsugaya kun, e l’espressione di Tatsuki non sembra per niente rassicurante.

- Eh … eh - rido come un’idiota – vi presento Hitsugaya Toshiro kun! – esclamo cercando di ravvivare l’atmosfera, anche se sono la prima ad essere triste.

- Abbiamo già avuto la spiacevole opportunità di conoscerci – replica l’amica di mia madre. Capisco subito che fra loro non c’è un buon rapporto.

- Arisawa

- Hitsugaya

Mi sembra quasi di vedere lampi e fulmini tra di loro. E io sono in mezzo e potrei venire abbrustolita. Pyo mi guarda compassionevole.

- Cosa ci fai qui? – domanda Tatsuki.

Lui la fissa come cercando la risposta da dare, poi si alza e inizia a camminare.

- Non sono affari che ti riguardino, perciò vedi di non ostacolarmi –

Si limita a osservarlo turpe, incrocia le braccia ed esce dalla stanza. Anche lui se ne va.

***

Circondò le gambe con le braccia e vi tuffò dentro la testa.

Sapeva creare solo problemi, e non riusciva nemmeno a risolverli. Che razza di persona inutile.

- Come ti senti? – chiese Pyo sedendosi vicino.

- Uno schifo –

- Mi dispiace –

- Lo so –

Era un discorso senza entusiasmo, parole di circostanza per evitare di toccare l’argomento più importante.

- Qualunque cosa tu stia per chiedermi, per favore non farlo. Io non posso dire niente –

La voce di Hime suonò supplichevole alle orecchie dell’amica.

Aveva lo sguardo stanco e la voce mal ferma, ricurva sotto il peso del senso di colpa.

Pyo sospirò.

- Ho capito. Questi sono affari di Hime chan, che Hime chan deve risolvere. Ma se un giorno lei potrà e avrà voglia di racontarli a Pyo, Pyo sarà sempre lì per ascoltarla. Perciò Hime può sentirsi triste, ma non sola. Ci saranno sempre tutti per Hime – disse poco prima di alzarsi e avviarsi alla porta.

- Grazie –

 

Rimasta sola nella stanza, continuò a osservare il pavimento mentre rifletteva sulle parole dello shinigami. Sarebbero venuti a prenderla e si sarebbe scatenato un altro conflitto. Non conosceva i particolari della guerra con Aizen, ma sapeva che c’erano state molte vittime. Quanta gente doveva morire ancora perché capissero che non aveva senso? Nessun obbiettivo giustificava il massacro che si era perpetuato anni addietro, nessun dannatissimo capo avrebbe lasciato i suoi sottoposti a morire come mosche, si sarebbe piuttosto intromesso nella loro battaglia per salvarli dai nemici.

Orihime diceva sempre che Aizen era una persona cattiva, che per lui gli altri contavano meno di zero e che persino le persone che fedelmente avevano ubbidito a ogni suo commando, le aveva lasciate svanire nel nulla. E ogni volta che sua madre parlava di lui la voce diventava sottile e gli occhi si spegnevano.

Pyo diceva che percepiva paura, un terrore tremendo.

Hime non ebbe mai l’opportunità di chiedere ulteriori spiegazioni alla madre.

- Hime san, suo fratello si è svegliato e ha chiesto di lei – l’informò Tessai. Si alzò di scatto, sussurrò un “grazie mille” e corse a più non posso in direzione della stanza dove si trovava Hashiro.

Si fermò sulla porta.

Che cosa poteva dire per scusarsi? Come avrebbe reagito lui?

- Pensi rimanere lì per tutta la vita? –

- Ah?! –

- Entra! –

Fece come chiesto dal ragazzo. Una volta dentro si limitò a osservare il pavimento. In quelle ultime ore aveva un ossessivo interesse per il parquet.

Chiuse gli occhi aspettando di ricevere la ramanzina, ma Hashiro tacque.

- Mi dispiace – disse non riuscendo più a sostenere quell’aria di pesante silenzio che si era creato.

- E per cosa? –

Alzò la testa di scatto: voleva urlare, non ce la faceva più a tenersi dentro tutto.

- Perché sei ferito, perché io non ti ho curato e perché ti hanno attaccato per colpa mia e perch… -

- Scusati anche per le volte che mi facevi le codine mentre dormivo sul divano –

- Non è uno scherzo! – esclamò con le lacrime agli occhi – saresti potuto morire … -

- Ma sono ancora vivo –

- Non importa! Questo non doveva succedere … è tutt … -

- Smettila! –

- Eh?! –

- Di solito sono io quello che combina i casini, perciò non rubarmi il ruolo proprio ora, Hime

- Non … non capisco –

- Quella specie di shinigami con i capelli bianchi mi ha spiegato tutto –

- Hitsugaya kun … -

- Sì … suppongo che mi abbia detto il suo nome- disse tirandosi su con la forza delle braccia.

- Ehi! No! Che fai? Così ti si riaprono le ferite! Stai …. Stai gi … Ah! –

Il movimento di Hashiro fu così veloce che non riuscì a reagire, in pochi secondi si ritrovo stritolata fra le braccia di suo fratello. Un abbraccio energico che la faceva sentire protetta.

***

Tatsuki si sedette sul ciglio della strada; da lì riusciva a scorgere il traffico cittadino. Era così lontano da sembrare quasi innaturale, come se fosse su un altro pianeta.

“Quando vengo qui, mi sembra che il resto del mondo sia distante anni luce con i suoi rumori e problemi … mi piace stare qui” ripeteva spesso Orihime.

Lei non aveva dato troppo peso a quelle parole, ma ora, a distanza di anni, sentiva di poterle comprendere. Almeno un po’.

Doveva tristemente ammettere di aver capito davvero poco l’unica persona che avesse mai considerato come una sorella. Invece Orihime aveva sempre capito tutto di lei, l’aveva appoggiata in tutto.

C’era sempre stata per “Tatsuki chan”.

Lei, al contrario, aveva criticato le scelte fatte dall’amica, ritenendole sbagliate e poco coerenti.

Quando Orhime iniziò a frequentare Grimmjow, dovette passare davvero molto tempo affinché Tatsuki si decidesse a parlare con “quello strano tipo dai capelli azzurri”.

Ma anche in seguito, le cose non andarono come Orihime si sarebbe augurata: Tatsuki era gelosa, profondamente gelosa del fatto che quell’uomo, dall’aria cattiva, avesse tutte le attenzioni dell’ amica. I sorrisi di Orihime non erano più per lei, le battute di Orihime non erano per far ridere lei. Era come se lui si fosse preso tutto e avesse scaricato il peso dei suoi crimini su Inoue.

Infatti sorrideva di meno o con un’aria nostalgica.

Ma, ragionandoci in quel momento, Tatsuki si accorse che Orihime aveva smesso da molto tempo di ridere come faceva di solito.

Sì: quando era tornata da quel posto lo sguardo si era spento e le risate erano diventate finte, false.

Sì. Riguardando tutto da quel punto di vista, gli ultimi anni di vita della sua amica avevano più senso, acquistavano un significato quasi completamente diverso; nonostante ciò, era consapevole di non aver raggiunto la verità, perché nessuno gliela voleva mostrare. Perché non erano affari suoi.

La morte della sua migliore amica non la riguardava.

“E’ stato un incidente, ci dispiace” aveva detto anni fa Hitsugaya.

Avevano inviato una persona completamente estranea, una persona che stonava.

Si ricordava di aver cercato, fra la massa di shinigami che erano di fronte a casa sua, il volto di Ichigo.

E lui ,dall’altra parte della strada, la fissava con lo sguardo vuoto e le sopracciglia, di solito aggrottate, erano, in quell’occasione, contratte in una smorfia di dolore.

Aveva tolto dalla porta Hitsugaya con uno spintone e si era diretta verso il vecchio amico.

Lo aveva preso a pugni e a calci e lo aveva insultato. Gli aveva dato la colpa di tutto.

E lui non si era lamentato, non aveva cercato di bloccarla, non aveva risposto.

Prima che venisse allontanata, aveva distinto chiaramente sul volto di Kurosaki delle lacrime e un singhiozzo.

Se uccidere Ichigo avesse riportato in vita Orihime, lei lo avrebbe fatto, a quel tempo.

Ma con il passare degli anni, Tatsuki era riuscita a comprendere che la sua amica era morta per lui. Comportandosi in quel modo avrebbe reso del tutto vano il sacrificio di Orihime e il suo amore sconfinato per un uomo che non l’aveva mai corrisposta. Che la aveva illusa e poi lasciata.

Odiava tutto quanto. Detestava tutto questo.

La storia non poteva ripetersi, non doveva.

***

Se c’era qualcosa che infastidiva l’imperturbabile Toshiro Hitsugaya, era quell’orologio appeso sulla parete del negozio Urahara.

Da diverse ore lo guardava scandire i secondi ed i minuti con il solito ticchettio monotono.

Spostava ritmicamente gli occhi dalla lancetta più lunga al pendolo che oscillava costantemente, e lo avrebbe fatto, fino alla fine dei tempi.

00:00

Entrò nel suo ufficio, vuoto e oscuro a quell’ora di notte. Rimase per qualche istante sulla soglia, come se il suo cervello avesse smesso di dargli ordini. Dopo qualche attimo si diresse con automatismo meccanico verso la scrivania dove lo aspettava già un altro cumulo di fogli.

Prese la penna e con movimenti precisi e naturali, quasi fosse nato per compierli, iniziò a compilarli con la solita scrupolosità che lo distingueva dagli altri capitani.

La sua mente però, in quel momento, non era lì.

Toshiro, quella notte, non stava svolgendo il lavoro in anticipo: stava cercando di sfogarsi, senza riuscirci fra l’altro.

Pensava continuamente a lei, e a ciò che una volta aveva provato per lei.

È curioso e triste al contempo come una persona alla quale si è molto legati, in meno di un’ora possa diventare così poco.

Pensava a lei, ma non riusciva a vederla come prima, non riusciva ad amarla come prima.

Come se Momo non contasse niente, come se tutti quegli anni non fossero serviti a niente.

Le voleva bene, sì, ma poco. Troppo poco rispetto a prima.

E questo faceva male, tanto male.

00:02

Socchiuse gli occhi, come se volesse incenerire il pendolo. Il tempo trascorreva velocemente, nel mondo reale.

Poteva percepire il passare del tempo sugli oggetti, ma soprattutto sulle persone.

Come la polvere ricopre gli oggetti, così il tempo segnava il viso della gente, e marchiava a fuoco anche le loro anime.

Avevano poco tempo, gli umani.

I minuti passavano inesorabilmente, diventando piccoli kamikaze che si schiantavano contro di lui, arrugginendo la sua speranza e lasciando segni tangibili sulla sua pelle. Diventando cadaveri di momenti che non tornano mai, come un obitorio del tempo, come un esercito del passato.

Crudeli, deliziosamente crudeli, perché a loro piaceva morire, mentre le persone li rincorrevano disperatamente, costantemente.

Del resto non potevano fare altro, e nemmeno gli shinigami.

E per lui non era diverso.

00:03

Muoveva la mano senza pensare ai gesti che compiva. Come al solito controllava costantemente l’orologio. Poi un movimento brusco quasi lo fece sobbalzare. Lasciò andare la penna che rimbalzò per due volte, macchiando il foglio con due punti di inchiostro.

La donna dai capelli arancioni che gli stava davanti aveva una espressione triste e gli occhi, di solito contenti e furbi, erano rossi e gonfi.

Qualunque cosa avesse da dirgli, lui non voleva ascoltarla. Non in quel momento.

“Non era a casa, capitano” disse poi finalmente il luogotenente. Entrò nella stanza e chiuse il fusuma.

Lui non rispose. Si alzò e si sedette sul divano, tanto per sfuggire allo sguardo misero della donna.

“Capitano …”

“Non mi va di parlarne …”

“Magari …”

“Né ora né mai, Matsumoto” disse perentorio.

La donna annuì tenendo lo sguardo basso. Hitsugaya non ebbe il coraggio di guardarla: non avrebbe sopportato altre inutili lacrime.

Si sforzò di osservare il paesaggio fuori dalla sua finestra, ma il buio e le pioggia fitta rendevano quasi impossibile la sua contemplazione.

Due ali si muovevano nella oscurità ed aspettavano che venisse aperta loro la finestra. Toshiro si alzò e con movimenti così lenti da sembrare eterni, l’aprì.

La farfalla si diresse a piccoli giri verso la tenente, che la fissò con aria perplessa come se non capisse cosa dovesse fare.

“Dimmi il messaggio” ordinò esasperato il capitano, vedendo che quella non accennava a muoversi.

Lei annuì senza convinzione. Alzò la mano e aspettò che la farfalla si posasse su di essa.

“A tutti i capitani del gotei tredici: s’informa che la missione affidata al capitano della quinta brigata, Ichigo Kurasaki, è fallita” la voce di Matsumoto s’incrinò ulteriormente, diventando un sussurro piatto “ I capitani Kuchiki Byakuya e Hitsugaya Toshiro sono pregati di recarsi al più presto verso i sekaimon

Lasciò cadere il braccio senza delicatezza e il suo sguardo spento spaventò il suo capitano.

Matsumoto …” iniziò avvicinandosi.

Lei scosse la testa e gli occhi vuoti si riempirono, di terrore.

Indietreggiò.

Matsumoto …”

Scosse la testa con più convinzione.

“Mi spiace. So che era una tua amica” fu l’unica cosa che riuscì a dire.

Lei chiuse gli occhi per provare a calmarsi e, per fortuna di Toshiro, questi rimasero asciutti.

L’oltrepassò ma venne fermato dalla sua voce tentennante.

“Vengo con lei, capitano”

“Hai già fatto abbastanza, torna a casa, Matsumoto.” replicò chiudendo il fusuma dietro di lui.

00:05

I suoi occhi ormai erano incatenati al movimento del pendolo. E quando si ritrovò due grandi occhi neri a un palmo dal suo viso non poté fare altro che tirarsi all’indietro.

La ragazza lo guardò seria.

- È tutto a posto, Hitsugaya kun? – domandò.

Annuì.

- Mi spiace aver interrotto i tuoi pensieri! – esclamò dopo un breve silenzio. – solo che era da un po’ di tempo che eri li fermo a fissare l’orologio - si giustificò segnalando l’oggetto con la mano libera, nell’altra teneva un affare nero e rettangolare; Toshiro non riuscì ad identificarlo meglio.

- Da un po’? Precisamente da quanto è che mi osservi? – chiese piuttosto infastidito.

- Beeep! Beccata! – esclamò grattandosi il capo, imbarazzata.

Rimasero un attimo in silenzio.

Nella penombra della stanza non riusciva a distinguere i tratti del viso di Hime, tanto che avrebbe potuto affermare che si trovava di fronte alla copia identica di Orihime. Ma avendola osservata a lungo durante la cena -non perché avesse particolare interesse- doveva dire che in realtà non si assomigliavano poi così tanto.

Il fisico prosperoso di Orihime, che ricordava fastidiosamente quello della sua tenente, non era stato ereditato da Hime, che era magrolina ed esile. Inoltre la ragazza aveva gli occhi neri e alcune lentiggini sul volto.

I lunghi capelli arancioni erano raccolti in due trecce ed indossava un pigiama del medesimo colore.

- Che ci fai ancora sveglia? – chiese – non avete qualcosa chiamato scuola, voi? –

- Sì … però non riuscivo a dormire – spiegò prendendo posto su una sedia del tavolo – e poi mi sono ricordata che Pyo mi ha prestato il suo portatile –

- Portatile? –

- È un computer … aspetta che te lo faccio vedere!! Ci sono moltissimi giochi! Ma io non sono brava, magari tu sei più capace di me!!! –

Aveva visto degli aggeggi simili solo nel istituto di tecnologia e ricerca ed erano comunque più grossi.

- Senti, Jagger… -

- Hime! … preferisco se mi chiami Hime

- D’accordo, Hime. Stavo pensando che sarebbe più sicuro se ti accompagnassi a scuola, non si mai quando possono colpire gli Hollow, vorrei evitare incidenti come questo di oggi –

La ragazza smise di armeggiare con il portatile e lo guardò per qualche istante, senza proferire parola.

- Suppongo che sarà abbastanza fastidioso, però … -

- È fantastico – sussurrò, poi come rendendosi conto delle sue parole, scosse la testa - cioè no … volevo dire che … per me va bene … si ecco per me va bene- balbettò.

- Bene –

Rimasero, ancora una volta, in silenzio, a fissarsi.

Non avrebbe saputo dire il perché, ma quella ragazza …

Non riuscì a concludere il pensiero giacché fu interrotto da una musichetta proveniente dal cosiddetto “portatile”.

- Guarda è già pronto – lo informò Hime. – vuoi provarci tu? Io non sono capace!! Guarda si fa così …

***

Con movimenti fluidi e sorprendentemente precisi – non sapeva di possedere certe attitudini, soprattutto manuali – finì d’incartare il grazioso diario arancione che aveva tenuto , fino a qualche minuto fa, tra le mani.

Lo guardò con una certa nostalgia, chissà per quanto non lo avrebbe più rivisto. Lo appoggiò sul tavolo di fronte a lui avendo l’accortezza di non produrre alcun rumore: era diventato parecchio nervoso in quel periodo; preferiva tacere e guardarsi dietro le spalle, costantemente. Era nel covo della volpe, e lui era solo una gallina.

Senza accorgersi si ritrovò a pensare alla sera di molti anni fa, quando aveva sottratto quel diario alla vera proprietaria. Un furto del quale non si pentiva affatto, e anche se la donna probabilmente lo aveva odiato per il suo gesto, lui si era sempre sentito sereno. Almeno aveva l’illusione di sapere qualcosa di quell’essere che tanto l’incuriosiva, di quella persona che fu capace di provare pietà per qualcuno che l’aveva maltrattata e strappata dal suo mondo.

Sentì un frusciò di vesti appena fuori dalla stanza e alzò il capo con uno scatto minaccioso e gli occhi attenti, inconsapevolmente aveva portato la mano vicino alla sua spada: non si sapeva mai, in territorio nemico meglio essere sempre prudenti.

Ma, con suo grande sollievo, incrociò solo due occhi azzurri, freddamente rabbiosi. Si chiedeva come quella donna avesse potuto amare la sua completa antitesi.

- Non spaventarti così. Sono solo io – disse l’altro entrando. Il suo sguardo diventò di rimprovero, non si usava più chiedere permesso? Ad ogni modo preferì tacere. – Non fare quella faccia – aggiunse ancora sorprendendolo. La donna lo aveva cambiato. Era da anni che trattava con quella “pantera” eppure ogni volta che lo trovava di fronte quasi si spaventava. Come se lo riscoprisse ogni giorno diverso. Quella donna rimaneva davvero un mistero, perché non era certo merito della pantera, ma di quella donna.

Tirò fuori una mano dalle tasche e prese il pacchetto appena lasciato da lui sul tavolo, lo seguì con gli occhi.

- Per Hime – sussurrò poi leggendo nella pseudo carta da regalo. Lo lanciò malamente sul tavolo. – ti sei pure sforzato di scegliere una carta del suo colore preferito – commentò con il preciso intento di deriderlo.

- Mi sorprendi, Grimmjow. Non credevo ricordassi quale fosse il suo colore preferito – replicò pacatamente.

Lo sguardo dell’altro divenne minaccioso: a Ulquiorra sembrò quasi che si fosse offeso, non che a lui interessasse particolarmente ma voleva capire quell’uomo, la persona che la donna aveva scelto.

- Si può sapere con quale diritto la regali a qualcuno? Non ti apparteneva, al massimo sarei io a dovermelo tenere – fece per allungare la mano, ma il quarto espada fu decisamente più veloce.

- Non mi sembra t’importi molto. Non hai mosso un dito per salvare Orihime. Non hai mai voluto rivedere i tuoi figli – rispose un po’ scocciato. Stava perdendo tempo, e in quel momento il tempo era una variabile fondamentale, anche solo qualche minuto avrebbe potuto fare la differenza. Si avviò verso la porta segnando la fine della loro breve conversazione.

- Non parlare di cose che non conosci. Prima o poi mi riprenderò ciò che mi appartiene – ringhiò Grimmjow poco prima che l’altro espada sparisse.

 

Angolino di Hoshimi

Ehilà, ladies and gentleman! Ricompaio nei vostri schermi dopo più di non so quanti accidenti di mesi XD. Spero possiate perdonarmi; ho avuto poca ispirazione in questo periodo, avevo poi finito di scrivere questo capitolo da molto tempo ma non ne ero mai soddisfatta, e finora devo dire che il dialogo fra Toshiro e Hime non mi convince particolarmente, perciò è probabile che apporti delle modifiche, anche perché contatterò la mia beta... solo che non ho voluto farvi aspettare oltre e l’ho postato così... Mi auguro non faccia troppo schifo. Se avete un qualunque tipo di consiglio è ben accettato, serve solo a migliorarmi e ne ho bisogno... davvero tanto. Adesso smetto di parlare e rispondo alle recensioni.

- Black Hayate: grazie mille per la recensione … ti ha preso il pezzo di Momo? Io quando l’ho scritto mi sono divertita molto, è stata dura ma sono contenta ti abbia colpita ^^ . Alla prossima.

- valerya90 : Grazieeee!! Per me è sempre bello quando mi dicono che scrivo bene **, è un gran bel complimento, grazie grazie grazie. Eh eh! Sono successe molte cose in questo capitolo XD.

-Yoko_kun: La sparizione di Grimmjow? Sì, anche a me è piaciuta molto scriverla ed è una fra le parti che più problemi mi ha creato, dopo “Lo Schiaffo” (sorride sadica mentre si rigode la scena). Sono contenta che tu abbia trovato giusto il fatto che Grimmjow se ne andasse perché ero abbastanza riluttante all’idea (avevo pensato persino di farlo morire XD). Grazie e alla prossima ^^ .

-edwardandme: Sono contenta che la trama ti sembri avvincente, non segui Bleach? Dovresti iniziare! È gran bel manga/anime. Anche se Twilight non mi piace, anzi sai perfettamente che mi sono rifiutata di andare avanti nella lettura dopo le prime 50 pagine di New Moon, ho letto la tua FF e mi è piaciuta la trama originale … e il fatto che Bella (ride di cattiveria) … Bravissima così si fa! XD Grazie ancora e alla prossima ^^

 

  
Leggi le 7 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Bleach / Vai alla pagina dell'autore: Hoshimi