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Autore: Hayley Lecter    23/12/2009    2 recensioni
Ma la nostalgia di quel luogo, di quella sala, di quello specchio dove vedevo riflessa la mia immagine mentre ballavo a tempo di musica,fu inizialmente devastante, mano a mano che i giorni passavano ed ero cosciente che per qualche mese avrei abbandonato tutto e tutti lì. Tutto fu poi spazzato via da quella giornata passata a ridere ed a scherzare come non mai, a chiedersi cosa si sarebbe fatto per le vacanze e a raccomandarsi di non perdersi di vista. Ma perchè mai poi, c'era da raccomandarsi di farsi sentire? Avrei sentito e continuato a vedere quelle persone. Facevano parte della mia vita, e avrebbero fatto parte della mia lunga e spensierata vacanza. Perchè più delle altre questa, desideravo che fosse una delle estati più belle mai passate. Invece era solo l'inizio della fine.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Pensavo di aver capito tutto durante quella lezione di geografia, invece avevo già cancellato ogni cosa dalla mente,
e fissavo le nude pareti della mia stanza con il libro in mano, senza alcun interesse, quasi mi fossi incantata su di esse per studiarne la liscia e piatta forma.
Decisi che quelle pagine, quelle parole non sarebbero mai entrate a far parte della mia cultura quel giorno e così chiusi il libro e lo riposi nella libreria,
malgrado mi stessi peparando psicologicamente alla sfuriata dell'insegnante l'indomani.
Magari avrei chiesto un permesso e sarei uscita prima.
La mia mente era completamente altrove e capii che mi serviva uscire da quelle quattro mura, per respirare un pò di aria pulita e riflettere senza pressioni.
Avvertii mia madre che era seduta sul divano a guardare la tv, e lasciai alle mie spalle tutto ciò che in quella casa, in quel momento mi irritava.
Cominciai a scorrere il dito sull'ipod e la musica entrò in me, decisamente in modo migliore dell'intero capitolo che avevo da studiare.
La sciarpa a quadri verde petrolio mi copriva gran parte del viso, tenevo le mani dentro le tasche strette in pugni,
e più cercavo di distogliere lo sguardo dalla panchina poco distante da me, più i miei occhi ci ritornavano.
Improvvisamente mi bloccai.
Restavano due alternative, andarmi a sedere o continuare per la mia strada dritto per dritto. 
Non volevo evitare qualcosa che mi dava fastidio, così mi diressi verso i cancelli del parco per sfidare quella panchina tanto odiosa a muso duro.
Ad ogni passo, l'aria attorno a me sembrava farsi più pesante, e la tentazione di cambiare direzione si impossessò della mia coscienza per un attimo.
No, non ero arrivata fin lì per farmi suggestionare da una stupidissima panchina.
Mi guardai attorno, cosciente del fatto che un uomo, poco lontano da dove mi trovavo io,
portava al guinzaglio un magnifico labrador, che in quel momento era intento nell'annusare un cespuglio erboso.
Cominciai a guardare quella panchina di legno, così tanto amata, e adesso invece, odiata,
che mi venne in mente l'idea di appiccarle il fuoco e lasciarla bruciare come meritava.
Invece, dopo aver allentato la presa sul mio macabro pensiero, mi ci sedetti e restai in ascolto di quel silenzio,
che contrariamente portava messaggi, lasciava segni, mi parlava.
Tolsi dalle orecchie le cuffiette e continuai a guardare quel cane, che adesso era diventato un piccolo punto color champagne.
Fissai la ghiaia sotto alle mie consunte, nonchè vissute, Converse All Star nere,
due guerriere, combattenti, che avevano visto passarsi davanti un anno senza interruzione.
Piene di disegni, nomi, e date.
Di concerti, di giornate folli e felici.
Ma su una il mio sguardo si posò e vi restò per un bel pezzo. 25 giugno 2009.
Una macchia scura, si era impossessata del 5, così mi chinai verso la scarpa, per toglier via,
quella macchia, che nonostante le ripetute strofinate, non cedette mai.
Mi incazzai.
Pensai << vaffanculo, vaffanculo a questa scarpa, a questa data, vaffanculo mike! >> 
Mentre cercavo di rialzarmi da quella posizione, allo stesso tempo un uccello, sfrecciò a tutta velocità sopra la mia testa,
solo per pochi centimetri non mi aveva sfiorata, e cosa impressionante, cacciò un verso orribile e spaventoso,
di quelli che solo nei film si possono udire, sembrava esser salito dall'oltretomba.
Mi guardai intorno allibita, finchè lo vidi, appollaiato sul ramo di un albero accanto a me.
Non sembrava un uccello qualunque, non di città, o che comunque frequentano i parchi o le piazze.
Lo studiai bene.
Aveva la maggior parte del piumaggio grigio e diverse parti occupate da piume colorate, lucide e bellissime.
Aveva un non so che di tropicale, esotico.
Innaturale, un fenomeno del genere, in pieno inverno e assolutamente in un luogo non appropriato, trovarsi davanti un animale così.
Tornai in me, dopo aver fatto le mie personali constatazioni su quell'animale.
Portai le gambe sù, e me le strinsi con le braccia al petto, cosciente di aver fatto qualcosa di sbagliato.
Le lacrime non si fecero pregare due volte per scendere e cominciai a singhiozzare.
Afferrai l'ipod dalla tasca, le dita sicure trovarono meccanicamente la canzone, che, aveva fatto da sfondo alle mie giornate di quest'estate,
quella canzone che sentivo mia per ovvii motivi, che in un modo o nell'altro mi aveva salvata dalla solitudine. 
Le note di You Are Not Alone avevano riempito tante volte i miei vuoti, ed è per questo che non mi sentivo affatto sola, in quel momento.
Ma solamente rotta, come se una mano invisibile mi avesse asportato violentemente la voglia di vivere, di cantare, di sorridere, ma soprattutto di ballare.
Erano ormai circa 4 mesi che a scuola di ballo, nessuno mi aveva più vista entrare dal portoncino vetrato.
I poster, le foto, gli annunci attaccati sulla bacheca di legno, poi il corridoio lungo, gli spogliatoi,
e finalmente le sale da dove la musica riusciva a penetrare nei muri e portava armonia a chiunque passasse da quelle parti.
Come se fosse ieri, mi tornò in mente l'ultimo giorno, il giorno in cui tutti andavano in vacanza, e la sala al secondo piano,
era stata allestita con festoni e palloncini, lungo le pareti diversi tavoli pieni di panini, bibite e dolci, e sedie avevano preso posto.
Lo stereo urlava felice.
Assieme alle mie compagne del corso, ero occupata a fare foto e a riempirmi lo stomaco di patatine e popcorn.
Tutto era perfetto.
Ilaria, la nostra guida, il nostro punto di riferimento, la nostra insegnante, sedeva a lato della sala,
e parlava animatamente con Sean, un altro insegnante, il gioiello della "Time To Dancing School".
Si respirava un'aria chiaramente spensierata in ogni dove.
L'estate era arrivata, le scuole avevano chiuso i loro minacciosi cancelli, e orde di ragazzi si muovevano in gruppo dappertutto,
ormai liberi di girare e fare il proprio comodo, senza l'obbligo di svolgere compiti o di stare al chiuso, 
per fissare nella mente concetti, definizioni, risolvere equazioni.
Il sole invitante, la voglia di tuffarsi in piscina, di divertimento, di musica, erano palpabili all'ennesima potenza.
Ma la nostalgia di quel luogo, di quella sala, di quello specchio dove vedevo riflessa la mia immagine mentre ballavo a tempo di musica,
 fu inizialmente devastante, mano a mano che i giorni passavano ed ero cosciente
che per qualche mese avrei abbandonato tutto e tutti lì.
Tutto fu poi spazzato via da quella giornata passata a ridere ed a scherzare come non mai,
a chiedersi cosa si sarebbe fatto per le vacanze e a raccomandarsi di non perdersi di vista.
Ma perchè mai poi, c'era da raccomandarsi di farsi sentire?
Avrei sentito e continuato a vedere quelle persone.
Facevano parte della mia vita, e avrebbero fatto parte della mia lunga e spensierata vacanza.
Perchè più delle altre questa, desideravo che fosse una delle estati più belle mai passate.
Invece era solo l'inizio della fine.
 
 
  
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