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Autore: candidalametta    24/12/2009    1 recensioni
Tre racconti di natale. uno per ogni componente, come la più classica delle tradizioni, uno volto al passato, uno al presente, uno al futuro...
Genere: Malinconico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jared Leto, Shannon Leto, Tomo Miličević
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Come gocce di pioggia



scatto
flash
pausa
nuova inquadratura.

Il pollice destro fa scattare la piccola leva posta in alto sulla macchina fotografica.
Le leggere tende bianche sono appena sposate dal peso delle mie spalle sul vetro.
Mi sono impegnato per diventare invisibile, protetto dal riflesso delle luci esterne nella camera buia, come uno qualsiasi dei paparazzi che si diverte a rendere pubblico ogni singolo istante della nostra vita.

Oltre la finestra una strada non molto ampia, illuminata da alti lampioni coperti da bolle di vetro.
Tra le macchine posteggiate davanti l'hotel il solito gruppo di ragazzine, l'età media è di sedici, diciotto anni, sorrido nella penombra, chissà se hanno chiaro in mente che il loro idolo ha gli anni esatti per essere loro padre. Forse non ci pensano, forse cedono che su Marte l'età non conti, come la distanza dalla loro cieca ossessione all'amore che credono di provare.
Con la manica tergo il vetro appannato dei miei pensieri, oltre la lastra trasparente sul balconcino confinante al mio, Jared gioca.
Dimenticatosi anche lui degli anni che porta con noncuranza sulle spalle.
Si accovaccia dietro le colonnine di marmo che formano la balconata, come un bambino che gioca a nascondino, si mostra per alcuni istanti godendosi lo scoppio di grida isteriche e scompare di nuovo, si intuisce nel suo sguardo che porterà avanti il gioco fin quando le fangirl non prenderanno d'assalto l'hotel che nasconde il loro sogno.
Sorrido anch'io poggiandomi meglio alla finestra fredda.
Si nasconde di nuovo.
Sghignazzando divertito mentre sposta al lato del viso il pon-pon bianco del cappello da babbo natale che porta sempre in questo periodo. Dice di metterlo per ricordarsi di essere buono, almeno in questo periodo. Come se notoriamente potesse risultare sgradevole.

Scatto.
Messa a fuoco.
Altro scatto.
È così interessante come soggetto, estremamente divertente, come il cucciolo che avevamo adottato a bambini, quando correvo con la mia prima macchina fotografica in giro per il giardino, cercando di catturare quella coppia di allegri giocherelloni, il grosso cane bige e la piccola figura di Jared.

Scatto.

Un sorriso sincero è diventato raro da vedere sul suo viso ormai, è troppo assorto, consapevole delle proprie responsabilità che gli impediscono, ci impediscono, di andare a casa persino per le feste, per un Natale che sfiora appena, che strappa i ricordi tranquilli di tavole imbandite di cucina casalinga e ci regala concerti e sudore, regali di fan appassionati e interminabili riunioni con quelli della casa discografica.
Tensione e disappunto.
Sospiro.

Grosse gocce di pioggia schizzano sul vetro, una mano dalla porta finestra dietro di lui fa un cenno, Tomo, responsabile come sempre non vuole che prenda freddo. Il cantante guarda giù un’ultima volta e sul suo viso appare quella che sembra una smorfia di fastidio, odia interrompere i suoi giochi, i momenti in cui si concede di essere felice; oltre la balaustra concede un cenno di saluto alle ragazzine che ora strillano per gli schizzi improvvisi.
La strada si svuota velocemente.

Le Echelon hanno avuto il loro blood baal al concerto e sanno che i loro generali devono riposare; e le fangirl si sono divertite abbastanza ma non possono permettersi di avere rovinati i capelli da un acquazzone improvviso.

Sospiro dando le spalle alla pioggia, poggiando la macchina fotografica sul comodino vuoto. So perfettamente che la folla riunitasi fino a poco fa era solo per mio fratello. È lui la star, il viso troppo bello che attirerebbe l’attenzione sbagliata se fosse sulla copertina del prossimo album.
Afferro le bacchette di legno chiaro poggiate su un mobile vicino e comincio a tamburellare contro il vetro, il piano di marmo, rigiro le aste tra le dita cercando il ritmo giusto.

Apro la portafinestra ed esco nel balcone, le pozzanghere formatesi da poco riflettono l'essenza dei lampioni come macchie di luce sull'asfalto.
Gli schizzi del temporale mi colpiscono a tratti, insinuandosi tra le pieghe della giacca e la pelle scoperta. Mi appoggio al pezzo di marmo che mi separa da un salto vuoto troppo breve.
E chiudo gli occhi.
La pioggia.
Il rumore perfetto dell'acqua che si infrange o diventa tutt'uno con altre gemelle.
Sembra musica.
È musica.
Guardo la strada, all'altra parte una palazzina molto più antica con i suoi balconi intarsiati che creano una grande ombra vicino al portone, ma proprio li, accanto all'arcata di pietra, una figura vestita di nero di cui non mi sono accorto prima, continua a bagnarsi a tratti, ignorando il rifugio offerto dalle lastre di marmo.
Nel buio non sembra avere identità.
La guardo con attenzione fin quando il mio sguardo cattura un dettaglio che prima mi era sfuggito.
Due bacchette di legno che rigira tra le dita seguendo un ritmo che sento anch'io tra lo scrosciare della pioggia, sembra appena anticipare lo scoppio del tuono con un basso movimento del polso, colpendo l'aria.
Guardo dubbioso la sagoma; possibile che stai aspettando qualcuno? Qualcosa?
Improvvisamente in concomitanza con un fulmine alza il viso, solo una macchia chiara contornata dalla scura stoffa del cappuccio alzato, eppure sento il peso del suo sguardo su di me, fissandomi, con un gesto rapido alza le bacchette strette in una mano verso l'alto, un saluto, rispondo d'istinto alzando le mie, ora ferme tra le mie dita.
E un grido, nella notte, come il richiamo alla battaglia.
“Echelon!”
La figura abbassa il braccio e gira su se stessa avviandosi lungo la strada sotto la pioggia scrosciante.

Non penso a chiudere la porta della camera mentre corro giù per le scale, neanche uno dei fattorini riesce a porgermi un ombrello mentre attraverso velocemente la striscia di asfalto che ci divide, la pioggia incontenibile non ha fine. Mi guardo intorno, nessuno, la strada deserta intorno a me e l'alone dorato dei lampioni bloccato dall'acqua scrosciante che cade riflesso in ogni singola goccia. Scuoto la testa e i miei capelli zuppi non si scostano neanche dal viso, desolato mi accascio sul gradino davanti il portone della palazzina.
Torno dentro la hale, gli ultimi residui della pioggia su di me scendono dalle spalle fino alle punte delle dita scorrendo come piccoli fiumi, mi sento truffato, non sono riuscito a raggiungere chiunque avesse atteso soltanto il mio saluto. “mr Leto?”, un uomo del personale mi porge un asciugamano bianco e spugnoso, scuoto la testa perplesso mentre lo prendo e mi avvicino all'angolo più remoto del salone centrale, dietro le ultime poltrone una scaletta bianca porta ad un seminterrato.
Scendo, davanti a me un porta lucida, la apro con la piccola chiave dorata trovata nella tasca dei jeans inzuppati. Dentro, in quella che è evidentemente una camera insonorizzata, ho fatto montare la mia bambina subito dopo il concerto, quando ci hanno comunicato che a causa del cattivo tempo previsto saremo rimasti qui qualche giorno.
Sorrido sedendomi sullo sgabello, sfioro con le dita ancora bagnate uno dei piatti e le gocce scivolano senza fermarsi dal bordo fino ai rullanti appena più giù.
Come una pioggia solitaria, come quella che imperterrita scendeva vittoriosa mentre suonavamo stasera e gli echelon ci facevano coro, mentre mio fratello urlava appassionato. Con quella sua disarmante passione che ci lega a doppio filo in un legame stretto, noi, lui.
I nostri fans. Quegli uomini e quelle donne che ci hanno adottato nella loro vita. Come parte di quella strana e disfunzionale famiglia che mi fa sentire meno solo. Protetto. Amato. E non mi sembra di passare il Natale lontano da casa con loro vicini, non mi preoccupo di essere qualcosa in meno di quello che si aspettano, se loro sono con me.
E tutto sembra avere senso, la nostra carriera, una città straniera, persone, onde ... Echelon.

Chiudo gli occhi, attendo solo un minuto per lasciarmi guidare, non dal silenzio quasi opprimente di questa camera ma dal temporale che sento ancora nella mia testa, tra i miei pensieri.
Le aste colpiscono con forza la batteria, ogni goccia di pioggia trova la sua intonazione sui minori, il lampo nel riflesso bronzeo dei piatti mentre la grancassa tuona. È qui il mio temporale, in questo strumento che amo fino all'ultimo centimetro e i miei occhi chiusi riconoscono nel buio di una notte tempestosa.
Mentre suono e rivivo ogni singolo attimo si staglia più nitida la figura della notte, il ritmo naturale delle cose, un saluto cercato e trovato sotto il cadere fitto di un turbinio di suoni, perché, capisco aprendo gli occhi, ritrovandomi ad eseguire qualcosa di completamente nuovo e incredibilmente mio, che siamo uguali.
Due figure solitarie in mezzo alla tempesta, con un unico ritmo, di identico significato, uguali come ogni goccia di pioggia che mi ha sfiorato stanotte.


Shanna:
le tue parole sono quello di cui ho bisogno per scrivere ancora. Non so come farei senza.

bluemoon
come posso assere di ispirazione ad una scrittrice già formata? Grazie ^^

debmilicevic
non so se Jared sia davvero così, sono del parere che abbia un animo inafferrabile, e quello che ronza nella sua complicata testolina sia completamente sconosciuto ai più … la verità è che lo sento talmente vicino che non posso n0on immergermi nei suoi pensieri con disarmante facilità .. grazie per essere passata di qui .. davvero…
  
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