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Autore: candidalametta    18/12/2009    3 recensioni
Tre racconti di natale. uno per ogni componente, come la più classica delle tradizioni, uno volto al passato, uno al presente, uno al futuro...
Genere: Malinconico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jared Leto, Shannon Leto, Tomo Miličević
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Stelle di ghiaccio



Cammino nella neve alta con il lungo cappotto nero che sbatte senza grazia contro gli stivali, procedo a capo chino, il vento freddo di dicembre mi scombina i capelli, adesso scuri, che coprono a tratti gli occhi.
Nessuno sembra fare caso al freddo, nessuno si occupa della tristezza in questi giorni. Le vetrine illuminate da luci colorate ricordano che la vita per molti in questo periodo è fatta di carta colorata di regali da scartare. Ma il dolore è assurdamente più forte quando intorno a te solo la gioia trova spazio nei sentimenti degli uomini.
Per quanto imposta da regole di tradizioni fantoccio.
Mi fermo su una sponda del lago in fondo alla cittadina; è ghiacciato, qualche crepa qua e la creata da qualche incosciente che si è avventurato sul ghiaccio non troppo spesso. I piccoli rumori della patina che si spacca, il cielo nero che si riflette sul bianco intenso dell’acqua congelata.
La neve continua a cadermi attorno, creando un nido in cui aspetto solo, senza nessuno che torni per scaldarmi. Non attendo, sto solo cercando intorno al mio cuore un po’ di calore per non arrendermi al freddo che ormai è dentro di me. Ho rinunciato da tempo a sentire quel tepore del mio cuore, anche se non posso fare a meno di sognarlo la notte, a cercarlo da sveglio sperando prima o poi di riuscire a tornare ad essere così felice …

Come quando Natale aveva senso, e la perfetta geometria di un fiocco di neve mi sembrava il ricamo delicato di un inverno gentile che mi regalava la materia soffice con cui giocare a palle di neve, in quella lotta giocosa da cui io Shannon e papà tornavamo distrutti e infreddoliti. A farci coccolare da mamma sporca della farina dei biscotti. Il bianco della neve e dello zucchero sulla torta rendevano il Natale una festa dolce, di cui non potevo fare a meno. Il periodo in cui papà non andava a lavoro per giocare con noi, mettendomi sulle sue spalle per appendere la stella di carta dorata, fatta da Shannon, sull’albero di natale. Quei momenti in cui rapito lo ascoltavamo raccontarci le storie di un libro trovato per caso in soffitta che parlava di un vecchio avaro che riceveva la visita dei tre spiriti del natale. E mamma rideva quando papà facendo il fantasma del natale presente fingeva di volersi mangiare Shannon. Mamma non ha più riso così tanto e io non ho mai più sentito quella sensazione, la completa pienezza di essere parte di un tutto.
Avere una famiglia.
Ormai sento solo l'inesplicabile mancanza di un sentimento che non riesco più a provare e il gelo che invece è rimasto ad abitare dentro di me.

Guardo senza speranza il ghiaccio del lago in cui sento intrappolato il mio cuore. Una morsa stringe il petto, ma, invece di combattere mi lascio andare al dolore perché ho scoperto che è più facile lasciarsi soggiogare dall’ineluttabile verità piuttosto che lottarvi contro. Il cielo cambia ancora, il nero si sfuma di un azzurro tenue quando i raggi della luna sfiorano il pavimento naturale creato dall’inverno. Sembra così irreale che la natura si sia presa del tempo per costruire tutto questo e non abbia fatto nulla per salvare qualcosa che era già perfetto.
Il susseguirsi delle stagioni cambia l’aspetto di queste rive senza lasciare traccia ogni volta del paesaggio precedente. C’è solo il ricordo di un’altra vita, di un vecchio sole che non torna a scaldare il paesaggio da troppo tempo. Il mare di lacrime intrappolato sotto il ghiaccio su cui qualcuno danza con pattini affilati, cercando di essere felice.
Anche se fa male grattare vecchie ferite.
Anche se il mio unico momento di gioia è quando la mia voce si alza davanti a una folla sconosciuta e troppe voci mi fanno eco in un dolore che non si può nascondere.
Credono sia un gioco quello che io canto.
Pesano sia finzione.
In vece il dolore è autentico.
Lancinante e profondo.
Ecco perché urlo le mie frasi scritte tra le lacrime anche davanti a chi non lo vuole capire e mi accusa di ululare alla luna.
Non mi offendo, non mi importa di essere compreso, voglio solo che faccia meno male, che il dolore allenti un po’ le unghie intorno al mio cuore.
Che il canto lenisca la troppa solitudine.
Ma per fare questo devo trovare le parole.

E queste si trovavano solo quando mi abbandono ai ricordi e il dolore si anestetizza nella visione di attimi in cui ero felice. Come quei giorni in cui mamma era giovane e volteggiava felice sui pattini da ghiaccio, danzando con papà un valzer improvvisato sulla pista addobbata a festa, mentre io e Shannon li guardavamo orgogliosi seduti sul nostro slittino.

Per questo torno al lago, anche che sento ogni crepa del ghiaccio come una ferita nell’anima. Rannicchiato tra la neve fresca, con i guanti tagliati e le punta delle dita esposte al freddo mentre scrivo senza gioia i miei lamenti più tristi. Il vento arruffa i bordi delle pagine rendendo la scrittura spezzata, i fiocchi di neve si posano candidi sulla carta, imbevendola, assaporando l’inchiostro e facendolo scendere come lacrime nere di un dolore che non va via.
Mentre l’indifferenza di questo mondo che non vuole arrendersi all’evidenza che c’è chi soffre anche a Natale. Che non si può essere allegri perché qualcun altro te lo impone.
Che non solo il fuoco brucia le tue ferite ma il gelo le rende impossibili da curare.
Alzo lo sguardo sulle poche stelle che splendono nel buio intenso della notte.
Solitarie silenziose.
Si dice che le stelle cantino perse nello spazio.
Che esista della musica nell’universo, che si faccia sentire solo da chi riesca a scoprire l’incredibile insignificanza di se stessi rispetto al cosmo.
So che posso sentirla, perché dentro di me sono pieno di musica e sento la risonanza dell’universo in me.
Di quelle parole di quei suoni che sono il mio più grande tormento ma che non mi lasciano mai, neanche nella disperazione più profonda. Perché dentro di me la sento.
Quella nota, quella parola, che è la mia ispirazione.
Quel suono che non abbandona la mia mente, che gioca ancora tra i miei pensieri e che e mi accompagnerà, oltre tutte le canzoni che potrò scrivere, oltre tutti quelli che fingeranno di capirmi. Lei, solo lei, la mia musica ….



Solo una piccola nota
Questa è la prima one-shot che abbia scritto sui 30, piangeva in una cartella del mio pc e ho pensato di riesumarla e riadattarla in onore del natale e del contest di princes.
l’ispirazione la devo tutta ad un mio amico che sentendo “the kill” ha borbottato – chi è sto cane che ulula alla luna – (ovviamente l’ho fulminato con lo sguardo)
a chi si chiedesse quanto posso essere autolesionista per scrivere una cosa così triste.. beh, avete presente il mio nik no?

  
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