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Autore: MissChatterbox    24/12/2009    1 recensioni
" Non c'era amicizia tra loro, o affetto. Tanto meno amore. Non era neanche per il sesso – di cui comunque non aveva nulla da lamentarsi. Non erano che due animali con la stessa ferita che cercavano di scaldarsi a vicenda nel freddo, freddo mondo. " Delucidazioni all'interno. Recensite.
Genere: Romantico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Severus Piton, Sirius Black
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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ss Premessa: questa è la mia prima slash. E non mi ci sarei mai imbarcata - non avrei osato - se non fossi stata costretta dalla cara Jo_ , su cui scarico tutta la responsabilità e a cui la dedico come regalo di Natale anticipato. Per coloro che, per caso, capitassero da queste parti e avessero abbastanza stomaco da leggere questo esperimento, vi pregherei di lasciare un commento: mai più di ora sento di aver bisogno di consigli. Detto questo, vi auguro buona lettura e Buone Feste!


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Sirius Black stiracchiò le gambe al massimo consentito dallo spazio angusto in cui si trovava. La schiena gli doleva terribilmente e stava cominciando ad intirizzirsi; il che era abbastanza normale, ne conveniva, se si era sdraiati sul pavimento di pietra di un'aula vuota nel bel mezzo della notte. Nudi. Tra qualche  tempo si sarebbe dovuto alzare, comunque: non poteva ritardare all'appuntamento con i Malandrini nella Stamberga, era tassativamente vietato dal suo codice d'onore. Tuttavia si permise di indugiare ancora un po', gli occhi grigi fissi sulla figura supina al suo fianco, le orecchie che coglievano il suo respiro appena udibile. Fece scorrere lo sguardo sul profilo delle spalle esili e pallide, sui capelli scuri e sull'ombra del naso aquilino; aveva assunto una postura rilassata che da sveglio non avrebbe mai avuto. Severus Piton aveva l'aria di essere sempre all'erta, come se il pericolo potesse arrivare da un minuto all'altro ; in lui Sirius riconosceva i sintomi della propria malattia. Gli ci erano voluti anni per vederlo chiaramente sotto la maschera di freddezza che indossava come una seconda pelle – non poi così diversa dalla sua elegante indifferenza – ma poi aveva capito. E in quel momento era iniziato tutto. Era stato in una stanza come quella – fredda e buia – e la colpa era stata tutta di James – lo stesso James che l'avrebbe preso per pazzo se gli avesse raccontato di quella particolare frequentazione: erano appena tornati da una proficua scappatella nelle cucine quando il suo caro fratello si era reso conto, colto nell'estasi di un bignè al cioccolato, di enssersi fatto scivolar via la Mappa da sotto il naso.  Il che sarebbe divento un problema, se Gazza fosse passato da quelle parti, dato che Sua Altezza Scienza e Tecnica aveva avuto la brillante idea di lasciarla visibile. Così, al povero Felpato era stato affidata la missione di recupero, una missione in cui era stato sul punto di fallire miseramente grazie all'intervento dell'oggetto di ogni romantica mira di James Potter, tale Lily Evans, Caposcuola di professione, guastafeste per vocazione, che aveva avuto il buon gusto di passare di lì proprio mentre stava per recuperare la Mappa, bloccandolo in mezzo al corridoio per una buona mezz'ora di predica sul perché e percome del coprifuoco; col risultato che, dopo  aver sgraffignato la pergamena sotto il suo naso per il rotto della cuffia, aveva dovuto imbucarsi nella prima aula vuota che gli era capitata a tiro per sfuggire alla sua ira funesta:  e delle infinite stanze che componevano la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts era andato a capitare in quella in cui, del tutto casualmente, si annidava il caro Mocciosus, che certo non era lì per spiare la sua ex migliore amica di pattuglia per la scuola. Mocciosus era parso felice di vederlo quanto lo sarebbe stato imbattendosi in una Manticora, un sentimento ricambiato di tutto cuore. Nonostante ciò, Sirius doveva dargli atto di essersi ripreso in fretta: l'espressione allibita era stata velocemente sostituita da una di perfetta freddezza, un pizzico di disgusto ed una spruzzatina di cattiveria; il solito, quindi. Per quanto riguardava lui, Sirius aveva sentito le sue labbra allargarsi spontaneamente in un ghigno: quale modo migliore di sfogare lo stress che sul suo Mocciosus personale? - Bene, bene. Guarda un po' se non è Mocciosus intento a ficcare il suo naso sproporzionatamente lungo negli affari altrui. Chi stai pedinando di bello questa sera? - Piton gli aveva regalato la sua occhiata più odiosa: - Ti sarà sfuggito, Black – aveva ribattuto con voce melliflua – ma io, a differenza di te, sono un Prefetto e, a differenza di te, ho pieno diritto di trovarmi qui. Tu, invece, dovresti trovarti al caldo nel tuo lettuccio Grifondoro, non a zonzo per la scuola come ti pare e piace.  Credo proprio di trovarmi costretto a togliere dieci punti alla tua Casa, così magari  imparerai a rispettare le regole. Anche se dubito che il concetto di imparare sia presente nel tuo cervello – Sirius avrebbe ringhiato come Felpato a quel suo sorrisetto soddisfatto se ne avesse avuto la possibilità; però sapeva cosa sarebbe successo se gli avesse rimodellato il naso a suon di pugni: non avrebbe fatto altro che vincere un viaggio di sola andata per l'ufficio del Preside e dargliela vinta. Perciò, aveva optato per una strategia meno fisica ed aveva utilizzato una delle poche doti ereditate dalla sua famiglia Serpeverde che apprezzasse: colpire il nemico nel suo punto debole. - E così pattugliavi i corridoi, Piton? Già, come no, ed io sono la Fatina dei Denti. E' inutile sparare  queste stronzate: ogni pietra di Hogwarts sa che stai ancora dietro ad Evans.  Potresti anche rinunciarci, sai? Dubito che qualcuno prenda in considerazione la tua esistenza, potendo avere James. - Sapeva di essere crudele; lo aveva fatto deliberatamente. C'era stata una parte di lui che aveva goduto nel vedere l'odio negli occhi neri di Piton, nel provocarlo. Quella parte di lui nera come il suo cognome, che a volte non poteva tenere a bada. Soprattutto di fronte ai Serpeverde. Il che era quasi ironico, dato che l'ultima cosa che desiderava era abbassarsi al loro livello, diventare come loro. Ma quel ragazzo, con le sue palesi aspirazioni da Mangiamorte, lo irritava  a non finire ( forse perché gliene ricordava un altro, di ragazzo , uno ben più importante ) e la sua irritazione faceva presto a sfociare in crudeltà. Forse era una parte del DNA di cui non poteva liberarsi. Ed era anche efficiente nello sfruttarla: un rossore sgradevole di era diffuso sul volto pallido di Piton, che  era sembrato sul punto di sputare veleno – Questi non sono affari tuoi, Black – aveva detto freddamente – E poi, una persona come Potter? Nient'altro che un bullo buono a nulla che sa solo volare su una scopa. Patetico. Anche se le tue altre frequentazioni non sono certo di livello più alto. - A quanto pareva, neanche Mocciosus aveva intenzione di andarci leggero. Andava bene finché insultava lui – relativamente, ma andava bene – ma non poteva tollerare che insultasse i suoi amici,  i suoi fratelli.  Aveva sentito il suo braccio partire da solo, poi il bruciore del pugno sulla pelle. Piton era terra, che in posizione fetale, le mani a coppa sulle orecchie, gli occhi chiusi strettamente. Una posizione familiare. Sirius era rimasto a guardare, mentre un ricordo gli fluiva nelle mente che andava snebbiandosi dalla rabbia per lo shock:  se stesso rannicchiato a terra; suo padre che torreggiava sopra di lui, la bacchetta in mano. In un attimo, il minuto era passato: Piton si stava rialzando, e Sirius   aveva compreso che non era stato che un riflesso. Il riflesso di chi era abituato alle botte. E poi aveva guardato gli occhi neri di Piton, e l'aveva visto chiaramente: erano uguali, affetti dalla stessa malattia.
Per la prima volta dopo sette anni – da che lo conosceva, quindi – Sirius Black si era scusato. Per un pugno. Una cosa inaudita. Era caduto in ginocchio accanto a lui, strisciando sulla pietra fredda.  - E' tuo padre, vero? - Piton si era ritirato, inorridito. - Che vuoi dire? ! - Era in preda al panico, probabilmente che qualcuno potesse scoprire il suo segreto. Sirius lo capiva, lo sapeva, lo aveva provato. Erano rimasti in silenzio per ore. O almeno, a lui erano sembrate ore. I minuti passati rannicchiati tra un banco e una sedia, senza guardarsi, erano stati i più pacifici di sempre tra di loro. Sirius l'aveva osservato di sottecchi, il profilo corrucciato che lasciava intravedere appena il bambino che era stato. Il bambino che sicuramente non aveva fatto nulla per sfuggire alle botte. Pochi lo facevano; lui c'era riuscito solo grazie a James e agli altri, che lo avevano sostenuto, spronato, sorretto; avevano ascoltato i suoi segreti. Ma Piton non aveva nessuno. Nessuno ad aiutarlo. In quel momento, Piton si era voltato a guardarlo. Sirius sapeva cosa doveva aver visto: un riflesso di quella stessa pietà che aveva provato per se stesso; e si era imbestialito: - Smettila! - aveva urlato, gli ultimi residui della maschera che cadevano a terra in brandelli, -  Non voglio la tua pietà ! - Si era alzato di scatto, e l'aveva fronteggiato, i pugno chiusi così strettamente da avere sbiancargli le nocche. - Cosa credi, che io sia un debole?! Non lo sono. Non lo sono! - Sirius era scattato in piedi, lo aveva afferrato per le spalle scuotendolo. - Basta! Non sei debole, non lo sei! - Era successo all'improvviso: un attimo prima il suo viso era di fronte a Piton; quello dopo gli sfiorava le labbra. Si era sentito bruciare. Non aveva avuto importanza che si trattasse di un ragazzo; di un Serpeverde; di quel Mocciosus che aveva sempre torturato dal primo anno. Niente aveva contato.
Da quell'aula erano usciti molte ore dopo. E molte altre volte si erano incontrati, sempre in posti diversi. Dopo tutto quel tempo, non aveva ancora capito neanche il motivo.             

Non c'era amicizia tra loro, o affetto. Tanto meno amore. Non era neanche per il sesso – di cui comunque non aveva nulla da lamentarsi. Non erano che due animali con la stessa ferita che cercavano di scaldarsi a vicenda nel freddo, freddo mondo. 
   
 
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