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Autore: Elaintarina    24/12/2009    2 recensioni
“Cioè, non ci credo… tu mi stai dicendo che non credi a Babbo Natale ma credi ai desideri delle stelle cadenti?”
“Certo, che c’è di strano? Babbo Natale l’ha inventato la Coca-Cola, le stelle, invece, c’erano già da prima”
Buon Natale, EFP! ♥
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un’ altra volta Natale

 

 

 

 

Passiamo metà della vita a deridere ciò in cui altri credono,

e l’altra metà a credere in ciò che altri deridono.

[S. Benni]

 

 

 

 

Se c’era un colore che Alice odiava, era il rosso.

Prima di tutto, la faceva sembrare grassa. Quando era piccola ed in verità anche adesso, Alice faceva sempre un giochino un po’ idiota: abbinava ad ogni colore un certo tipo di persona che lo rappresentava. Rosso era sempre una donna cicciona con le gote rubizze, le treccione bionde e due vacui occhietti azzurri, equivoci. Proprio tutto il contrario di lei, che con i suoi lunghi capelli neri, gli occhi scuri e sfuggenti e la pelle pallida, sembrava progettata apposta per passare inosservata.

E ci riusciva benissimo, per inciso.

Anche per questo il rosse le riusciva così sgradito: si faceva notare. Non era come il grigio, innocuo e incolore, o come il nero, ottimo per mimetizzarsi: il rosso spiccava, che era l’ultima cosa che Alice voleva.

Ma evidentemente, sua madre la pensava diversamente. E per ciò quel giorno aveva deciso di infliggerle quella che Alice considerava una tortura degna dell’Inquisizione: un pomeriggio di shopping.

“Amore, provalo: è un incanto!”

Era forse il quarto o quinto negozio di vestiti che perlustravano e già al secondo Alice non ne poteva più. Sua madre, invece, era sempre più entusiasta. Le mostrò quello che ai suoi occhi doveva essere “l’incanto”: un cappotto di panno, lungo fino a metà coscia. Indiscutibilmente rosso.

Agli occhi della ragazza, era decisamente un abominio.

“No, scordatelo. Non me lo provo” rispose, brusca.

Sua madre sopirò. “Andiamo, perché non vuoi farmi felice una volta ogni tanto? Almeno a Natale!”

Ecco, si era dimenticata l’ultimo motivo per cui detestava il rosso. Era, per antonomasia, il colore del Natale. E Alice il Natale proprio non lo sopportava.  Tutta quel merchandising mascherato da amore per il prossimo, tutto quel finto buonismo…  bleah, proprio da vomitare.

La commessa si avvicinò, sollecita e rapace. “Posso aiutarvi?” disse, con un sorriso da pescecane.

“No, grazie” rispose sua madre. “Mia figlia sta solo facendo la difficile” Le gettò uno sguardo di rimprovero, del genere a-casa-facciamo-i-conti e la ragazza alzò gli occhi al cielo.

“È un bel modello” la commessa prese il cappotto dalle mani di sua madre “Sono andati a ruba quest’anno, pensi che un mio collega ne ha comprati addirittura tre: uno per la madre, uno per la sorella e uno per la fidanzata”  I suoi occhi vagarono per il negozio, fino a fissarsi sulle spalle di quello che doveva essere il collega appena citato: Alice poteva percepire la sua gelosia lontano un chilometro. Evidentemente, non doveva essere lei la fidanzata in questione.

“Già, e poi è davvero un bel colore” aggiunse la madre di Alice a la commessa riportò immediatamente l’attenzione su di loro.

“Molto bello, sì! Coraggio: provarlo non costa nulla!”

Tese al cappotto ad Alice, con un sorriso d’incoraggiamento. La ragazza alzò gli occhi al cielo. Impossibile discutere con quelle due: una madre testarda e una commessa rapace. Prese il cappotto e lo indossò.
“BEL-LIS-SI-MO!” trillò la commessa “Ti sta d’incanto!”

“Finalmente qualcosa si diverso dal solito nero” commentò sua madre.

Alice le diede un occhiata poco convinta e si girò verso lo specchio.

“Oggesù!” pensò, inorridita “Sembro Babbo Natale!”

 

***

 

Se c’era un periodo che Giorgio detestava, era Dicembre.

Prima di tutto, la fine dell’anno si avvicinava, e con essa gli inevitabili contratti da rinnovare prima del termine, i clienti insoddisfatti ed isterici che non facevano che perseguitarlo per chiedergli conferme e persino il suo capo riusciva a diventare più insopportabile del solito.

Quella sera,poi, si era dimostrato per come Giorgio l’aveva sempre considerato: un vero rompicoglioni, e lo aveva obbligato a tre interminabili ore di straordinario per finire alcune pratiche a suo dire “indispensabili”.

Delle gran cazzate, secondo il modesto pare di Giorgio. 

Ma adesso, finalmente, era a casa.

Sorrise, mentre girava la chiave nella toppa: Alessandra, la sua seconda moglie, gli aveva sicuramente preparato qualcosa di buono per cena. E, chissà, magari aveva anche spedito i bambini, Paolo di quattro anni e Francesco, di due, a dormire, così avrebbero potuto avere la serata per loro. Era un secolo che non facevano più l’amore, ma chissà, forse quella sera…

“Papà! Papà! Che bello, sei a casa!”

Non appena ebbe aperto la porta, Paolo gli si fiondò in braccio come un fulmine, seguito, un istante dopo, dal suo fratellino, che gli trotterellava dietro col ciuccio in bocca, mugugnando qualcosa di incomprensibile.
“Ehi, ciao campione! Che mi racconti?”

Giorgio prese in braccio il suo primogenito, che cominciò a fargli la cronaca di tutta la sua giornata per filo e per segno. Certo che aveva una bella parlantina il piccolo! E che polmoni!

Francesco, invece, gli si attaccò a una gamba, strattonandolo per i pantaloni stropicciati nel tentativo di attirare la sua attenzione.

“Alessandra!” esclamò Giorgio dopo pochi secondi, visto che non era nemmeno riuscito a chiudere la porta d’ingresso e cominciava a non sentirci più bene dall’orecchio sinistro.

Per fortuna, Alessandra venne in suo soccorso dalla cucina ed acchiappò i due pargoli.

“Bambini, lasciate stare il papà che è stanco”

Giorgio le sorrise con gratitudine.

Pochi minuti dopo, finalmente si sedettero tutti a tavola.

“Che c’è di buono amore?” chiese Giorgio alla moglie, sorridendo.

“Riso in bianco e purè di patate” rispose lei, servendogli una generosa porzione del primo.

Giorgio fissò il suo risotto, insipido e colloso, mentre il sorriso gli scivolava via dalla faccia. Gli parve quasi che quello ricambiasse il suo sguardo…

Poi però decise che non era il caso di fare troppo lo schizzinoso e incominciò a mangiare.

La prima parte della cena andò abbastanza bene, anche se la conversazione si limitò alle incessanti preghiere di Alessandra perché i bambini mangiassero e ai loro “No!” e “Non voglio!” di risposta.

Ma arrivati al purè, la situazione degenerò: Francesco decise che, invece di mangiarlo, era più divertente spalmarselo su tutta la faccia, mentre Paolo preferì giocare a schizzarlo su tutto il tavolo e nonché sulle pareti vicine.

Alla fine, anche se lui e Alessandra avevano concordato di non usare mai questo genere di punizioni, Giorgio, esasperato mollò un ceffone ad entrambi i bambini, cosa che provocò una quantità tale di urla, pianti e strepiti che sembrava li stessero scuoiando, per non parlare degli sguardi di rimprovero di Alessandra e del senso di colpa che provocarono.

Ci volle un’altra ora per riuscire a calmare i due pargoli abbastanza per infilarli a letto e farli addormentare e un’altra mezz’ora per rimettere a posto il disastro in cucina.

Erano le undici e mezza quando Giorgio e Alessandra si ritrovarono finalmente soli, completamente spossati, sul divano davanti alla tivù.

“Bene…” annunciò Alessandra a metà della quarta pausa pubblicitaria che passava in mezz’ora. “Credo che me ne andrò a letto…”

“Vengo anch’io” saltò subito su Giorgio. Abbracciò la moglie da dietro, poi prese a baciarle il collo e la nuca.

“Magari potremmo fare qualcos’altro prima di dormire…”

“Mhhh” Alessandra scivolò via dal suo abbraccio come un pesce. “Magari domani amore… stasera ho mal di testa…”

No, no di nuovo! Era già il terzo mal di testa quella settimana! Forse doveva consigliarle uno specialista…

Alessandra sembrò accorgersi della sua faccia delusa. “Dai amore… Lo sai che ti amo...” disse, circondandogli il collo con le braccia.

“Sì… Ti amo anch’io” rispose Giorgio.

Alessandra sorrise, poi si voltò, avviandosi verso la camera da letto. A metà strada, però, sembrò cambiare idea e tornò indietro. Aveva un espressione strana e Giorgio cominciò a chiedersi se per caso non avesse cambiato idea…

“Amore… posso chiederti una cosa?” fece con voce suadente.

Giorgio annuì.

“Beh ecco.. pensavo… che questo Natale dovrebbe essere speciale per i nostri figli… insomma, ormai Paolo è abbastanza grande da poterlo ricordare e probabilmente anche Francesco…”

Alessandra prese a gesticolare con le mani, come faceva sempre quando era nervosa

“E… insomma… mi chiedevo se…”

Giorgio le getto uno sguardo interrogativo. Che voleva?

“Non potresti mascherarti da Babbo Natale per loro?”

 

***

 

Se c’era una cosa che Lucio odiava, era la neve.

Così fredda, così bagnata, si infilava dappertutto e ti congelava, anche se eri vestito pesate. 

Così innocentemente bianca, pronta a ricoprire ogni cosa con la sua patina di falsa purezza.

Lucio non la sopportava nemmeno da piccolo, quando suo papà insisteva perché uscissero a giocare e costruire stupidi pupazzi di neve.

Quell’attesa, poi, fermo da due ore a congelarsi il culo su quel muretto, era già abbastanza fastidiosa prima, ma adesso aveva cominciato pure a nevicare! Lucio tirò su il cappuccio della felpa e si strinse di più nel suo giubbotto di pelle. Se almeno ci fosse stata una cazzo di tettoia o un albero, qualcosa sotto cui ripararsi!

Invece no, dannazione, c’era solo quel fottuto muretto davanti a un condominio di periferia, qualche cassonetto stracolmo di spazzatura, qualche vetrina sprangata e nient’altro.

E la neve che continuava a cadere.

Lucio cominciò a chiedersi se aveva davvero un senso quella stupida attesa. Poi però rivide la scena: Andrea Bertolini, lo stronzo – fighetto di quarta C, avvinghiato a Valentina, la sua Valentina, cazzo, la sua ragazza e si rispose che sì, valeva la pena di aspettare anche otto ore sotto la neve, pur di poter dare una bella lezione a quel cretino. Gliel’avrebbe fatta pagare, oh sì, gliel’avrebbe fatta pagare con gli interessi.

Certo che faceva freddo però… che palle!

Decise di accendersi una sigaretta. Non l’avrebbe riscaldato, anzi, tenere la mano fuori dalla tasca dei jeans gliel’avrebbe fatta ghiacciare, ma almeno era un modo per passare il tempo.

Aveva appena dato la prima boccata, quando la vide.

Era ferma come lui, appoggiata al muretto a contemplare il vuoto, apparentemente senza nulla da fare a parte starsene lì fuori a lasciare che le nevicasse addosso. Solo, era dall’altro lato della strada.

Se non fosse stato per quel cappotto, rosso come una ciliegia matura, non l’avrebbe neppure notata.

E poi, inaspettatamente, miss Cappotto Rosso decise di attraversare la strada. E gli si avvicinò.

“Scusa… Hai da accendere?”

Classico. La più banale delle frasi per attaccare bottone ma… funzionava sempre. E non aveva nemmeno fatto la fatica di attraversare la strada.

Peccato che la ragazza non fosse per nulla interessata ad attaccare bottone.

Borbottò un grazie a mezza voce e fece per avviarsi di nuovo dov’era, quando Lucio disse “Freddo porco, eh?”

Ma che frase cretina era? Che cosa gli era preso?

“Già” borbottò la ragazza, però rimase lì, non attraversò la strada.

Lucio la osservò un istante, aspirando dalla sua sigaretta. Capelli neri, occhi scuri. Nella media insomma, se non fosse stato per quell’espressione così strana, sognante: sembrava che non fosse nemmeno lì.

Chissà come si chiamava…

 

Alice aspirò un’altra boccata della sua sigaretta.

Strano ragazzo. Di solito non le piaceva essere abbordata per strada, soprattutto con delle scuse stupide come quelle.

Però quel tizio le stava simpatico. Aveva un aspetto proprio strano, da alternativo sfigato e un po’ fatto, con quei capelli rasta, lunghi fino alle spalle, i piercing al labbro e al sopracciglio e quegli occhi truccati. (Alice non aveva mai visto un ragazzo truccato!)

Però non era male. Aveva un espressione dolce. E si vedeva benissimo che non sapeva più che pesci pigliare, perciò Alice decise di facilitargli il compito.

Gli rivolse un mezzo sorriso “Alice” disse, indicandosi. Le strette di mano non le erano mai piaciute.

“Lucio” rispose lui con lo stesso gesto.

“Allora… continuò poi “Che ci fai qui fuori con questo tempaccio?”

“Potrei farti la stessa domanda…” ribatté subito lei.

Lucio accusò il colpo “Vero… beh, diciamo che sto aspettando una persona…”

“Un tuo amico?”

“Beh… non esattamente…”

Alice lo guardò incuriosita. Non sapeva perché, ma non le piaceva il modo in cui l’aveva detto.

Un altro tiro di sigaretta. La conversazione rischiava pericolosamente di arenarsi, quando, in quel momento si accesero le luminarie. L’intera via venne illuminata da una profusione di angioletti, campanelle, ghirlande e Babbi Natale appesi da una parte e dall’altra.

“Bleah” commentò Alice.

“Cosa?” fece lui.

“Tutte queste luci…”

Il ragazzo si guardò attorno. “A me non sembrano male…”

“Sono false. Il Natele è la celebrazione dell’ipocrisia.”

 

Lucio ridacchiò.

La celebrazione dell’ipocrisia, addirittura! Quella ragazza era ben strana!

“Non c’è niente da ridere!” lo rimbeccò subito Alice “Il Natale è una festa inventata dai commercianti di giocattoli per aumentare le vendite, tutto qui. Poi gli hanno costruito sopra questa patina di finto amore per il prossimo e buoni propositi, ma sono tutte balle”

Si girò di scatto, voltandogli le spalle, ma Lucio fece in tempo a sentire che, a bassa voce aggiungeva “Io lo odio il Natale”

Si morse la lingua, per evitare di scoppiare di nuovo a ridere. Da parte sua, non gliene era mai fregato molto del Natale. Quando era piccolo era una pacchia, ancor di più quando i suoi si erano separati, perché aveva doppi regali e doppie paghette dai nonni. Quando poi era cresciuto, beh, in genere non aveva abbastanza soldi in tasca per sé stesso, figuriamoci poi andarli a spendere in regali per altri.

Eppure… gli piaceva l’atmosfera natalizia.

“Io non lo trovo così male…”

Alice scrollò le spalle.

“Insomma… per quelli che ci credono il Natale è molto di più di questo”

La ragazza si voltò e gli lanciò un’occhiata ironica.

“E tu ci credi?”

“Beh… no”

“Ecco, appunto”
Lucio non seppe più cosa rispondere, cosa strana per lui che aveva sempre la battuta pronta.

Rimasero in silenzio per un po’.

Dopotutto, quella via non era così deserta come sembrava: ogni tanto passava qualche macchina, oppure qualche pedone che si affrettava a raggiungere il portone di casa sua e rifugiarsi al calduccio.

Ad un certo punto, dall’angolo della strada sbucò addirittura Babbo Natale!

Era uno di quei tizi in maschera che chiedevano le offerte, con tanto di sacchetto e campanella per attirare l’attenzione. Sembrava stanchissimo: probabilmente veniva dal centro, sotto Natale quelle pagliacciate abbondavano. Lucio stava per farlo notare alla ragazza, era proprio curioso di sentire che insulti avrebbe tirato fuori, quando una mamma con il bimbo per mano gli si avvicinò, probabilmente per dargli un’offerta. Aveva un gran sorriso stampato in faccia e, trascinandosi dietro il figlio, non faceva che indicargli il panzone vestito di rosso: “Guarda tesoro, Babbo Natale!”

Il bambino, dal canto suo, sembrava terrorizzato e quando “Babbo Natale” allungò una mano per dargli una caramella, si nascose addirittura dietro le ginocchia della madre.

Alice ridacchiò.

“A quanto pare, non ci crede nemmeno lui” disse, a voce tanto bassa che Lucio fece fatica a sentirla.

Poi si voltò di nuovo, ma sorrideva questa volta. “Senti, io mi sto congelando il culo a stare ferma qui fuori. Ti va se andiamo a prenderci qualcosa?”

Mmmhhh, proposta allettante…  In effetti, anche lui stava morendo di freddo. Ma… e Andrea Bertolini e i suoi propositi di vendetta?

“Non posso”

“Ah già. Stai aspettando il tuo “amico”

Alice fece il gesto delle virgolette, per lasciare intendere che non ci credeva nemmeno un po’.

“Ok, capito. Beh, sarà per un'altra volta… Ciao!”

Senza aggiungere altro, la ragazza si allontanò.

Lucio rimase nuovamente con un palmo di naso. Come, se ne andava così?

La osservò per un po’, lei e il suo cappotto rosso. Non aveva smesso un attimo di nevicare e i fiocchi bianchi le si impigliavano di continuo nei bei capelli neri.

Oh, ma che stava facendo?

Era una ragazza strana, cinica da morire e odiava il Natale ma… era simpatica, in un certo senso.

“Ehi, aspetta!” esclamò Lucio mettendosi a correre.

Alice si fermò. “Che c’è?”

Lucio la raggiunse. “Ho cambiato idea” disse, semplicemente.

Quando, cinque minuti dopo, Andrea Bertolini uscì di casa, non immaginava nemmeno il culo che aveva avuto.

 

***

 

La mattina della vigilia, Giorgio decise di telefonare a quel disgraziato del suo figlio maggiore, nato dal suo precedente matrimonio. Era un ragazzo di diciotto anni ora, ma all’epoca della separazione ne aveva circa sette e da allora era sempre vissuto con la madre. Giorgio lo vedeva circa una volta al mese e ogni volta ne aveva un impressione peggiore.

Era, secondo il modesto parere di Giorgio, un grandissimo perdaballe.  Non studiava un cazzo, si ficcava nei casini un giorno sì e l’altro anche, faceva a botte e si comportava come se fosse cresciuto nella giungla.

E poi, quei capelli! E quei piercing dappertutto!

Eppure, era pur sempre suo figlio. Ed era la vigilia di Natale.

Il telefono squillò a vuoto almeno sei o sette volte prima che una voce assonnata rispondesse: “…pronto?”
“Alla buon’ora!” fece Giorgio “Appena sveglio, eh?”

“Ssshht, pa’!” si lamentò quello “Ma che ore sono?”

“Le undici e mezza”

“Così presto?!”
Giorgio alzò gli occhi al cielo.

Dall’altra parte della linea si sentì un poderoso sbadiglio. “Che vuoi pa’? Perché mi hai buttato giù dal letto a quest’ora?”

“Ehi, adesso ho ancora bisogno di un motivo per telefonare a mio figlio?!” Giorgio si finse offeso. “Volevo farti gli auguri di Natale, non ti basta?”

Suo figlio non gli credette nemmeno per un secondo. Inevitabile. Si conoscevano troppo bene per cadere ancora in questi giochetti.

“Dai pa’. Sul serio, che c’è?”

Giorgio sospirò.

“Ok. Ho bisogno di un favore”

Qualche risatina dall’altra parte della linea.

“Spara”

“Dovresti travestirti da Babbo Natale” borbottò Giorgio.

“COSA?!”

“Dovresti travestirti da Babbo Natale” ripeté, a voce più alta.

“Scordatelo!”

“È per i bambini, capisci. Alessandra vuole che abbiano un Natale memorabile e… beh… veramente lo aveva chiesto a me, ma io proprio non me la sento…”

“E te credo!”

“E così pensavo che tu potresti…”

“Neanche per sogno!”

Giorgio sospirò di nuovo, più profondamente questa volta.

“D’accordo. Quanto vuoi?”

 

***

 

“Proprio non capisco perché hai accettato di prestarti a una simile pagliacciata, Lucio”

Il ragazzo sorrise, come al solito divertito dall’indignazione di Alice.

“Cosa vuoi è mio padre…” disse, scrollando le spalle “E poi, è stato più che generoso…”

Suo malgrado, Alice ricambiò il sorriso. Vero. Duecento euro per una comparsata in costume da Babbo Natale erano una cifra notevole. Tanto più che Giorgio, il padre di Lucio, aveva insistito perché la sua “apparizione” non fosse molto lunga, altrimenti i bambini lo avrebbero riconosciuto.

Lucio, dal canto suo, era comunque divertito da quello che considerava soltanto un gioco e, dopo la loro conversazione della settimana precedente e gli innumerevoli messaggi e telefonate che ne erano seguiti, coinvolgere Alice gli era sembrato naturale.

Finì di sistemare la barba e infilò anche il cappello, rosso, naturalmente, con tanto di immancabile pon-pon bianco in cima.

“Allora, come sto?”

Alice lo squadrò. Gli occhi pesti e impastati di sonno, qualche rasta che faceva capolino da sotto il cappello, il piercing che la barba bianca non riusciva a nascondere del tutto: era il Babbo Natale più improbabile che avesse mai visto.

“Perfetto” mentì sorridendo “Solo, sistema meglio la barba, ecco, proprio qui”

Si sporse verso di lui e gli riattaccò il bordo della barba, sfiorandogli per un attimo la guancia con la mano. A quel contatto, Lucio si ritrasse come se avesse preso la scossa.

“Emh… sì… ecco… ti ricordi cosa devi fare, vero?”

“Certo, mio capitano!” lo prese in giro lei. Poi, battendogli una pacca sulla spalla: “Adesso vai, sbrigati!”

 

“Quando arriva Babbo Natale? Quando arriva Babbo Natale? Quando arriva…”

“Paolo, smettila!” sbraitò Giorgio all’indirizzo del suo primogenito, che da ore ormai gli torturava le orecchie con quel ritornello.

Anche Francesco era agitatissimo e Giorgio, nonostante gli sforzi di Alessandra per calmare i due bambini, cominciava davvero a non poterne più.

Ma dove diamine si era cacciato quel disgraziato di Lucio?

 

BOOOM!

Non fece in tempo a terminare quel pensiero, che si sentì un esplosione terribile provenire dal camino e il salotto venne invaso da una nuvola da fumo.

“Ma che cazzo…?”

Francesco cominciò a piangere a piene polmoni, Paolo, invece, gettò un ululato di gioia.

 “BABBO NATALE! BABBO NATALE!”

Dal fumo, piano piano cominciò a emergere una figura vestita di rosso, con una gran barba bianca e una sacco sulle spalle.

“BABBO NATALE!”

“OH! OH! OH!” proruppe una voce profonda e vagamente inquietante, mentre da qualche parte un amplificatore a palla suonava i primi accordi di “Back in Black” degli ACDC.

“Ma che cazzo…?” ripeté Giorgio mentalmente.

Poi il fumo cominciò lentamente a dissolversi, la musica si abbassò e Babbo Natale avanzò verso di loro.

Paolo tratteneva il fiato, completamente ipnotizzato e persino Francesco aveva smesso di piangere.

“OH! OH! OH!” ripeté Babbo Natale, questa volta a un volume più accettabile.

Giorgio gettò un occhiata ad Alessandra: era letteralmente a bocca aperta, sbalordita. Decisamente, non era quello che si aspettava. Beh, se non altro potevano esserne sicuri: i bambini non avrebbero dimenticato facilmente quel Natale.

“Buon Natale a tut…” cominciò a dire Babbo Natale, quando…

Ooof!

 Inciampò in un cavo e precipitò lungo disteso sul tappeto!

“Oh santo cielo!” esclamò Alessandra, alzandosi in fretta e furia per andare ad aiutarlo. “Ti sei fatto male?”

“No, niente, tranquilla” Lucio si rialzò in un attimo, come al solito refrattario all’aiuto altrui.

“Dunque, dov’eravamo? Ecco sì: Buon Natale a…!”

“Tu non sei Babbo Natale!” esclamò Paolo a quel punto “Sei Lucio!”

Francesco ricominciò a strillare a pieni polmoni e solo allora Lucio si accorse che, nella caduta, gli si era staccata la barba.

 

***

 

“Dì la verità: è stato penoso”

“No, neanche poi  tanto…”
“Che bugiardo” disse Lucio sorridendo.

Avevano impiegato un’ora buona a rimettere a posto il caos provocato dalla scoperta del falso Babbo Natale. Per fortuna, Alessandra aveva avuto la prontezza di spirito di inventarsi una storia credibile che giustificasse la presenza di Lucio.

“Bambini, lo sapete che Babbo Natale è molto impegnato in questo periodo. Mica può visitare tutte le case del mondo di persona. Per questo ha incaricato Lucio di dargli una mano”

Paolo e Francesco non ci avevano creduto subito, ma poi la storia era stata arricchita di particolari sia da Lucio che da Alice che da Giorgio e alla fine ne erano stati convinti.

Adesso, beatamente seduti sul tappeto, stavano finendo di scartare gli ultimi regali, con l’aiuto della mamma. Giorgio e Lucio erano sul divano e chiacchieravano della disastrosa performance di quest’ultimo.

“Comunque sia, mi dovrai pagare lo stesso”

“Che cosa? Casomai sei tu a dovermi pagare, con tutto il fumo che avete fatto mi costerà una fortuna mandare il tappeto in lavanderia”

“È stata un’idea di Alice” si giustificò Lucio. Cercò con gli occhi la ragazza finché non la vide: era in piedi, accanto alla finestra e guardava ora la scenetta familiare che si svolgeva in salotto e ora il cielo stellato fuori. Senza accorgersene, sorrise.

Giorgio lo osservò con occhio critico. “Questa Alice… è tipo… la tua ragazza?”

“Cosa? No no!” si affrettò a negare Lucio “Siamo soltanto amici”

“Amici…” pensò Giorgio fra sé e sé. Era plausibile tanto quanto la comparsa di Babbo Natale nel loro salotto.

“Guarda papà, guarda che bello!”

L’esclamazione di gioia di suo figlio lo strappò dai suoi pensieri. Si alzò dal divano per andare ad ammirare il giocattolo che gli mostrava, ma prima si chinò e sussurrò all’orecchio di Lucio: “Perché non vai da lei?”

Pochi istanti dopo, i due ragazzi annunciarono che uscivano. Giorgio li guardò allontanarsi con una punta di invidia. Anche lui e Alessandra erano stati così una volta: liberi, spensierati e, soprattutto, innamorati. Ma ormai, era passato tanto di quel tempo.

“Giorgio”

Per la seconda volta l’uomo venne strappato dalle sue considerazioni. Questa volta però era stata Alessandra a chiamarlo. Gli rivolse un sorriso dolcissimo e malizioso allo stesso tempo.

“Vieni un attimo? Ho bisogno di te in cucina”

Giorgio ricambiò il sorriso. Forse non era passato poi così tanto tempo…

 

 

***

 

 

 

 

Anche se faceva un freddo porco ed era ormai buio, Lucio e Alice si ritrovarono fuori in giardino, con la scusa di fumare una sigaretta. In realtà, volevano soltanto starsene un po’ da soli.

“Non è stato poi tanto male, in fondo” cominciò Lucio, porgendole l’accendino.

Alice gli gettò un’occhiata ironica. “È stato penoso. E imbarazzante”

Lucio ridacchiò. Dio, quella ragazza non girava certo attorno alle cose!

“Però…” continuò Alice “Non è stato poi tanto male, no” disse sorridendo.

Si guardarono per un secondo, poi distolsero gli occhi, imbarazzati.

Rimasero in silenzio per un po’, ciascuno immerso nei loro pensieri, fumando le loro sigarette.

A un certo punto però, Alice ruppe il silenzio.

 “Guarda”

Gli indicò il cielo, limpido e buio, trapuntato da milioni di stelle.

Lucio non fu abbastanza lesto ad alzare gli occhi.

“Cosa?”

“Una stella cadente. Dovresti esprimere un desiderio”

Lucio scoppiò nuovamente a ridere, ma questa volta più forte e più a lungo, tanto che Alice fu costretta a chiedergli: “Che hai da ridere?”

“Niente, è solo che…” fece Lucio tra una risata e l’altra “Cioè, non ci credo… tu mi stai dicendo che non credi a Babbo Natale ma credi ai desideri delle stelle cadenti?”

Alice si finse offesa. “Certo, che c’è di strano? Babbo Natale l’ha inventato la Coca-Cola, le stelle, invece, c’erano già da prima” rispose con logica innegabile.

Lucio non riusciva più a frenare le risate. Quella ragazza! Definirla strana era un eufemismo!

Eppure… era anche così… non c’erano parole per definirla. Sapeva solo che, quando era con lei, si sentiva bene. Felice.

E forse, avrebbe potuto addirittura credere nei desideri delle stelle cadenti, se era lei a chiederglielo.

“Ok. Un desiderio” disse, smettendo di ridere.

“Non dirlo!” lo interruppe subito Alice “Altrimenti non si avvera!”

“D’accordo. Desidero…”

Lucio si voltò verso di lei e cominciò ad avvicinarsi, sempre più vicino, fino a quando le loro bocche non si sfiorarono.

“…questo”

Alice sorrise.

Ricambiando il bacio, pensò che, nonostante tutto, forse c’era davvero qualcosa di magico nel Natale.

Lei aveva espresso lo stesso identico desiderio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note Autrice

 

Ed eccola qui, dopo un interminabile tour de force per riuscire a finirla in tempo, la mia fanficion natalizia! Che dire, io ne sono orgogliosa, soprattutto perché è la mia prima originale e spero che anche a voi piaccia (e perché no, che mi lasciate anche un commentino… XD)

Auguro a tutti voi un Natale sereno e felice e che l’anno nuovo vi porti tante belle sorprese e, per tutti gli scrittori/scrittrici, tanta ispirazione, che non è mai abbastanza!

A presto!

Elaintarina

 

   
 
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