Anime & Manga > Sousei no Aquarion
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Autore: Mapi D Flourite    24/12/2009    1 recensioni
BUON NATALE, ERATO!
«Ehi, principessa fessa, ma sei impazzita? Mi hai fatto perdere la cena!»
No, non erano luci. Erano occhi. Occhi dorati. Lei si agitò un pochino, a disagio, mentre tutte le figure tornavano a posto. Certo che erano occhi, naturale. Poteva vederli benissimo, ora che erano così vicini.
«Silvia? Stai bene?»
Genere: Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Apollo, Silvia de Alisia
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Sotto l'albero
Pairing: Accenni a Pierre/Chloe e Apollo/Silvia
Rating: G
Conteggio  Parole: 1083
Warnings: Nessuno
Spoiler: Nessuno

Note: La mia prima fanfiction su Aquarion. (Immaginatevi l'emozione!)
Questa e una storiella che ha l'unica pretesa di strapparvi almeno un sorriso nell'avvicinarsi delle festività Natalizie: ma la cosa veramente bella è che non solo sono riuscita a mettereci dentro tutto ciò che volevo, ma anche qualcosina in più. Fantastico!

Disclaimer: Sousei no Aquarion appartiene agli aventi diritto. Questa fanfiction non è scritta a scopo di lucro.

Dedica: Sorpresa, sorpresa! Chi si è avventurato nell'oscuro e semirimosso fandom di Aquarion per farti un regalo, Erato?
Be', io, naturalmente.
Ci conosciamo da poco, lo so, ma io ho l'inquietante abitudine di affezionarmi alla velocità della luce, alle persone, specie se si dimostrano tanto carine con me come lo sei stata tu negli ultimi mesi.
Spero di tutto cuore che il pensiero ti faccia piacere e che anche la fanfic ti piaccia almeno un pochino.
Un grosso bacione, e buon Natale!

-:-:-

Alto, fiero, imponente. Svettava solenne al centro del grande salone, agghindato con le sue decorazioni rosse e oro, spargendo tutt’intorno una miriade di riflessi cristallini dalle luci bianche che lo decoravano e che sembravano calare su di lui come sfuggenti fiocchi di neve.
Silvia si portò le mani al viso, gli occhi azzurri le brillavano. «È meraviglioso, vero, Fratello?» Lo osservò nuovamente, da cima a fondo e poi sospirò. «Sarà un Natale stupendo, me lo sento!» Afferrò il braccio di suo fratello e se lo strinse al petto.
Sirius sorrise. «Sì, Silvia. È veramente sublime.»
«Allora! Non abbiamo mica intenzione di restarcene qui a fissare questo arbusto tutto il giorno, vero?» Pierre sorrideva come un idiota, portando in testa un cappello da Babbo Natale. «Per una festa come si deve abbiamo bisogno anche di roba da bere e da mangiare, senza dimenticarci i regali da scartare, si intende.»
Tacque un attimo e i suoi occhi brillarono per un istante. «Ehi, Chloe!» La chiamò, dall’altro lato della stanza. La ragazza si voltò a guardarlo. «Che c’è?»
Lui le si avvicinò e le strinse le mani nelle sue. «A proposito di regali…» La sua voce si era fatta pericolosamente bassa e seducente. «Che ne diresti di scartarlo adesso, il tuo regalo, mh? E magari io posso scartare anche il mio…»
Lei arrossì e distolse lo sguardo, non del tutto certa di aver capito bene cosa lui intendesse. «Credo che bisogni aspettare la notte di Natale, per questo!» E per restare sul sicuro, ritrasse anche le mani.
«In realtà la questione è controversa.» I due, e anche tutti i presenti, si voltarono a guardare Jun che si sistemò gli occhiali sul naso.
«Cos’è controversa? In che senso?»
«Ci sono tradizioni contrastanti. Alcuni aprono i regali allo scoccare della mezzanotte della sera della Vigilia, mentre altri aspettano la mattina di Natale. Sono tradizioni che variano perfino all’interno di una stessa area geografica!»
Pierre inarcò un sopracciglio. «E quindi?»
«Be’…»
«Ma certo che aspetteremo la notte di Natale, per scambiarci i regali!» Silvia lo guardava con la sua espressione più feroce; poi, improvvisamente, si raddolcì. «E allora potrò dare a mio Fratello il regalo che ho preparato appositamente per lui. E manca meno di una settimana!»
La luce del Sole, fuori dalle finestre, aveva iniziato a calare, e ora gettava bagliori rossastri sulle piastrelle lucenti del grande salone e sui visi sovra eccitati di tutti quanti i presenti. O quasi.
Jerome, rintanato in un lato della stanza ormai da diverse ore, sbucò fuori dal suo nascondiglio con un’aria di insofferenza sul viso. «Natale o non Natale, non potete starvene qui a bighellonare tutto il giorno! Ora che abbiamo finito con quest’albero, tornate subito alle vostre mansioni.»
«Non è esatto!» Tutti i presenti si voltarono, esterrefatti, quando sentirono – e poi videro – Gen Fudo sbucare dalle tenebre. «E lei quando è arrivato?»
«Sono sempre stato qui… E, comunque, tutti loro, oggi, sono stati sottoposti ad un Addestramento Speciale!»
Jerome inarcò un sopracciglio. «E che genere di addestramento sarebbe, si può sapere?»
«Le Tre Frecce sapranno indicare la via.»
«Ma che cosa diav…»
Ma lui era già sparito.
Gli Element rimasero immobili per un lungo istante con un’espressione esterrefatta sul viso. Quell’uomo era strano, davvero.
«Dopo tutto…» Reika si intromise, timidamente. «È stata una giornata tranquilla.»
Sirius scrollò le spalle. «Hai perfettamente ragione.»
«A proposito di tranquillità innaturale…» Pierre si tolse il cappello dalla testa e lo lasciò cadere su una sedia, guardandosi attorno. «Qualcuno ha visto Apollo?»
Ma nessuno ebbe tempo di rispondergli perché, dall’ingresso del grande salone, entrò, correndo come un matto, un grosso gattaccio nero con in bocca un altrettanto grosso topastro e, dietro di lui, correva un animale ben più grande e selvaggio con una criniera di folti capelli rossi e occhi dorati che mandavano bagliori eccitati nella caccia.
Silvia si tirò indietro, urlando. «Apollo!»
«Credo che tu l’abbia trovato, Pierre,» commentò qualcuno divertito e Jerome, portato al suo limite, iniziò a strillare come un matto, spostandosi da un capo all’altro della stanza, indicando il gatto che, per fuggire al suo cacciatore, si insinuava tra le gambe e sulle sedie. «Ma chi ha fatto entrare quell’animale?»
Sirius, che per scansare la corsa di quei due si era trovato accanto all’uomo, sollevò il mento e arricciò il naso indignato, di fronte alla tragedia che si stava consumando sotto i suoi occhi. «Quale dei due?»
Apollo nel frattempo, incurante di tutto, continuava ad inseguire il suo gatto in lungo e in largo, ribaltando sedie e poltrone e danneggiando qualsiasi cosa su cui mettesse mani o piedi.
«Fermati subito, animale! Stai distruggendo tutto!»
Ma lui, ovviamente, non aveva che occhi e orecchie per quel gattaccio che gli aveva rubato la sua cena. Il felino, esausto e terrorizzato, si lanciò in un’ultima corsa disperata tra le gambe di tutti i presenti che, se non riuscivano a scansarsi, cadevano come birilli travolti dalla furia della caccia.
Silvia avrebbe voluto picchiarlo. In pochi minuti quella bestia selvaggia era riuscita a rovinare tutto il duro lavoro di una giornata intera. Vide i bicchieri rotti sul pavimento, le poltrone rovesciate, gli addobbi splendenti tutti sciupati, l’albero che stava per… No. Spalancò gli occhi celesti e la bocca, esterrefatta dall’orrore. L’albero no!
Istintivamente si lanciò verso di lui, cercando di fermarlo, cercando di impedirgli di fare il danno più grave di tutti. Non poteva rovinare l’albero, non poteva. «Apollo, fermati immediatamente!»
Non si accorse del gatto che le passò a pochi centimetri dalle gambe e quasi non si rese nemmeno conto di Apollo che, incapace di oltrepassarla, le cadeva addosso, facendole sbattere la testa contro un ramo basso e poi sul pavimento freddo.
Lei sbatté le palpebre, intontita, guardando la punta della pianta oscillare insieme alle luci dorate che la ricoprivano. Luci dorate? Erano luci, quelle?
«Ehi, principessa fessa, ma sei impazzita? Mi hai fatto perdere la cena!»
No, non erano luci. Erano occhi. Occhi dorati. Lei si agitò un pochino, a disagio, mentre tutte le figure tornavano a posto. Certo che erano occhi, naturale. Poteva vederli benissimo, ora che erano così vicini.
«Silvia? Stai bene?»
E quella era una voce. Una voce calda, molto diversa da quella che aveva sempre voluto sentire. Ma come poteva ignorarla, ora, se quelle labbra erano così vicine al suo orecchio, tanto vicine che poteva sentire il fiato caldo sul suo viso.
«Silvia?»
Lei spalancò gli occhi, colta da un improvviso lampo di realizzazione. Sentì le guance andare a fuoco e desiderò ardentemente sprofondare nel pavimento. Respirò a fondo.
«Psicocinesi


  
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