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Autore: Kokato    26/12/2009    3 recensioni
Questa fic è un regalo di Natale per Rinoagirl89.
“Ti somigliano, lo sai?”. Disse Sasuke, indicando i marshmallow.
“Cerchi di nuovo di cambiare discorso, per caso?”.
Rise, mettendone uno in bocca con un gesto veloce.
“Dovrei prenderlo come un complimento?”.
“Se vuoi”. Chiuse la bocca, vedendo come Sakura vi stesse facendo avvicinare un altro di quei dolciastri ed orribili batuffoli rosa.
Rise davanti alla sua espressione rigida, e per inciso la sua espressione era stata sempre rigida, ma tutt’ad un tratto le parve dannatamente buffa.
Continuò per un po’ ad insistere, da seduta sulle sue gambe, prima di essere baciata ancora.
Le piaceva, anche se aveva detto di detestare le cose dolci come quella a cui l’aveva paragonata.
Decise di non pensarci.
SasukeSakura, accenni di SasukeSuigetsu (no, non riesco a non infilarci un po' di yaoi) ed implicito InoSakura.
Ordino a tutti belli e brutti di leggerla, perchè io odio il SasuSaku e perchè ci ho sputato sangue per questo .
Genere: Drammatico, Thriller, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ino Yamanaka, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha, Suigetsu
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
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Tanti auguri Senpai… questo è il tuo regalo di Natale incartato nel sangue

Tanti auguri Senpai… questo è il tuo regalo di Natale incartato nel sangue!

Ti ordino di apprezzarlo perché il sangue ce l’ho sputato veramente, e per ricambiare dovrai come minimo ciucciarmi le palle e, visto che non ho le palle, pagarmi l’operazione per farmele impiantare e poi ciucciarmele.

Sappi che lo faccio solo perché c’è giusto il NaruHina che mi sta più sulle palle del SasuSaku… e perché se riesco a scrivere bene su questo allora so scrivere su qualunque cosa xD

A parte gli scherzi auguri, e scusa il ritardo.

 

 

Capitolo I- Terrible man.

 

 

Era inutile cercare di capire come ci riuscisse.

Non era certo possibile accettare il tutto dicendo semplicemente ‘È l’abitudine!’ o ‘Andiamo! Avrà visto più cadaveri che alberi di Natale in vita sua!’. Ed il che, facendosi un breve calcolo mentale, poteva anche risultare vero.

Considerò che un albero di Natale lo si può avere davanti agli occhi al massimo una decina di giorni all’anno, e lei guardava negli occhi anche tre o quattro cadaveri al giorno, per sette giorni a settimana, per quattro settimane al mese, per dodici mesi all’anno da cinque anni a quella parte salvo la grazia di qualche giorno benedetto dall’influenza o dall’esaurimento nervoso.

Niente serviva a salvarla dal suo mortale stacanovismo.

Ino Yamanaka la vide arrivare nel suo consueto abbigliamento ordinario ma stropicciato al tempo stesso, e commentò con un “Si avvicina il Natale!”, constatazione non particolarmente sarcastica né tanto meno recepita. Stette ad osservare come, tirando dritto come un fottuto treno, s’inginocchiava accanto al corpo della giovane ragazza uccisa.

 ‘Uhm… le psicanalisi spettano a me’.

Era probabilmente una di quelle studentesse diligenti che si laureano nei tempi prestabiliti, con un sorriso non troppo convinto sulla faccia, anche se non dovranno mai affrontare quel titano della crisi finanziaria pur di dare un senso a tanti anni passati a sgobbare sui libri… Era carina nel senso stretto del termine, di quelle con cui i maschi vorrebbero avere un contatto piuttosto ravvicinato su una superficie piana e confortevole.

Ma, dal modo con cui si era aggrappata ai suoi appunti di termodinamica, si poteva dire che non ne avesse mai tenuto conto.

Si era aggrappata alla certezza degli obblighi dall’alto perché, probabilmente, non aveva altro. 

Teneva ancora tra le mani un blocco per gli appunti che aveva spiegazzato fino quasi a renderlo illeggibile.

Non sapeva dire se fosse stata una gran perdita per l’umanità -aveva la decenza di bloccare un pensiero quando troppo cinico-.

“Non vorrai mica un regalo da me, Ino pig?”.

“Mpf, figuriamoci”. Aveva un modo di fare estremamente professionale –Ino non avrebbe voluto psicanalizzare anche lei, in realtà-.

Nessuno dei suoi gesti era inutile od eseguito per prendere tempo necessario ad orientarsi, cosa che invece fanno coloro che lavorano nel campo che so… della letteratura, della psicologia o giù di lì. Sapeva esattamente cosa fare e come farlo, per così dire.

Se si potessero diagnosticare i sintomi che fanno l’estremo coglione od il presunto maniaco omicida ogni cosa andrebbe dannatamente liscia, e se così fosse stato quel perfetto genio della medicina legale avrebbe potuto gentilmente smetterla di entrare in scena come avesse segnato ‘il mondo da salvare’ come appuntamento sull’agenda.

Inutili fantasticherie.

Odiava Sakura Haruno per questo… e per molto altro ancora.

“Hinata Hyuuga, vent’anni, schiattata. Il resto dovresti dirmelo tu”.

Sakura reagì alla provocazione con un sorriso serafico mentre osservava la presunta lesione mortale. Ino stava appoggiata allo stipite di una porta con le braccia conserte, nel suo abbigliamento da donna in carriera esaurita fino al midollo –gonna grigia stirata in fretta furia, sobria maglia nera da sbirro col pugno di ferro-. “L’hanno sgozzata come un maiale, che sensi nascosti vuoi trovarci?”.

“Uhm, tu sì che sai dire le cose in modo delicato”.

“Beh, di certo lei non può offendersi…”. Tenne un laccio slargato tra le labbra mentre si raccoglieva i capelli prima di legarli. “… ma c’è dell’altro no?”. Ino si chinò per aprire la camicetta bianca della ragazza morta e per alzarle la gonna.

“Ustioni da acido nitrico su braccia e gambe… da acido fluoridrico sul seno e vicino ai genitali... ormai mi sono inconfondibili. Come quella della settimana scorsa no?”. Ino annuì, apatica. “Stesse ustioni, stessa università… stessa facoltà persino…”.

Tamponò le ferite per accertarsi delle proprie osservazioni, ma sapevano entrambe che era un operazione inutile. Gli occhi erano spalancati e le pupille sporgevano, la pelle in alcune parti assumeva un tono di giallo intenso che rendeva la sua immagine aliena, meno simile ad un essere umano di quanto un cadavere avrebbe potuto essere. Sul seno la carne era stata divelta, scavata lasciando grossi buchi rosicchiati e rossicci profondi fino alle ossa. Osteolisi da acido fluoridrico, se lo ricordava persino lei, Ino Yamanaka, che il massimo di scientifico che poteva memorizzare era la classificazione degli esseri viventi o che i gatti sono felini.

Il sangue si era rappreso sullo squarcio che le lacerava la gola fino all’osso.

Era troppo aperta, decisamente. Con le gambe e la bocca spalancate, quella carne divaricata di cinque centimetri da una parte all’altra che le faceva cadere indietro la testa come un pallone abbandonato. Si sentì in dovere di coprirla, ma le indagini erano ancora in corso e non era possibile nasconderla agli occhi dei curiosi che accalcavano i nastri divisori.

“Sei sempre il solito fenomeno da baraccone eh?”. Considerò Ino con un ghigno.

Sakura non si voltò né si distrasse dal suo lavoro, ma sapeva che aveva ricambiato allo stesso modo.

“Ehi… questi sono naturali, Miss Bionda ossigenata”.

“Credo sia biologicamente impossibile sai?”. Sakura rise senza ribattere, ma in effetti era vero.

Di certo non passava inosservata con quei fottuti capelli da Big Bubble. La scorsa settimana era una novità, un bel pettegolezzo da far girare tra gli scienziati pazzi e gli studiosi mezzi cechi con gli occhi ancora più sottili del fisicamente possibile.

Che non stessero girando un telefilm doveva essere ormai piuttosto chiaro a tutti.

Come la chiami una donna di appena trent’anni con degli assurdi capelli rosa e la capacità d’infilare le mani nelle budella dei cadaveri senza battere ciglio se non ‘personaggio particolarmente paradossale’? A lei non sembrava importare, perciò sbuffò gonfiando le guance, pensando che, tanto che c’era, avrebbe potuto rimorchiarsi una matricola per il fine settimana.

“Comunque non so se possiamo parlare di assassino seriale, potrebbe trattarsi di semplice emulazione”.

Ino annuì, accennando ai sopravvenuti agenti della scientifica che potevano portare via il corpo.

“Beh, non si può dire che non ci fossero motivi per non tornare qui… certo, questo non è dei migliori”.

“Credo nelle tue abilità di seduzione, Ino pig. Non ti serviva una carcassa scuoiata per trovare una scusa”. Disse Sakura come se non le importasse, ed effettivamente era così. Era una fase che era riuscita a superare, quella delle passioni per gli amori dannati ed impossibili.

“Non so come fai a trarre senso di superiorità dal fatto di essere stata scaricata… davvero, mi sfugge”.

“Forse un giorno imparerai anche tu”. Guardò l’orologio, notando di avere parecchi occhi addosso. Volendo onorare il senso d’irrealtà della situazione avrebbe potuto prendere una sigaretta e fumare sporgendo le labbra come l’eroina di un telefilm poliziesco, ma lei di regola non aveva mai avuto vizi simili. Non era neanche passata in nessuna fase di ribellione adolescenziale, nessuna stranezza del tipo ganguro*, punk, metal o stronzate simili. Non era una chapatsu* né una kogal*, non ne aveva l’età a volerci mettere una giustificazione razionale.

Un solo fottuto passo fuori dal gregge, e quello era il risultato.

“Vieni anche tu alla conferenza di Tsunade sensei?”.

Ino mimò la sua morte per impiccagione, ed il che significava probabilmente che aveva ben altro in mente.

“Non aspettavo altro che di apprendere preziose nozioni sull’evoluzione dell’etica della medicina nei secoli, io. E tu mi chiedi se ci voglio venire?”. Il suo modo di ammiccare era sinceramente patetico, ma aveva avuto modo di farglielo notare in svariate situazione senza pervenire al minimo buon risultato.

“Ti piace così tanto quel tipo? E dire che gli uomini di scienza non ti sono mai piaciuti”.

“Lo stereotipo è piuttosto fuorviante, a dire il vero”. Sakura si fece strada tra l’affollamento con l’intento di prendersi un pessimo caffè ad una delle macchinette che aveva visto nei paraggi, Ino la seguì senza nemmeno chiederle dove stesse andando. Qualcuno fantasticò sul fatto che fossero in grado di leggersi nella mente grazie a qualche potere di reciproca lettura del pensiero.

Niente di più sbagliato… era solo l’odore di bel ragazzo nelle narici.

“Ce ne fossero di più di uomini di scienza come quello”.

Sakura ridacchiò, vivamente scettica.

 

 

La definizione di bello gli si adattava abbastanza.

Volendo essere di manica larga lo si poteva anche definire particolarmente avvenente, ma di certo più in là non si andava.

Altrettanto certamente si poteva credere al fatto che una come Ino avesse già cominciato a sbavare come un lama per lui.

Se ne stava là in prima fila, con le gambe accavallate e le braccia conserte, con le labbra sottili un po’ curvate come se fosse divertito da qualcosa e gli occhi che, per quanto ci provasse, non riusciva a capire dov’è che stavano guardando. Analizzando il corollario di evidenti caratteristiche che le si presentarono notò che l’anatomia del suo volto era perfetta, una struttura del naso, degli zigomi, della fronte, del mento perfetti sotto una pelle diafana e dei lineamenti fatti per sorridere in quella maniera irritante.

Vi erano portati per natura, probabilmente.

Nel pianto, nel sonno, nell’esultanza, nel più potente degli orgasmi lo immaginò mantenere quell’espressione diabolica. Poi arrossì.

Poi tornò una donna di scienza. Era normale che le donne ci cascassero, non c’era niente di troppo e niente che mancava. Lo si poteva definire sobrio, elegante -con i capelli e gli occhi neri sulla pelle bianca. Camicia bianca sotto giacca e pantaloni neri e nessun altro colore- essenziale come un vestito da sera senza fronzoli od un gusto naturale, qualcosa che non potrebbe essere altro.

Non era molto scientifico, effettivamente, più che altro era un analisi sociale la sua.

Sì, proprio sociale.

Per un attimo penso di esser stata guardata a sua volta.

L’aula era piena d’importanti luminari e giovani di belle speranze, la voce di Tsunade sensei risuonava determinata mentre parlava di… che diavolo ne sapeva di cosa stava parlando? Riprese le fila dei suoi pensieri dalla parola ‘orgasmo’, mentre guardava la sua mentore gesticolare nel suo modo pacato ed affascinante –parlava della sua esperienza con medici senza frontiere, o del suo contributo in Iraq, o comunque di un argomento del quale avrebbe potuto vantarsi-. Cercò di convincersi di non averlo davvero pensato, poi intercettò di nuovo la figura del bell’uomo, e vide che la stava guardando.

Lo stava facendo, inequivocabilmente lo stava facendo. E sorrideva, anzi no, ghignava in modo malefico. Malefico ed affascinante.

Vicino a lui c’era Orochimaru Manda*, professore ordinario di Chimica inorganica dell’università imperiale di Tokyo. Continuando la sua analisi sociale immaginò che fosse il suo assistente, quello che la stava fissando in maniera tanto spudorata nel bel mezzo di un rispettabile scambio di cultura scientifica. Attorcigliò una ciocca di capelli intorno all’indice, prendendo tempo.

Non era abitudine delle persone con i capelli corti quella di scaricare l’ansia in tal maniera, ed infatti non lo faceva se non in momenti di terribile, terribile nervosismo. Di momenti in cui non sai dove sbattere la testa per non avere una pericolosissima reazione indesiderata… come starnutire durante un bacio, emettere un peto durante il sesso o peggio perdersi nei propri pensieri durante una conversazione offendendo il proprio interlocutore. D’altronde aveva avuto un ottima scuola in fatto di peti, lei. Peti e reazioni inadatte.

Si strinse le tempie, con la speranza di far fuggire quei pensieri.

“Cos’hai?”. Durante una pausa Tsunade le si era avvicinata.

“Uhm… un calo di zuccheri? Non lo so, ma per sicurezza vado in bagno”. Tsunade annuì senza troppo coinvolgimento, sistemando qualche foglio in una cartellina che parevano meritare più attenzione di lei. “Sbrigati a tornare… potrei lasciarti l’ultima parte”. Era un grande onore, ma non seppe prendere la cosa per quello che era. Le girava la testa.

Corse via, ma invece che in bagno finì davanti alla macchinetta del caffè. Aggiunse due cucchiaini in più di zucchero, stavolta, perché ne sentiva un certo bisogno, e lo sorseggiò senza avvertirne troppo il sapore insulso.

Troppa acqua. C’era troppo oltre ciò l’essenziale.

“Quel caffè è terribile, non è vero?”.

Si voltò appena in tempo per vederlo lì, ghignante.

Stava con la schiena contro il muro, come avesse previsto esattamente l’effetto che avrebbe sortito su di lei. Era naturale, nei –forse- trent’anni della sua vita aveva fatto caso a quella evidente dote, ed aveva imparato ad utilizzarla proficuamente. Non è un caso se gli uomini belli hanno anche la fama di essere bastardi.

O dei perfetti idioti… in ogni caso uno dei due casi limite in esame.

Lui non le sembrava un idiota, ed il che la preoccupava.

“Caffeina…”. Decantò, sorridendo ed alzando il bicchierino come in un brindisi. “… come si fa a non resistere alla sostanza stupefacente più diffusa nel mondo?”. Doveva presentarsi, era un obbligo almeno prima di una battuta tanto stupida.

“Probabilmente non c’è nient’altro che caffeina in quella roba”.

Non cercò di controbattere, perché aveva esaurito le sue conoscenze in materia con la prima impietosa apertura di bocca. Lui si avvicinò, atteggiando un passo incerto, per poi prenderle dalle mani il bicchiere. Lo portò sotto il naso per annusarlo, facendole notare quanto quel colore si adattasse alla sua mano marmorea e quasi satinata.

“Caffè all’americana... lo detesto”. Era di quelle considerazioni inutili, che si dovrebbero fare con una risatina di circostanza. Lui era rimasto serio. Pensandoci era perfettamente prevedibile che un uomo simile fosse un intenditore di caffè, di qualcosa di amaro, nero e dannatamente presuntuoso nella propria consapevolezza di essere indispensabile per una buona fetta della popolazione mondiale.

Sorrise, chinando la testa di lato e facendo per accanirsi su una ciocca di capelli.

“So accontentarmi, quando serve”.

“Potrebbe essere una virtù, o forse non esserlo, ma sicuramente salva la vita”.

“Non ci giurerei…”. Era strano essere amichevole con la causa del suo bisogno improvviso di diabolica caffeina.

“… è il terzo che prendo, e non riesco ancora a mettere a fuoco né chi sono io, né da dove vengo”.

Lui non rise, rimanendo impassibile.

“Ho notato, mi sembrava quasi… distratta? Ma da cosa? Non riuscivo a venirne a capo”.

-Che gran figlio di puttana. Lo sai perfettamente da cosa ero distratta.- Si morse l’interno della bocca.

Pensò che tutta quella farsa fosse davvero ridicola. Perché farsi tanti problemi per uno che sta palesemente provando a portarti a letto per poi non rivederti mai più? La mano impegnata coi capelli corse su uno dei suoi fianchi sporgenti.

“Mi dispiace di averla costretta ad un tale rompicapo”.

“Ma che, la ringrazio… l’ho trovato un piacevole passatempo”.

Non si scusò di averla messa a disagio, e ciò l’irritava. O l’eventualità non lo toccava, o non ne risentiva.

Poi lo pensò non in grado di ridere senza sembrare una macchina di metallo, perfetta ma rigida e fredda, e completò il suo quadro di come l’avrebbe presa, sbattuta da qualche parte tipo uno sgabuzzino, e poi tolto le tende con il profumo di conquista addosso ed un nuova, acquisita dose di bastardaggine da usare a piacere.

Rise per entrambi.

“Prego… la conferenza l’annoia?”.

“Alquanto…” fece per manomettere un poco il nodo di una cravatta assente. “Sa a cosa stavo pensando?”.

Scosse la testa.

L’uomo sembrò divertito, nonostante sul suo viso non fosse visibile il minimo cambiamento. Si schiarì la voce. “…35 litri d'acqua, 20 chili di carbonio, 4 litri di ammoniaca, 1 chilo e mezzo di calce, 800 grammi di fosforo, 250 grammi di sale, 100 grammi di salnitro, 80 grammi di zolfo, 7,5 grammi di fluoro, 5 grammi di ferro, 3 grammi di silicio, più altri 15 elementi in minima quantità...*”

Stette sospesa, aspettando una spiegazione senza chiederla.

Aveva seguito il suo indice elencare gli elementi, avanzando un po’, poi lui aveva piegato l’angolo destro della bocca.

“…Questo è quello su cui mettete le mani tutti i giorni: un essere umano. Ma a me e a quelli come me non interessa l’intero…”.

“Ah no?”.

“No…”. Chinò la testa nel suo stesso modo. “… c’interessa il tassello, il pezzo strappato via dal tutto… l’atomo che si dibatte nel vuoto...”.

Mimò un movimento circolare con l’indice, che lei seguì. Era un ipnosi? Non ebbe il tempo di pensarci, né di considerare queste nuove tecniche di adescamento subdolo, non ne pareva il tipo. Non ne aveva bisogno. Ponderò sulle sue parole.

Il pensiero di qualcosa che si dibatte. Gli atomi non si dibattono… forse, ma l’immagine era affascinante.

Quasi poetica.

“Uhm, allora ha ragione Ino pig a dire che gli uomini di scienza sono dei folli senza speranza!” rise. La sua risata parve conquistarlo, ma non se ne curò. Stette a guardarla.

“Il suo nome?”.

“Sakura Haruno”.

“Sasuke Uchiha… le posso offrire un caffè come si deve?” Le tese la mano.

“Dopo la conferenza”. Concesse.

La sua mano destra afferrò una ciocca di capelli con forza.

 

 

Avrebbe dovuto ammettere che, se c’era un motivo per la sua presenza lì, quello era l’incredibile bellezza di Sasuke Uchiha.

Attaccò il bordo della tazza di porcellana con i denti, perchè aveva bisogno di distrarsi dal silenzio.

La voce perforante di un idol alla radio l’aiutava, col motivetto orecchiabile e sempre identico a sé stesso, a non lasciarsi stritolare dalla morsa della loro totale assenza di comunicazione.

La sala da tè aveva poco di giapponese, con le sobrie sedie di legno scuro e musica occidentalizzata che rimbalzava qua e là diffondendosi come un velo. Chissà perché la lingua giapponese doveva essere così piena di parole inglesi usate a sproposito.

Il caffè di lui era un espresso italiano, così ristretto da far pensare che potesse scomparire assorbito dal bicchiere.

Lei aveva optato per un cappuccino che centellinava con finta perizia.

“Perché quei capelli?”. Non aveva introdotto il discorso in nessun modo, lasciandola spiazzata. Era una domanda che le era stata già fatta molte volte, perciò non poté dire di non avere una risposta pronta. “Ci sono nata”.

“Non è vero”. ovvio che non lo era, ma lo aveva detto con una sorta di risentimento.

“Oh, com’è perspicace”.

“Non vuole dirmelo?”.

Sakura spostò il peso della propria testa su una mano. No, effettivamente non voleva dirglielo, ma non sapeva cosa preferire tra un pesantissimo silenzio ed il racconto di una storia patetica. “Non è una storia interessante, né tanto meno originale”.

“Non me ne importa”.

“D’accordo”. Bevve un altro sorso, poi chiese ai suoi capelli un consiglio su come raccontare la loro storia.

Alla fine rise, tirando indietro la testa come volesse sbatterla sul tavolo. “Un ragazzo mi ha lasciata. Volevo voltare pagina. Fine”.

“Come si chiamava?”. Era una domanda strana, perché anche se glielo avesse detto non avrebbe risolto nulla. Sasuke aspettò una risposta con gli occhi neri ed affilati fissi su di lei, come lame che le potesse conficcare sul viso. Si accarezzò una guancia per accertarsene, senza trovare ferite.

Volle continuare a sembrare divertita. “Naruto Uzumaki”.

“Perché l’ha lasciata?”.

“Hm… penso avesse molta voglia di farselo mettere nel didietro da… ah… Gaara Subaku! Come scordarselo quel frigido bastardo… ”. Sasuke sorrise proprio mentre Sakura finiva il suo cappuccino con un unico, rumorosissimo sorso. Incrociò il suo sguardo e lo tenne per qualche istante, prima di ricambiare, buttando poi giù la tazza sulla superficie di legno lucido con violenza.

“Solitamente per fare un cambiamento le ragazze si tagliano i capelli, oppure si sbronzano andando a letto col primo che capita dopo anni su anni di castità… io ho pensato che avrei dovuto cambiare del tutto la mia testa, e l’ho fatto!”. Sasuke aveva continuato a sorridere, e pur conoscendolo da poco meno di un ora Sakura si disse che era un miracolo. Non era un sorriso benevolo quanto dannatamente ironico, arrogante perfino, ma poteva andarne soddisfatta.

“E lei cos’ha da dirmi? Sta con qualcuno, Uchiha san?”.

Del caffè che aveva ordinato Sasuke aveva bevuto solamente una goccia, come fosse un arredamento scenico che non andava toccato più del dovuto. Se l’era portato alla bocca le volte necessarie a finirlo, eppure continuava a bere, e non poteva credere che stesse fingendo.

“Non esattamente”. Rispose, con le labbra colorate di dorato dal caffè.

“Allora cambio domanda: quante se ne fa a settimana?”. Sasuke sobbalzò –nel limite della sua capacità di sobbalzare-, con un verso di approvazione.

“Oh, come siamo disilludi…” rise “… ma no, non è come pensa, Haruno san”.

“Ah no? Allora come stanno le cose?”.

Assunse un espressione confusa, come se non sapesse come spiegarglielo o come se non sapesse se renderla partecipe o meno.

“Tsunade Katsuyu sensei* ha operato l’autopsia sulla ragazza trovata uccisa all’università una settimana fa, se non erro”.

“Sì, ma questo cosa c’entra?”.

“Si chiamava Karin Hebi… si può dire che siamo stati insieme per un po’, anche se avevo l’intenzione di lasciarla”.

Non ce n’era motivo, ma non prese bene la notizia. Ogni domanda che gli avrebbe fatto da lì in poi probabilmente sarebbe sembrata far parte di un interrogatorio, cosa per niente adatta per un incontro amichevole. Si rese conto con un certo disagio che aveva finito il suo cappuccino, e che far finta di bere non era una gesto elegante neanche per prendere ulteriore tempo. Fece finta di raccogliere la schiuma di latte con il cucchiaino.

“Forse avrei dovuto dirglielo prima, Haruno san?”. Tornò ad essere irritante, con quel scimmiottare il suo tono.

“No, io sono una semplice assistente di Katsuyu sensei, non credo ce ne fosse bisogno. Ma… condoglianze”.

“Grazie”. Lo disse velocemente, come se la cosa non gl’interessasse più della sopraggiunta fine del suo caffè espresso.

Ciò la raggelò e la rese ostile. Quanto terribile poteva essere un uomo che non sapeva che deridere invece di ridere, e che era così freddo parlando della morte di una delle donne della sua vita? Il suo cervello le disse che non avrebbe mai voluto saperlo.

Le venne in mente il pensiero più banale ed il più ovvio: l’aveva uccisa lui. Lo nascose con un risolino sardonico.

Decise di non parlargli dell’altra vittima, probabilmente perché in qualche maniera lo sapeva già.

“Ora… ora devo andare”.

Sì, era decisamente meglio andare via.

“Aspetti un attimo”. Si voltò appena in tempo per sovrapporre la sensazione visiva delle sue labbra che si piegavano alla sensazione delle loro bocche l’una sull’altra. Attraversando il tavolo l’aveva afferrata per la vita, e l’aveva baciata.

Era un uomo terribile senza alcun dubbio.

Le lanciò uno schiaffo con tutta la rabbia possibile, prima di stare sospesa a guardare il suo viso disinteressato e ghiacciato.

Non disse niente per qualche secondo, sconvolta, poi esplose. “COME TI È SALTATO IN MENTE, IDIOTA?!”.

Sorrise.

L’espressione ‘Uomo terribile’ le risuonò in testa con tutta l’intenzione di farsi ascoltare, senza molti risultati.

“Vieni a trovarmi uno di questi giorni. Sono in laboratorio quasi tutte le sere… ad ammirare gli atomi dibattersi”.

Aveva sussurrato una probabile bugia al suo orecchio, con un tono… demoniaco. Rabbrividì tra le sue braccia, dimenticandosi del fatto che doveva divincolarsi. Eppure, in cuor suo si disse che sarebbe stata lì una di quelle sere, con gli stessi brividi addosso.

Sasuke se ne andò lasciando molto di più del denaro necessario per il conto, ed un caffè intatto.

 

 

*Nella moda ganguro vengono combinate un’abbronzatura molto scura con i capelli tinti di biondo, arancione, o di un grigio argentato.

*Le caratteristiche principali della moda kogal sono l'abbigliamento e il trucco alquanto vistosi. Il corpo viene "occidentalizzato" tramite una forte abbronzatura, mentre i capelli vengono tinti con colori appariscenti quali il castano chiaro o il biondo platino.

*Chapatsu: moda dei ragazzi giapponesi di decolorarsi i capelli o di tingerli di colori strani.

*Si ringrazia ‘Full metal alchemist’ per queste informazioni xD se non sono giuste prendetevela con Edward chan!

*Sensei= oltre che “maestro” può significare anche “Dottore”, ed in questo caso si traduce come “Dottoressa Katsuyu”, perché Tsunade non è una professoressa.

 

NOTE DELL’AUTRICE!

Saranno tre capitoli… aggiorno ogni sabato… mi si è bruciato il cervello a scriverla quindi vi ordino di commentarla!

Fine U-U alla prossima settimana.

   
 
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