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Autore: Mizar    26/12/2009    7 recensioni
Un compleanno speciale; un bilancio della propria vita. Una storia d'amore sullo sfondo di una terribile guerra. [ I classificata al concorso: "A Contest, a Rose and a Story" ]
Genere: Romantico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Voldemort
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Con una rosa


Come la porpora che infiamma il mattino,
come la lama che scalda il tuo cuscino,
come la spina che al cuore si avvicina:
rossa così è la rosa che porto a te
(Con una rosa - Vinicio Capossela)


Oggi compio trent’anni; una tappa importante nella vita di una donna.
E’ il momento delle riflessioni, dei bilanci e, perché no, delle decisioni drastiche; quelle prese con il cuore, perché non si è più ragazzine ed è ora di cambiare…
Ho festeggiato l’arrivo di questo giorno tra le braccia del mio amante.
A mezzanotte abbiamo brindato e poi ci siamo amati a lungo e con passione.
Stamattina, ancora con gli occhi chiusi, ho allungato la mano verso il suo cuscino e l’ho trovata: una bellissima rosa rossa.
Ogni volta mi lascia questo fiore, prima di andarsene, approfittando del mio sonno profondo.
Questa volta, però, il suo gesto ha un significato speciale...
La sfioro con dita tremanti e la porto al mio viso, mentre le nebbie del sogno avvolgono ancora i miei sensi.
Il profumo inonda le mie narici, inebriandomi i sensi.
Socchiudo le palpebre e il fiore si sfoca, lasciandomi intravedere solo una macchia indistinta di rosso.
Sorrido.
Amo quel colore…
E’ caldo, forte, passionale.
E’ il colore del sangue che scorre impetuoso nelle vene.
E’ il colore della rabbia che travolge tutto e tutto distrugge.
E’ il colore del fuoco che, quando divampa, sa cancellare ogni ostacolo che si ritrova davanti.
Proprio come me, quando sento il furore e la passione montarmi dentro.
Alice, la mia elfa domestica, entra in camera con il vassoio della colazione.
Apre la grande finestra e lascia entrare l’aria, fredda e pulita, di questa incantevole mattina.
Le sorrido mentre, premurosa come sempre, mi versa il the.
Sono passati tanti anni eppure, questa piccola creatura, è ancora al mio fianco.
Nelle gioie e nei dolori.
Nei momenti di felicità e in quelli, così bui, che avrei desiderato solo morire.
E’ l’unica della mia famiglia che reputo importante: più di quella madre che non mi ha mai voluta.
Più di quel padre, freddo ed austero, che desiderava solo un erede maschio.
Più di quel marito, fasullo, che la mia famiglia, mi ha imposto.
Più di quel bambino, tanto voluto da tutti i miei parenti, che non è mai arrivato.
Alice mi porge la tazzina di porcellana bianca, i biscotti e poi comincia a raccontarmi le novità dalla giornata.
I garzoni della boutique del fiore stanno montando gli addobbi nel salone.
Frances, la cuoca, ha deciso di cambiare la seconda portata nel menu della cena.
Al mercato del pesce, stamani all’alba, ha trovato delle spigole freschissime e sa che sono il mio piatto preferito.
Madama McClan ha appena consegnato, all’elfo guardarobiere, il bellissimo abito da sera che indosserò al ballo.
Mio marito tornerà dal suo viaggio d’affari nel primo pomeriggio.
“Alice, basta! Così mi stordisci”, mormoro sorridendo e anche lei ride, mentre riassetta la stanza.
“Scusa, piccola padrona, ma questo è un giorno così importante… Trent’anni si compiono una volta sola!”
“Gli anni si compiono sempre una volta sola”, le faccio il verso, divertita.
“E’ vero, ogni compleanno è unico, mia Piccola Rosa, perciò tutto deve essere bellissimo e speciale.”
Piccola Rosa…
Era il soprannome che mi dava, quando ero bambina.
Piccola Rosa in un giardino di fiori.
Mille profumi e mille colori.
Tutti lo sanno chi è la regina.
Sei tu, mia Piccola Rosa bambina…

Allora, Alice, mi cantilenava questa filastrocca, per farmi addormentare la sera ed io chiudevo gli occhi e sognavo le aiuole incantate, i colori tenui e i soavi profumi di quel magico giardino.
Ho sempre amato le rose, così belle ed eleganti.
Sono sempre stati presenti nella mia vita, quasi come simboli magici.
Sono nata a Samhain, quando la terra, che ha ormai dato i suoi frutti, deve riposare per poter essere nuovamente fertile nella futura primavera eppure, nonostante fossimo ormai in autunno, tutto il roseto era in fiore a causa di una temperatura, stranamente mite, che portava ancora con sé un soffio d’estate.
Una rosa è stata il mio primo omaggio floreale, ricevuto dal cugino Gideon Prewett, * in occasione della festa di Beltane, quando avevo solo tredici anni.
Noi Black eravamo soliti tenere un fastoso ricevimento nei lussureggianti giardini del nostro castello, nella campagna del Galles.
Ricordo i grandi fuochi, accesi in tutta la tenuta la notte precedente il primo maggio, per celebrare la speranza di una rinnovazione e incoraggiare il dio sole a riscaldare e fecondare la dea terra.
La festa si protraeva fino all’alba e poi si assisteva al sorgere del sole.
Le giovani dame, elegantemente vestite, danzavano attorno al palo ornato di fiori e stringhe colorate, sistemato nel prato sul lato est del castello.
Si muovevano sinuose, al ritmo dei cembali, tenendo giocosamente in mano un'estremità dei nastri colorati, mentre tutti gli altri invitati assistevano alla cerimonia.
Era durante quella festa che i figli maschi potevano manifestare le loro preferenze in fatto di ragazze e, in seguito, i padri s’accordavano, stipulando contratti che avrebbero portato a matrimoni combinati e proficui.
Quella notte Gideon, con gentilezza, strappò per me un fiore, dal cespuglio vicino al quale stavamo chiacchierando e me lo mise tra i capelli.
“Sai, Bella, questa rosa è come te: meravigliosa e profumata”, mi sussurrò all’orecchio, con malizia, dandomi, oltre al fiore, anche il primo bacio.
Sorrido ancora a quel ricordo.
Gideon era goffo e tenero, mentre mi stringeva tra le braccia e posava le sue labbra sulle mie.
Rammento ancora la sensazione di calore del suo respiro e l’eccitazione che mi prese allo stomaco, perché stavamo facendo qualcosa di proibito, e se ci avessero visti i nostri genitori…
Ho ancora quella rosellina.
L’ho fatta essiccare e la conservo in un piccolo scrigno di legno, nel mio scrittoio.
Ancora rose, bianche, in gran quantità.
Adornavano il salone di villa Black, il giorno delle mie nozze, mentre io, elegantissima e algida, nel mio abito di raso e pizzo, camminavo lungo la passatoia centrale al braccio di mio padre.
Alla fine del percorso c’era lo sposo scelto per me dai miei genitori.
Avevo solo diciannove anni e avevo pianto tutte le mie lacrime, quando, pochi giorni dopo la festa di Yule, mi avevano annunciato l’evento.
A maggio, durante il ballo di Beltane, Rodolphus Lestrange aveva manifestato il desiderio di sposarmi e i nostri due padri, in gran segreto, si erano accordati per il mio valore, come si trattasse della compravendita di un animale o di un oggetto.
Io ero Bellatrix Black, la bellissima primogenita della famiglia più importante del mondo Magico.
Ero stata un’ottima studentessa a Hogwarts ed ero una maga capace e potente, in grado di dominare qualsiasi incantesimo, dal più semplice al più oscuro e pericoloso, eppure, per il fatto che ero donna, non valevo nulla come persona agli occhi del mio genitore.
Sapevo che mi avrebbe scambiato, anche subito, con uno dei miei due cugini maschi, figli di sua sorella Walburga.
Non importava che loro fossero solo due marmocchi viziati e petulanti, non ancora in grado di usare la bacchetta, se non per piccoli ed innocui incantesimi. A Sirius e non a me, andava il titolo d’erede dei Black, anche se, con i suoi comportamenti, era la vergogna della casata.
Alice era stata l’unica a capire il mio dolore e a cercare di consolarmi.
Per i miei genitori, le lacrime che scendevano dai miei occhi, erano solo i capricci di una sciocca ragazzina.
Il mio sposo era un bel giovane e un buon partito.
Divenendo mio marito avrebbe portato alla famiglia altro potere e ricchezze.
Io però non lo amavo e l’idea di legarmi per sempre a lui come moglie e poi divenire madre dei suoi figli, mi faceva inorridire.
Volevo essere libera.
Volevo studiare, sperimentare e conoscere sempre meglio la Magia, per poter piegare il mondo al mio volere.
Mi chiedevo perché dovessi sacrificarmi tanto per la famiglia, visto che eravamo già vergognosamente ricchi e potenti, ma con gli anni ho capito che è come una droga: più ne hai e più ne sei dipendente.
Quella notte diventai donna tra le braccia di un uomo di cui non m’importava nulla.
Sulle candide lenzuola del nostro letto sbocciò una rosa rossa; il fiore di sangue e lacrime che ogni ragazza purosangue ha il dovere di donare al proprio sposo.
Un fiore di rabbia e dolore, che segnò ancora di più il mio animo già così tormentato.
La mattina dopo, appena sveglia, Alice mi portò la colazione, come sempre.
I miei genitori me l’avevano regalata, insieme a una cospicua dote per il mio sposo.
Mio marito non era accanto a me, ma sul comodino troneggiavano un diadema di rubini ed un enorme vaso di rose rosse.
Era il suo modo per dimostrarmi che m’amava.
Sapeva della mia passione per quei fiori e non me li fece mai mancare.
Rose rosse ad ogni anniversario, compleanno, ricorrenza importante.
Rose per compiacermi, consolarmi, farmi sorridere; fiori del colore dell’amore, della passione, anche se, tra noi, non c’era né l’uno né l’altra, almeno non da parte mia.
Io non potevo amare un uomo che mi aveva comprato e forse per questo non riuscivo a donargli quello che desiderava di più: un figlio.
Durante i primi anni del mio matrimonio nel Mondo Magico cominciò a spirare un vento di rinnovamento.
I maghi, che per secoli si erano dovuti nascondere agli umani, stavano ritrovando la loro dignità grazie ad un discendente di Salazar stesso: Lord Voldemort.
Quest’uomo, un grandissimo conoscitore delle arti oscure, si era presentato alle elezioni per diventare Ministro della Magia.
La sua politica era molto innovativa e si basava sul principio, fondamentale, che i Maghi erano molto superiori agli umani.
I suoi discorsi ci spronavano a rialzare il capo e riprenderci il nostro posto di dominanti, vendicandoci sui babbani per le persecuzioni e i dolori che ci avevano inflitto per anni, portandoci quasi all’estinzione.
Queste sue idee avevano forte presa sulle famiglie purosangue: quelle che nei tristi periodi della caccia alle streghe avevano riportato più morti.
Ogni casata degna di rispetto, annoverava nei propri alberi genealogici decine di vittime, perite per l’intolleranza degli umani e la mia e quella di mio marito non facevano certo eccezione.
Rodolphus era uno dei fedeli seguaci di questo mago vendicatore e non esitava a parlarmi delle sue idee e dei grandi progetti che aveva, tra le pareti domestiche, ma si rifiutava categoricamente di portarmi alle sue riunioni.
“La politica è una cosa da uomini”, diceva sorpreso dalle mie richieste insistenti.
“Tu devi pensare a riposarti e a rimanere incinta, come fanno tutte le mogli. Sono quasi due anni che siamo sposati ed io non ho ancora il mio erede!”
A quelle parole mi sentivo morire di rabbia e frustrazione.
Come poteva, quello sciocco, non capire la mia voglia di combattere tutte le ingiustizie che ci avevano portato a rinnegare il nostro status e il diritto a dominare il mondo?
Io ero una Black, una regina per nascita, e rivendicavo il mio diritto al trono con tutta me stessa.
Ero furiosa, ma stavo ben attenta che non s’accorgesse di nulla, temendo che smettesse di raccontarmi ciò che si diceva nei salotti che solo lui poteva frequentare.
Fingevo sottomissione, come si addiceva ad una brava moglie, ma, di nascosto, continuavo a collezionare articoli su Lord Voldemort, ritagliandoli dalla Gazzetta del Profeta e a scrivere lettere anonime di sostegno e apprezzamento a questo mago a me sconosciuto.
Finalmente, una sera di qualche anno dopo, ad uno dei soliti noiosi ricevimenti mondani a casa dei miei genitori, ebbi l’opportunità di conoscerlo.
Alto, fiero, sicuro di se, con due occhi magnetici che sembrava potessero leggerti fino in fondo all’anima, quell’uomo riuscì a rimescolarmi dentro con un solo sguardo.
Rodolphus, cedendo alle mie insistenze, ci aveva finalmente presentato e lui m’aveva guardato in un modo così impudico che mi aveva fatto fremere.
Lui era il nostro condottiero, nato per far risorgere il Mondo Magico dalle rovine in cui versava.
Io sola lo capivo, come capivo l’importanza che aveva, per noi maghi, ritrovare la nostra dignità di custodi della terra e delle antiche tradizioni.
Mio marito e le altre famiglie purosangue gli avevano venduto l’anima, ma lo avevano fatto al solo scopo di guadagnare altro potere ed altra ricchezza.
Lui era il mio idolo ed era anche l’uomo più bello che avessi mai visto, così, mentre mio marito conversava amabilmente con gli amici di sempre, noi continuavamo a fissarci in un seducente gioco di sguardi.
Quella sera stessa giacqui con lui, in una delle tante stanze di Villa Black.
Il nostro fu un amplesso furtivo e rovente.
La passione scorreva, come lava, nelle nostre vene, mentre i nostri corpi si cercavano famelici.
Per la prima volta nella mia vita mi sentii annientata dal piacere.
Il mio cervello smise di funzionare per fare posto solo ai sensi e all’istinto.
Era la mia voce, arrochita dal desiderio, a gridare così? Erano le mie lunghe unghie cremisi ad artigliarsi selvaggiamente alla schiena di quel mago, lasciando, al loro passaggio, vistosi segni rossi?
Erano le mie labbra che cercavano avidamente le sue, in baci sempre più caldi e profondi?
Una parte di me si domandava tutto questo, mentre il mio corpo si piegava a lui e al suo volere.
Ecco cosa voleva dire essere donna.
Ecco come ci si sentiva donandosi al proprio uomo.
Era una sensazione esaltante e meravigliosa.
Più tardi, mentre ci ricomponevamo, prima di tornare alla festa, lui mi sorrise e, con un gesto della mano, fece apparire una rosa rossa, poi me la porse con un sorriso beffardo ed un inchino.
Sapevo cosa voleva significare quel gesto: ci saremmo rivisti ancora.
Fremente d’emozione aspiravo il profumo intenso del fiore, mentre pensavo già, con bramosia, al nostro prossimo incontro.
Cominciò così la nostra storia.
Una storia di sesso e passione, ma non d’amore.
Lui non credeva in quel sentimento.
Neanch’io ci avevo mai creduto ma, nonostante tutto, ora mi ritrovavo ad amare quell’uomo più di me stessa.
Lui era la persona che avrei voluto avere accanto a me ogni giorno; quello che desideravo come padre dei miei figli, come amante di ogni notte, come maestro da seguire; ma io ero già di un altro uomo e lui non si sarebbe mai legato a nessuna.
Per Tom solo il potere contava: il dominio assoluto su tutto il Mondo Magico e questo, ai suoi occhi, era ancora più importante dell’immensa ricchezza che ne sarebbe derivata.
Così passavo gli anni migliori della mia vita dividendomi tra il suo letto e le schiere dei suoi fedeli soldati, quelli che portavano con orgoglio il Marchio Nero che li legava per sempre a lui.
Voldemort stesso aveva chiesto, a mio marito, il privilegio di annoverarmi tra i suoi Mangiamorte e, la notte che questo simbolo mi era stato impresso, dalla sua bacchetta rovente, avevo letto nei suoi occhi un moto d’orgoglio e possesso.
Erano poche le donne nella sua cerchia, ed io ero la più speciale: la strega più potente, bella e fedele; l’amante appassionata che avrebbe dato la vita per lui; la guerriera indomabile che gli sarebbe sempre rimasta al fianco.
Tra le schiere dei suoi seguaci riprendevo, finalmente, il mio vero posto nella vita, che non era, certo, quello di ricca mogliettina annoiata, che altri avevano scelto per me.
Per Tom io ero una guerriera ed una stratega, oltre che un’amante e non gli importava dimostrare a tutti che il suo braccio destro era donna.
Ascoltava con interesse le mie idee e, spesso, seguiva i consigli che gli davo, apprezzando la mia intelligenza e lungimiranza, oltre all’estrema conoscenza del Mondo Magico e dei suoi intrighi politici.
Spesso, le nostre discussioni, c’estraniavano da tutti gli altri per ore.
Erano questi momenti di comunione intellettuale, oltre ai nostri momenti d’amore, che mi facevano sentire viva e non vi avrei rinunciato per nulla al mondo.
Ripensando, ora, alla mia vita, mi rendo conto che solo con lui non mi sono mai sentita un vile oggetto da mettere in mostra per l’altisonante cognome e la straordinaria bellezza.
Noi due, insieme, abbiamo saputo creare le basi per quello che sarà un mondo migliore per tutti i maghi e ne vado fiera.
Un sorriso stende le mie labbra, mentre mi rigiro, pigra, tra le lenzuola di seta che trattengono ancora un po’ del suo profumo.
Con un brivido, il mio pensiero torna alla magica notte appena trascorsa.
Abbandonata tra le sue braccia, dopo che il sesso ci aveva prosciugato di tutte le nostre energie, osservavo i suoi occhi che guardavano lontano e lentamente gli carezzavo il petto.
“E’ ora di pensare al futuro, Bella”, aveva sussurrato al mio orecchio, con una voce diversa dal solito.
“L’impero che stiamo costruendo, un giorno, avrà bisogno di qualcuno che lo guidi, come stiamo facendo noi… Voglio un figlio da te”.
Il mio cuore aveva sobbalzato, mentre lo guardavo, incredula.
“Si, Bellatrix”, aveva aggiunto sicuro, baciandomi le labbra.
“Ad un Re va sempre affiancata una degna Regina che possa donargli l’erede, e non esiste nulla che io non possa avere, se lo desidero, compresa la moglie di un altro”.
Io gli avevo sorriso radiosa e poi ci eravamo amati ancora, ma questa volta in una maniera nuova.
Non c’era più solo la passione nei nostri corpi, sentivo anche qualcos’altro: forse la consapevolezza che non ci saremmo più lasciati.
Con occhi sognanti stringo a me la sua rosa.
Sono così felice.
Tra qualche giorno me n’andrò da questa casa, che non ho mai sentito mia, e da quel marito che non ho mai amato, per prendere, finalmente, il posto che mi spetta accanto al mio Signore.
Stanotte danzerò e brinderò non solo al mio trentesimo compleanno ma, anche, al giorno più bello della mia vita: il 31 ottobre 1981, data in cui sono diventata una donna libera.**

Fine




NOTE:


* Che Bellatrix e Gideon sono cugini l’ho scoperto leggendo la genealogia dei Weasley.
La famiglia Prewett si imparenta coi Black grazie al matrimonio di Ignatius Prewett con Lucrezia Black.
Ti linko la fonte http://it.wikipedia.org/wiki/Weasley_(famiglia)


** In questa data, per uccidere Harry Potter e la sua famiglia, Lord Voldemort perderà tutti i suoi poteri.
Qualche giorno dopo, Bellatrix, credendolo prigioniero dei combattenti dell’Ordine della Fenice, torturerà fino alla pazzia Frank e Alice Paciock, con la maledizione Cruciatus, per ottenere informazioni.
Per questo verrà imprigionata ad Azkaban assieme a suo marito Rodolphus Lestrange, al cognato Rabastan e a Barty Crouch Jr.
suoi complici in questo delitto.

DISCLAIMER: Harry Potter e tutti i personaggi della saga sono di proprietà di JK Rowling e di chiunque ne possieda i diritti. Questa storia non ha alcun fine di lucro, né intende infrangere alcuna legge su diritti di pubblicazione e copyright.

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