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Autore: FairyDream    26/12/2009    1 recensioni
In questa mia prima fanfiction Harrypotteriana, vi porterò avanti nel tempo di parecchi secoli. Nella Nuova Londra vive (vivrà)una ragazzina, Silmeth,che si sente intrusa in questo mondo, e colpevole delle mostruosità compiute dagli uomini del passato (per noi del futuro).Per lei, però il destino ha riservato uno strano futuro, in un magico mondo che noi ben conosciamo, molto simile a quello che lei ha sempre sognato nei suoi libri, che però saprà dimostrarsi ben diverso da un' utopia...
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Silmeth- il mistero della chiave d'argento

" Il sole splendeva. L'erba secca, col suo acuto profumo, pizzicava le sue mani,eppure era piacevole, era così bello essere di nuovo a casa; quell'erba, quell'odore, quel sole erano qualcosa che nessuno avrebbe potuto toglierle. Mai più, nè a lei nè alla sua famiglia."

Silmeth sospirò. Era tutto il pomeriggio lì, seduta a sospirare; senza contare che era da una vita che lo faceva. Dispersa tra i suoi amati libri, che ormai conosceva a memoria, tentava di immaginare le sensazioni  che provavano i personaggi, ma non era affatto semplice, non lo era per lei, (l'unica sulla Terra  che avrebbe potuto tentare di farlo), e di certo era del tutto impossibile per i suoi coetanei, che un libro non l'avevano mai neppure visto.
Si alzò di mala voglia e si diresse verso l'unica piccola finestra.
- Ma a che serve? Io un sole non lo vedrò mai.- disse guardando verso il cielo. Era vero, nessuno lo vedeva più da circa due secoli. Il sole era completamente coperto di nere nubi di smog. L'aria era diventata irrespirabile da moltissimi anni, e per poter uscire non bastava più nemmeno la mascherina che avevano usato i suoi nonni quando avevano la sua età, no di certo, da quando gli ultimi alberi erano scomparsi, circa cinquant'anni prima, l'intero pianeta aveva dovuto trovare una soluzione: avevano costruito in ogni città un "purificaore","il grande albero", o come lo definiva lei " l'albero della morte". Era una costruzione immensa, altissima. Un cilindro di ferro che purificava l'aria, come facevano gli alberi veri prima di sparire. Eppure, sebbene quella fosse l'unico mezzo per vivere lo detestava. Non portava solo salvezza, ma anche una scia di morte: le spese di costruzione erano mostruose, ma per una metropoli come la Nuova Londra non erano state un problema; non tutti i paesi e neppure tutte le città se l'erano potute permettere. Alcune persone fortunate erano riuscite a trasferirsi nelle già affollatissime metropoli, altre erano state costrette ad una triste fine: le stazioni e gli aereoporti erano stati chiusi, per limitare la produzione di smog, e pian piano, con l'arrivo dei gas tossici erano tutti morti, senza distinzione tra bambini e adulti.
- "L'uomo è costretto ad atti terribili, perchè è un essere vivente, e come tale deve lottare per sopravvivere: l'ennesima lotta per la sopravvivenza che ci ha obbligato a spegnere miliardi di vite."- Recitò la ragazzina imitando il tono del politico che aveva affermato che non c'era altro modo, e che avevano fato bene a comportarsi così. Ma era vero? Era giusto? Doveva sentirsi fortunata di poter vivere la vita che le era stata data a partire da mille morti? No non si sentiva fortunata per quello, ma era sicura che fosse giusto conoscere la verità anche se faceva male, solo pochi la sapevano, altri la nascondevano per rassicurarsi, per restare convinti che l'uomo era buono ed intelligente - Ottusi-pensò.
Gli altri non sapevano, e quel che è peggio è che non volevano sapere.
Silmeth si girò e si guardò allo specchio.
Aveva solo undici anni, ma quella consapevolezza che aveva della vita le dava uno sguardo maturo e responsabile. Chiuse gli occhioni scuri.
- Sorridi.- si disse. - Sei comunque fortunata, quasi nessuno può leggere un libro, tu lo puoi fare, consapevole di ciò che l'umanità ha perso con la sua stupidità ma anche fiera di poter vivere quel che leggi.- Glielo diceva sempre la mamma, pensò ricordando ciò che lei aveva risposto la prima volta:

"- Ma lo possono fare tutti, nei musei, usando i microchip, anzi,possono anche sentirne il profumo coi microsensori.-
- Sì, ma nessuno può capire la loro bellezza. Leggendo si sviluppa la fantasia, e tu ora la possiedi.-
- Ma mamma, a che mi serve? Tutte le conoscenze ci vengono..."iniettate" alla nascita, nessuno le deve studiare, perchè tu lo fai?-
- Ma come perchè? Perchè  mi piace e mi dà soddisfazione, e poi...è quasi conro la legge, e ho sempre avuto un debole per cacciarmi nei guai...- "

Sorrise.Scherzava, lo sapeva, però era vero: era un difetto di famiglia...
Crash
-
Ma che...? Beji ! Non oserai...BEEJIII!!!-
La sua sorellina stava dimostrando che i suoi pensieri erano corretti: Si era infiltrata in camera sua e ora reggeva fieramente il libro solevato.
- Ti ho in pugno. Se ora non giochi con me questo fa una bruuuuutta fine.- affermò la ricciolina.
" Prendi un bel respiro, sfoggia il tuo sorriso, sii dolce". si disse mentalmente la ragazzina castana.
- Beji, tesorino carissimo, ti prego, dammi il libricino....se non ti spiace logicamente....-
- Mi spiace eccome. Gioca e poi ci penserò- Rispose la bambinetta sottolineando che gliel'avrebbe dato solo in una remotissima possibilità.
Beji e lei erano il giorno e la notte...beh, no, lei era il giorno e Beji la notte:
Lei era castana, Beji bionda. Lei era solare, Beji musona e capricciosa. Lei aveva gli occhi scuri, Beji verdolini. Beji era magra, lei.....no, non era grassa, era solo un pochino più rotondetta, ma era una questione di costituzione. Beji era ossessionata dal gruppo, benchè fosse più piccola di tre anni, lei no. Certe persone sono meglio perderle che trovarle.

- Silmeh, puoi venire qui un momento?- la chiamò sua mamma. 
- No, altrimenti Beji mi rompe il libro!- approfittò la ragazzina

- Beji,anche tu. –

La bimbetta sbuffò, e scese sempre con il libro stretto in una morsa. La madre era in cucina e scriveva una lista della spesa. Senza staccare gli occhi dal foglietto la donna parlò:- Il libro a me per piacere- tono autoritario: meglio non discutere, Beji consegnò l’oggetto del ricatto.- Silmeth, oggi sono un  po’ impegnata… potresti andare tu a prendere queste cose?- e le porse il foglietto.

- Come, da sola?- esclamò lei strabuzzando gli occhi: sua madre era una donna ansiosa, e non l’aveva mai voluta lasciare  andare da sola sebbene la sicurezza era praticamente impeccabile in quel secolo.

- Certo che no, tuo padre ha comprato un nuovo guardia-robot proprio ieri, con quello posso stare sicura.-

“ che bello! Scortata per tutta la città  da un scatola di latta che avrebbe lanciato occhiate minacciose a tutti i passanti che involontariamente si fossero avvicinati troppo a lei.” Pensò poco entusiasta. Se qualcuno dei suoi compagni l’avesse vista avrebbe avuto finalmente una ragione logica per prenderla in giro.

- Va bene mamma…-

Premette il pulsantino sul petto per cambiarsi, e la fantasia del pigiama scomparve per poi trasformarsi in un allegro vestitino a fiori. Un’altra invenzione futuristica dell’ultimo secolo: tutti indossavano un camice bianco, che connesso alla torre informatica prendeva varie sembianze e materiali a seconda del segnale che veniva mandato.

Poco dopo era fuori, in quell’orribile metropoli tutta uguale. Decise di farsi un “giretto turistico”prima di affrontare la folla dell’enorme centro commerciale, e così si diresse verso la vecchia stazione ferroviaria,uno degli unici posti antichi che erano sopravvissuti alla costruzione di nuovi edifici.

Teoricamente era chiusa al pubblico, ed era recintata da palizzate di legno marcio, ma lei un giorno aveva scoperto un passaggio che permetteva di entrarvi, che veniva usato da pochi miserabili che volevano passarvici una notte tranquilla.

Una volta arrivata si accucciò e attraversò l’angusto passaggio a gattoni, sempre seguita dal fedele robottino. Davanti ai suoi occhi si aprì la vista della grande sala d’ingresso, della biglietteria, delle panchine e di vecchi cartoni pubblicitari che si erano salvati dalla furia del tempo. Nell’aria c’era una nube di polvere, e le molte ragnatele che pendevano dal soffitto parevano quasi lunghe tende tanto erano vecchie. Per passare ne scostò qualcuna, stando ben attenta dal non rovinarle. Prima di aprire la porta che dava sui binari osservò ancora una volta la sala: era bellissima! La maestria degli architetti del passato non poteva passare inosservata ad una ragazzina di quei tempi, abituata a costruzioni tutte uguali, che cercavano solo di risparmiare spazio e che si susseguivano una attaccata all’altra.

Pensò a tutti coloro che in passato avevano attraversato la stazione per partire verso altri stati, per andare in vacanza, per far visita a parenti lontani, o semplicemente per andare al lavoro…. Di certo davano per scontato la bellezza di quel luogo… decise di proseguire senza più fare questi pensieri, e così spinse con forza la pesante porta,  risollevando una nuova nube di polvere.

Tossì, ma continuò a camminare, persa tra i suoi pensieri, attraversando binari morti, accarezzando le colonne di mattoni che delimitavano i binari. Per un momento si sentì l’unica sopravvissuta al mondo, e si sentì sola, ma poi sentì lo “squittio” del robottino, e lo guardò con un sorriso sarcastico: - Già, ci sei anche tu…-

Non era uno di quei robot dalle sembianze umane che lei tanto odiava, era un piccolo ammasso di microchip che le arrivava appena a metà coscia, dalla forma ovale paffuta che si muoveva tramite piccole rotelline, ma era pur sempre un robot, e lei avrebbe preferito cento volte essere accompagnata da un animaletto come quelli che avevano i personaggi nei suoi libri e che ora erano estinti. Sospirò. Non avrebbe esitato neppure un istante a scambiarlo con mille robot. Appoggiò la schiena ad una colonna, ma…non ebbe il tempo di fare un nuovo respiro che scomparve,sotto lo “sguardo”allarmato del robottino, che provò più volte ad attraversare la colonna che divideva il binario 9 dal 10, inutilmente.

  
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