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Autore: Arya89    26/12/2009    2 recensioni
1 capitolo della storia. Buona lettura
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1. LA CADUTA DI ENDACIL.

Era una notte fredda, ed ad Erghèa si respirava un clima di tensione, di paura, tanta paura che la si poteva toccare con le mani. L'ansia era tale che neanche il ritorno di Amdir ed altri quattro elfi, tra cui uno gravemente ferito, riuscì ad allentare. Amdir era un'alto elfo biondo come tutti gli altri, di carnaggione chiara e il suo volto mostrava giovinezza. Appena giunti nella piazza della città, i superstiti furono accerchiati da una folla ruggente e spaventata.

"Dobbiamo immediatamente fare qualcosa per arrestare tutto questo sangue." disse uno degli elfi della scorta.

"Certo Adanedhel! Ma per il momento ci dovremo accontentare di una fasciature leggera e consistente." fece Amdir rinfrancando l'amico.

"Forse è meglio che se ne occupi qualcun'altro!" annunciò una voce forte e sicura. Amdir si voltò trovandosi a fronteggiare Càno, l'araldo del Re "Il Re desidera che tu ti presenti a lui per esporre ciò che è accaduto all'armata a te affidata." La folla intorno cominciò a parlottare, ma Amdir non ci fece caso, così si avvicinò a Bauglir che era al suo fianco:

"Occupati tu di lui. Antaróta aráto!"

Càno precedette Amdir. Il tragitto fino al palazzo reale consisteva in una strada interrata fiancheggiata da altissimi alberi secolari sempreverdi, ed alle loro basi, crescevano dei piccoli fiori d'orati che gli elfi chiamavano Malloth. Ad Amdir credette che mentre percorreva la via, la paura si arrestasse dietro di lui; era come se vi fosse una forza invisibile che tentava di scacciarla, ma sapeva anche che quell'unica forza sarebbe crollata, ed allora mai più qualcuno avrebbe ammirato lo splendore degli alberi e dei fiori di Làurinién.

"Mai più questo mondo potrà tornare al suo antico splendore." disse Càno indovinando i pensieri di Amdir "... A meno che il nostro nemico non si ritiri!"

"Allora dovremo dire addio a tutto ciò, perchè egli non lo farà mai!" rispose Amdir pacato.

"Purtroppo hai ragione. Arghatar è diventato troppo potente persino per noi elfi." soggiunse Càno dinanzi alle porte della sala consigli del Re. Bussò, ed entrarono insieme.

"Anarinya Endacil!" acclamò Càno " Eccovi Amdir di ritorno."

Endacil, signore di Làurinién, Re delle terre di Erghèa, era uno dei più potenti Re elfici, il più saggio e forte sire elfico rimasto. Egli era il più alto di statura tra gli elfi. Aveva capelli lunghi e chiarissimi, quasi bianchi, per questo fu soprannominato Fanon, ovvero Bianco. Un cerchietto d'orato ornato di foglie cingeva la sua fronte. Egli sedeva sul suo seggio d'oro nel suo garnde salone scolpito nel marmo con colonne portanti ornate d'oro e Argento. Appena Càno parlò egli si voltò a guardarlo con aria grave.

"Fatti avanti Amdir e riferiscimi ciò che è accaduto alle mie frontiere."

"Anarinya Endacil, ... noi ... abbiamo fallito nel nostro intento, Sire."

Mentre Amdir esponeva l'accaduto, il Re si alzò dal suo trono in tutta la sua statura e prese a misurare il grande salone facendo avanti ed indietro.

"L'armata di Arghatar era il doppio di quello che ci immaginavamo." finì Amdir.

"Io mi chiedo com'è possibile che un'esercito di 30 migliori arcieri possa fallire a codesto modo contro un'uomo!" disse Endacil irritandosi.

"Mio signore, è vero, abbiamo fallito, ma crediamo che Arghatar abbia arruolato anche i Troll delle alte montagne."

"I Troll delle alte montagne? E' dunque arrivato a ciò?" esclamò il Re sorpreso.

"Non sappiamo come egli abbia fatto, ma oramai ne siamo più che sicuri. Ne abbiamo intravisti almeno due. Sono riuscito a fuggire appena in tempo, e con me si sono salvati anche Calimon, Bauglir, Adanedhel, e Malwie che è stato gravemente ferito, ed ora è giù in piazza con il saggio Bor." rispose Amdir.

"Inutili saranno le sue cure. Ormai non vi sono più speranze per noi. Non possiamo sfuggire al nostro nemico. Ha! Se solo le leggende che si raccontavano un tempo sui cavalieri dei Draghi fossero vere allora sì che avremo qualche speranza di salvezza."

In quell'istante Bor, il vecchio saggio, irruppe nel salone ansimando.

"Anarinya, anarinya! Hanno appena attraversato il fiume Calime!"

"Infine hanno osato..." fece Endacil.

"Mio Signore... ...vi prego ascoltate il consiglio che vi diedi molte ore or sono. Fuggite. Voi, dama Eledhwen e vostro figlio Ereinion..." supplicò Càno.

"Non sia mai che un Re lasci perire il suo popolo. Io non fuggo. Però, Càno, ti dico che non hai torto. Dama Eledhwen e Ereinion andranno via da quì, e sarai tu a scortarli per il sentiero da percorrere."

"Ma mio signore..." cercò di contraddire l'araldo.

"Il Re ha parlato. Chiamami Hathol e Mìnaothon. Falli venire immediatamente al mio cospetto."

Càno ubbidì immediatamente. Anche se teneva molto alla vita del suo Re egli non si sognava nemmeno di trasgredire gli ordini. Uscì dal palazzo fino ad arrivare ad una taverna seminascosta tra gli alberi che davano sulla via. Le luci erano accese a giorno, tanto da illuminare anche l'insegna della locanda. Il Caranthir. Più che una taverna si poteva definire un Asilo per i viandanti, visto che gli elfi non adorano bere. Il proprietario, un'vecchio elfo di nome Camlost stava sulla soglia con il volto verso la strada maestra.

"Càno!" esclamò l'elfo appena vide chi gli veniva incontro.

"Sera Camlost. Sai se per caso Hathol e Mìnaothon sono nella tua taverna?"

"Credo che siano dentro tutti e due, sì. Li vuole il Re vero?"

Càno non rispose, il che confermò i sospetti di Camlost.

"Alla fine ha deciso di combattere." fece l'elfo.

"Purtroppo sì, ma noi non abbiamo l'autorità di contraddire le sue parole, anche se ci ho provato a persuaderlo per farlo fuggire."

In quel preciso istante un gruppetto di elfi uscì dalla locanda, e Càno riconobbe i due elfi che cercava.

"Hathol, Mìnaothon Sire Endacil vi chiama a lui. Scusami Camlost ma devo andare."

Lasciò il vecchio elfo che li osservava allontanarsi, e lo udirono sussurrare -

ëa ambar-metta -, allora Càno si voltò e gli rispose:

"E' davvero la fine del nostro mondo!" e rientro a palazzo.

Quando giunsero al cospetto di Endacil,

Hathol e Mìnaothon si inchinarono e attesero gli ordini.

"Mìnaothon, voglio che tu riunisca tutti gli elfi rimasti che sono capaci di brandire armi. In quanti possiamo contare su tutta Làurinién?"

"Mio Sire, possiamo contare su almeno una cinquantina di elfi. Ma le dame ed i rampolli?" chiese l'elfo. Mìnaothon era alto, bello e con la passione per le armi.Vestiva sempre di un manto rugginoso e con abiti consunti dalle interperie.

"Loro fuggiranno con Càno, Hathol e Amdir. Con loro andranno anche Dama Eledhwen e mio figlio Ereinion. Si dirigeranno verso Hìros, almeno lì credo saranno al sicuro da Arghatar e dai suoi mostri."

"Mio Re, io non voglio fuggire!" proclamò Hathol che era più basso da Mìnaothon e da qualsiasi altro elfo "Il mio mestiere è la guerra. Il mio arco e la mia spada hanno sete di vendetta. Vendetta per quei mostri che hanno ucciso mio padre."

"La vendetta, mio caro Hathol..." disse Endacil "... porta solo alla morte. Non cercarla dove essa desidera trovarti. Non rifiutare le mie parole. So quello che dico, so quello che faccio e ho fiducia in te come in tutto il mio popolo. Ma non affiderei mai la vita di mio figlio e della Regina di Làurinién ad un'altro elfo che sia meno valoroso e meno abile di te."

"Mio signore se così è, allora seguirò i vostri ordini. Ma se nulla accade, e spero che per la grazia di

Elbereth sia così, io non troverò pace affinchè mio padre Hatholdir non sia vendicato."

"Così sia mio caro Hathol, ma adesso non possiamo più attendere. Già mentre discorriamo il nostro nemico si avvicina a noi. E ora che chi deve andare vada e ciò che deve essere preparato si prepari ed in fretta. Non abbiamo più tempo. Presto. Preparate le mie armi ed avvertite la Regina. Che si prepari a fuggire con

Ereinion." disse poi rivolgendosi ad Mìnaothon che usì immediatamente ad eseguire gli ordini ricevuti.

Questi furono gli ordini del Re di Làurinién, e tanto gli dispiaceva impartirgli che le lacrime gli sgorgavano dagli occhi.

"Càno, Amdir anche su di voi io ho fiducia. Mi rattrista il cuore questa separazione, eppure la sento necessaria. Purtroppo non posso dirvi di ciò che succederà. Vedo buio innanzi a me. Anche la vostra via è oscura. Inizio anche a temere il fallimento di tutti noi. Credo che questa sia veramente la fine per noi elfi di Erghèa. L'unico popolo elfico rimasto cade ed io non posso più salvarlo."

"Mio sire..." disse Amdir con timore "...nulla può essere definito fallito prima ancora che esso sia fatto, e se ciò debba finire in fallimento che ci finisca, ma vi assicuro che se dovremo cadere, cadremo con onore e degni di avere almeno combattuto per difendere qualcosa che valeva la pena di essere difeso. Anche a costo di tutte le vite del mondo."

"Hai ragione Amdir! Che la mia benedizione e quella di tutti noi elfi vi accompagnino in questa ora buia e disperata, dove la fuga è l'unica via di scampo per i più deboli. In quanto alla battaglia so già come andrà a finire. Arghatar, però, avrà di sicuro pensato ad un tentativo di fuga. Tiene alla nostra distruzione quanto al suo desiderio di potere. Egli non risparmierà nessuno, ma dobbiamo cercare di fermarlo."

"E' un'essere spietato. Non ho mai conosciuto un'uomo perfido come lui." fece Càno.

"Sarà perchè non abbiamo mai avuto contatti con alcuni della loro specie." rispose Amdir.

"Se tutti gli uomini sono come lui, allora spero che di contatti non ve ne siano mai!" commentò Càno.

"No! Gli uomini non sono tutti uguali. Conosco alcuni di loro, o almeno li conoscevo se attualmente sono vivi. Ma ormai sono secoli che non se ne vede più uno. Un tempo solevano vagare per Erghèa. Erano amici degli Elfi delle Montagne e dei Cavalieri dei Draghi. Alcuni di loro si mescolarono con la stirpe dei Cavalieri, e scomparvero dopo la venuta dell'ombra. Si ritirarono al di là del grande fiume Hirìmos, che costeggia i monti del Sud."
"E non si hanno notizie di loro?" chiese

Hathol.

"Nulla. Si sa solo che fondarono Hìros, il Regno Dei Mortali, che si ingigantì fino a diventare il più grande Reame di Sud-Est."

"Ma se di Hìros non si hanno notizie, come faremo a fuggire da quella parte?!" chiese Càno.

"Càno, Càno! Non credete che non ci abbiamo pensato. Ho detto che non si hanno notizie di Hìros ma non che è perduta. Gli uomini trovarono un modo per traversare il fiume senza l'utilizzo di barche o approcci. Esistono tanti di quei segreti nel mondo e gli uomini ne appresero alcune. Si dice infatti che essi sappiano utilizzare la magia, ma è solo una mia supposizione."

In quel preciso istante avvennero parecchie cose nello stesso istante. Fuori dal palazzo vi era una luce rossa e forte. Il Re e i tre elfi si precipitarono ad osservare.

Arghatar aveva assediato Làurinién ed aveva fatto accendere dei roghi. Allo stesso tempo, dalla porta principale apparve una Dama. Tale era la sua bellezza che nessun'elfa poteva mai eguagliare. Era alta. I lunghi capelli d'orati che scendevano fino a finire in una crocchia intrecciata con rami d'argento erano cinti da un'esile diadema adorno anch'esso, come quello del marito, da foglie d'oro. I suoi profondi occhi azzurri emanavano saggezza. Era vestita di un candido bianco, e tra le braccia teneva un piccolo fagotto che si muoveva appena. Ella era Dama Eledhwen, Splendore degli Elfi, e tra le braccia reggeva Ereinion.
"Cosa accade mio Re e marito?"chiese la Regina " Mìnaothon mi ha informato su di una fuga e di Arghatar che ha assediato la città. E' dunque vero ciò che dice?"

"Purtroppo sì. Per questo tu devi fuggire! Non voglio che la nostra famiglia vengaprivata ancora di felicità. Già ci è stato negato tanto con la morte di

Hunthor. Non voglio che anche questo mio figlio muoia, così come non voglio che nemmeno che tu, mia dolce dama perisca."

"Ma dove fuggiremo? E' impossibile! Lui avrà sicuramente pensato ad un simile atto!"

"Certo che ci ha già pensato, mia cara, ma dobbiamo almeno tentare. Arghatar si getterà su di noi come una marea, ma troverà un'ostacolo sulla sua via."

"Ma come può un misero scoglio tenere testa ad una furiosa marea!?"

"Non può infatti, ma può sempre dare un riparo o almeno una vana speranza a quelli che si nascondono dietro lo scoglio di fuggire almeno per un certo tempo lontano da esso." disse Endacil notando che

Mìnaothon era ora rientrato con le sue armi.

"Tutto è pronto mio Sire! L'esercito è radunato dinanzi alle vostre porte. Eccovi le vostre armi, ed eccovi la vostra spada,

Imlach." disse Mìnaothon consegnando al Re una lunga spada molto affilata, con la lama sottilissima. Una delle più grandi opere elfiche create dagli antichi fabbri elfici di un tempo. "Anche i fuggitivi sono pronti. Attendono solo voi Signora."

"Bene!" rispose Endacil "Va, moglie mia. Va con la mia benedizione. Possano tutti gli antichi signori degli elfi proteggervi. Addio! Amdir, Càno,

Hathol è giunto il momento."

Amdir, Càno e hathol annuirono

amaramente e scortarono la Regina alla scorta predestinata loro. Giunta al suo bianco cavallo, Eledhwen si volse verso Endacil e gli disse:

"Addio mio amato. Non vi è speranza nè nel tuo nè nel mio. Amarth ammen ea lanta-pass

lantanë!" Così dicendo montò a cavallo, prese suo figlio che Bor gli porgeva e cavalcò via con al seguito una piccola scorta di elfi che difendevano le donne.

"Mio caro, saggio Bor! Ecco partire i miei più grandi tesori, ed ecco che la nostra vita giunge al termine. Non vi è salvezza per nessuno.

Mìnaothon... ..." urlò Endacil cercando l'elfo.

"Sire... Arghatar stà tentando di creare un varco nella parete esterna. Il muro non può reggere ancora a lungo, anzi stà per cedere." fece un'elfo correndogli incontro.

"Dov'è Mìnaothon?"

"Sopra il muro. Stà tentando di fermarli!"

"Andiamo, presto!" Urlò Endacil.

Non finirono di arrivare che la parete crollò rovinosamente e un'orda di orchi fecero irruzione nella città incendiata. Mìnaothon, dall'alto tentava di ucciderli, ma erano troppi per un'elfo. Non udì nemmeno Endacil che lo chiamava. Ad un tratto, un'orco dal basso, si accorse di lui, incoccò una freccia dall'

impenneggio nero e scoccò. La freccia colse Mìnaothon in pieno petto, ma l'elfo, seppur ferito, estrasse la spada e si getto dal muro sul suo aggressore nel bel mezzo dei suoi nemici. Endacil, non riuscendo a sopportare ciò che vedeva estrasse a sua volta la propria spada e comandò la carica al sueo esercito. Lo scontro fu durissimo, molti elfi perirono prima cheArghatar in persona varcò il passaggio e si piantò dinanzi ad Endacil, che ridotto allo stremo delle forze e oppresso dai suoi nemici, si era inginocchiato a terra e lo osservò malevolo.

"Sei dunque giunto al termine Endacil. Non sono clemente ne con te ne con coloro che mi sono sfuggiti. Sappi che mentre tu perdevi tempo nei preparativi, ho fatto si che i miei orchi oltrepassassero questa misera città in declino e attendessero la compagnia fuggiasca. Nulla sfugge a me Endacil..." continuò sputando in faccia al Re elfo "... Povero, povero Endacil! La tua cara moglie adesso sarà sicuramente morta. Ma non disperare. La raggiungerai immediatamente." e così dicendo alzò la sua spada e fece per decapitare Endacil, quando egli, ridestato le sue forze, parò il corpo e lo scagliò indietro.

"Sarò pure un Re di una città declinata, ma non morirò come un verme supplicando la pietà di colui che mi vuole uccidere. Dovessi anche rimanere l'unico elfo in piedi."

"Ma tu sei l'unico elfo ancora in vita!" lo schernì Arghatar "Forse non te ne sei ancora accorto, ma tutti i tuoi elfi sono morti. Sei solo Endacil. Solo contro la morte, ed essa ora vincerà su di te."

"Che vittoria sia allora. Ma ci impiegherà più tempo a compiersi. Non ti sarà facile uccidermi!" urlò lanciandosi addosso ad Arghatar e tentando di affondare la lama nel suo nemico, ma il suo avversario schivò la lama sfuggendovi, e con la rapidità di un serpente affondo la propia lama nel petto di Endacil.

"Ho vinto io stavolta." fece Arghatar all'orecchio di Endacil, e sfilandogli al spada dal petto urlò: "Lunga vita a Arghatar Signore di Mèanagal."

"Che la maledizione degli elfi ricada su di te e su coloro che tu comandi." lo maledì Endacil cadendo a terra con una mano al petto.

"Nulla mi faranno le tue maledizioni!"

"Le maledizioni degli elfi vanno sempre a compimento!" rispose Endacil ridendo "Che il mio tormento cali su di te;

à Vala Endacil! Ea à ambar ahyanë Astaldo!" e così, maledicendo Endacil spirò ignaro che chi erano fuggiti fossero morti, ad eccezzione del figlio, che Amdir, una volta tolto dalle mani della Regina morta, aveva tratto in salvo nascondendo l'infante agli orchi di Arghatar, per poi morire trafitto a morte.
   
 
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