Titolo: La mancanza
Personaggi: Mycroft
e Sherlock Holmes
Generi: Triste, malinconico, sentimentale
Rating: Verde
Avvertimenti: One-shot, What
if? E forse OOC
Note dell’autrice: Beh questa è la
mia primissima storia su Sherlock Holmes.
Per mesi ho represso la voglia di scrivere su i meravigliosi
personaggi di Sir Conan Doyle per paura di fare un
disastro.
Alla fine mi sono detta che creando una ‘what
if?’ riguardante l’infanzia degli Holmes, di cui sappiamo
davvero poco, forse avrei potuto evitare un obbrobrio, spero di esserci
riuscita e soprattutto spero di aver espresso in uno stile quantomeno decente,
il particolare rapporto fra Sherlock e suo fratello maggiore Mycroft.
Beh dopo questo poema noiosissimo vi auguro soltanto buona
lettura.
Kia.
POV
Mycroft Holmes
Mamma
e papà erano morti da quattro giorni oramai.
Ma
mi rendevo conto soltanto adesso di quanto la nostra casa senza di loro
sembrasse vuota.
I
giorni precedenti erano stati un continuo via vai di gente, di parole inutili e
condoglianze.
Ed
ero stato così frastornato da tutto il resto da aver appena fatto caso alla
presenza mesta di Sherlock al mio fianco.
Era
stato molto forte, troppo, per un bambino di sette anni.
Non
aveva versato nemmeno una lacrima, ma avevo visto i suoi occhioni
grigi, tanto simili e differenti dai miei ricolmi di qualcosa che non vi avevo
mai visto dentro.
Non
la paura...oh no, vi avevo visto il terrore.
Poteva
ingannare gli altri forse, ma non me.
E
lo sapeva benissimo, proprio per quello, da quando tutti gli ospiti ci avevano
lasciato, era sparito.
Anche
se non mi ero mosso dalla poltrona in cui ero affondato da quasi tre ore,
sapevo che non era uscito di casa.
Onniscienza?
No,
avevo semplicemente sentito i suoi passi in soffitta.
Ergo,
poteva essere rintanato soltanto li.
Nel
suo posto preferito.
Osservai
l'orologio che segnava le quattro del pomeriggio.
La
mamma, se fosse stata ancora in vita, sarebbe andata a recuperare il mio
scapestrato fratellino, rimproverandolo bonariamente, nel vederlo pieno d'erba
e fango.
L'avrebbe
lavato ignorando i suoi borbottii e strepiti tipici della tenera età e
l'avrebbe portato in cucina, prima di preparare il thè,
lasciando che lui giocasse con le sue piccole palline di vetro sul tavolo.
Ma
la mamma purtroppo era morta e anche la presenza di Sherlock in soffitta in un
giorno così bello di primavera era anomala.
Proprio
per questo decisi che era il momento di andare a cercarlo e di affrontare il
doloroso argomento che ci aveva scossi così tanto.
Ma
come affrontare un discorso così delicato con un bambino di sette anni?
Ad
onor del vero non ne avevo idea.
Mi
alzai dalla poltrona, lasciando il libro poggiato sul morbido bracciolo,
prendendo con me un lume ancora spento, avviandomi verso la soffitta.
Nonostante
la temperatura fosse mite, salendo le lunghe scale che mi separavano dalla
soffitta, il gelo mi avvolse.
Forse
fu semplicemente paura, ma rabbrividì.
Stavo
per entrare quando un suono da dentro mi paralizzò con la mano a mezz'aria.
Singhiozzi.
Singhiozzi
soffocati ma al contempo così disperati da raggelarmi ancora di più.
Mio
fratello...mio fratello piangeva.
Non
so con precisione cosa provai, ma fu simile ad un tuffo da uno scoglio di
altezza non indifferente.
Provai
diverse emozioni, anche contrastanti fra loro mentre spalancavo la porta,
seguendo soltanto il mio istinto di fratello maggiore.
E
lo vidi, in ginocchio, poco lontano dalla finestrella rotonda che dava sul
giardino.
Le
manine premute sugli occhi, per non mostrare nemmeno alla stanza le lacrime.
I
riccioli neri scompigliati, i vestiti scuri del lutto impolverati e le piccole
spalle tremanti che si alzavano e abbassavano seguendo il ritmo dei singhiozzi
soffocati.
Per
un attimo mi bloccai sulla soglia senza fiato nel vederlo finalmente per quello
che era.
Un
bambino spaventato, che stava provando troppo dolore e che si sentiva solo.
Mi
costrinsi a sciogliere la tensione che mi aveva bloccato le spalle per
avvicinarmi lentamente a lui.
"Sherlock..."
lo richiamai non appena m'inginocchiai di fronte a lui.
Lo
vidi sussultare pesantemente.
Non
doveva avermi sentito, nonostante i miei passi non fossero ne silenziosi, ne
-ahimè lo sapevo, provvisti di leggiadria e grazia alcuna.
Affondò
con più forza il viso alle manine, ignorandomi cocciutamente, mentre, invano
cercava di calmare i suoi singhiozzi per non farsi vedere debole.
Sentì
i miei occhi assottigliarsi appena quando m'ignorò e in un altra occasione -ne
sono sicuro, magari lo avrei rimproverato duramente, com'ero solito fare, ma
m'imposi pazienza, una cosa di cui noi Holmes -lo riconosco, non eravamo molto
dotati e lo chiamai nuovamente.
"Sherlock...avanti,
non fare così..."
Lo
vidi scuotere con forza la testolina ricciuta, deciso a non dialogare, come al
solito, ma di certo non lo avrei lasciato così.
Era
mio fratello, anche se cocciuto e misantropo come pochi!
Lo
afferrai da sotto le ascelle tirandomelo in braccio e lo strinsi il più
delicatamente possibile al mio petto largo.
Sherlock
si irrigidì contro di me e per un momento trattenne il respiro, cosa che mi
portò a posare impacciatamente una mano alla sua
schiena, piccola e tremante.
"Shhh calmati, andrà tutto bene, ci sono io..." gli
sussurrai con la voce più rassicurante che riuscì a trovare.
Lo
vidi scostare le manine impolverate dal volto e il suo viso pallido e
spaventato si alzò sul mio, mostrandomi lo stato pietoso dei suoi occhi che
sembravano metallo liquido per via delle lacrime.
Rimase
a fissarmi per alcuni secondi, scanditi soltanto dalle sue lacrime che
scivolavano copiose rigandogli il viso.
Quando
credevo che non avrebbe più parlato la sua voce ancora infantile, mi arrivò
alle orecchie, simile ad un pigolio.
"M-mi lascerai
anche tu...e s-sarò solo..." mormorò.
Gli
portai una mano al viso tirando via le lacrime con il pollice.
"No
Sherlock non ti lascerò solo..."
I
suoi occhi si riempirono di nuove calde lacrime e scoppiò in singhiozzi altissimi
nascondendosi contro il mio petto.
Lo
strinsi con più forza e determinazione, alzandomi in piedi e cominciando a
cullarlo lentamente, lasciandolo sfogare il suo dolore, sussurrandogli parole
impacciate e confortanti all'orecchio.
Non
so per quanto rimasi così, con lui singhiozzante fra le braccia, ma quando si
addormentò distrutto fra le mie braccia, il pomeriggio si era trasformato in
sera e le tenebre erano ormai dense come la nebbia di Londra.
Con
attenzione lo portai di sotto e lo stesi sul divano, di fronte al fuoco, alla
sinistra della poltroncina su cui avevo letto, sistemandogli una copertina
addosso per non fargli prendere freddo, tornando a leggere il mio libro.
Ma
con poco interesse, perché tutto il mio essere era concentrato sul bimbo, che
dormiva, esausto, sul divano.
Un
periodo buio e carico di tristezza ci attendeva, ma ero pronto ad affrontarlo
anche per lui.