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Autore: Beatrix82    28/12/2009    1 recensioni
Tre nuove famiglie sono nate dall'ultima generazione di guerrieri Z, che ora vivono tranquille dopo la pace conquistata anni prima con l'ennesimo sacrificio. Ma ora qualcuno, a conoscenza del loro segreto, sta tessendo alle loro spalle un piano diabolico: conquistare i favori e i poteri di tre cuccioli ancora ignari della crudeltà del mondo. Seguito ufficiale di "Il signore della Terra" e cronologicamente successivo agli spin-off "Moonlight" e "Sunshine" della saga di Dragonball NG.
Genere: Azione, Avventura, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Goten, Marron, Pan, Trunks
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 3

Capitolo 3

 

 

I tre piccoli sajan erano seduti sullo spazioso divano della sala principale della Capsule Corporation, Lux e Golden ai due lati con al centro la piccola Fackel. Ognuno di loro fissava con imbarazzo il pavimento, attendendo consapevoli i rimproveri dei quattro adulti davanti a loro.

“Spero vi rendiate conto di ciò che è successo, ragazzi” iniziò Trunks, severo.

La sua figura si innalzava imponente di fronte ai tre bambini, che si limitarono a rivolgergli brevi occhiate timorose, rimanendo in silenzio e affondando ancora di più tra i cuscini del divano.

“Vi siete comportati da veri irresponsabili. Tutti e tre” continuò, incrociando le braccia sulla giacca color senape.

”Io non ho fatto niente!” protestò Golden, scrollando le spalle con finta innocenza.

“Ah no?” lo riprese Goten, avvicinandosi. “E cosa ci facevi in centro, ieri sera?”.

“Solo…un giro” mentì, incrociando con indifferenza le mani dietro la nuca.

“Da quanto va avanti questa storia?”.

“Quale storia?”.

“Golden, rispondimi”.

Il ragazzino sbuffò, messo alle strette.

“Da un po’…” cedette.

Goten scosse la testa, preoccupato. Non riusciva a credere che dopo tutti gli ammonimenti rivolti a suo figlio, quella piccola peste trovasse estremamente divertente andare in giro a stendere criminali senza pensare alle conseguenze.

“Non ci siamo, bambini, non ci siamo proprio” intervenne Bra. “Vi abbiamo ripetuto mille volte di non dare sfoggio del vostro potere…anche se non fate niente di male, potrebbe essere pericoloso!”.

“Uffa, io volevo solo un libro!” si lamentò Fackel, mettendo il broncio.

Pan sospirò, scosse la testa e si inginocchiò davanti alla figlia, cercando di interpretare un'espressione più corrucciata possibile mentre incontrava gli occhi neri della bambina resi lucidi dalle lacrime.

“Sai bene che non saresti dovuta andare in biblioteca!”.

“E’ stato Zeme a combinare quel disastro” si giustificò la piccola.

Pan non potè fare a meno di accarezzarle una guancia, ammorbidendo leggermente i tratti del volto.

“Non è questo il punto, tesoro…è che se qualcuno notasse le tue capacità…”.

Nonostante l’intelligenza della bambina, a quell’età per lei era estremamente difficile controllarsi, capire dove stava il limite tra la normalità e ciò che invece era proibito.

In realtà, tutti e tre erano soltanto dei bambini. Non avevano colpa se avevano ricevuto in eredità un tale fardello, così come già era successo a loro. A quell’età era complicato imparare a conviverci, limitare il bisogno estremo di esplicare quel potenziale e capire quanto esso, di fronte ad occhi indiscreti, avrebbe potuto diventare oggetto di pericolose speculazioni.

“E tu, Lux, perché l’hai fatto?” chiese Trunks al figlio, facendosi più vicino nella speranza di incontrare il suo sguardo. “Perché hai rischiato di trasformarti davanti a tutta la scuola?”.

Lux sentì le sue guance infuocarsi, mentre si raggomitolava inerme sul divano, evitando gli occhi del padre.

Non avrebbe mai ammesso che l’aveva fatto per difendersi, per rispondere alle provocazioni dei suoi compagni. Non davanti a suo padre, sua madre, sua sorella e i suoi zii. Confessare di esser ricorso al suo potere solo perché si sentiva solo ed arrabbiato, e non per un semplice capriccio come suo cugino e sua sorella, avrebbe rappresentato un’ulteriore umiliazione, un’altra forma di debolezza.

“Jad e gli altri stavano affogando il suo amico gatto”.

Fu la voce di Golden a farlo sobbalzare, che risuonò spavalda nella sala, ad infrangere ogni suo proposito di tacere sull’accaduto. Si voltò di lato, verso di lui, fissandolo per un momento con delusione, mentre di nuovo combatteva con tutto se stesso per cacciare indietro le lacrime.

“Non è che così che ci si comporta, Lux” lo riprese di nuovo suo padre, come si aspettava, del resto. “Devi capire che non puoi reagire in questo modo!”.

Il bambino si strinse tristemente nelle spalle, incapace di guardare negli occhi i suoi familiari, incapace di replicare con una sola parola all’ennesima dimostrazione di essere solo e soltanto una delusione, per lui stesso, per loro, per tutti.

 

“Spero che abbiano capito la lezione” sospirò Trunks, allontanandosi dai bambini seguito dalla moglie, la sorella ed il cognato.

“Lo spero anch’io” riconobbe Bra. “Tutti e tre stavano per mettersi seriamente nei guai”.

“Sembra quasi si siano messi d’accordo per farci prendere un colpo!” esclamò Goten, accingendosi ad indossare il soprabito imbottito.

“Te ne vai?” gli chiese sua moglie, scrutando fuori dalla finestra e notando che era appena il crepuscolo.

“Già. Vado al pub prima stasera, devo fare un po’ di contabilità mensile”.

“Ok. Anche io e Trunks siamo in partenza, tra mezz’ora ci aspetta il consiglio di amministrazione”.

“Esatto” confermò Trunks dopo aver controllato l’orologio, dirigendosi poi verso la cucina, dove sua moglie si era diretta silenziosamente.

Raggiunse Pan da dietro, posandole le mani sulle spalle mentre trafficava senza molta convinzione ai fornelli, invitandola delicatamente a voltarsi verso di lui. Indossava un grembiule da cucina, aveva i capelli corvini sciolti sulla schiena ed era più desiderabile che mai.

“Non sarai ancora arrabbiata per ieri, vero?” volle accertarsi, guardandola con dolcezza.

Lei provò ad ignorarlo, ma finì per sospirare alzando gli occhi al soffitto, arresa.

“Come potrei” ammise, maledicendosi mentalmente. “Sai che non ci riesco per troppo tempo…”.

Trunks sorrise.

“Bene. Sono contento di sentirtelo dire”.

Le sollevò delicatamente il mento con le dita della mano, incrociando per qualche secondo il suo sguardo d’ebano e sfiorandole le labbra con un tenero bacio.

“Ehi, piccioncini, stiamo facendo tardi!” li rimproverò Bra affacciandosi alla porta con poca discrezione, mentre portava le mani ai fianchi.

“Arrivo subito” la rassicurò Trunks, mentre si staccava da sua moglie con un’altra carezza, prima che lei si mordesse maliziosamente le labbra e riprendesse a trafficare con indifferenza.

“Se ne sta andando anche Goten” la informò Bra. “Possiamo lasciare qui Golden? Torno a prenderlo più tardi, alla fine del consiglio”.

“Ce la farete per cena?” chiese Pan al marito.

“Ho paura di no, tesoro” le rispose lui, desolato.

Ma sua moglie li avrebbe salutati comunque con il sorriso, si sarebbe presa cura dei piccoli e avrebbe lasciato loro un pasto caldo per il loro ritorno. Contrariamente a quando era solo una ragazzina, la sua Pan aveva imparato ad avere pazienza. Un sacco di pazienza.

 

L’uomo calvo e muscoloso aprì lo sportello cigolante del furgone, accomodandosi sul sedile del guidatore, seguito dalla donna con gli occhiali che si sistemò al suo fianco e dal tipo magro con i capelli lunghi che si sporse dal vano dietro di loro. Ripose gli occhiali scuri nella tasca del soprabito, rivelando due freddi occhi verdi che si concentrarono attenti sul funzionamento della radio di bordo. Dopo aver percorso più volte le frequenze nel tentativo di trovare quella giusta e di eliminare al minimo le interferenze di fondo, si fermò soddisfatto dando un segnale d’assenso ai due compagni.

“Siamo in collegamento, dottore” iniziò, avvicinando le labbra carnose al microfono.

Dopo qualche secondo di silenziosa aspettativa, una voce profonda ed autoritaria fece eco dalle casse della radio.

“Bene. Aggiornatemi sulla situazione”. 

La donna si fece passare il microfono dal collega, nelle lenti trasparenti passò un lampo di luce, mentre le sue labbra rosse si allargavano in un fiero sorriso.

“Tutti e tre i soggetti sono compatibili. Ne abbiamo avuto definitiva conferma durante la giornata di ieri”.

L’uomo magro si inserì tra i due sedili anteriori, dove volle avere la sua quota di partecipazione afferrando velocemente il microfono.

“La femminina si distingue principalmente per le qualità intellettive fuori dal comune, uno dei maschi ha dimostrato una forza doppia ad un sollevatore di pesi e l’altro si è quasi trasformato” riassunse, mentre i capelli corvini gli cadevano davanti a coprire la faccia spigolosa.

“Meglio di quanto credessi” commentò l’uomo in collegamento, più tra se che per riconoscere un merito ai suoi dipendenti, che tuttavia si lanciarono occhiate soddisfatte. “Questo dimostra che hanno ereditato il codice”.

“Le prossime direttive, dottore?” chiese il tizio muscoloso.

“Procedete. Sapete in che modo”.

Negli occhi dei tre passò un barlume di eccitazione, era esattamente la risposta che volevano sentire. Dopo settimane di appostamenti e spionaggi, finalmente era giunto il tempo di agire, tornare alla base a missione compiuta e recuperare il malloppo promesso. Lì avrebbero potuto riprendere il loro mestiere abituale, meno scoperto e rischioso di quello che avevano dovuto intraprendere negli ultimi due mesi, con la piacevole consapevolezza di avere le tasche piene.

“Sarà fatto” assicurò la donna, concludendo il collegamento.

 

I consiglieri d’amministrazione erano seduti al lungo tavolo rettangolare della sala riunioni della Capsule Corporation, dalla cui spaziosa vetrata si aveva una splendida veduta notturna di West City, illuminata da mille luci e insegne colorate. A capotavola presiedeva Trunks, affiancato dalla sorella in qualità di vicepresidente.

“Vi informo con piacere che la Technofashion ha firmato il contratto con noi a tempo indeterminato” esordì lui “Ringraziamo quindi la nostra vicepresidente per la realizzazione della linea”.

I consiglieri, restando educatamente composti, sollevarono un caloroso applauso all’insegna di Bra che, vestita di un elegante tailleur blu, inchinò debolmente la testa in segno di ringraziamento, sistemandosi un ciocca dei lucidi capelli ondulati dietro l’orecchio.

Mentre i soci le stringevano uno ad uno la mano e sfornavano i più sentiti complimenti a colei che da qualche anno aveva conquistato la rappresentanza maschile dell’azienda, Trunks estrasse con indecisione dalla sua valigetta la documentazione cartacea relativa al contratto, ormai asciutta ma ancora largamente macchiata di unto. Non poteva evitare di mostrarla al consiglio, così era tradizione dopo ogni accordo importante con altre società.

Mentre faceva passare tra i soci ciò che restava della copia, il suo volto si infiammò violentemente, al pensiero che qualcuno di loro facesse commenti sul suo stato di conservazione e lui non avesse una scusa decente da inventare.

Fortunatamente Bra, mentre il foglio scorreva tra le loro mani, iniziò un’arringa sui dettagli dell’accordo, evidenziando le modalità ed i tempi, esponendo i vantaggi economici e d’immagine. Dal suo sguardo divertito e dalla sua fugace strizzata d’occhio, capì che lo stava salvando da una situazione imbarazzante, tenendo occupate le orecchie dei consiglieri così da distrarre anche i loro occhi.

Trunks tirò un sospiro di sollievo. Guardò il documento sfigurato che era tornato di nuovo tra le sue mani, e non riuscì a trattenere un sorriso. Nella sua mente tornò l’immagine di un bambino dallo sguardo azzurro e smarrito, che portava la colazione a suo padre, speranzoso di far bella figura, di ricevere una parola di approvazione. Era tutto ciò che desiderava, e non avrebbe più rimandato.

 

La camera di Lux era molto diversa da quella della maggior parte dei bambini di sette anni. L’arredamento era essenziale, i giochi si limitavano ad alcuni pupazzi di peluche, al muro non era attaccato nessun disegno o figurina e in tutta la stanza regnava un ordine perfetto, quasi ossessivo. Golden se ne stupì grandemente, facendo il confronto con la sua camera dove invece imperversava il caos totale, che i bonari rimproveri di sua madre non erano riusciti a cambiare. Lui amava vivere tra tanta roba, sparsa intorno a lui senza un ordine preciso, senza un ruolo e una posizione in particolare. Lux, invece, sembrava far di tutto per tenere tutto perfetto, ordinato, quasi a voler dare la stessa immagine di se che a parole poco riusciva ad esprimere.

In quel momento se ne stava seduto sul lettino ad una piazza in completo silenzio, quasi assorto, mentre Fackel leggeva con passione uno dei suoi libri in un angolo della stanza. A Golden non restava che tollerare quella forzata convivenza con i cugini all’interno della stessa stanza, che sua zia Pan aveva richiesto loro nell’attesa della cena, con l’esplicito invito ad andare d’accordo. Benché trovasse la cosa estremamente difficile, si impegnò a farsi gli affari suoi, sonnecchiando con indifferenza nella poltroncina ad angolo, evitando di rischiare un’altra sgridata dai suoi e magari una punizione spiacevole.

“Perché l’hai fatto?” la domanda improvvisa di Lux lo fece sobbalzare dal suo stato di rilassata dormiveglia, portandolo a voltarsi in direzione dell’altro che lo fissava con uno sguardo triste.

“Cosa vuoi, cugino?” ribatté, non capendo dove volesse arrivare.

“Perché hai detto a tutti di ieri mattina?”.

Golden balzò giù dalla poltrona, avvicinandosi al letto e fermandosi davanti a lui.

“Secondo te, dovevo prendermi la sgridata solo io?”.

Lux lo fissò con gli occhi lucidi, ma allo stesso tempo colmi di insofferenza.

“Non avevi il diritto di parlare per me!” mormorò con la voce spezzata.

Golden rise divertito.

“Sei solo un vigliacco. Sai solo piangere e fare la vittima!”.

“Non è vero…non è vero!” ribatté il più piccolo, stringendo forte i minuscoli pugni.

 

Pan mischiò gli ingredienti nella ciotola, canterellando a voce bassa. La sua esperienza di madre le aveva insegnato, da qualche anno a quella parte, che per far andare d’accordo tre cuccioli impossibili non c’era niente di meglio che una golosa torta al cioccolato.

Dalla sala principale provenì il suono del telefono, verso cui si diresse leccando con gusto i residui di crema che le erano rimasti sulle dita.

“Ciao, Pan. Sono Marron” la salutò una voce gentile e pacata dall’altra parte della linea.

“Oh, Marron. Come va?” rispose Pan masticando qualche stuzzichino sul mobiletto dell’aperitivo.

Marron e Ub erano stati i primi a sposarsi, quasi dieci a anni prima, poco dopo che lui era diventato campione del mondo, e adesso vivevano in un’elegante residenza a Satan City. I rapporti con loro erano rimasti piuttosto solidi, non solo perché erano fidati amici di famiglia, ma anche perché adesso Fackel frequentava costantemente i loro due gemelli, Nebe e Zeme.

“Ieri mi ha telefonato la biblioteca di West City, vicino all’asilo…sono dovuta fuggire di corsa da lavoro per riprendere quei due monelli” sospirò Marron, distrutta. La donna lavorava ancora come infermiera a Satan City.

“Già, ne so qualcosa” confermò Pan, ricordando l’incidente del giorno prima.

Dalla finestra della sala, al di là delle tendine traslucide, intravide un’ombra muoversi nell’oscurità della sera, rasente alla parete esterna.

“Ho saputo che hanno chiesto i danni” continuò Marron. “Credo sia giusto che io e Ub contribuiamo alle spese, in fondo è stato il nostro Zeme a provocare quel disastro”.

“E’ molto gentile da parte vostra, ma la grandiosa idea, naturalmente, è stata di Fackel!”.

Qualcuno o qualcosa bussò al vetro della finestra. Perché farsi annunciare da lì, quando esisteva un ingresso principale dall’altra parte dell’edificio?

“Pensavamo, Pan, che potremmo dividere le spese”.

Non stavano bussando…stavano forzando la finestra…cercando di rompere la vetrata…

“Pan, ci sei ancora?”.

Finalmente il vetro si frantumò in mille pezzi. Con uno scatto Pan lasciò andare la cornetta, che sbatté violenta sul legno del mobile, e si precipitò in direzione dell’oltraggio. La sua avanzata fu però bloccata dal rapido ingresso di tre figure, completamente coperte da una tuta di vinile anticontaminazione e da visiere di plexiglas, dalle quali non poteva distinguere i loro volti.

“Chi diavolo siete??” gridò Pan sconvolta, andandoli di nuovo incontro.

Una delle figure, apparentemente la più massiccia, afferrò con due mani la lampada da tavolo posta in una angolo della sala, gettandogliela incontro nel tentativo di tenerla lontano. Pan fu colpita in pieno, investita dai mille frammenti della lampada che si infrangeva, ma incassò il colpo minimamente, rialzandosi in piedi.

Affrettando il passo, i tre individui si diressero verso le scale che portavano al piano di sopra. In mano tenevano uno strano oggetto, una specie di bombola con relativo diffusore.

Pan si gettò verso il più vicino dei tre, che afferrò violentemente per la tuta.

“Cosa volete??” gli chiese ansimando. Non poteva permettere che andassero di sopra, di sopra c’erano i bambini, e qualunque cosa volessero quei tipi non avevano certo buone intenzioni.

Quando la sua vittima cercò di difendersi colpendola con la bombola d’acciaio, Pan lo colpì con forza allo stomaco, facendolo emettere un lamento soffocato, appena percepibile dalla visiera isolante.

Con il sangue che le ribolliva nelle vene, si precipitò su per le scale, dove nel frattempo erano corsi gli altri due. Imboccato il corridoio circolare del piano di sopra, questi stavano perlustrando le varie stanze, aprendo una ad una ogni porta.

Stanno cercando i bambini. Non permetterò che facciano loro del male.

Istintivamente si fermò al centro del corridoio, avvicinò i palmi delle mani iniziando a raccogliere energia e prendendo la mira verso di loro.

Le due figure, paralizzate contro il muro, frugarono con agitazione nelle tasche della tuta.

“Presto, non c’è tempo, usa la siringa!” gridò il tizio più alto, mentre la figura più piccola preparava qualcosa tra le mani tramanti, coperte di spessi guanti.

Stava per lanciare la sfera energetica, quando qualcosa le punse dolorosamente il collo, e allora fu buio completo.

 

“Non è vero che sono un vigliacco!” ribadì Lux, scuotendo con decisione la testa corvina.

“E allora perché ti metti a frignare come un poppante tutte le volte?”.

Fackel sollevò un piccolo sbuffo, odiava la confusione mentre stava leggendo. Chiuse il libro storcendo il nasino annoiata, e si diresse carponi verso la porta della camera. Sarebbe andata giù da sua madre, era stufa di ascoltare le solite discussioni tra suo fratello e suo cugino.

Appena cercò di raggiungere la maniglia, però, la porta si aprì dall’esterno, rivelando tre brutte figure vestite da astronauta.

Golden e Lux si volsero rapidamente in tale direzione, sbarrando gli occhi alla vista degli estranei. Entrambi, istintivamente, capirono che c’erano guai in vista.

L’astronauta più grosso tentò di prendere Fackel, ma la bimba sgattaiolò velocemente tra le sue gambe, scappando verso il corridoio, mentre Golden, allontanandosi dal letto, si precipitò violentemente verso di lui. Lux sfuggì con un guizzo ad uno degli altri assalitori, cercando di farsi strada verso la porta.

Improvvisamente una nuvola di gas uscì dalla bombola dell’astronauta di media statura, che si diffuse rapidamente all’interno della stanza celando la sua fuga. Uscendo dalla porta, riuscì solo a vedere Golden che si accasciava al suolo come un pupazzo.

Corse lungo il corridoio circolare, verso le scale, sentendo alle spalle i passi ossessivi dei tre sconosciuti inseguitori. Cercò di prendere distanza, ma improvvisamente gli si pose davanti la figura inerme di sua madre, distesa al suolo in posizione scomposta e con gli occhi chiusi.

I suoi occhi chiari si sbarrarono terrorizzati, e la deprimente visione che aveva davanti gli impedì di accorgersi degli inseguitori, di cui percepì solo, e per breve tempo, l’odore irrespirabile di gas che lo raggiungeva da dietro.

 

“Manca la bambina!” esclamò una voce femminile da dietro la visiera di plexiglas, mentre i colleghi tenevano tra le braccia i due maschi ormai incoscienti ed innocui.

Perquisì velocemente ogni stanza, fino ad arrivare al guardaroba. Aprendo lentamente la porta, notò tra gli abiti appesi lo scintillio di due occhioni neri, più confusi che terrorizzati. Prima che la piccola potesse reagire in qualsiasi modo, aprì il rubinetto della bombola.

 

“Si prevede un aumento in borsa del dieci per cento entro un mese dalla messa sul mercato” annunciò Trunks, ben sapendo che l’interesse dei soci era più rivolto agli sbocchi pratici che all’orgoglio professionale.

Mentre tutto il consiglio annuiva soddisfatto, sfogliando con soddisfazione la documentazione del fatturato annuo della technofashion, il caschetto corvino della sua segretaria si affacciò indeciso alla porta, esitando ad entrare.

“Mi scusi, presidente” mormorò desolata. “Ma c’è una telefonata per lei…hanno detto che è urgente”.

Trunks sospirò, affranto. I bambini dovevano aver combinato qualcos’altro, o più probabilmente la convivenza forzata di Lux e Golden, sebbene per poche ore, non era stata come al solito un gran successo.

Si congedò momentaneamente dalla stanza, chiedendo scusa al consiglio e lasciando uno sguardo confuso negli occhi della sorella. Rispose alla chiamata nel suo ufficio, dove avrebbe avuto maggiore privacy.

“Ciao, Trunks, sono Marron”.

Tra tutte le persone che pensava di trovare dall’altra parte della linea, lei era sicuramente quella meno probabile. Aveva una voce bassa e tesa, ed un brutto presentimento gli si insinuò a fior di pelle, facendolo rabbrividire.

“Scusa se ti chiamo a lavoro, ma…ero al telefono con Pan e…magari non è niente, però…”.

“Marron, cos’è successo?” la interruppe agitato. Già sapeva che gli avrebbe dato cattive notizie, ma sarebbe soffocato di tensione se non gli avesse parlato subito, chiaramente.

“Ecco…ad un certo punto ho sentito come un vetro in frantumi, Pan ha lasciato improvvisamente il telefono ma io sono rimasto in linea e…”.

“E…?” la incitò lui, mentre l’apprensione lo invadeva completamente.

“Lei ha urlato a qualcuno chi fossero, poi ho sentito una gran confusione e, dopo, più niente…”.

“Oh, no…”.

“Non so bene cosa sia successo, Trunks, ma ho pensato di avvertirti”.

“Hai fatto bene…Grazie, Marron”.

Concluse la telefonata, rimanendo per qualche istante con la cornetta in mano, indeciso se comporre o meno il numero di casa. Si rese presto conto che l’unica cosa da fare era correre immediatamente là, non solo perché avrebbe perso tempo inutilmente, ma anche perché temeva che nessuno avrebbe risposto.

Mentre si accingeva ad abbandonare l’ufficio, sua sorella entrò preoccupata nella stanza, sorprendendolo con gli occhi segnati dall’ansia ed il respiro irregolare.

“Trunks, cos’è successo?”.

Le raccontò brevemente della telefonata di Marron.

“Cielo…” mormorò lei, portandosi una mano alla bocca. “Cosa pensi sia accaduto?”.

“Non ne ho idea, ma adesso lo scoprirò” annunciò, aprendo con decisione la spaziosa finestra dell’ufficio, che tanti anni addietro aveva rappresentato la sua via di fuga.

“Aspetta!” lo trattenne Bra. “Vengo con te!”.

“No” replicò lui voltandosi verso di lei. “Tu resta, non possiamo abbandonare il consiglio d’amministrazione”.

“Stai scherzando?” lo riprese lei, mentre l’aria gelida di quella notte invernale entrava nella stanza e le scompigliava le chiome azzurre. “La nostra famiglia viene prima del lavoro!”.

Trunks annuì. Avrebbe voluto avere sempre la decisione di sua sorella, la sua straordinaria determinazione. A lei non piaceva limitarsi ad affrontare la vita passivamente, accettare senza combattere ciò che il destino le offriva.

“Andiamo” mormorò lui, prima che entrambi oltrepassassero la finestra e spiccassero il volo verso la cupola color crema.

 

La luce della grande sala circolare era accesa, ma nessuno rispose ai richiami suoi e di Bra. Una delle finestre era infranta, e a terra giacevano resti di ceramica, probabilmente appartenuti ad un vecchia lampada da tavolo, mentre la cornetta del telefono pendeva ancora dal tavolino.

I due fratelli si spostarono in cucina, dove trovarono l’impasto di un dolce non terminato. Ma anche lì, nessuna traccia di Pan o dei bambini.

Mentre Bra si accingeva a salire le scale, Trunks continuò a perquisire il piano terra senza alcun risultato. Non riusciva neanche a chiamare i loro nomi, tanta era l’ansia che gli mozzava il fiato e gli strozzava il cuore come una tenaglia.

“Trunks!”.

Nel sentire la voce concitata di sua sorella che lo chiamava dal piano di sopra, la morsa si fece improvvisamente più stretta, quasi a fargli uscire un singulto di dolore.

Non salire...non salire di sopra...

Esitò, tremando. Qualunque cosa avesse trovato Bra, di sicuro non era niente di buono. Sapeva che doveva raggiungerla subito, ma il terrore di ciò che avrebbe visto gli creava un tale peso interiore che dovette appoggiarsi al corrimano.

Salì gli scalini, uno ad uno, con una lentezza esasperante nonostante il simultaneo bisogno di intervenire. Il suo cuore batteva all’impazzata, sembrava volesse uscirgli dal petto da un momento all’altro. Raggiunse il pianerottolo, gli occhi sbarrati, il respiro affannoso.

Sua moglie era distesa a terra, immobile, la testa sollevata appena sulle ginocchia di Bra, che con due dita le cercava nervosamente il battito nei pressi del collo. Dopo qualche tentativo sollevò lo sguardo, colmo di una devastante tristezza.

“E’ morta”.

Solo due parole, pronunciate quasi come un sussurro, che però bastarono a Trunks per sentire il suo cuore palpitante frammentarsi in mille pezzi.

 

Continua…

 

 

  
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