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Autore: safelia22    29/12/2009    12 recensioni
E se, dopo la perdita dell'occhio destro, Andrè avesse riconsiderato il suo rapporto con Oscar? Dal capitolo uno - "Questo fino al giorno della considerazione. E’ così che lo chiamo. Pensando a quel momento, visualizzo una specie di spartiacque, qualcosa che divise la mia vita in prima e dopo. Più correttamente una diga, o comunque un qualcosa che sale lentamente, fino a bloccare definitivamente il flusso del fiume. Io sono quel fiume e il flusso è la mia vita. Dopo che la considerazione ebbe fatto effetto, non c’era più flusso"
Genere: Introspettivo, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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 SE IL FIUME SCORRE

 





 



Introduzione


Dust




Era come camminare sul fondo del mare. Gli altri mi parlavano, ma io non riuscivo a sentirli e avevo l’impressione che le mie parole non li raggiungessero.
Era come se fossi avvolto da una membrana che aderiva perfettamente al mio corpo, ma che non impediva alle altre persone, specie a mia nonna, di toccarmi, di accarezzarmi il viso e commiserarmi. Con un’evidente eccezione.
Certi comportamenti mi avevano sempre infastidito, ma ancora di più mi disturbava la loro assenza, se questa si manifestava in lei.
Non che questa mancanza mi sorprendesse.

Ovvia era la sua rabbia nei confronti di chi mi aveva ferito. Dopotutto si trattava del cavaliere nero, lei l’odiava quasi per principio. E in più, io ero il suo migliore amico da molti anni, anche se il termine “migliore amico” mi sembra poco esplicativo. Certo, avrei voluto essere molto di più di quello che effettivamente ero, ma comunque rimanevo la prima persona a cui pensava quando le serviva un aiuto, uno svago, una risata. Almeno razionalmente; sapevo di non essere molto presente nelle sue fantasie. Assente, oserei dire.
Questo fino al giorno della considerazione. E’ così che lo chiamo. Pensando a quel momento, visualizzo una specie di spartiacque, qualcosa che divise la mia vita in prima e dopo.
Più correttamente una diga, o comunque un qualcosa che sale lentamente, fino a bloccare definitivamente il flusso del fiume.
Io sono quel fiume e il flusso è la mia vita. Dopo che la considerazione ebbe fatto effetto, non c’era più flusso.

Nei primi giorni dopo l’incidente svolgevo le mie mansioni senza troppa difficoltà; un occhio danneggiato non ti condiziona la vita. Certo le cose sarebbero cambiate. Ero nato con un leggero problema alla vista che non mi aveva causato fastidi fino ad allora, ma ora era tutto, metaforicamente, sulle spalle dell’occhio destro, ed era improbabile che riuscissi a mantenere queste condizioni per il futuro. Il dottore aveva parlato chiaro, avrei perso la vista, un giorno o l’altro. Non dovevo esserne angosciato perché “avrei avuto i primi sintomi molti anni dopo e in ogni caso forse sarei morto prima“. In sostanza, non dovevo preoccuparmi.
Presi la cosa relativamente alla leggera e adottai la filosofia del dottore, che dopo aver assistito a tante influenze assassine non credeva più nelle malattie e nelle patologie “che si sarebbero dovute verificare”. Era un uomo tutto d’un pezzo, molto concreto.
Eppure, nonostante mi fossi lasciato convincere in fretta dalle sue parole, il filo si spezzò una mattina mentre davo da bere ai cavalli. Durò un secondo, non di più. La vista mi si appannò e io lasciai cadere d’istinto il secchio d’acqua scivolando sul pavimento, lentamente, come un’ombra.
E insieme alla vista, anche io da quel momento mi appannai, ma per sempre. Divenni freddo e distante, senza volerlo. C’erano giorni in cui gli occhi non mi davano problemi, altri in cui l’immagine s’incrinava o addirittura spariva. Io non ne avevo parlato con nessuno e tutto ciò, oltre ad avermi creato un vuoto all’interno, mi aveva anche isolato dagli altri perché mi sentivo diverso, differente.
Era come se vivessi in una realtà separata.
La cosa che più m’infastidiva era che lei sembrava non essersi accorta del mio stato d‘animo. In tanti, soprattutto all’inizio, mi esprimevano il loro dispiacere per la perdita dell’occhio e mi aiutavano nei miei compiti, credendo che avessi dei problemi a coordinare i movimenti, o robe simili.
Tutto questo senza essere a conoscenza delle mie reali condizioni.
Le sue parole invece furono: - Avrebbe dovuto pagare con la vita-
Le pronunciò il giorno dopo l’incidente, guardando in basso, e io, convinto delle parole del medico, non mi concentrai su me stesso, ma sul fatto che quell’uomo non meritasse nulla di simile.
Notai che il suo comportamento era totalmente diverso dagli altri, ma pensai che il suo sostegno si sarebbe manifestato nei giorni a seguire, magari con una frase carina o un sorriso. Sarebbe bastato, io mi sarei aggrappato a quel suo gesto gentile e avrei continuato la mia vita nutrito dalle sue parole.
Non avrei domandato nient’altro alla mia migliore amica, al mio unico amore.
E invece, quella frase, quel conforto, non venne.
Non ci fu nemmeno un “mi dispiace per te”
Mentre il mondo si prodigava ad aiutarmi e a compatirmi, lei pensava solo a sé stessa e al suo lavoro.
Quelle parole che mi avevano fatto arrabbiare formavano solo una considerazione a voce alta.
Io non volevo essere compatito, compreso, commiserato, aiutato, sostenuto dal mondo.
Non volevo nemmeno che tutto ciò arrivasse da lei. Ma contavo su qualcosa a cui mi sarei potuto aggrappare nei momenti bui;
Un”sai Andrè, non ti devi preoccupare, non è così grave come sembra”.
Oppure un “puoi vivere benissimo con un occhio solo, è solo una questione di abitudine”.
O un sorriso d’incoraggiamento.
Invece non arrivò niente e in mancanza di quel qualcosa, giorno dopo giorno, iniziai a sentirmi sempre peggio, finche tutto andò in fumo nel dare da bere ai cavalli.
Improvvisamente, insieme alla consapevolezza che avrei perso la vista presto, capii di aver perso qualcos’altro di più importante.
Avevo perso me stesso nelle sue parole che c’erano e non c’erano state.
Soffrivo per la sconsideratezza di quella frase e per l’assenza di qualcosa di più personale.
A farmi stare male non erano solo i miei occhi.. Era l’aspettativa delusa. E ciò che ne era conseguito.
Io non ero niente per lei. Lo dimostravano le sue parole. Non le era nemmeno venuto in mente che forse avrei avuto bisogno di lei. Io ero polvere..




   
 
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