Fanfic su artisti musicali > MultiBand/Crossover
Segui la storia  |       
Autore: Stregatta    29/12/2009    1 recensioni
Uno dei principali motivi che avevano spinto Matt a convivere con uno spacciatore era legato al fatto che si conoscevano praticamente da sempre – ossia, da quando Andy era semplicemente “il piccolo Andrew, il figlio dei nuovi vicini! Sai, è un bambino molto timido… Perché non provi a fare amicizia con lui, Matt?”
Genere: Commedia, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Muse, Placebo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
... avete letto il prologo, vero? Mica per altro, ma altrimenti ci capirete poco ^______^!

 
Moonriver
 
 


Uno dei principali motivi che avevano spinto Matt a convivere con uno spacciatore era legato al fatto che si conoscevano praticamente da sempre – ossia, da quando Andy era semplicemente “il piccolo Andrew, il figlio dei nuovi vicini! Sai, è un bambino molto timido… Perché non provi a fare amicizia con lui, Matt?”
Qualche anno più tardi, l’ex-bambino molto timido gli concedeva il primo tiro di canna della sua vita in camera di Dominic, con quest’ultimo e Chris che fissavano il volto di Matt col fiato sospeso.
Quattordici anni e tanta inesperienza, nonché una discreta dose di paura nei confronti di quella sostanza nerastra sbriciolata e mischiata al tabacco di una normale sigaretta – il tutto magistralmente riarrotolato in un involto pressoché identico alla sigaretta originaria.
A nessuno dei tre era particolarmente piaciuto. Secondo Andy il motivo risiedeva nella qualità del materiale impiegato – che poi, dai, lo sapevano tutti che l’erba era meglio del fumo. Ragazzi, cinque sterline a testa e sabato prossimo vi porto la migliore maria di questo cazzo di posto!
Non ci furono un sabato prossimo né la maria migliore di eccetera eccetera. La settimana seguente, Andy era partito alla volta di Londra con un gruzzoletto di denaro rimpinguato da quindici sterline, un cambio d’abiti e i suoi sedici anni come bagaglio.
Aveva sempre detto che voleva andarsene, che voleva cambiare vita – e ciò non lo rendeva diverso dagli altri ragazzi in giro per Teignmouth.
Si vociferava che fosse entrato in un brutto giro e non a torto, ma in fondo restava sempre un ricordo piacevole per Matt ed i suoi due amici - sui soldi erano disposti a sorvolare - nonché il suo unico contatto nella City.
Quando si era trattato di fuggire dalla cittadina natia per inseguire il sogno che ormai era un chiodo fisso, un’ambizione da realizzare ad ogni costo – suonare per vivere… Perché già da molto viveva per suonare – Matt aveva pensato ad Andy ed in capo ad un paio di settimane si era trasferito da lui, mentre Chris e Dom preferivano aspettare la fine della scuola per compiere il grande passo.
 
Di recente era andato al cinema a vedere Trainspotting insieme ad Andy, ed erano morti dal ridere.
Cazzo, se l’appartamento che condividevano non sembrava uscito dritto dritto da quel film!
Ma in generale era la vita di Andy a sembrare la trama di una pellicola da festival indipendente: sparatorie, decessi per overdose, festini, minacce di morte da tipi più in alto di lui nella malavita londinese.
E la gente, poi. Oh, quanta gente assurda che arrivava da Andy ad orari ancora più assurdi!
La tipa… Cioè, il tipo di quella mattina non era un’eccezione.
- Si chiama Brian, fa il musicista… A quanto pare sta per uscire con un album. –
- U-hu? – mugolò Matt, ingoiando un sorso del suo latte bianco e frugando nella biscottiera alla ricerca di un biscotto integro.
Trovatolo, ne sgranocchiò un pezzo mentre Andy continuava a spiegare, stiracchiandosi sulla sua sedia: - Seh… Il suo gruppo si chiama Placebo. Hanno suonato pure al Wanton, due giorni fa. Sono discreti. –
- Placebo… Figo. –
- U-hu. Lui è mezzo matto, si infila in un sacco di casini e poi si fa salvare come la più classica delle donzelle dal ragazzo o dal suo batterista. –
Andy ridacchiò sotto i baffi, battendo un biscotto sul tavolo per liberarlo delle briciole.
- Credo che si sia scopato mezza Londra. –
Matt non stentava a crederlo: fra l’altro, con quel modo di fare e quel visetto che si ritrovava doveva aver fatto a pezzi più di un cuore.
Gli ricordava una sua ex di Teignmouth – aveva persino lo stesso colore di occhi.
- Ieri sera l’hanno trovato ad una festa… Me l’hanno portato qui perché è stato lui a volerlo. Hai sentito come la pensa sul suo ragazzo, no? –
Chi, Santo Stefan? Perché a stare con uno del genere si doveva possedere una naturale vocazione per il martirio.
- Non l’ho sentito, ieri sera. –
- Tu non senti mai nulla, Matty B! Se il tuo sonno fosse un oggetto sarebbe un termosifone di ghisa. Sai, quelli pesanti. –
- Non sono più rincoglionito, bello… Quindi risparmiati quel “Matty B”. –
- Ma dai, ti si addice! Sei così piccino picciò… Hai proprio le physique du rôle per un “Matty B”.-
- E tu hai proprio la faccia dell’Andy Candy, direi. –
Le labbra di Andy, l’inferiore adornato al centro da un anellino del tutto identico ai sei che gli decoravano l’orecchio destro, si stesero in un sorriso allegro.
- Solo Brian mi chiama così… E io glielo lascio fare, perché se viene da lui è carino. –
- Sai, non l’ho mai visto qui… Ma è un tuo amico? – volle sapere Matt, che conosceva le frequentazioni del coinquilino solo fino ad un certo punto.
- Mhm… Sì e no. È un buon cliente, ha una bella testa e quando lo vedo in gonna… Dio. Però non direi che siamo amici amici. Ha un altro giro, e alla gente di quel giro non piace il mio giro o non piaccio io. Mi conosce perché conosce l’intera rete londinese… E sa che sono il migliore. –
- Ok… Vado a lavarmi. Un altro ritardo ed è la volta buona che Streisand mi licenzia. – annunciò Matt, alzandosi dalla sedia; arrivato sulla soglia, ghignò: - Senti, se una di queste sere dovesse tornare ed indossasse una gonna… Svegliami, d’accordo? –
 
 
Alle sei del pomeriggio, un Matthew stanco e nauseato da vernici per pareti ed acqua ragia rientrò a passo lento nel condominio più malfamato di uno dei quartieri più malfamati di Londra.
Una passeggiatrice lo salutò dal rispettivo lampione – il giorno in cui era arrivato da Teignmouth le aveva chiesto informazioni per il palazzo dove abitava Andy e lei era stata tanto gentile da accompagnarlo fin sotto al portone.
Neanche le aveva chiesto il nome, ma ci aveva pensato Andy ad informarlo al riguardo: si chiamava Gwendolyn.
- Ehi, piccolo! Come va? – urlò la donna dall’altra parte della strada.
- Sono stanco morto! – le rispose Matt sorridendo ed allargando le braccia.
La donna non ebbe tempo di rispondere: una macchina le si era fermata accanto ed il conducente aveva già abbassato il finestrino per accordarsi sul prezzo.
Accigliatosi, Matt si voltò rapidamente per entrare nell’edificio.
 
 
Da dietro il portoncino chiuso veniva un rumore strano…
Una sorta di ronzio cupo, dalla tonalità familiare ma remota.
Matt restò ad ascoltare per un secondo, prima di spalancare gli occhi sbigottito.
… un aspirapolvere?
Girò le chiavi nella serratura ed aprì la porta, percorrendo velocemente il corridoio e trovandosi poi di fronte una figura familiare piegata ad aspirare lo sporco accumulato sotto il divano del soggiorno.
- Oh, buonasera… Matty B? –
Il saluto non era dissimile da quello del mattino. C’era giusto un po’ di fiatone a modificarne l’intonazione.
In quell’istante, Andy si affacciò dalla cucina.
- Oi… Bentornato! –
Gli cinse energicamente le spalle esili con un braccio, mentre Brian spegneva l’aspirapolvere e si raddrizzava, una mano dietro la schiena evidentemente dolorante.
- Abbiamo ospiti, amico mio… Brian ci ha chiesto asilo politico per un po’. –
- Sì… - confermò con un sospiro il diretto interessato, lisciando il tessuto lucido della sua camicia nera con aria casuale.
- … sai, il mio adorato fidanzato ha deciso di averne abbastanza delle mie scorribande perché adesso abbiamo un album che sta per uscire e non posso permettermi certe cazzate e via discorrendo. Però c’è da dire che mi ha preparato le valigie, quindi non posso davvero prendermela con lui. Odio fare i bagagli. –
Andy scosse il capo, commentando: - Un vero cavaliere d’altri tempi, quell’Olsdal. – e Matt lo guardò sollevando un sopracciglio con aria scettica.
- È uno scherzo… Vero? –
- Ti dà fastidio la mia presenza? – domandò con espressione innocente Brian, indicando poi l’aspirapolvere.
- Voglio dire… In realtà potrebbe giovare anche a voi una convivenza, visto che non credo che questo posto abbia mai ricevuto una pulita degna di tale nome. Potrò essere quello che vi pare, ma di certo non uno sciattone! –
- Già, in pratica si sta offrendo per il posto di sguattera e non mi permette di chiamarlo Cenerentola pur sapendo che il roleplay mi è sempre piaciuto… - scherzò Andy, e Brian lo redarguì altezzosamente: - Magari puoi chiamarmi così nei tuoi sogni, Andy Candy, quelli per cui bagni il letto e non certo di pipì. Comunque, si tratta di uno scambio alla pari. Vitto ed alloggio in cambio di collaborazione domestica e in parte finanziaria. –
Certo che era insolito.
Da come l’aveva descritto Andy, non sembrava il tipo di persona particolarmente attento alla pulizia della casa.
- Be’… Ok. – si strinse nelle spalle Matt, non sapendo cosa rispondere.
Da quando era lì, si era presto abituato all’idea che in casa di Andy potesse accadere di tutto in qualsiasi momento.
- Bravo. – Andy lo scrollò come un fuscello, mentre Brian lo osservava in silenzio con un’espressione indecifrabile.
 
 
Dopo cena, Matt si ritirò in camera sua a leggere.
Avrebbe voluto accendere lo stereo ma sapeva che avrebbe potuto dare fastidio ai clienti di Andy in soggiorno, essendo le due stanze l’una a fianco all’altra.
Sul comodino aveva un saggio che intendeva ultimare entro la settimana, per passare poi alla rilettura di 1984 di George Orwell.
Il fatto che avesse mollato la scuola non implicava che intendesse rinunciare anche ad un arricchimento culturale – d’altronde, aveva sempre posseduto la vocazione dell’autodidatta, soprattutto in campo musicale.
Arrivato al punto cruciale di un ragionamento portato avanti dall’autore dell’opera, sentì bussare alla porta.
- Chi è? –
- Brian. –
Senza attendere un invito che Matt non aveva ancora deciso se accordargli o meno, il nuovo inquilino aprì la porta quel tanto che bastava ad entrare.
Si appoggiò alla porta chiusa con un sospiro. – Che palle. –
- Ti annoi? – si forzò a chiedere Matt, intuendo vagamente che Brian non fosse possibile da liquidare con del silenzio disinteressato.
A cena lo aveva studiato, cercando di non dare troppo nell’occhio: i dati risultanti dall’esame lo avevano incuriosito.
Per esempio, Brian mangiava molto poco ed adottava un atteggiamento assolutamente stridente, rispetto all’ambiente che lo circondava. Schiena dritta, niente gomiti sul tavolo o discorsi a bocca piena – ma visto che, per l’appunto, non lo era quasi mai aveva tenuto banco con un inarginabile fiume di parole riguardo la sua musica, lo schiuma party del giovedì sera al 333, i capelli blu, l’ineffabile fascino del Vodka Martini, il crack che iniettato direttamente negli occhi dava un effetto più che istantaneo e L’Albatros di Baudelaire.
Insomma, per ottenere un Brian Molko bastava aggiungere a tre quarti di chiacchiere nonsense una spolverata di turpiloquio ed un quarto di buone maniere talmente affettate da attribuirgli un’aria alla Piccolo Lord. Agitare il tutto e servire gelido come il suo sguardo.
- Sì… Se quei cazzo di eroinomani si sbrigassero a venirsi nelle mutande potrei guardare un po’ di TV, almeno. –
Di nuovo, Brian non ricevette alcun invito a spaparanzarsi sul letto di Matt, proprio accanto a lui.
L’odore dei suoi vestiti era lo stesso di quella mattina: fumo di sigaretta che andava a rendere amaro un retrogusto molto più dolce che il naso di Matt non riusciva a decodificare.
- Che leggi? –
Brian si issò sulle ginocchia, spiando le pagine del libro dalla spalla di Matthew.
Da quella distanza il profumo era molto più intenso, ma ancora inscindibile nei suoi fattori primi.
- Mhm… Bah, noioso. –
Matt distolse per un attimo l’attenzione dalle proprie percezioni olfattive: - Ti sembra noioso discutere sull’esistenza di Dio? –
L’altro si distese languidamente sul materasso, allungando le braccia verso la spalliera.
- Certo. Mi pare assolutamente logico che non esista o che, se esiste, non si curi affatto delle nostre esigenze. E, sai, non gliene faccio una colpa… Tu passeresti tutta la tua vita ad osservare una colonia di insetti che nascono, si riproducono e muoiono all’infinito? Per ogni cadavere c’è una larva pronta a rimpiazzarlo. Che noia. –
- Ma sarebbe il suo compito, alla fine… Insomma, se esiste e ci ha creato che senso ha lasciarci allo sbaraglio? – obiettò Matt, nonostante la sua coscienza gli consigliasse di non impelagarsi in discussioni metafisico-teologico-scientifiche con quell’individuo tanto bizzarro.
- Matty B, hai descritto una balia, non una forza superiore con potere su ogni cosa. Il male dell’uomo è la sua prospettiva antropocentrica. Non si può filosofare mantenendo un punto di vista tanto provinciale rispetto alla tematica che si pretende di trattare in maniera ragionata. -
- Non sono Matty B. Sono Matthew. –
Brian lo squadrò da cima a fondo, aggrottando le sopracciglia.
- Come sei formale… Il che è un controsenso, visto che abitiamo sotto lo stesso tetto e io sono sdraiato sul tuo letto. –
- Ma non starò qui tanto a lungo… E neanche tu, credo. Stefan prima o poi verrà a sapere che sei qui. –
- Che ne sai tu? Magari stavolta mi molla… Non che gli convenga, perché non ci metto nulla a mandare a puttane tutto il resto. –
- La band, intendi? E tu rovineresti tutto per una cosa del genere? –
Brian si voltò repentinamente verso l’angolo della stanza occupato dalla chitarra acustica di Matt, cambiando argomento senza batter ciglio: - Suoni anche tu? –
- Sì… Ho un gruppo. – lo assecondò Matt, chiudendo il libro dopo aver piegato un angolo della pagina come segnalibro.
- Come vi chiamate? –
- Muse. – sorrise Matt ripensando al periodo in cui non riusciva ad accordarsi per un nome decente con il resto della band, toccando punte di ridicolo estreme con oscenità come Rocket Baby Dolls.
- Cazzo… Siete ambiziosi, insomma. Avete addirittura scomodato una divinità. –
Brian si alzò, avvicinandosi allo strumento ed imbracciandolo. Passò il pollice su una corda alla volta, saggiandone il suono.
Considerò pensosamente: - A giudicare dal nostro nome, invece, dovremmo essere l’icona del vuoto a perdere… Dell’inconsistenza pura e semplice. –
- Perché “Placebo”? – lo interrogò Matt, incuriosito: un sorrisetto furbo comparve sulle labbra di Brian.
- Un giorno lo leggerai in qualche intervista. –
Riponendo la chitarra, afferrò uno dei libri sul comodino – Cristo, ma riusciva a stare fermo per cinque minuti?
- Oh, questa sì che è roba seria… Orwell. È passato un po’ dall’ultima volta che l’ho letto… -
- Puoi dargli un’occhiata, se ti va. –
Era un’offerta generosa da parte di Matthew, poiché la gelosia che nutriva nei confronti dei propri effetti personali era nota a chiunque facesse parte della sua cerchia di conoscenze.
Di fatti Brian si apprestava a farne parte, perciò tanto valeva iniziare col piede giusto.
- Grazie, Matthew. –
 
 
 
 
 
Quella sera Matt si era dovuto trattenere al lavoro per una mezz’oretta in più – era stato l’unico modo di rabbonire Streisand per l’ennesimo ritardo sul lavoro: un tot di straordinari non retribuiti pari all’ammontare dei minuti di ritardo accumulatisi quel giorno – e camminare dalla fermata della metropolitana fino all’appartamento di Andy gli pareva più gravoso che mai.
Le spalle non riuscivano a raddrizzarsi, i muscoli delle braccia erano indolenziti e fiacchi.
I lampioni appena accesi segnavano di cerchi color arancio il marciapiede deserto, come ad indicare il giusto percorso da seguire.
I pali si susseguivano uno dopo l’altro a distanza regolare, ognuno intarsiato di sfregi e scarabocchi incomprensibili.
Matt di solito trovava affascinanti quei simboli, quei pittogrammi insensati per chiunque tranne che per il loro autore: il suo pessimo umore e l’acido lattico stagnante nei tessuti trovarono il modo di influenzare anche le sue impressioni su quelle testimonianze d’umanità anonima, trasfigurandole in esempi lampanti di incuria ed ignoranza.
- Ehi, piccolo! Hai da accendere? –
Comodamente adagiata contro uno di quegli esempi tanto esecrabili, Gwendolyn stava sorridendo ed agitando una mano in direzione di Matt.
Palpandosi le tasche dei jeans impolverati, Matt urlò dall’altro capo della strada: - Sì! –
- Aspetta lì, che vengo io! –
La prostituta aveva in mano una sigaretta lunga e sottile: la porse alla fiammella dell’accendino di Matt, aspirando dal filtro.
- Mhm… Sei la mia salvezza, il mio l’ho scordato a casa. Come mai sei tanto in ritardo oggi? –
Da lontano sembrava così giovane, con quelle gambe chilometriche che sbucavano da sotto la minigonna inguinale in denim ed il bustier che le sollevava e strizzava il seno parzialmente nascosto dal suo minuscolo gilet di paillettes nero.
La fronte era segnata da tre solchi sottili e gli occhi erano circondati da un accenno di zampe di gallina sotto uno spesso strato di fondotinta.
Lo sguardo sembrava sereno. Un po’ malinconico quando non sorrideva, ma senza traccia di inquietudine.
- Straordinari… Non pagati, perché è la pena predisposta per chi arriva tardi sul lavoro. – spiegò con tono leggermente sarcastico Matt, massaggiandosi una spalla da sotto la maglietta.
- Oh… Infatti hai l’aria un po’ stanca. E triste. –
Non stava annunciandogli nulla di nuovo: la stanchezza gli pesava più che mai sulle ossa, e la tristezza… Be’, non c’era da stare allegri con le braccia a pezzi, no?
Il tono di Gwendolyn era così inaspettatamente carezzevole e partecipe che Matt non pensò che il suo benessere psico-fisico non la riguardasse: sua madre aveva lo stesso modo discreto ma sottilmente pressante di indagare sul suo stato d’animo.
- Bah… Ho solo fame e bisogno di una doccia. –
- E di una ragazza, magari? –
Gwendolyn alzò una mano dalle unghie laccate della stessa tonalità di rosso fiamma dei suoi capelli e del suo rossetto: - Scusa, non è affar mio, però… Ti vedo sempre girare solo o con Andy e così… Oh, a meno che voi due non siate una coppia ed io non abbia frainteso tutto. –
- No, no! – esclamò Matt, mordendosi subito le labbra quando l’eco della sua voce si espanse lungo la via.
- Ok… Allora è il caso che ti trovi una tipa, piccolo. Sei davvero troppo carino per stare da solo. –
Il ragazzo arrossì, abbassando lo sguardo con una risatina imbarazzata.
- Vedrò cosa posso fare. –
 
 
L’appartamento era immerso nel silenzio più totale.
- Sono a casa, tesoro! – cinguettò Matt scherzosamente nella penombra del corridoio illuminato solo grazie alla luce filtrante da sotto la porta del soggiorno.
- Bentornato, caro! – replicò a tono Brian in direzione dell’unica stanza illuminata della casa.
Quando Matt entrò, trovò il coinquilino seduto a gambe incrociate sul divano con un libro in mano: la sua attenzione venne subito deviata verso la gonna scura lunga appena due dita sopra le ginocchia, i collant leopardati ed il paio di calzettoni neri di cui Brian stava facendo  sfoggio.
Apprezzando suo malgrado le forme celate sotto la fantasia animalier – cazzo, erano delle fottute gambe da donna, quelle! - Matt lo apostrofò con un sorrisetto, indicando la copia di 1984 che Brian stava leggendo: - Ti ha proprio risucchiato, vero? –
L’altro sollevò il libro, declamando compito: - “Aboliremo l'orgasmo. I nostri neurologi ci stanno già lavorando.” Ti immagini che schifo? Io in un mondo senza orgasmo non vorrei vivere. –
Matt annuì, trovandosi perfettamente d’accordo con Brian per la prima volta da quando lo conosceva.
- Stefan ti ha cercato? –
Voltando pagina, Brian scrollò le spalle: - No. Vuole tenere il punto, ma prima o poi si stuferà. In questo gioco sono molto più bravo io. –
Mise il libro sul tavolino di fronte al sofa, unendo e distendendo le gambe di fronte a sé.
- Tu, invece? Quante pareti ha dipinto, oggi? –
- Che razza di domanda… E poi non lo so. – Matt scosse il capo, ed il collo irrigidito dalla fatica protestò per il gesto.
Chissà se Brian avrebbe mai potuto fare l’imbianchino. Così piccolo e snob com’era riusciva a vederlo bene solo su di un palco, a cantare malinconiche tiritere francofone accompagnato da una languida chitarra classica.
Però un lavoro doveva trovarselo, prima o poi. Oppure doveva farsi vivo con la sua band, far pace con il ragazzo e magari tornare da lui.
In quel momento Andy rincasò, affacciandosi poi sulla soglia del soggiorno.
- Ciao, Matt. Bonsoir, mademoiselle Molko. –
Buttando la giacca sul divano ci si sedette sopra senza molta grazia, comunicando con aria cospiratrice: - Stasera al Kingston c’è la Serata Giamaicana. –
Brian roteò teatralmente gli occhi.
- Dio, musica reggae… -
- … e tanta maria fumata in privè angusti dove la promiscuità è un must. –
- … vado a scegliere cosa mettermi. –
Quando Brian fu sparito in camera di Matt – si era sistemato lì dopo aver rifiutato di dormire sul divano, adducendo motivazioni legate alla sua spina dorsale delicata ed al fatto che su quel fottuto divano bitorzoluto non ci avrebbe passato una notte neanche a dargli in cambio tanta ganja quanto pesava – Andy si voltò verso l’amico rimasto.
- Tu che fai? –
- Nah… Sono a pezzi. –
- Oh, ok… Però è un peccato. –
Udendo Brian canticchiare allegramente dalla sua stanza, Matt considerò che invece non lo era affatto.
 
 
 
Ogni sabato mattina era un regalo prezioso, dopo una settimana di ponteggi e pennellesse.
Era bello svegliarsi e non aprire subito gli occhi: il dormiveglia trasformava la mente in una superficie drenante, come un setaccio nel quale restavano impigliati dati di infima ed allo stesso tempo ingente rilevanza.
C’erano rumori e profumi che con un minimo di fantasia sarebbero potuti appartenere alla casa materna.
Cucchiai e padelle. Frittelle e caffè.
Matt sollevò una palpebra cautamente, riconoscendo il luogo nel quale si ritrovava.
Il suo letto da Andy. Il muro scrostato. L’armadio scalcinato. Le valigie ed il lettino pieghevole di Brian – entrambi vuoti.
In cucina però c’era solo un Andy indaffarato a preparare frittelle in una larga padella, il quale  lo salutò gioioso come non mai.
- Ehi! Dormito bene? –
Grattandosi la nuca, Matt mugugnò: - Come al solito. –
Sul tavolo, al posto della biscottiera, c’erano un piatto di frittelle calde, una caraffa di succo d’arancia ed un piccolo vaso con… Cristo, era proprio una rosa tea. Dove cavolo l’aveva trovata?
- Io per niente. – sospirò Andy, abbassando il fuoco sotto il tegame.
All’occhiata interrogativa di Matt rispose, spiegando sottovoce: - Vedi, ieri notte siamo tornati parecchio tardi e… -
Si interruppe quando una vocina assonnata e vagamente petulante biascicò da un punto imprecisato dell’appartamento: - Andy Candy, mi porti del caffè? –
- … mi si è addormentato addosso. Ho provato a risvegliarlo, anche perché in quella posizione era lui che rischiava di risvegliare me, se capisci cosa intendo. Non so nemmeno perché mi ha seguito in camera, visto che era talmente fatto da non avere energia a sufficienza per arraparsi. –
Immaginare la scena era abbastanza divertente, per quanto anche un tantino inquietante.
- … ma è stato bello lo stesso. Sai, lui è così… Insospettabilmente morbido. –
Smise di nuovo di parlare, con la paletta piatta per rigirare le frittelle a mezz’aria e le braccia conserte sul petto, come se stesse stringendo di nuovo a sé l’oggetto delle sue elucubrazioni romantiche.
- Matty B, mi sto innamorando. –
- ANDY CANDY, CAFFÈ! –
- Eh, come darti torto? – ritorse Matthew ironico, versandosi del succo d’arancia e contemplando le sfumature della corolla della rosa tea.
 
 
I giorni passavano, e l’evidenza della cotta di Andy era sempre più esposta e palese – l’unico all’interno dell’appartamento che mostrava di non curarsene era proprio Brian, il quale continuava a pulire, mangiare come un uccellino e stuzzicare lo spacciatore con le sue osservazioni pungenti.
Tutto sommato, non era una presenza poi così ingombrante: non si era ancora degnato di trovarsi un impiego per adempiere ai suoi doveri finanziari nei confronti di Andy e trascorreva gran parte del suo tempo a leggere, chiacchierare e a ritornare strafatto da party di gente pressoché sconosciuta per Matt… Ma ci si poteva fare l’abitudine, una volta inquadrato il tipo.
Quello che Andy sembrava non comprendere era che starci assieme era tutto un altro paio di maniche; la faccenda apparentemente non lo impensieriva più di tanto, poiché si era dichiarato in più di un’occasione disposto a ricoprire il ruolo dismesso dal sempre più santo ed irrintracciabile Stefan.
Matt dal canto suo stava a guardare.
Non aveva ancora seguito il suggerimento di Gwendolyn, nonostante si sentisse dannatamente solo da un po’ di tempo.
La luna di miele con Londra era finita e l’aspetto pittoresco del quartiere, la stravaganza della gente che lo abitava e persino i monumenti più ragguardevoli e celebri della City avevano perso il loro fascino.
In compenso provava una strisciante e fastidiosa punta di nostalgia nel ripensare al Pier, al Den, alla spiaggia color grigio pallido di Teignmouth, alle vecchie comari che costituivano la memoria storica della cittadina, all’odore di sale ed ai gabbiani stridenti sui pescherecci.
E gli mancavano dannatamente Chris e Dom. Sentirli al telefono faceva schifo, così come faxare loro le partiture ricavate a malapena dai riff che di tanto in tanto riusciva a completare nel tempo libero – vaffanculo, odiava scrivere e leggere musica… Non ne era mai stato davvero capace.
Anche Brian suonava. La sua chitarra ce l’aveva Stefan – chissà perché se l’era tenuta. Forse perché credeva che il suo ragazzo prima o poi sarebbe tornato. E Brian non l’aveva pretesa perché credeva che Stefan lo avrebbe ripreso con sé entro pochi giorni.
Suonava melodie semplici ma affascinanti. Spesso si accomodava sul davanzale della finestra che dava sulle scale antincendio e canticchiava sottovoce con la chitarra di Matt sulle ginocchia.
Poi si accorgeva di Matt che lo osservava poco lontano, ed iniziava a miagolare le parole di Moonriver con espressione sdolcinata, citando Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany per prenderlo in giro.
Per via di ciò Matt aveva preso a chiamarlo Brian Golightly, anche allo scopo di vendicarsi di quel “Matty B” a cui i suoi due coinquilini non intendevano rinunciare.
Il resto era noia, lavoro, festini divertenti solo per ubriachi e fattoni e sabati mattina attesi come manna dal cielo.
 
 
I lampeggianti blu della polizia e dell’ambulanza si scorgevano fin dalla fermata della metro.
A mano a mano che ci si avvicinava i dettagli acquisivano in nitidezza: un capannello multicolore di gente si era raccolto attorno ad un lampione, mentre i paramedici scendevano dall’ambulanza.
- Fate spazio, non c’è nulla da vedere! –
Matt distinse la macchia rossa del cappotto della signora Bauer fra gli astanti, attraversando la strada per raggiungerla.
- Cos’è successo? –
L’anziana donna si voltò verso il ragazzo, spalancando occhi e bocca in un’involontaria e magistrale imitazione di un pesce rosso.
- Oh, Matthew! Una disgrazia… Cioè, se così si può definire. In fondo se l’è cercata e… Oh, benedetto Iddio! – la signora Bauer giunse le mani portandosele alle labbra e tornando a fissare la barella che i paramedici stavano caricando.
Un lenzuolo bianco ne copriva l’intera superficie, tranne che per un particolare.
Una mano inerte dalle unghie smaltate di rosso.
Fu come se gli avessero assestato un calcio dietro le ginocchia, che gli si fecero molli: Matt dubitò di riuscire ad entrare nel suo condominio senza afflosciarsi a terra.
Non rivolse la parola neanche alla signora Bauer, nell’allontanarsi dalla scena appena intravista fra i corpi degli altri spettatori.
In fondo se l’era cercata.
Che voleva dire?
Che ci faceva su quella barella?
Chi ce l’aveva messa?
Chi cazzo era stato?
 
La porta dell’appartamento era aperta.
Brian era ritto di fronte alla finestra del soggiorno, semi-oscurata dalle tapparelle abbassate.
Bagliori blu si riflettevano sul suo volto serio, assorto.
Solo quando si girò verso di Matt quest’ultimo si accorse della musica che partiva dallo stereo.
- Moonriver? – si sentì constatare, e temette di essere sul punto di scoppiare a ridere.
- Sì. L’ho comprato oggi. Appena l’ho visto ho pensato… Boh, l’ho comprato e basta. – mormorò Brian.
Si chinò verso l’impianto stereo, premendo un tasto. La canzone ripartì dall’inizio.
La sua faccia era ancora uno schermo per i lampi azzurri provenienti da fuori, un modo come un altro per la realtà di fare irruzione in casa loro.
- Ti va di ballare? –
La mente ancora in corto circuito, troppe domande che si accavallavano le une sulle altre pretendendo risposte e spazio per esprimersi. Non era in condizione di rifiutare l’offerta.
Andy aveva ragione… Brian era morbido.
Era il compagno giusto per dondolarsi al centro di quella stanza spoglia e buia, nel silenzio più surreale possibile.
Fissandosi i piedi, Brian sussurrò: - Stefan non si è fatto vivo nemmeno oggi. –
Emise una sommessa parodia delle sue classiche risatine beffarde, proseguendo: - Non ci sono abituato, sai? Forse ha davvero imparato a tenere un broncio come si deve, o forse è finita… Anche se me l’avrebbe fatto sapere di persona. Lui non è uno di quelli che ti lasciano con un post-it o una chiamata. –
Tacque, posando una guancia contro il petto di Matt.
- Forse mi ha già rimpiazzato anche nella band. –
Simulò un disinteresse palesemente fasullo, commentando con una spallucciata: - E vabbe’… Vorrà dire che mi inventerò qualcos’altro. –
- Gwendolyn è morta. –
Ecco. Dirlo non faceva più male dell’immaginarsi modalità e moventi, di domandarsi se avesse sofferto e quanto tempo ci avesse impiegato ad andarsene ai piedi del suo lampione. Poco importava che Brian non la conoscesse.
- Cazzo… Che sto facendo? Che ho fatto finora? –
Non voleva frignare come un moccioso, con il coinquilino immobile sul suo torace. Era un quadretto davvero idiota – dotato di un melenso Henry Mancini come sottofondo, per di più.
Era solo che… Cazzo, non riusciva a frenarsi.
- Dovevo restare a Teignmouth, a finire l’ultimo anno di scuola… A studiare per i compiti in classe e le interrogazioni, a lamentarmi della mensa e dei prof con i miei amici… -
Lì la gente moriva davvero. Poteva morire come un cane per colpa di un cliente violento, della droga, di regolamenti di conti fra malavitosi, delle pensioni da fame.
Moriva perché era stupida, sola, bastarda e randagia ed era tutto vero.
Persino Andy… Cristo, Andy era uno spacciatore. Uno di quelli da cui la sua famiglia gli aveva sempre ingiunto di stare alla larga.
Brian gli prese il volto fra le mani.
- Matthew… -
Il bacio iniziò esitante, con una fuggevole pressione di labbra chiuse per pudore ed incertezza.
A schiuderle per primo fu Matt, poiché non aveva la forza necessaria per combattere qualcosa di cui aveva terribilmente bisogno.
Lo odiò, in realtà. Odiò quel bacio fin dall’inizio perché Brian era la summa di tutto ciò che detestava di quel posto.
Era stupido, era irritante e scurrile. Era uno che si fotteva il cervello con la droga e che mandava all’aria le sue relazioni in nome della propria cocciutaggine.
Ma baciava bene. Era rispettoso, gentile, misurato… Nonché uomo, ma al momento la cosa non preoccupava particolarmente Matt.
Aveva bisogno di lui. Per tutta la notte, per tutto l’indomani… Non lo sapeva.
Voleva suonare, cantare, urlare e continuare a baciarlo.
 
- Non ho mai visto Teignmouth. –
Matt distolse lo sguardo dalla finestra - l’ambulanza si era portata via Gwendolyn a sirene spente diversi minuti prima.
- Non ho mai visto Stefan. –
Brian fece scivolare il braccio attorno alla vita dell’altro, posandogli la testa su di una spalla.
- Lo vedrai quando verrà a prendermi domani. –
Matt sorrise lievemente, mentre Moonriver ripartiva da capo per l’ennesima volta.
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > MultiBand/Crossover / Vai alla pagina dell'autore: Stregatta