Anime & Manga > Gundam > Gundam SEED/SEED Destiny
Segui la storia  |       
Autore: Atlantislux    30/12/2009    4 recensioni
Tutto ha un prezzo a questo mondo. Soprattutto la pace. Loro l'hanno dimenticato.
Genere: Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Irreparabile'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Pace



Orb, 17 marzo, C.E. 82


Nel palazzo che ospitava l’Ambasciata di PLANT ferveva l’attività. Mentre da una parte Yuri Amalfi si dedicava a stringere i primi contatti con le legazioni degli altri paesi, nella zona riservata agli appartamenti privati il suo staff e la sua famiglia stavano prendendo possesso dei rispettivi spazi.

Dopo aver vagato un po’ per gli ampi saloni, Dearka e la sua fidanzata Miriallia trovarono la ragazzina che stavano cercando accoccolata in libreria, tra gli scatoloni, intenta a sfogliare senza troppa convinzione un volume.

“Nina! Che ci fai qui nascosta?” le chiese il biondo ex-pilota di ZAFT.

La bambina alzò le spalle. “Studio. La mamma è impegnata a disfare le valigie con la segretaria del babbo. C’è un casino nelle camere, qui invece è più tranquillo.”

“E tu non hai nulla di sistemare?”

“Naaa... ho già fatto tutto. Gli adulti invece sono un vero disastro.”

Dearka sogghignò, pensando all’appartamento che gli avevano assegnato, nel quale riusciva ad entrare solo scavalcando cumuli di bagagli. Miriallia gli aveva proposto di andare a vivere con lei ma lui era riuscito, ancora una volta, elegantemente a declinare, adducendo come scusa il fatto che avrebbe dovuto essere a disposizione dell’Ambasciatore in ogni momento; amava la bruna fotografa, ma l’idea di convivere francamente lo terrorizzava più di una battaglia.

“Sì, siamo davvero tutti strani. Ma, ora, che ne dici di andare a fare un giro in città? Tua madre ha dato il permesso a me e a Miri di portarti a prendere un gelato” disse alla ragazzina.

Nina sollevò gli occhi dal libro. “Davvero? Fuori di qui?”

“Certo. Ci sono io. Si fida di me.”

Il giovane, colpito nelle costole da una gomitata della fidanzata, soffocò un’imprecazione.

“E ancora di più di me” puntualizzò Miriallia.

La bambina, seppure divertita dalla scena, sembrò a Dearka ancora poco convinta, e lui le fece un sorriso tendendole una mano. “Dai…”

Stava già perdendo le speranze, quando un fragile sorriso illuminò il volto di Nina, che allungò le dita esili posandole nel suo palmo, largo ed abbronzato.

“Bravissima” le fece per incoraggiarla, e la bambina abbandonò il suo libro senza ulteriori esitazioni.



Romina Amalfi venne comunque a salutarli prima che uscissero, facendo mille raccomandazioni a Dearka. Lui cercò di suonare il più responsabile possibile. Non che lo fosse davvero, ma capiva che se voleva strappare un po’ la povera Nina dall’ossessivo controllo della madre, una delle donne più apprensive che lui avesse mai conosciuto, doveva risultare il più convincente possibile.
Non era però riuscito a persuadere il padre di lei a non farli seguire da una scorta armata. Yuri Amalfi si era detto preoccupato per l’incolumità del suo attaché militare, ma Dearka era ben conscio che altre erano le paure che si agitavano nell’animo dell’uomo.

Partirono dal garage sotterraneo dell’ambasciata, con l’auto della scorta che li seguiva a debita distanza.

Dearka si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo non appena si furono lasciati alle spalle i cancelli della legazione, e pigiò il pedale dell’acceleratore, cercando di mettere la più ampia distanza possibile tra la sua vettura e quella dei tre gorilla che li pedinavano. Accese la radio, facendo un rapido giro delle stazioni, ma la spense subito. Tutto quello che trasmettevano era musica pop, che lui odiava, e notiziari nei quali si alternavano comunicati sulla crisi economica ed altri sulle schermaglie diplomatiche in corso tra due paesi africani.

Sbadigliò profondamente, annoiato dai penosi network terrestri.

“Ragazza mia, compatisco il tuo futuro fidanzato. Faranno il terzo grado a chiunque si avvicini, ne sono certo, convinti che sia un assassino” disse ad alta voce, cercando di vivacizzare l’atmosfera in macchina.

Nina, seduta sul sedile posteriore, non gli diede però corda. “Bene. Sono certa che loro sceglieranno il meglio per me.”

Dearka aggrottò le sopracciglia lanciando, dallo specchietto retrovisore, un’occhiata sconcertata alla bambina, ma la battuta che stava per pronunciare fu bloccata sul nascere da Miriallia, che si girò verso Nina dopo aver colpito ulteriormente il povero ragazzo.
“Sei veramente obbediente. Sai, Dearka non era affatto come te alla tua età.”
“Lo so. Mio padre ne parlava con mamma l’altra sera a cena. Dicevano che Dearka era la pecora nera della sua famiglia. Meno male che io non sono così” espose compitamente la bambina, con un tono tra il condiscendente e il saputello che fece alzare al biondo gli occhi al cielo. Adesso capiva perché Nina gli era simpatica; da piccolo Yzak era stato simile a lei, anche se molto più arrogante. Miriallia soffocò una risatina, e anche lui non riuscì a non fare lo stesso.
“Sì, l’hanno detto anche a me che il mio ragazzo era uno scapestrato. Tu invece sei proprio una ragazzina giudiziosa.”
Miriallia si riaccomodò meglio sul sedile, e tra loro ci fu qualche secondo di silenzio, rotto infine da parole che nessuno dei due giovani si aspettava.

“Me lo dicono tutti. Alcuni sembrano sorpresi, e io non capisco perché. Io non farei mai nulla per far stare in pensiero i miei genitori” disse Nina, il più quietamente possibile, e quasi sottovoce.
Dearka scambiò un’occhiata con la sua fidanzata. Ma, prima che potesse aprire bocca, fu Nina stessa che decise di precisare quello che intendeva.
“Io non farò come quello là. Non farò mai piangere la mamma.”
I due giovani non ebbero dubbi sull’identità della persona alla quale la bambina si stava riferendo. D’altronde, erano stati avvertiti dai suoi genitori che loro non avevano mai nascosto a Nina né di essere stata adottata, né che il loro vero figlio era morto in guerra.

A Dearka, che stava affannosamente cercando una qualunque cosa da dire, venne fortunosamente in aiuto la fidanzata.
“Hai... hai ragione, sai. Fai la brava e vedrai che tutto andrà bene, e soprattutto non crescerai irresponsabile come questo qui” disse Miriallia nel modo più neutrale possibile, dando un buffetto a Dearka su una spalla e esplodendo in una risata nervosa.
Il giovane vide Nina incrociare le braccia, e guardare fuori dal finestrino sollevando il mento e assumendo un’aria volitiva.
“Spero di no. Dieci anni di fidanzamento e ancora non ti ha chiesto la mano. Ma sei sicura che sia la persona giusta per te?” chiese la bambina senza la minima remora, con la sfacciataggine tipica di quell’età.

Mentre Miriallia soffocava lacrime causate da un eccesso di ilarità, Dearka cominciò a chiedersi se davvero era stata una buona idea portare quella piccola strega, travestita da docile pecorella, in giro con lui. Il pomeriggio non era ancora finito, e chissà quali altre cattiverie sarebbero uscite dalla bocca della biondina. 

***

Athrun non aveva dormito benissimo la notte precedente. Dopo ore passate ad ascoltare il pesante respiro della moglie, profondamente addormentata, aveva deciso di recarsi nella stanza accanto, a vedere se le sue figlie stessero bene. Le forme raggomitolate l’avevano rassicurato, ed era rimasto un po’ a vegliarle, perso nei suoi pensieri.
Non sapeva come giudicare il fatto che Nicol fosse ad Orb; cercava di rallegrarsene convincendosi che era solo una visita privata, mentre tentava disperatamente di non pensare alla circostanza che l’amico fosse invece lì per lavoro.

Per questo, fu con un misto di felicità e inquietudine che si recò all’appuntamento con lui. Da quando si erano rivisti su Aprilius One non si erano più incontrati.



Il posto lo conoscevano entrambi. Era un locale vicino a Morgenroete, dove si erano fermati a bere qualcosa tanti anni prima, durante la missione di ricognizione che li aveva portati ad infiltrarsi ad Orb. Athrun ci era passato davanti molte volte da quando abitava nell’Emirato, ma curiosamente non era mai più entrato.
Il parcheggio era semivuoto quando arrivò e, dopo aver posteggiato la sua macchina vicino ad una fuoriserie nera, si diresse senza esitazioni all’ingresso, calcandosi in testa il berretto che aveva indossato per non svelare la propria identità. Era un personaggio conosciuto al grande pubblico tanto quanto Cagalli, che aveva bisogno di camuffarsi anche solo per uscire a mangiare una pizza in santa pace, e non voleva correre il rischio di incappare in inutili seccatori.
Nicol lo stava aspettando e, quando lo vide, Athrun fu improvvisamente catapultato indietro di undici anni.
Rispetto al loro ultimo, tempestoso incontro, il giovane aveva i capelli leggermente più lunghi, e le lenti a contatto che portava questa volta erano ambrate, praticamente identiche al colore di occhi che Nicol possedeva prima dell’incidente. Athrun dovette riconoscere che così la somiglianza con il ragazzo che dimorava nei suoi ricordi era quasi perfetta. Sarebbe potuto passare per un parente molto stretto di Nicol, se non proprio per il fratello maggiore. Soprattutto, fu il sorriso con cui lo accolse che rassicurò l’Ammiraglio Zala; non era più offuscato dalla glaciale indifferenza che gli aveva visto esibire ad Aprilius City. Stavolta, Nicol gli sembrò semplicemente raggiante.

“Ehi, ciao!” lo salutò Athrun, felice allo stesso modo, le inquietudini della notte precedente volatilizzate.
Si accomodò al suo tavolo, chiedendo un caffè alla cameriera, che non diede segno di averlo riconosciuto.
Dopo essersi scambiati pochi convenevoli, il giovane Ammiraglio chiese immediatamente a Nicol quello che più gli premeva sapere, curioso di scoprire cosa aveva portato l’amico ad Orb. La risposta che ricevette lo sconvolse.

“La mia ragazza ha ricevuto una proposta di lavoro da Morgenroete, ci siamo trasferiti qui per quello.”

“Tu vivrai qui? E… hai una ragazza?” ripeté Athrun, dissimulando un sorriso.
Si ricordava Nicol come un ragazzino timido che arrossiva impacciato ed imbarazzato quando Miguel organizzava visioni comunitarie di film pornografici, e l’aveva invece ritrovato come un giovane uomo attraente e sicuro di sé; realizzò che non si sarebbe stupito così tanto della cosa, se non avesse saputo quello che Nicol aveva passato negli ultimi undici anni. Un’ombra di inquietudine offuscò la felicità di Athrun, che si chiese chi mai potesse essere la donna che aveva deciso di stargli accanto.

L’amico, intanto, stava annuendo convinto. “Sì, lei è stata molto contenta di accettare quel lavoro. E io di venire qui con lei.”
“Non mi hai detto nulla quando ci siamo sentiti, poco tempo fa.”

“Non eravamo ancora sicuri. Non volevo darti una notizia infondata.”

Athrun cercò capire dal suo tono di voce se Nicol gli stesse mentendo, senza riuscirci. A lui però la faccenda sembrò molto strana, e si ripromise di indagare oltre. Immaginava che l’amico avesse segreti che non gli potesse rivelare, ma che per la sicurezza nazionale lui dovesse conoscere. Sperò, pregò che davvero Nicol non gli stesse nascondendo nulla.

Il giovane dovette percepire il suo disagio, perché il suo sorriso si attenuò sensibilmente.
“Non mi credi?” gli chiese.
“Certo che sì, è che…” Athrun scosse la testa. “Io lo so per chi lavori. E vorrei che mi dicessi chiaro e tondo, ora, se sei qui per loro.”

“No. Ora non lo sono. Anche se…” Nicol distolse lo sguardo da lui. “Nemmeno io so come stanno davvero le cose. Ma puoi chiederlo a qualcun altro.”

“A chi?”
“Al responsabile del mio gruppo. È qui anche lui. E ti vorrebbe incontrare.”

Non un campanello d’allarme, ma vera e propria sirena cominciò a strillare nella testa di Athrun. Come poteva non stare per succedere qualcosa, se addirittura uno dei capisezione di Serpent Tail era lì sull’isola? Il giovane si guardò in giro, allarmato.

“Dov’è?”

“Non è qui. È rimasto a casa. Ti ci posso portare. Beh, sempre che tu lo voglia.”
Era parte del suo lavoro accertarsi che nessuna minaccia compromettesse la tranquillità di Orb e, pur conscio che in un caso del genere avrebbe semmai dovuto contattare la polizia, la tentazione di andare a controllare con i suoi occhi assalì Athrun. L’Ammiraglio Zala si chiese in che razza di guaio si stava andando a cacciare, sapendo cos’era Nicol e avendo visto cos’era riuscito a fare su Aprilius One.

Ma lo sguardo franco dell’amico lo rassicurò.

“Non ti devi preoccupare” dichiarò Nicol. “Non farei mai nulla che ti possa mettere in pericolo.”

E la rassicurazione, pronunciata da quello che aveva quasi sacrificato la sua vita per salvarlo, sembrò ad Athrun ragione sufficiente per alzarsi e seguirlo fuori dal locale.



Le parole di Nicol gli vennero tragicamente in mente una mezz’ora dopo quando il Coordinator dai capelli verdi, al volante dell’auto sportiva che aveva visto parcheggiata accanto alla sua, imboccò la strada costiera percorrendo le strette curve ad una velocità di quasi duecentocinquanta chilometri all’ora.

Athrun si assicurò per la decima volta di avere la cintura allacciata, gesto che non sfuggì all’amico.

“Vado troppo forte?”

“Di esattamente centosessanta chilometri all’ora sopra il limite” replicò Athrun esibendo un sorriso tirato. Non aveva dubbi che, per come guidava sicuro, Nicol sapesse perfettamente controllare quel bolide, ma lui avrebbe di certo preferito godersi il viaggio a ben altra velocità.

“Oh, pazienza, tanto da queste parti non passa mai nessuna pattuglia.”
“E tu come lo sai?”

“Posso intercettare le loro reti. E questa macchina è in ogni caso molto più potente di tutte le loro” gli rispose Nicol facendogli l’occhiolino.

Athrun se ne fece una ragione. Era indecoroso per un pilota di Mobile Suit lamentarsi della velocità di una mera automobile, per cui se ne stette stoicamente seduto al suo posto per il resto del breve viaggio, chiedendosi chi mai aveva insegnato al suo amico a guidare in quel modo.



Il posto dove Nicol aveva detto di essersi trasferito era una villa in stile moderno, abbarbicata su una scogliera a picco sul mare. Non era visibile dalla strada principale, ma vi si accedeva tramite uno stretto vialetto, la cui entrata era nascosta tra bassi palmizi. Davanti alla villa Athrun vide parcheggiata una seconda macchina, un SUV color arancio che gli fece torcere il naso dal disgusto; in cuor suo sperò che non fosse la misteriosa fidanzata dell’amico che avesse così poco buon gusto da andare in giro con un mostro simile.

Si tenne la curiosità perché Nicol, che aveva intanto posteggiato, scese dall’auto e gli chiese di seguirlo; insieme, oltrepassarono il cancello d’ingresso.

Una volta dentro, Athrun sorrise alle scelte di chi aveva arredato e costruito quel posto. La villa era un gioiello architettonico, la cui parte centrale era scavata direttamente nella roccia della scogliera, mentre il fronte era abbellito da numerose terrazze sospese sul mare e sorrette da contrafforti sottili, bianchi come ali di gabbiano. Una delle terrazze ospitava una piscina, e fu là che Nicol lo condusse.

“Ma dov’è andato a finire?” Athrun sentì l’amico chiedere a nessuno in particolare.

Dall’alto, una voce però gli rispose. “Ehi! Eccovi! Certo che sei incorreggibile, Nicol! Ti spedisco a fare un giro e torni con un ragazzo? Non potevi portarmi una bella fighetta?”

La voce gli suonò familiare, pensò Athrun mentre si girava verso il proprietario. Che si trovava sul belvedere sopra il loro, in controluce.

“Scendo subito!” urlò sparendo alla vista.

“Scusa. Invecchiando è peggiorato” gli fece Nicol, imbarazzato.
L’aveva detto come se Athrun dovesse conoscerlo, ma non riusciva a capire come. Glielo stava per domandare quando lo sconosciuto riapparve, sbucando da una porta a vetri e andando deciso verso di loro.

La tenuta casual, bermuda kaki ed infradito, fu la prima cosa Athrun notò, insieme alla camicia hawaiana, gialla decorata con dalie color panna. Poi i capelli color oro, corti sulla nuca e scalati sul davanti, con una pesante frangia che gli ricadeva sugli occhi. Anzi, sui grossi occhiali da sole. La parte superiore del volto dell’uomo era sfigurata da una brutta cicatrice, ma non era così rovinata che Athrun Zala non riuscisse a non riconoscerlo.

Il giovane sentì come se tutto il sangue avesse abbandonato il suo corpo, mentre l’altro si fermava a pochi passi da lui, allungandogli un bicchiere dove cubetti di ghiaccio navigavano in un liquido ambrato.
“Tieni. Rhum cubano, invecchiato venticinque anni. Ho pensato ne avessi bisogno.”

Athrun annuì debolmente, afferrando il bicchiere e scolandoselo tutto in un unico sorso. Come aveva preventivato, era così sconvolto che nemmeno l’alcool gli fece effetto.

“Miguel Ayman” balbettò. “E tu che diavolo ci fai qui?”

Il suo ex-tutor, l’uomo che aveva creduto morto ad Heliopolis, torse le labbra in un ghigno. “Mi godo lo stupendo clima di questa isola, cos’altro?”
Athrun non riuscì ad ascoltarlo oltre. Si dovette sedere, prendendosi la testa tra le mani sotto lo sguardo preoccupato di Nicol.

“Athrun! Stai bene?” gli chiese l’amico.
Il giovane Ammiraglio sentì Miguel rispondere per lui.

“Sì sì, stai tranquillo! Vai a prendergli un altro bicchiere di rhum. Dobbiamo festeggiare il nostro incontro.”

Più di tutto, più ancora della sua stessa presenza fisica, fu quel tono diabolicamente allegro e astuto che confermò ad Athrun che chi aveva davanti era davvero Miguel Ayman.

Lo guardò sconvolto. Adesso, le coincidenze cominciavano ad essere decisamente troppe.

***

 Una divisione di Morgenroete era dedicata alla preparazione fisica dei piloti di Mobile Suit. Erica Simmons aveva prenotato il laboratorio di prova per l’intero pomeriggio, sbattuto fuori tutto il personale, e si era rinchiusa dentro con Cecilia Jesek e la sua amica Lorran. Che da circa un’ora stava correndo sul tapis roulant, ad una velocità costante di quaranta chilometri all’ora, senza nemmeno avere il fiatone. Anzi, ogni tanto canticchiava pure.

“È stonata” fece notare Erica a Cecilia, che scosse le spalle.

“Purtroppo c’era un limite a quello che potevamo fare. E poi non ci serviva una cantante pop.”

“Peccato, perché la tua amica ha proprio il look giusto per far impazzire schiere di ragazzini.”

Cecilia si mise a ridere, ed Erica la imitò.

Dopo un primo, cauto approccio, la Direttrice di Morgenroete stava scoprendo gradevole la compagnia della scienziata americana, anche se trovava la donna anche parecchio eccentrica. Ma scientificamente era preparatissima, ed era quello che a lei interessava di più.
“Che intendi dire con quel ‘serviva’, Cecilia?” le chiese, tornando seria, e dopo aver lanciato un’occhiata ai parametri vitali di Lorran, tutti assolutamente nella norma pur sotto sforzo.
Cecilia si portò la mano stretta a pugno sotto il mento. “Il fine del progetto STORM era di trasformare i prigionieri in armi perfette. All’Alleanza non servivano dei burattini senz’anima, ma ricevemmo comunque l’ordine di sostituire arti e organi interni danneggiati solo nella misura in cui gli sarebbero stati necessari per combattere.”
“Non credo di capire” le disse onestamente Erica, corrugando le sopracciglia. Guardò Lorran, la quale, almeno esteriormente, non sembrava diversa da una normale ventenne.
“Prendi i suoi occhi. Avremmo potuto impiantarle dei normali bulbi oculari, ma ci fecero sviluppare dei prototipi con il preciso scopo di essere utilizzati in battaglia.”
“Sì, quella è la cosa più palese. Eppure, per il resto, mi sembra sia tutto regolare.”
“A prima vista” le spiegò Cecilia. “Perché sono stati progettati per confondersi con gli esseri umani, non avrebbe avuto senso farli diversi. Come hai notato ieri al check-point, tutti gli impianti cibernetici di Lorran sono costituiti di materiali biocompatibili rilevabili unicamente tramite termografia computerizzata, e non dai normali strumenti diagnostici. Abbiamo fatto le cose per bene, camuffando i circuiti e le aree di interfaccia all’interno delle articolazioni, utilizzando chip in grafite, i più piccoli al mondo; mentre i muscoli e gli organi interni artificiali non hanno un aspetto o una funzione diversa dal normale. Sono solo estremamente più efficienti.”

“E le ossa?”

“Rimpiazzate da un endoscheletro in superlega di titanio.”

Erica indicò Lorran.

“Quindi, quanto di quella ragazza non è sintetico?”

“Molto poco” rispose Cecilia, fissando Erica con uno sguardo che lei non riuscì a decifrare. La scienziata sembrava più compiaciuta che impietosita per l’amica, come la Direttrice di Morgenroete avrebbe forse ritenuto normale.

“Lei era una di quelli messi peggio. Non era un pilota, faceva parte del personale di qualche nave abbattuta. La trovarono in uno shuttle precipitato a terra, tra i corpi dilaniati dei suoi compagni. Aveva ustioni tra il secondo e il terzo grado sul novanta percento del corpo, e nell’impatto aveva riportato lo sfondamento del massiccio facciale e lo schiacciamento di tutti gli arti, che le furono subito amputati.”

Erica si irrigidì, fissando Lorran che correva lieta ammirandosi le lunghe unghie laccate di rosso. Anche Cecilia seguì il suo sguardo, anticipandone la domanda.
“Però respirava ancora, e cervello e midollo spinale non avevano riportato danni. Operammo una ricostruzione del suo corpo al settantacinque percento, una delle percentuali più alte. Ma quando si fu ripresa pretese ulteriori modifiche che la commissione militare fu felice di concederle. E altre migliorie gliele ho apportate personalmente nel corso degli anni.”
“Perché?” chiese Erica, che non riusciva in nessun modo a capire perché una persona avrebbe desiderato di sua volontà di essere trasformata in una bambola meccanica.
“Non ho la minima idea di come fosse prima, ma ci chiese di renderla bellissima e letale. I militari non aspettavano altro.”

Erica aggrottò le sopracciglia, incuriosita sempre di più da quello che l’americana le stava svelando. “In che senso?”
“Tutti i ragazzi Coordinator che ci arrivarono erano considerati niente più che cavie. Ai meno gravi però, furono solo impiantati nuovi arti, mentre gli organi interni gli furono trapiantati invece che sostituiti con i corrispettivi sintetici.” Cecilia si interruppe per un momento, ed Erica vide un curioso spasmo contrarle l’angolo della bocca. “Ma su quelli in condizioni peggiori i vertici dell’Alleanza ci ordinarono di eseguire esperimenti ben più arditi; tanto nessuno aveva nulla da perdere, né noi né quei poveretti. Nei progetti dei militari, se i nostri tentativi fossero andati a buon fine, tutti i soggetti avrebbero poi dovuto subire un upgrade verso gli stessi estremi rimpiazzi.”

Erica era una donna che aveva assistito nella sua vita a molte atrocità ma si sentì comunque sbiancare. “Volenti o nolenti?”

Dopo un attimo di esitazione, Cecilia annuì. “Sì. Anche se i militari erano convinti che sarebbero stati gli stessi pazienti a volerli, un po’ come successe a Lorran.”
La Direttrice di Morgenroete continuava a non capire come avrebbe potuto essere possibile, ma poi si ricordò che non si stava parlando di civili ma di soldati impegnati a combattere una guerra. Forse era vero che, nel tentativo di essere più performanti in battaglia, alcuni di loro avrebbero anche potuto desiderare per se stessi una cosa così mostruosa.
Cecilia la fissò. “Ti vedo sconvolta. Ma non dovresti esserlo. Voi Coordinator non siete comunque nati tutti tramite manipolazione genetica? Quello che gli abbiamo fatto è solo un’ulteriore modificazione.”
“Non è quello il punto, Cecilia. Rimane il fatto che nessuno, all’inizio, gli ha chiesto il permesso di essere trasformati in cyborg.”
“E allora? Se è per questo nemmeno nessuno di noi ha avuto il privilegio di scegliere se essere Natural o Coordinator.”
“Non c’entra nulla. I Coordinator nascono dal sogno dell’uomo di eliminare gli errori genetici, in modo da non trasmettere alla propria discendenza malattie mortali ed invalidanti, ed avere figli più forti, sani ed intelligenti. Mentre il fine del vostro progetto era di creare soldati perfetti, l’hai detto tu stessa prima. E poi, i vostri… ‘pazienti’ erano cavie, no? Anche questo l’hai affermato personalmente.”

Dallo sguardo che le lanciò Cecilia, Erica si rese subito conto di aver esagerato. Stava per scusarsi, ma l’americana la anticipò.
“Sì” le rispose, sorprendendola. “E io sono l’artefice materiale di tutto quello che gli stato fatto. Ma credi forse che se li avessimo messi in condizione di scegliere qualcuno avrebbe rifiutato? Ricordati che oggi sarebbero morti senza quegli impianti.”

Cecilia le diede le spalle, e appoggiò una mano alla vetrata che divideva la stanza che occupavano dal laboratorio vero e proprio.
“Il mio sogno non era di creare armi, ma di dare una speranza e una seconda vita proprio alle vittime dei conflitti di voi adulti. Sono nata e cresciuta in un mondo nel quale gli esseri umani erano pezzi di carne mandati al macello, e ridati in brandelli ai loro genitori, e non mi sento colpevole per aver studiato un modo di alleviare le sofferenze di quei poveretti. Come le ricerche sull’ingegneria genetica furono utilizzare da gente senza scrupoli per produrre dei mostri, così io non mi ritengo eticamente responsabile per il modo in cui l’Alleanza decise di sfruttare i miei lavori.”

Erica la vide scuotere la testa di capelli ricci, e abbassare sensibilmente la voce. “Io non mi rimprovero nulla. Perché gli ho salvato la vita, e li ho messi in condizione di rispondere ad ogni minaccia esterna. Nel corso degli anni, ho aiutato a migliorarsi chi me l’ha chiesto. Avrei solo voluto che fin dall’inizio avessero potuto scegliere da che parte stare, e decidere in libertà se continuare a combattere o tornarsene a casa, ma non gli è stata data nessuna possibilità. Non pretendo che tu capisca, ma sappi che questi ragazzi significano tutto per me. Non sono solo il mio lavoro e il mio esperimento più riuscito, ma i miei unici amici. E la mia famiglia.”
Finalmente, nel tono leggermente presuntuoso della donna più giovane, Erica avvertì una vena di dolore che la sbalordì. L’attaccamento di Cecilia a quel progetto, e ai suoi pazienti, le sembrò che andasse decisamente oltre quanto solitamente succedeva nella comunità scientifica, dove era la norma che gli scienziati si affezionassero ai propri lavori. E poi, trovava curioso che parlasse sempre del progetto come suo.

Si schiarì la voce, per spezzare la tensione. “Va bene, ma che mi dici degli altri tuoi colleghi che lavoravano a STORM? Che fine hanno fatto?”

Cecilia alzò le spalle. “Il gruppo originario fu sciolto dai Logos poco prima che il centro ricerca venisse attaccato da Serpent Tail. Negli anni ho rintracciato pochissimi altri, grazie a pubblicazioni su riviste specializzate in biorobotica; credo che la maggior parte viva sotto falso nome, un po’ come me. Ci minacciarono di morte se avessimo divulgato gli esiti delle nostre ricerche e, anche se Logos e Blue Cosmos sono stati oramai da tempo debellati, probabilmente nessuno degli altri è stato abbastanza coraggioso da esporsi.”
L’americana riportò la sua attenzione su di lei, stirando le labbra in un lieve sorriso. “Direttrice, al momento i risultati di quelle ricerche sono in mano mia, e di Serpent Tail. Prima di portarci via da Nassau si assicurarono di non lasciare nulla ai Logos, nemmeno i loro scienziati che vennero rapiti. Non so che fine abbiano poi fatto. Oltretutto, molti dei progetti più avanzati non erano ancora stati brevettati, per cui puoi capire come, al momento, i mercenari ne abbiano la totale esclusiva. E, visto che quei risultati erano stati conseguiti grazie quasi unicamente al mio lavoro, ti posso assicurare che non c’è nessuno al mondo in grado di replicarli. Eccetto la sottoscritta.”
“Ne sei certa?”
“Sì. Qualcosa di simile ai miei impianti è apparso sul mercato, negli anni, ma non a quei livelli di sofisticazione.”

Erica Simmons annuì, studiando gravemente Cecilia. Se le cose stavano davvero così, poteva capire perché la donna parlasse così appassionatamente del progetto STORM.

Rispetto a quello che si erano dette prima, le responsabilità morali dell’americana verso i Coordinator utilizzati come cavie erano gigantesche e, malgrado le sue parole orgogliose, Erica intuiva che Cecilia dovesse soffrirne parecchio, ma non le interessava rinfacciargliele. I dilemmi di coscienza di Cecilia erano solo suoi, mentre rimaneva una brillante scienziata, che loro di Morgenroete dovevano avere a tutti i costi. Il problema era unicamente il gruppo mercenario per il quale Cecilia lavorava.
Erica decise di parlarne con Athrun Zala. Lui aveva conosciuto le ‘creature’ di Cecilia, e lui era l’unico che potesse convincere Cagalli Yula Athha che, per una volta, collaborare con Serpent Tail era questione di sicurezza nazionale.

***

Athrun era da molto che non beveva. Nessuno dei suoi amici lo faceva, e l’ultima volta che aveva ecceduto era stato alla festa che gli avevano organizzato per la nascita delle figlie. Ma, tutto preso dal racconto di come Miguel era sopravvissuto a Heliopolis, non si era per niente reso conto di aver buttato giù qualche bicchiere di troppo. Fino a quando non provò ad alzarsi.
Perse l’equilibrio e si ritrovò sul divano, sotto gli occhi di uno sghignazzante Miguel.

“Athrun, ti perdo di vista per qualche anno e ti ritrovo ridotto ad una casalinga? Senza di me vi siete proprio rammolliti.”
“Piantala” biascicò il giovane, al settimo cielo. Un po’ per l’effetto dell’alcool, un po’ per l’adrenalina in circolo, gli sembrava che il luogo dov’era fosse una sorta di realtà alternativa, un Paradiso al di fuori del tempo e dello spazio dove tutti i suoi sogni più irrealizzabili erano divenuti realtà. Non la finiva di meravigliarsi di essere davvero nella stessa stanza con Miguel Ayman e Nicol Amalfi, gli amici che più gli erano mancati, intenti a lanciare comandi vocali al televisore.

“FX.”

“Network 5.”

“Channel 6” gridò Miguel, e la voce acuta di una cantante pop asiatica riempì il salone.

“Basta!” rise Nicol. “Come fa a piacerti questa musica? È insopportabile.”

“Senti, non fare l’intellettuale. Tu eri tra quelli che adoravano le lagne di Lacus Clyne, me lo ricordo bene” ritorse Miguel, facendo l’occhiolino ad Athrun.

Nicol guardò invece lo schermo che, senza che avesse aperto bocca, improvvisamente si sintonizzò su un canale di news.
Il giovane fece il segno della vittoria. “E l’ho anche bloccato.”

“Che brutto bastardo” gemette Miguel, lanciandogli un cuscino. “Ti odio quando usi questo sistema per fregarmi. Spero che prima o poi ti si frigga il cervello.”
“Non contarci.”
Ridacchiando Nicol si allontanò, portandosi dietro la bottiglia di rhum quasi interamente scolata. “E basta bere. Se Athrun sta male mentre lo riporto a casa quando rientro facciamo i conti.”

“Sei proprio una mogliettina affettuosa, bada piuttosto a come guidi” gli urlò dietro Miguel, mentre Athrun arrossiva, stranamente compiaciuto. Dopo tanti anni davvero non era cambiato niente tra loro, o così era a prima vista. Eccetto che per una cosa. Indicò il televisore.

“Come ha fatto?”

Miguel scosse la testa, indicandosi la tempia. “Tramite quel nanocomputer che ha in testa può agganciarsi a tutte le reti wireless aperte. E anche a quelle criptate, se riesce a scoprire la password. È piuttosto… comodo. Per molte situazioni. Non che io vorrei mai una cosa del genere impiantata nel cervello, sia chiaro.”

Athrun annuì, soffocando un brivido. Qualunque menzione a ciò che avevano fatto a Nicol lo metteva profondamente a disagio. Scherzandoci insieme era facile far finta che tutto fosse normale, anche se doveva cercare di non pensare a quello che il giovane dai capelli verdi aveva sotto la pelle.

“Come sta?” chiese a Miguel, che gli sorrise malinconicamente, mentre finiva di bere il suo drink.
“Fisicamente meglio di me e di te messi insieme. Psicologicamente…” l’ex-tutor di Athrun posò cautamente il bicchiere di cristallo su un basso tavolino. “Questi anni sono stati davvero molto difficili per lui, soprattutto i primi, quando era costretto a lavorare per i Logos. Questo, dopo essere stato separato dalla sua vecchia vita così brutalmente. Il trauma fu immenso; sai che riusciva addirittura a negare che lui e il figlio di Yuri e Romina Amalfi fossero la stessa persona? Ma da quando vi ha rivisti è in qualche modo venuto a patti con il suo passato, e adesso sta davvero molto meglio.” Miguel fece cenno ad Athrun di avvicinarsi, poi abbassò la voce in un sussurro. “Anche se, ovviamente, come tutti quelli come lui è un po’ fuori di testa. Ma sai, non gli si può rimproverare nulla, poveretto. Tu come ti sentiresti se ti svegliassi un mattino scoprendo di essere l’anello mancante tra un essere umano e un robot da cucina multifunzione?”

“Piantala di dire sciocchezze, Miguel!” gli fece eco la voce sdegnata di Nicol, dalla cucina dove era sparito.

Il biondo si passò una mano nei capelli, roteando gli occhi verso il soffitto. “Cazzo! Non posso neanche parlargli dietro che quello mi sente dappertutto. Ehi, smettila di origliare e fammi un cocktail dai, ho sete.”

Athrun non riuscì a non mettersi a ridere davanti alla gustosa scenetta famigliare tra i due, profondamente sollevato. Riusciva a percepire come Nicol fosse molto meno cupo e riservato rispetto al giovane che l’aveva minacciato su Aprilius One, ma averne la conferma da qualcuno che gli era stato accanto negli ultimi anni lo riempiva di gioia.

“E tu” chiese a Miguel. “Tu come stai?”

Il biondo si mise a ridere. “Io? Benissimo. Ma io sono sempre stato un dannato bastardo, fin da prima di arruolarmi in ZAFT. Non confondermi con voi pivelli; l’ho capito fin dal nostro primo incontro che voi, figli di papà, eravate i primi a scuola ma che nessuno del vostro gruppo, nemmeno Yzak e Dearka, nonostante tutta la loro arroganza, era psicologicamente preparato ad affrontare le conseguenze di una vera guerra. Nemmeno quel poveraccio di Rusty, che non era un raccomandato come voi, ma che aveva pure lui la testa piena di quelle cazzate eroiche e patriottiche sentite in televisione.”
Athrun, consapevole della verità celata in quelle parole, arrossì profondamente.
“Lo so… eravamo a modo nostro degli idealisti, arruolati sulla scia di quello che era successo a Junius Seven, ma ancora oggi dubito che avessimo davvero la vocazione di diventare dei soldati.”
“No. Vi avevano educati per vivere in un mondo pacifico, non per ammazzare della gente. Non vi siete mai chiesti cosa avreste fatto nel caso in cui la guerra non fosse scoppiata?”

“Certo” un sorriso melanconico affiorò sulle labbra di Athrun, al ricordo dei primi tempi passati sulla Vesalius, insieme ai suoi compagni di squadra. “Più che altro pianificavamo quello che avremmo fatto una volta finite le ostilità, nelle quali oramai c’eravamo dentro fino al collo. Io sognavo di continuare gli studi e di diventare un ingegnere, per costruire cose utili alla gente. Nicol sarebbe diventato un pianista famoso, ovviamente, anche se pure lui voleva laurearsi. Yzak era determinato a seguire le orme della madre, e farsi eleggere nel Consiglio. Dearka non aveva molto le idee chiare, ma ogni tanto affermava che gli sarebbe piaciuto diventare un popolare pilota di Formula Uno, ammirato e pieno di donne. Rusty si limitava ad ascoltarci e ridere. Ci stuzzicava dicendo che eravamo proprio fortunati ad avere progetti da ricchi, noi principini dei piani alti.” Athrun scosse la testa. “Quanti sogni che avevamo. E pensare che l’unico che è andato vicino a realizzarli davvero è proprio Yzak. Anche se ha lasciato il Consiglio un paio di mesi fa per rientrare nell’esercito a tempo pieno. Diceva che la politica lo annoiava.”

“Ci posso credere. Lì non può abbattere i suoi nemici a colpi di cannone” esplose Miguel, ridendo sonoramente. “Ai tempi tutto l’esercito parlava di voi. I figli dei Consiglieri in prima linea; giovanissimi, incoscienti e sognatori. Eppure avete svolto bene il vostro compito. Non l’avrei mai detto che sareste sopravvissuti, ma in qualche modo eccovi qui. Quasi tutti” soggiunse lanciando uno sguardo ad una foto incorniciata conservata accanto al televisione. Athrun la conosceva bene. Era stata scattata il giorno del loro diploma, e anche lui la conservava come un cimelio prezioso. C’erano tutti là sopra. Anche Rusty.
Miguel riprese dopo aver esalato un profondo sospiro. “Dicevo… eccovi qui: il più giovane Ammiraglio di Orb, un Comandante di flotta, il responsabile militare di un’importante ambasciata, e un mercenario di Serpent Tail. Ne avete fatta di strada da allora” disse indicando la foto. “Ma adesso? Che ti riserverà il futuro, Athrun Zala?” gli chiese Miguel, fissandolo.

Lui scosse la testa, posando gli occhi sul bicchiere vuoto che ancora reggeva. “La pace. È tutto quello che voglio, per me e per la mia famiglia.”
“E tu ci credi davvero?”
“Fermamente. Molto lavoro è stato fatto in questi anni. Le Nazioni Unite sono state ricostruite e, intensificando gli scambi e le collaborazioni tra i PLANT e la Terra, anche con esercitazioni militari congiunte, sono state eliminate le cause delle guerra precedenti. Io e Cagalli siamo la prova vivente che un futuro insieme non è solo auspicabile, ma possibile. D’altronde, né la Terra né i PLANT possono fare a meno gli uni dell’altra, e viceversa.”
Miguel si mise a ridere, come se Athrun avesse detto una barzelletta. “Sembra di sentire parlare Lacus Clyne. Ma non ti dimenticare che esistono ancora gruppi, da tutte e due le parti, che faranno di tutto perché questo vostro sogno non si realizzi.”
“Non è un sogno” puntualizzò il giovane dai capelli blu. “Viviamo già in un mondo pacifico.”
Miguel gli lanciò un’occhiata, e nemmeno la sbornia poté nascondere ad Athrun quanto fosse indulgente. Ma lui non se ne curò, sapendo quanto il biondo fosse cinico e disilluso. Non gli importava. Per Athrun il sogno di un futuro di pace era già la realtà. Lo viveva tutti i giorni.

Con un repentino cambio di umore, Miguel ritornò improvvisamente allegro. Estrasse da dietro uno dei cuscini del divano un’ennesima bottiglia di rhum ancora sigillata, la aprì e gliene versò una generosa dose.

“Hai ragione, hai ragione. Non dare peso alle parole di un vecchio soldato indurito da mille battaglie” tuonò. “Brindiamo al tuo mondo in armonia, allora!”



Appoggiato allo stipite della cucina, Nicol guardò Miguel che terminava di far ubriacare Athrun, il quale si era chiaramente dimenticato il perché era lì. Era quello su cui contava il biondo fin dall’inizio, e Nicol gli doveva dare atto di essere un vero asso nel raggirare il prossimo. Lui incluso.
In contrasto con le risate dei suoi amici, alla televisione stavano passando immagini di imponenti manifestazioni in corso in ogni capitale terrestre, e scene di quello che sembrava un litigio furibondo nel parlamento di una città che il giovane riconobbe come Nairobi. Memore di quello che gli aveva detto un paio di giorni prima Miguel, Nicol selezionò di nuovo il canale di musica pop. Qualcosa di grosso stava arrivando di certo ma decise, afferrando un cartone di succo di frutta e andando a raggiungere i suoi amici, che si sarebbe goduto la vacanza fino a quel momento.



___________________________



Intanto grazie a tutti per i commenti assolutamente positivi, non me li aspettavo, davvero, e mi hanno fatto molto piacere :)
In primis ringrazio (di nuovo), Shainareth per il betaggio e le chiacchiere, e Hanako_chan per le recensioni sempre bellissime!
Gufo_Tave Grazie per la fiducia, e per averla già messa tra i preferiti! XD Yeah, nei primi capitoli mi dedicherò un attimo ad amalgamare il cast e parlare di cose frivole, anche se… beh, qualche avvisaglia della tempesta che sta per scoppiare l’ho già seminata qua e là. In futuro chissà che non vedremo qualche bel Mobile Suit che sono mancati nell’altra storia ;)
MaxT Grazie per il consiglio sulle descrizioni. Sì, è un po’ il mio punto debole, lo riconosco. Il mio problema è che alla fine descrivo solo quello che trovo interessante, e nel novanta percento delle volte i luoghi dove si trovano i miei personaggi non lo sono per niente. Rimedierò trovando location più adatte! ;)
Kourin Ti confesserò che anche i miei occhi sbriluccicano per l’emozione! I ragazzi tutti riuniti è un sogno che dovevo realizzare, dannazione! XD Gli Amalfi... se penso a loro, a tutti loro, mi commuovo ancora, sono contenta che ti siano piaciuti. Beh, Nicol riesco ad immaginarmelo davvero un po’ naif anche da grande (se fosse cresciuto), sempre un po’ ragazzino, solare e positivo. Okkei, il mio Nicol sta tentando di esserlo, dopo quello che gli è capitato ;)

  
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Gundam > Gundam SEED/SEED Destiny / Vai alla pagina dell'autore: Atlantislux