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Autore: Aurora Barone    31/12/2009    2 recensioni
Ripropongo una storia che avevo scritto all' età di 14 anni, si può dire che è stata la mia prima storia, anche se prima ne esisteva un'altra versione, comunque questa è la versione che sto revisionando. Un crimanale e una ragazzina che subisce molestie dal padre adottivo si incontrano per caso in sgradevoli circostanze.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Contesto generale/vago
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Kyo:
Andai nella stanza di mio fratello per prendere quei grossi pacchetti di cocaina che erano incartati come buste di zucchero, mio fratello mi diede una mano a trasportarli, erano giusti 50 pacchetti.
Me li caricai in macchina, ma venni fermato da un' anziana vecchietta rimbecillita del mio palazzo che era la sola a credere che quello che vendessi fosse realmente dello zucchero.
Dopotutto era un quartiere abbastanza malfamato dove vivevano una mandria di spacciatori e tra di noi ci conoscevamo, con alcuni riuscivo pure a mettermi d'accordo, ma con altri, era come se fossimo in concorrenza, sopratutto con uno in particolare che aveva un pessimo caratteraccio e che impediva a tutti di spacciare in certe parti del quartiere perché quello era territorio suo.
“Quanto viene una busta di zucchero?” mi chiese la vecchina.
Perfetto e ora cosa le racconto? La osservai attentamente e le sorrisi calorosamente, lei disse pizzicandomi forte le guance “Che bravo ragazzone!” osservai la sua dentiera mezza tolta e quel rossetto messo male, poi dissi “ Signora, questo zucchero non posso venderglielo me lo hanno ordinato...”
“50 pacchi di zucchero per una sola persona?” chiese sbalordita.
“Si, un vero drogato di zucchero!” affermai ridendo.
“Allora dopo aver fatto la sua consegna potrebbe farmi avere un pacchetto di zucchero per me?”
“Ma certamente!” dissi simulando un bel sorriso da imbecille.
“Ma che bravo ragazzone” disse riprendendo a stringermi forte le guance, provocandomi un dolore lancinante, solo quando furono abbastanza arrossate mi lasciò in pace.
Quando fui certo che se ne fosse andata, mormorai “Ma che gran rottura di coglioni!” poi salii in macchina pronto ad accendere il motore, ma mi accorsi con gran piacere che avevo finito la benzina.
“Vaffanculo!” sbraitai contro la macchina che non aveva alcuna intenzione di partire, poi ci rinunciai e mi recai dal benzinaio a piedi con un bidone.
Riempii il bidone di benzina, ma dopo averlo riempito incrociai qualcuno che non avrei mai voluto vedere, c' era Keitawa con uno dei suoi tanti macchinoni e con il suo solito sorriso smagliante, incominciai a chiedermi cosa ci potesse fare lì, mentre tentavo di mettermi lontano da lui per non farmi vedere.
Stava facendo il pieno alla macchina, tirando fuori una mancia spropositata per il benzinaio che era con un espressione carica di gratitudine, poi Keitawa gli sorrise tirando fuori una fotografia dalla tasca, allora mi misi più vicino per sentire quello che si dicevano.
“Ha mai visto questa ragazza da queste parti?”
“Signor Keitawa quella è sua figlia? Quella scomparsa giusto?”
“Si, ma abbassi la voce non voglio che qualcuno venga a sapere che sto cercando mia figlia da queste parti...” disse a bassa voce.
“Ma non se ne dovrebbe occupare la polizia?”
“La polizia è inutile...preferisco far da me...”
“Che bravo padre deve voler davvero molto bene a sua figlia...”
“Basta con le cazzate e dimmi se l' hai vista, forse magari era in compagnia di qualcuno...”
“No, mi spiace non credo di averla vista....”
Keitawa era in collera, voleva persino menare il benzinaio ma i suoi due scagnozzi lo fermarono mentre lui gli urlava contro che erano un branco di incapaci, io approfittai della loro distrazione per andarmene via di corsa prima che mi potessero vedere.
Mentre acceleravo il passo cercando di non dare nell' occhio, mi domandai perché stava cercando proprio nella zona in cui abitavo, forse perché le aveva controllate tutte e per esclusione era giunto lì, oppure nutriva qualche sospetto su di me.
Arrivato alla macchina, misi la benzina e partii sgommando, cercando di affogare i cattivi presentimenti che si facevano spazio nella mia mente.
Arrivato al luogo di incontro che era una stradicciola scoscesa e abbandonata, dove c'era una casetta diroccata che veniva utilizzata da molti spacciatori come luogo d'incontro per dirigere i loro traffici. Si pagava anche un 'occhio della testa per dirigere i propri traffici in quella casa perché quello era definito il luogo più sicuro dove la polizia non avrebbe mai controllato. Entrai in quella casetta buia con i mobili rosicchiati dalle termiti e dove le pareti erano ormai fradice per l' eccessiva umidità, poi il mio sguardo si spostò verso Ariwa che era colui che controllava il posto e che si faceva pagare per far dirigere i traffici di cocaina in quel luogo.
Lo odiavo quel tizio, dato che il suo lavoro non era altro che un furto, perché quella casa neppure gli apparteneva però rompeva le palle, facendosi pagare per far spacciare in quel luogo, ma dopotutto per vivere ognuno faceva quel che poteva e lui si era inventato quel mestiere, così gli diedi la solita somma di denaro che pagavo per poter vendere in pace la mia cocaina.
Aspettai il mio cliente sperando che non tardasse troppo altrimenti avrei dovuto pagare di più, perché il pagamento era pure in base alle ore ed io avevo pagato per un quarto d'ora.
Poi incominciai a scaricare i cinquanta pacchi di cocaina, Ariwa mi aiutò insieme ad altri suoi amici con il quale divideva parte dei soldi che guadagnava, io gli dissi di lasciar perdere che non avevo affatto bisogno del loro aiuto, perché non ero certo che quel loro servizio fosse gratuito.
“Non preoccuparti, questo è un servizio gratuito, dopotutto sei uno dei miei miglior clienti!” disse con quel sorriso eccessivamente bonario tanto da sembrare fasullo.
“No, ce la faccio anche da solo...” dissi togliendo i pacchetti dalle sue mani, così i suoi amici li posarono per terra osservandomi con un espressione indecifrabile.
Dopo un po' vidi arrivare una porsche nera, si trattava del mio cliente, un ragazzo di diciotto anni pieno di soldi e insoddisfatto della vita, figlio di un grande industriale.
Scese fuori dalla macchina mostrandomi un sorriso forzato, che conoscevo bene, quello che facevo anch'io molto spesso per far finta che tutto andasse alla grande, ma la cosa più brutta è che non cercavo semplicemente di ingannare gli altri, ma persino me stesso con quel sorriso.
Entrò dentro la casa diroccata e pagò la stessa somma che avevo pagato io ad Ariwa, poi diede un 'occhiata alle finte buste di zucchero e poi ne aprì una lasciandone scivolare una dose sulla mano.
La sniffò per provarla invitandomi a fare lo stesso, io allora dissi “No, grazie, io la vendo soltanto, non ne prendo...”
Lui allora rise “Perchè?”
“Non mi piace la cocaina...” affermai mentre lui mi osservava incredulo.
Poi disse sempre con quella stessa espressione divertita e beffarda “E allora che tipo di droga ti piace?”
“Nessuna...” affermai.
“Sul serio... cioè tu vendi questa roba e non ti piace?”
“Assolutamente no...” affermai scocciato da quel dialogo.
Dopotutto il mio lavoro era soltanto venderla né sniffarmela e ne stare a parlare del perché non mi piacesse la cocaina o chissà quale altro tipo di droga.
“Divina” affermò non appena la inalò.
Non era la prima volta che comprava cocaina, quel ragazzo era uno dei miei migliori clienti, però nonostante tutto, non lo tolleravo, perché era solo un ragazzino che aveva da poco raggiunto la maggior età e già si faceva di quella roba.
Mi faceva persino sentire in colpa il fatto di dovergliela vendere, ma purtroppo nel mio lavoro non c'era spazio per questioni morali, dovevo vendere quella schifezza punto e basta e quest'era la sola cosa che contava, però 50 pacchi erano davvero troppi per lui da solo, pensai.
“Che cosa ci fai con 50 pacchi di cocaina?” gli chiesi perplesso.
“Il tuo lavoro è solo quella di venderla, non di curarti di cosa ne faranno i tuoi clienti...”
“si, ma ....” affermai incerto su cosa altro poter dire.
Dopotutto non erano affaracci miei, forse la rivendeva ad altre persone ad un prezzo più alto, oppure se la fumava tutta lui, ma cinquanta pacchetti tutti insieme mi preoccupava doverglieli dare, avrebbe potuto sniffarsela tutta e in poco tempo entrare in overdose.
No, non era un gran cosa dargli 50 pacchi tutti insieme, però in fin dei conti che cazzo me ne importava a me?
“Stammi a sentire, per oggi ti vendo 15 buste di cocaina poi per le altre verrai un altro giorno ok?”
“Ma che razza di discorsi sono questi?”mi chiese amareggiato.
“D'accordo, eccoti la 50 buste, ma non fartele tutte in un giorno...è pericoloso...”
“Cosa sei uno spacciatore o mio padre?” chiese con accesso sarcasmo.
Era proprio come pensavo: uno sciocco ragazzino irresponsabile, ma io l' avevo avvertito e quindi la mia coscienza poteva dirsi apposto.
Lo aiutai ad infilare le buste dentro la macchina e poi lui mi diede i soldi che mi doveva, poi me ne tornai verso casa, ma ancora una volta incrociai Keitawa sotto casa mia, dopotutto sapeva dove abitavo e guardo verso la mia direzione, mi aveva visto.
“Figliolo come stai?” disse non appena scesi rassegnato dalla macchina.
“Tutto bene” affermai cercando di rispondere con il tono più naturale possibile.
“Non è che hai visto questa ragazza?” mi chiese tirando fuori dalla tasca la foto di Yoko.
Osservai la foto e poi dissi “No, mai vista!”
“Sicuro?” mi chiese lui volgendomi un sorriso che aveva l' aria di saperla lunga, mentre io continuavo ad essere circospetto.
“No, davvero...” affermai osservando i due scagnozzi di Keitawa che osservavano il palazzo dove abitavo.
“Allora non ti dispiace se entriamo a casa tua!” affermò Keitawa ridendo malignamente.
Io sbiancai all'improvviso e poi mi infuriai dicendo “Ma che cazzo vuoi dalla mia vita, ho cambiato casa, cognome per non essere più disturbato da te, ma tu continui a perseguitarmi!”
“No, è qui che ti sbagli sei tu che perseguiti me, ti sei preso una cosa che mi appartiene!” affermò con la sua solita espressione cinica.
“Non posso farti entrare in casa, Toshio non la prenderebbe bene...” affermai usando ciò come pretesto per non farlo entrare.
“ Come se mi importi qualcosa di quello lì...” affermò incurante.
“Quello lì, è tuo figlio...” esclamai incollerito.
“Stammi a sentire, se ti sei preso Yoko per reclamare il riscatto, non hai che dirlo... posso darti tutti i soldi che vuoi, nessun problema!L'importante è che quella puttanella torni dal suo legittimo proprietario!”
“Mi sembra di averti già detto di non aver idea di cosa tu stia parlando!” ribattei infuriato, cercando di sembrare il più convincente possibile, ma era inutile lui non ci cascava affatto.
“D'accordo vorrà dure che entreremo con la forza” affermò ridendo soddisfatto.
I suoi scagnozzi mi assalirono, tentai inutilmente di difendermi ma era tutto inutile e poi entrarono a casa mia, mentre mi tenevano a bada con un coltello puntato alla mia gola.
Mi costrinsero a bussare in casa, Toshio aprì la porta trovandosi faccia a faccia con Keitawa.
Lo vidi tremare di paura non appena lo vide, poi però si infuriò dicendo “Che cosa significa questo?”
Keitawa allora lo guardò dicendo “Non temere di te, non me ne importa un accidente, non ti farò niente...voglio soltanto la ragazza!”
Mio fratello guardò verso la mia direzione e disse “Se te la consegno ci lascerai in pace una volta e per tutte?”
Keitawa annui e lui allora aprì bocca nonostante io gli facessi cenno di starsi zitto, lui disse “Si trova nella stanza di Kyo, li infondo...”
Keitawa seguii le indicazioni di mio fratello, mentre il suo scagnozzo controllava mio fratello, io nel frattempo cercavo di liberarmi dallo scagnozzo che mi puntava il coltello alla gola, ma per quanto ci provassi era tutto inutile, non ci riuscivo.
Dopo un po' vidi tornare Keitawa con Yoko , lei camminava costretta dall' arma che le puntava contro, mentre lui la guardava compiaciuto dicendo “Mi sei mancata molto, hai fatto preoccupare molto il tuo papà lo sai?”
Lei atterrita e tremante, quasi sul punto di piangere gli chiese “Come hai fatto a trovarmi?”
“Che c'è? Non sei contenta di tornare a casa con il tuo caro papà?” chiese Keitawa ironicamente.
Lei guardò verso la mia direzione e poi disse “Loro non centrano, lasciali stare...”
“Non gli farò niente, non preoccuparti” disse facendo una risata isterica.
Poi smise di ridere e disse “Dimmi solo una cosa Kyo, perché hai rapito la mia dolce Yoko?”
“Io non l' ho rapita” affermai osservando affranto Yoko che adesso sarebbe tornata a casa di quel sudicio verme.
Keitawa fece come se non avessi detto nulla e fece delle supposizioni dicendo “Forse l' hai rapita per farmi un dispetto perché ti senti solo senza il tuo papà che ti riempia di attenzioni o forse credi che voglia più bene a lei che a te, figlio mio? Eppure dovresti saperlo tu sei il mio preferito in assoluto!”
Di scatto mi voltai verso Yoko che udendo le parole di Keitawa divenne bianca e smorta come un cencio, poi mi guardò infuriata e disperata urlandomi contro “Perchè non me l'hai detto che lui è tuo padre?”
Keitawa mi guardò con un espressione divertita dicendo :” quindi lei non lo sapeva che io fossi tuo padre...”
Yoko mi osservò con un espressione delusa poi pianse urlando “Io mi fidavo di te... e tu invece mi hai mentito...”
“Piantala con i tuoi piagnistei non fai altro che scocciare mio figlio!” disse Keitawa inferocito, poi mi osservò dicendomi con il suo solito tono di voce acido “Non mi dirai che ti eri preso una cotta, per questa puttanella...tu puoi avere ragazze migliori te l'assicuro, lei non ha neppure una delle tue capacità...” disse sorridendomi rivolgendomi il suo solito sorriso affettuoso.
“Se mi vuoi davvero bene, lasciala stare...lasciaci in pace!” affermai sperando che mi avrebbe dato ascolto.
“Non posso, e poi lei non è niente, puoi averne tante ragazze come lei...basta cercarle per strada...” affermò acidamente.
Avrei voluto poterlo picchiare, lo odiavo, sopratutto per il modo in cui trattava Yoko, non potevo sopportarlo, poi lo guardai chiedendogli “Perchè hai tanto bisogno di lei, se è una ragazza come tante altre?”
“Perchè lei mi serve per raggiungere i miei obbiettivi...” disse rimanendo sul vago.
Dopo un po' uscirono di casa portandosi via Yoko, io la guardai per un' ultima volta, ma lei distoglieva lo sguardo, non ero neppure più degno di un suo sguardo.
Mi affaciai alla finestra per guardarli andarsene, ma non volevo lasciarla in quelle pessime mani, non potevo farlo, così presi la mia pistola e uscii di fretta e furia di casa, mentre mio fratello tentava inutilmente di fermarmi.
“Ti prego, Kyo non fare cazzate!” affermò lui, ma io non lo stavo neppure ascoltando.
“Vi conviene lasciarla andare” affermai furibondo.
Keitawa mi guardò divertito dicendo “Andiamo che intenzioni hai? Tu spari a noi e noi spariamo a lei” disse puntando la pistola alla tempie di Yoko.
Dopo un po' però vidi sbucare dei uomini in giacca cravatta che colpirono i due scagnozzi di Keitawa sparandogli addosso, poi intimarono Keitawa di lasciar stare la ragazza ma lui non aveva alcuna intenzione di farlo, poi però qualcuno lo colpì da dietro e lui cadde per terra sanguinante.
I due scagnozzi feriti lo soccorsero e se ne scapparono via, mente gli altri uomini si impadronirono di Yoko. Io li guardai preoccupato, questi erano peggio degli scagnozzi di Keitawa e poi erano qualche cinque, mi misi a sparare all'impazzata, ma li mancai tutti, poi improvvisamente sentii un tonfo e un dolore lancinante alla testa.
Quando riaprii gli occhi, vidi una cupola ogivale rossa sul tetto, poi abbassai gli occhi per capire dove diamine ero finito, era una stanza molto lussuosa con le pareti rosso amaranto.
Dopo un po' sentii bussare alla porta dissi “Avanti...” e mi trovai faccia a faccia con Yoko che mi guardava con un espressione indecifrabile.
“Come stai?” mi chiese osservandomi la testa.
Mi sfiorai la testa che ancora mi doleva, era stata fasciata nel punto in cui era stata ferita, poi la guardai chiedendole cosa fosse successo di preciso.
Lei allora disse “Uno di quegli uomini ti ha tirato un sasso in testa...”
“ E sai per caso dove siamo?”
Lei fece spallucce, per far capire che non aveva proprio idea, poi mi guardò risentita, ricordando ciò che le avevo taciuto e che aveva scoperto quel giorno.
“Perchè non me l' hai detto?” mi chiese ancora una volta.
La guardai malinconico dicendole “Non sapevo davvero come dirtelo”
“Però avresti dovuto dirmelo!” disse infuriata.
“Si, così ti avrei fatto schifo, più di quanto non mi faccia schifo io...” affermai infastidito notando il modo in cui mi guardava che non era più lo stesso di quando mi aveva baciato.
“Si, però così hai reso le cose ancor più difficili... mi hai ingannato e adesso non so più se potermi fidare di te...” affermò incominciando a piangere.
Mi avvicinai a lei per calmarla, ma lei indietreggiò spaventata, io la guardai preoccupato chiedendole cosa avesse , lei allora disse “Perdonami, ma adesso...quando ti guardo è come se vedessi lui...”
“D'accordo, non mi avvicinò” affermai per calmarla, cercando di non apparire ne triste ne in collera, anche se in realtà ero molto triste.
Ero infelice perché adesso lei era terrorizzata da me, perché vedeva in me l'uomo che l' aveva molestata dopotutto io ero stato generato da lui, quindi in fondo un giorno sarei potuto diventare come lui e non avrei potuto far nulla per cambiare ciò che ero, perché io ero suo figlio e non potevo farci nulla, era una verità dalla quale non potevo fuggire.
“Sono stati quegli uomini a portarci qui?” le chiesi cambiando discorso.
Annui tra i singhiozzi, la guardai afflitto, avrei voluto farle il solletico per farle tornare il buon umore, ma adesso non avrei più potuto né toccarla né avvicinarmi troppo a lei perché l' avrei fatta star male.
“Che intenzioni hanno lo sai?” le chiesi serio in viso.
“Non ne ho idea...” disse dandomi le spalle per non guardarmi in faccia.
Mi toccai la faccia con repulsione, non riuscendo ad accettare il fatto che somigliassi così tanto a mio padre, avevo i suoi stessi occhi e i suoi stessi lineamenti marcati, un po' più addolciti e giovanili, però erano pur sempre quelli, l'unica cosa che non presi da lui furono i capelli neri, io avevo preso i capelli castano chiaro di mia madre, mentre Toshio somigliava molto più a mia madre, aveva dei lineamenti delicati, quasi quanto quelli di una ragazza, infatti spesso veniva scambiato per una donna perché portava anche quei lunghi capelli corvino che erano la sola cosa che aveva preso da mio padre.
Forse per questo mio padre preferiva me, perché io gli somigliavo molto, mentre Toshio le doveva ricordare mia madre e i suoi tradimenti e questo non doveva piacergli affatto.
“Gli somiglio molto non è vero?” le chiesi tristemente.
“Si, gli somigli però... se lui non me l' avesse detto non l' avrei mai capito, perché siete così uguali eppure per certi versi così diversi, è davvero strana la vostra somiglianza... anche la tua voce in certi momenti è simile alla sua, sopratutto quando ti arrabbi però la tua sa essere anche molto dolce, mentre la sua non lo è mai...”
“Mi dispiace io...” affermai non sapendo cosa dire per poter giustificare tutto il male che le stessi causando.
Lei allora si voltò verso di me dicendo “Non è colpa tua, non puoi scusarti perché gli somigli...”
Dopo un po' però i nostri discorsi vennero interrotti da un uomo che ci disse di seguirlo, mi guardai intorno percorrendo il luogo corridoio di quella grande casa chiedendomi dove caspita eravamo finiti, ma dopo un po' le risposte non tardarono ad arrivare.
Arrivammo dentro un grande studio, dove c'era uno scaffale con dei libri che avevano la copertina in pelle di tartaruga e poi altri oggetti molto preziosi dal quale si capiva che era la casa di una persona importante.
Osservai la scrivania dove era seduta un uomo che avevo già visto sui giornali o da qualche altra parte, lui tossii per schiarirsi la voce.
I suoi capelli erano grigi e i suoi occhi dello stesso colore delle iridi di Yoko, aveva anche qualcos'altro che mi richiamava alla mente lei guardandolo, così finii per guardare prima lei e poi lui cercando di capire in che cosa si somigliassero tanto.
Lui osservò Yoko con molta attenzione e poi le disse “Non temere non ti succederà niente qui sei al sicuro” disse notando i suoi occhi gonfi e le lacrime che da poco avevano smesso di scorrerle in viso.
Sembrava dolce e sincero, mentre le parlava, poi il suo sguardo si spostò verso di me con aria severa non più rassicurante com'era stato con Yoko.
“Riporta Yoko nella sua stanza” disse al signore che ci aveva portato nel suo studio.
Quando Yoko se ne fu andata, lui si schiarii di nuovo la voce chiedendomi sgarbatamente “ Tu chi diamine sei?”
Io lo guardai incredulo dicendo “Questa domanda dovrei farla io a lei...”
“Non hai un'idea di chi possa essere?” mi chiese osservandomi attentamente.
“Se lei non mi conosce non vedo come debba conoscerla io...” affermai storcendo il naso.
Lui allora tirò un articolo di giornale verso di me, io lo presi prontamente e incominciai leggerlo e poi mi ricordai lui era l' avversario di Keitawa, l'uomo con il quale mio padre si contendeva i voti per le elezioni presidenziali, ma non vedevo come questo potesse centrare con me e con Yoko.
“Io sono il padre di Yoko...” affermò con un espressione irrequieta sul volto.
“Il padre di Yoko?” gli chiesi incredulo.
“Si, lei è mia figlia” disse serio in volto.
Rammentai le parole di Yoko, suo padre l' aveva abbandonato sua madre quand'era ancora incinta e così lei non voleva saperne nulla di lui, per lei era come se lui non fosse mai esistito poiché non c'era mai stato per lei.
“Io non capisco...” affermai confuso.
“Io neanche capisco, sopratutto non capisco chi diamine tu sia e perché hai rapito mia figlia?” mi chiese indispettito.
“Io non ho rapito sua figlia e lei che è voluta venire a casa mia...non l' ho costretta” affermai pacatamente.
“Si, bella storiella!” disse ridendo.
“Sul serio...” affermai infastidito dal fatto che non mi credesse.
“Senti una cosa, quanto volevi per il riscatto di Yoko? Dimmi quanto volevi ed io te lo darò basta che non ronzi più intorno a mia figlia!” disse tranquillamente.
“Mi sembra di aver già detto che io non ho rapito sua figlia!” affermai in collera.
“Quanto vuoi?” insistette lui.
“Non voglio dei soldi!” affermai infuriato.
“E allora cos'è che vuoi?” mi domandò facendosi sempre più assillante.
“Niente!” gli urlai contro irritato.
“Vorrei concludere questa situazione in maniera pacifica, ma se fai così rendi le cose complicate...” affermò scocciato.
“Non capisco di cosa lei stia parlando...” affermai tentando di capire che cosa intendesse.
“Vedi tu non mi piaci affatto e sopratutto non mi piace affatto l' idea che mia figlia sia stata a casa tua...e chissà solo cosa tu gli possa aver fatto non ci voglio neppure pensare...” affermò guardandomi con ripugnanza.
“Quando ha deciso di mettersi a fare il padre?Adesso che è troppo tardi, che sua figlia è stata molestata più volte da Keitawa!” gli dissi fuori di me.
“Io non lo sapevo che sua madre era incinta, poi quando scoprii di avere una figlia fu Keitawa a farmelo sapere mostrandomi il dna di Yoko...e allora dovetti stare attento a quel che facevo, perché se mettevo in giro strane voci su di lui per contrastarlo nella politica, lui avrebbe fatto del male a mia figlia” affermò cupamente.
“Comunque non è con me che dovrebbe giustificarsi ma con lei...” gli dissi osservando quegli occhi che mi fissavano inquieti.
“Non ho il coraggio di dirgli che sono suo padre” esclamò angosciato.
“Dovrà pur dirglielo!” esclamai osservando i suoi bei occhi castani che mi ricordavano Yoko.
“In fondo, non sembri un cattivo ragazzo...” disse guardandomi fisso, come se mi stesse guardando dentro.
Era buffo prima mi parlava come se fossi una feccia dicendo “chissà solo cosa tu possa aver fatto a mia figlia” e poi invece, mi diceva non sembri poi un così cattivo ragazzo, si stava forse prendendo gioco di me?
Poi si fece serio dicendo “Però per essere certo che non tu sia un cattivo ragazzo voglio che tu mi dica tutto di te, ogni cosa...”
Non capivo davvero che cosa volesse da me, prima diceva che voleva che sparissi dalla vita di Yoko e forse dopotutto era la cosa più giusta da fare, dato che io ero uno spacciatore e lei la figlia di un bravo uomo che tentava di contrastare mio padre.
“Se vuole che io sparisca dalla vita di sua figlia lo faccio, ma non ho bisogno né di soldi e né di quant' altro...” affermai pacatamente.
“No, ecco vedi invece stavo pensando un'altra cosa... dato che io non ci sarò mai a casa per questioni di lavoro poi considerando anche che per Yoko sarà uno choc venire sballottata da una casa ad un'altra, poi Tokyo per lei non è molto sicura tra Keitawa che le cerca, e poi altri uomini che intenderanno rapirla credendola sua figlia, inoltre vorrei evitare gli scandali, se si scoprisse che è mia figlia e e che l' ho avuta con una prostituta sarebbe un vero scandalo” affermò suo padre.
“Non capisco davvero dove lei voglia arrivare...” disso cercando di capire che cosa davvero volesse dire.
“Ti vorrei lasciare Yoko in custodia ti pagherei anche, per potarla via da Tokyo e per tenerla d'occhio, ma tu mi devi dimostrare che di te io mi possa fidare ciecamente”
Rimasi allibito da una tale decisione, non me l' aspettavo proprio, ormai che avevo creduto di doverle dire addio, suo padre mi faceva una proposta del genere, ma non sapevo davvero se accettare o meno, dopotutto come avrei potuto dimostrargli che si potesse realmente fidare di me, io ero sempre stato un tipo inaffidabile, poi se gli raccontavo chi ero e che cosa avevo fatto in passato non si sarebbe fidato affatto.
Poi sorrisi pensando a quanto padre e figlia fossero simili, tutti e due che volevano potersi fidare ciecamente di me.
Dopo un po' il padre di Yoko mi guardò dicendo “Ho sentito dai miei uomini che hai cercato di liberare Yoko dalle grinfie di Keitawa... quindi pensandoci non ho bisogno di altre dimostrazioni per fidarmi di te, ma sappi che se succede qualcosa a mia figlia per colpa tua, te la vedrai con me!” affermò con un tono intimidatorio da far accapponare la palle.
“Anzi... sarà meglio che venga anche uno dei miei uomini a controllare il tuo operato” affermò sorridendo.
“Non capisco e allora perché non la affida direttamente ad uno dei suoi uomini?” gli chiesi perplesso.
“Perchè non sono persone che lei conosce e di cui si fida, mentre tu sei uno che conosce e di cui si fida...”
“Come fa a dirlo con certezza?” gli chiesi sorpreso.
“Perchè me l' ha detto lei” esclamò sorridendo.
“E allora perché prima mi ha attaccato in quel modo?” gli chiesi più confuso che persuaso.
“Non credo che tu possa comprendere le gelosie e le ansie di un padre...” mi rispose alzandosi dalla sedia e venendo
verso di me.

   
 
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