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Autore: lye    02/01/2010    1 recensioni
Semplice raccolta di Shoujo-ai.
Non l’amava - non riusciva nemmeno a concepire il pensiero di amare “lei” - eppure era così preziosa, che avrebbe rinunciato a tutto pur di seguirla.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shoujo-ai
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Tremava. Tremavano le due dita tra cui teneva la sigaretta spenta e tremava la mano con cui cercava di accenderla.

Una scintilla. Niente. Due scintille. Niente. Tre. Quattro. Cinque. Maledizione.

« Dovresti  smettere.  Fa male alla salute fumare, lo sai? »

La sua voce. Arrogante. La disprezzava. Lei e la sua voce.
Le strappò la sigaretta di mano, erano più quelle che le buttava lei che quelle che fumava realmente.

« E tu dovresti smettere di buttarmele. Costano. »

Acida mentre si alzava sulle punte per riprendersela. Era troppo piccina per l’altra, più alta di lei. E poi – non l’avrebbe mai ammesso – quella era una battaglia persa, sarebbe finita come ogni volta.

 

Un brivido le percorse la schiena al tocco delle labbra dell’altra sul collo. Amava giocare con lei, amava giocare con quel corpo che conosceva alla perfezione. Erano abbracciate, l’altra che la stringeva da dietro, quasi tenendola imprigionata, mentre le mani si incrociavano sulla sua pancia.

« Non è giusto.. »

Sussurrò cercando di evitare la vicinanza delle labbra dell’altra. Arrossiva al minimo tocco di quelle. Fosse il collo a malapena sfiorato, fosse l’orecchio a cui sussurrava, fossero le guance, le palpebre, la fronte, la bocca. Amava baciare il suo volto. L’aspetto tradiva un desiderio di coccole a volte eccessivo, eppure ogni volta si lasciava andare.

« Cosa? »

Domandò l’altra con tono spensierato, piacevole posizione mentre il mento poggiava nell’incavo tra collo e spalla e chiudeva gli occhi, quasi stanca.

« Questo. »

Borbottio una risposta, eppure non sembrava così infelice. Voleva solo voltarsi, fissarla in volto e essere lei a coccolarla. Voleva baciarla. In un qualche modo, finiva sempre così.

« Sei troppo tenera. »

Rideva al suo falso broncio, stringendola ancor di più – la voleva soffocare forse?

 

Le sfiorava il volto con le mani piccole e fredde.
Erano nella sua camera ora, al caldo, eppure ancora tremava. Forse era molto più freddolosa del previsto, forse avvicinarsi all’altra mentre quella l’aspettava con gli occhi chiusi era molto più difficile del previsto. La baciò. Un bacio rapido – solo sfiorarsi – mentre ancor premeva le dita sulle guance dell’altra.
Poi un altro ancora mentre di nuovo veniva abbracciata.
La bestia prese il sopravvento, l’altra prese il sopravvento.
La strinse, la catturò – predatrice – e la baciò, e la mangiò.
Si schiusero le labbra, scivolò la lingua e ne esplorò il palato – sempre, stupida routine.
Corsero le dita – calde – sotto la maglietta.
Impaziente. Odiosa. Lo era sempre stata.

« Aspetta. »

Sussurrò. Libertà.

« No. »

Rispose. Prigionia.
Era un circolo vizioso, un così dolce morire tra le braccia dell’altra. La donna sbagliata.

 

Squillò il cellulare, un semplice messaggio e un nome che furono in grado di farla arrossire, di farle sentire una lieve pressione sul petto e così tanta – stupida – gioia.
Si buttò rapidamente sul piccolo oggetto e lesse, forse un po’ delusa, quel solito “ciao piccola, come va?”:  in fin dei conti non avrebbe potuto aspettarsi altro.

« E’ lei? »

Maligna arrivò all’orecchio la voce della compagna mentre nuovamente l’abbracciava da dietro.
La scacciò il malo modo, infastidita da quel tocco che poco prima le era sembrato così indispensabile.

« Anche se fosse? »

Sibilò dopo aver digitato una rapida risposta e aver lasciato su quel letto – tante volte maledetto – il cellulare.

« Sa di noi? »

Silenzio. La ragazzina si alzò e di nuovo tremò – freddo, terrore – mentre recuperava la sua maglietta.

« Non c’è nessun noi. »

Rispose dopo un po’ essendosi ormai rivestita.
Fissò l’altra, più matura, più bella e tentatrice: la sua carnefice, sua croce e sua delizia.
Di nuovo il cellulare squillò, di nuovo si buttò su quel maledetto letto e, mentre l’altra giocava con i suoi capelli rispondeva a “lei”.

 

La fissava da lontano.
La fissava mano nella mano con lui, mentre le sue dita – rovinate – stringevano una di quelle sigarette che si erano salvate dal sequestro settimanale della compagna.
Era stato un caso – un maledettissimo caso – trovarsi al parco nello stesso orario in cui passava, per quelle strade, lei.
Forse non più di tanto considerando che lì, su quella panchina, ci vivesse, ma “lei” in quell’istante - e il suo sorriso – erano stati una sorpresa.
Tremava impercettibilmente, aveva freddo, cercando di tenere a bada vecchie gioie e timori.
Non l’amava - non riusciva nemmeno a concepire il pensiero di amare “lei” - eppure era così preziosa, che avrebbe rinunciato a tutto pur di seguirla.
Taceva, però, con la paura che sarebbe stata fraintesa – che sarebbe finita in qualcosa di molto più grave.

« Sei qui, come sempre. »

L’altra. Erano coetanee quelle due donne così tanto diverse tra loro – entrambe più grandi della loro “piccola” – e amiche di vecchia data.

« Mi stavi cercando? »

Borbottò, adesso tremava di rabbia. Strinse i pugni, spezzò la sigaretta, buttandola prima che lo facesse l’altra al suo posto.

« Mio piccolo tesoro, ti sembra impossibile che questo sia un caso? »

Le scompigliò i capelli mentre il suo sguardo altrove: “lei” era scomparsa dalla sua vista.
Ringraziò – tra sé - che non avesse visto con lei l’altra donna.
Temeva che scoprisse della loro storia, temeva che la giudicasse.
Glielo nascondeva quando lei era l’unica persona tra le cui braccia volesse rintanarsi, l’unica che così tanto adorava e che era sempre in grado di trovare una parola giusta per lei.
Aveva altri amici ovvio, amici che sapevano, amici che l’avevano rimproverata, consolata e riso con lei, una migliore amica splendida che l’aveva capita.
E poi c’era “lei”.
Un caso a parte - come non avrebbe mai smesso di considerarla.
Sospirò.

« Come è stata la tua giornata? »

Domandò, voltandosi di nuovo verso l’altra, parole oziose che davano inizio ad una lunga conversazione pomeridiana.

 

Erano tutte e tre a casa dell’altra.
Stronza.
Rideva e la fissava, un po’ maliziosa magari, percependo ogni bestemmia che la piccina con sguardo accigliato le stava mandando mentalmente.

« Piccola, tutto ok? »

Era la sua lei: l’unica donna che avrebbe sempre inseguito senza mai esserne stata innamorata, una preda che – da cacciatrice – non avrebbe mai mangiato, ma semplicemente contemplato.
Il suo volto si distese in un sorriso e – con qualche piccolo sforzo – riuscì ad ignorare l’altra che sedeva al suo fianco ghignante.
Odiò quel divano più di ogni altra cosa, probabilmente.
Chiacchieravano, le due parlavano ogni tanto di scuola, ogni tanto le chiedevano se avesse qualche piccolo progetto per il futuro.
Ne aveva, la sua famiglia li aveva, ma taceva – come sempre aveva fatto.
Troppe parole taciute avrebbero finito per ucciderla.
Fu qualche minuto più tardi che “lei” si alzò dalla sua sedia: una telefonata o qualcosa del genere la portò in un’altra stanza, lasciandola sola con l’altra donna – l’amante – in silenzio.
Non aveva intenzione di parlarle.

« Sei arrabbiata? »

Sussurrò quella avvicinando il proprio volto alla sua guancia, sfiorandola con le labbra: il primo bacio di tanti.
Lei si allontanò, tentò di scostarsi, rintanandosi nell’angolo.

« Sì. »

Si riparava, si sporgeva fuori dal divano pur di evitarla e l’altra – in risposta – attaccava il collo lasciato scoperto.
Tentò di ripararsi con le mani – ma sempre taceva – e l’altra baciava quelle.
Mordeva e le sue dita scorrevano sul fianco, si sentiva inerme accartocciata in quell’angolo di divano, stanca di quei giochi ma troppo debole per un “no” abbastanza convinto.
Tra morsi aveva raggiunto le labbra, aveva sentito i denti sulle guance, sul naso – piccoli morsetti, quasi scherzosi – e poi le labbra.
Di nuovo troppo debole per non schiuderle, di nuovo si arrampicava tentando – senza troppa convinzione – di allontanarla.
Avrebbe voluto essere aiutata, ognuno di quei baci, di quel tocco non le lasciava che disgusto.
Disgustata da se stessa e dall’altra.
E tutto mentre l’altra era in una delle stanze vicine al telefono.
La spinse via, un lasciami, e la donna – predatrice - tornò all’attacco.
Era spaventata, terrorizzata e poi l’incubo svanì.

« Ehi voi due, siete morte? »

Si rialzarono, scostarono in fretta l’una dall’altra. La prima disgustata, l’altra conscia che per la prima volta aveva davvero perso il controllo.
“No, purtroppo”. Avrebbe voluto rispondere.
Si alzò, un sorriso di circostanza e chiedendo dove fosse il bagno, vi si rifugiò per sciacquarsi la faccia.
Aria finalmente.
Respirava.
Tremava.
In seguito, ricordando, avrebbe voluto piangere.

 

« E’ finita. »

Sostava di fronte all’altra, non tremava – finalmente – e la fissava sforzandosi di non piangere.
Quella di fronte a lei non era una cattiva persona – lo sapeva benissimo.
Si fissavano e entrambe sapevano che quella era la fine.
Una cieca consapevolezza, un ristabilire equilibri ormai in pezzi da tempo.

« Lo immaginavo. Non sarebbe mai dovuta iniziare, non è così, piccolina? »

Le sorrise, un vero sorriso, e ricordò perché tutto era iniziato.

« Forse sì, forse no. »

Ma c’era troppa distruzione, così tanta che non avrebbe potuto aver la meglio su quel poco di buono, sul conforto, sulle parole amiche.

« E’ un addio allora? »

Erano l’una affianco all’altra, su quella panchina del parco e faceva freddo, tanto freddo.

« Non essere così melodrammatica, non è da te. »

La rimproverò stringendosi in un cappotto sufficientemente caldo. Non la guardava, non ci riusciva. Si dissero tante cose in quel pomeriggio, parlarono della fine, parlarono dell’inizio.
Aveva smesso almeno di fumare, ora l’accendino nella sua borsa sarebbe rimasto inutilizzato sul fondo e questa fu la piccola gioia dell’altra.
Se ne stava andando, contro la tempesta, come tempesta aveva portato, prima di voltarsi.

« Cosa farai con “lei”? »

Domandò. Pura e semplice curiosità.

« E’ un caso a parte, l’unica, non potrò mai nemmeno sfiorarla. »

Sorrise mesta, le sue difese stavano cedendo. L’altra annuì e sparì così dalla sua vita.
Pianse a lungo quel pomeriggio, sola su una panchina senza nessuna spalla su cui contare, pianse e rimpianse ogni evento, ogni parola non detta.
Era finita.

Non tremava più.

 

Note:
Scrissi questa storia a Novembre ed è l’ultima che ho scritto, una delle più lunghe e una di quelle che mi è costata più fatica. L’inizio risale a Luglio e il resto è venuto dopo, con le consapevolezze di che cosa porta una fine o determinati eventi.
E’ confusa, ho tentato di correggerla, di modificare le parti più incomprensibili, ma, a meno che non la riscrivessi dall’inizio, in alcuni punti sarebbe praticamente impossibile per come l’ho impostata. Non volendola buttar via ho quindi deciso di aggiornare – dopo tanto tempo – con questa ^^
Grazie a chi la leggerà e a chi nonostante i miei disastrosi ritardi segue questa raccolta, di nuovo ringrazio di cuore Eylis per il commento: anch’io continuo a preferire la seconda non ti preoccupare XD forse questa è un po’ più importante, ma per motivi decisamente diversi u.u
Mi scuso se aggiorno così raramente, ma ormai non riesco più a scrivere più nulla e nemmeno riesco a trovare il tempo ^^’’ 

Lye

  
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