CAPITOLO 11 - P.O.V. Kristen
Pur
breve, il tragitto che in automobile ci separava da casa
di Claire e Richard mi pareva infinito, aiutato anche dal traffico
natalizio di parenti e amici che si spostavano per riunirsi a cena per
il cenone della Vigilia. Conoscevo pochissimo Londra, ma alla fine
conclusi che quello era solo il normale traffico di Londra, e della
poesia del Natale non ne aveva per niente traccia.
Stavo per conoscere parte della mia
nuova famiglia; la parte che, secondo Kitty, è quella più tranquilla e
gioviale e, per lei, non valeva la pena preoccuparsi troppo.
Eppure non mi
sentivo affatto bene: il mio stomaco era stretto in una morsa, ed i miei arti
non la smettevano di tremare. Avrei
voluto tanto vomitare, magari mi sarei liberata di tutta la tensione
che avevo
in corpo. Rob, il mio ragazzo dolce e premuroso, alzò il
riscaldamento
dell’auto per far distendere i miei nervi e mi strinse forte la
mano, pur
continuando a tenere gli occhi fissi sulla strada e rimanendo in
silenzio.
Sapeva che nessuna parola sarebbe stata d'aiuto in quel momento.
Nonostante
avessi le mani fasciate in caldissimi guanti di pelle nera – parte del
coordinato che
Olivia mi aveva preparato per la serata, insieme ad un abito a
minigonna bianco, stivali con tacco alto, e cappellino – le
sentivo fredde e contratte come due ghiaccioli; avrebbero potuto anche staccarsi dalle braccia, perché tanto non
avrei sentito
dolore, tanto la mia mente era occupata da altro.
Sulle mie gambe, che non avevano smesso un minuto di muoversi, seguendo un nevrotico ritmo immaginario, un
vassoio
con la tipica torta natalizia, la mince
pie: da
bambina ne lasciavo sempre una bella fetta in salotto, affianco alla
calza, assieme
ad un bicchiere di latte, affinché Santa Claus fosse generoso
con me e mi
lasciasse tanti doni. Poi avevo scoperto che il vecchio Santa era il
mio papaStew, che a mezzanotte, mentre noi dormivamo, andava a
papparsi la torta e ci lasciava i regali sotto le calze appese;
così, furba e birbante come solo una bambina cresciuta in mezzo
ad un manipolo di maschi scalmanati può essere, iniziai ad
rubare il pezzo di torta prima che mio padre potesse mangiarlo in gran
segreto nel cuore della notte ... beata infanzia ...
Avevo chiesto a Claire di lasciarmi preparare almeno quel
dolce, visto che non aveva voluto l’aiuto di nessuno per
organizzare la cena.
Arrivati, scendendo dall’auto, un’improvvisa raffica di
vento gelido mi colpì; nell'aria il profumo pungente
dell'inverno, quello che sa di neve e di Natale, e che a Los Angeles
non mai sentito. Era strano poter avere un bianco Natale, anche se la
neve non c'era per terra, un Natale da cartolina; era come un sogno di
bambina, dal quale difficilmente avrei chiesto di fermarmi. Fui
costretta a stringermi nel mio cappottino turchese, maledicendo il
momento in
cui decisi di indossare la gonna, qualunque fosse stato il clima;
pensai, per
farmi forza, al proverbio: chi bello vuole apparire, un poco deve
soffrire. Per
fortuna non doveva essere ancora arrivato nessuno, perché Rob
riuscì a trovare
posto per l’auto proprio davanti la villetta di Claire e Richard,
e con una
piccola corsetta raggiungemmo la casa rapidamente.
Per un attimo mi sentii triste: mentre percorrevo il vialetto della
casa dei miei suoceri, scortata da Robert che mi cingeva le
spalle, soffermai il mio sguardo sulla casa attigua, quella delle
mie amiche, buia e desolata; pensai che ciascuna di loro
era nella propria casa, insieme alla propria famiglia e festeggiava il
Natale come
tradizione.
Io invece non avrei rispettato nemmeno una delle mie, perché non
ci
sarebbe stato mio padre, né mia madre, né i miei
fratelli, né il sole della
California. Una lacrima mi rigò il volto ed immediatamente Rob
mi strinse ancora più forte tra le sue
spalle: "Ehi! Che c’è?” mi sussurrò,
dolcemente. "Niente" risposi, riuscendo a mentire abbastanza facilmente
"è solo il
freddo, non ci sono abituata”. Gli sorrisi e andammo avanti; non
volevo che pensasse che avevo cambiato idea, anche perché non
era così. Volevo quel Natale speciale, volevo stare con la sua
famiglia e nella sua Londra, ma soprattutto volevo stare con lui, tutto
il resto passava in secondo piano.
Ma fu solo un attimo: di tradizioni ne avrei scoperte di nuove, di
risate ero sicura ne avrei fatto indigestione, così come di
leccornie e bevande con le bollicine.
Alla porta ci accolse Richard, come al
solito con un caldo e avvolgente sorriso in volto, rosso come le
decorazioni sulla ghirlanda del portone, certamente per via del
riscaldamento troppo alto in casa: con qualche chilo in più e la
barba
candida sarebbe stato un Papà Natale, come lo chiamano in
Inghilterra, perfetto!
Un
profumo di casa, dolce, caldo ed inebriante ci avvolse nonappena
varcammo la soglia dell'abitazione: carne arrosto mista
allo zenzero dei dolci, ma anche vin brulé ed odore di
muschio e naftalina delle decorazioni. Il salotto era
un’esplosione di luci e colori, ghirlande e fiocchi rossi e
dorati bardavano
tutta casa, ed un fuoco vivo scoppiettava nel camino. La sala da pranzo
era già
stata sistemata con una grande tavolata, in cui l’oro e il rosso
dominavano,
creando un colpo d’occhio fantastico. Fu allora che realizzai
davvero di essere in Europa, con quell'immacabile stile retrò
che ti rapisce completamente, ma che rende perfettamente benvenuto,
accolto davvero come se fossi in casa tua.
Diedi il cappotto e gli accessori a mia
cognata Vittoria, che si offrì di porli via. Per la tensione non mi accorsi di
quanto fosse irresistibilmente bello Robert quella sera: completo giacca e
cravatta nero, con cravatta nera di seta, camicia bianca immacolata … mi
avrebbe fatto impazzire!
“Ecco vedi siamo tremendamente in anticipo, come avevo detto
io!” si lamentò con me Rob, frignando come un bambino
strappato dai videogame, anche perché effettivamente avevo
dovuto tirarlo via a forza dalla Playstation, il bambinone che mi
mandava gli ormoni a mille “non è ancora arrivato
nessuno!”.
Ma io ribattei, più tenace e lamentosa di lui: “Siamo
tremendamente in ritardo invece, come ho detto io, perché volevo
aiutare tua
madre, ed invece è già tutto pronto!”
“Kristen non dirlo nemmeno per sogno” intervenne
Claire “tu qui sei un’ospite stasera, e come tale non devi muovere un muscolo!”
“Kristen, piccola!” Richard, il mio amato secondo papà “sei stupenda stasera,
raggiante!” “Ti ringrazio Richard, si fa quel che si può!” sentii una folata di
calore avvamparmi le guance, non so se per il caldo della casa o per
l’imbarazzo che mi crea ogni volta ricevere dei complimenti. Ci accomodammo in
salotto, in attesa che il resto della famiglia Pattinson arrivasse. Sono una
famiglia molto numerosa, e da quanto ho potuto capire, anche molto unita.
Richard è il primo di 3 figli, ed ha due sorelle. Una, Mary, si è sposata a
vent’anni ed infatti i suoi figli sono già adulti, ed hanno mogli e figli,
mentre i figli dell’altra zia, Jane, sono tutti miei coetanei, più o meno.
Mi erano già stati presentati tutti in occasione delle première di Twilight e
New Moon, ma talmente di sfuggita che non ne ricordavo uno. Nelle settimane
precedenti avevo tentato di ri-conoscerli tramite le foto, ma più che un
insuccesso il mio fu un disastro totale.
Suonò il campanello. Alla porta andò Claire, da lontano
la senti salutare con grande affabilità gli ospiti appena
arrivati.
“Mamma, papà,
buonasera! Non state lì a congelarvi! Prego entrate!!!”
Erano i nonni di Rob, Thomas e Victoria i loro nomi, genitori di Richard. Una
vocina dolce si alzò di un paio di toni, trillando: “Dov’è? Dov’è il mio
nipotino? Robbie???”
Quello che mi sedeva affianco non era più il mio ragazzo,
quello dalle guance rosee, come un neonato; era piuttosto il suo
fantasma,
tanto era sbiancato, sicuramente messo a disagio dal nomignolo che la
nonna aveva erroneamente usata; sapevo quando gli desse sui nervi
quando lo chiamavano Robbie o Bobbie. Gli avrei riso in faccia se non
fossi stata nervosa per l'incontro, infatti quello che uscì
dalle mie labbra fu più uno sbuffo isterico che una risata. Ma
probabilemente anche il cambiamento della sua cera fu dovuto al
nervosismo; in quel momento più che Robert, il nome Edward
sarebbe
stato più appropriato. Mi strinse forte la mano e mi
invitò senza dover usare parole, semplicemente con uno sguardo
più che eloquente, ad accompagnarlo
dai nonni. E meno male che tra i due dovevo essere io la più
nervosa!!!
“Ciao
nonna!!! Nonno, buonasera!” Li baciò entrambi sulla
guancia. “Posso presentarvi Kristen, anche se credo che
già
la conosciate...” il
nonno di Robert prese per primo la parola, come a voler ricordare chi
è che
portava i pantaloni in quella coppia “Certo che la conosciamo,
è la tua collega!
Siamo vecchi Robert, non rimbambiti! Piacere Kristen, io sono
Thomas!” ricambiai
con un gran sorriso ed una stretta di mano, ma lui volle dare
anche a me un bacio sulle guance, come si usa fare nel vecchio
continente.
“Be’, vedete, non si tratta più solo di una mia
collega" disse timidamente, con la voce un po' tremante, e passando la
mano nervosamente tra quella massa informe che erano i suoi capelli "ma
della mia ragazza …
sì, insomma, io e Kristen stiamo insieme, nonno!”
Ci fu un
attimo di silenzio, più
che un attimo un’eternità, in cui anche gli altri presenti
si fermarono nelle
loro attività e prestarono attenzione al nostro quartetto. A
prendere la parola
stavolta fu la dolce nonnina di Robert, che sembrava davvero uscita da
un libro
di fiabe, forse la nonna di Cappuccetto Rosso avrebbe dovuto avere
esattamente
quell’aspetto, o ancor meglio la dolce e simpatica Fata Smemorina: “Oh allora benvenuta nella nostra famiglia
bambina!!!” mi
abbracciò forte, e poi abbracciò anche il nipote
“Robbie non puoi capire quanto
mi faccia piacere questa notizia. Tua madre ci aveva parlato di una
sorpresa,
ma non potevo immaginare potesse essere così bella!!! Finalmente
ti sei
sistemato!!!” “Nonna …” la riprese Rob
“… ma se ho solo 23 anni …”
I nonni e Robert vennero risucchiati dalla conversazione con
Richard e Claire così potei tirare il fiato per un momento, e le mie care
cognate vennero in mio soccorso “Allora, pensi ancora che sia una cosa così
terribile?” mi chiese Vicky . “Mi pare che
sia andato tutto bene, nonna mi è sembrata molto positiva nei tuoi
confronti!” anche Lizzie mi confortava. Beh, lo era stata davvero, ma la serata
era appena cominciata.
La famiglia Pattinson era dir poco straordinaria: simpatia,
giovialità e gentilezza al primo posto; ma la lista degli aggettivi favorevoli
per descriverli potrebbe andare all’infinito.
Le zie e gli zii di Rob sono stati tutti estremamente cordiali con me,
i
cugini molto simpatici e con la battuta sempre pronta, le cugine
irresistibili
con la loro allegria, soprattutto la brunetta Suki, figlia adottiva di
zia Jane, che sembrava piuttosto una partecipante a Jersey Shore che
l'assistente ai tavoli di una delle Tea Room più alla moda di
Londra. Mathias e Joey, figli del cugino maggiore di Robert,
erano di una tenerezza sconvolgente, di bimbi così calmi non ne
avevo mai
conosciuti in vita mia: sono venuti a stare in braccio a me senza fare
storie,
anche se era la prima volta che mi vedevano, e non è una cosa
normale per dei
bambini così piccoli. Tutti dicevano, lusingandomi, che era
difficile starmi vicino senza rimanere abbagliati. Ma, modestia a
parte, sembrava davvero così: non ci fu un'istante in cui mi
sentii inappropriata, il solito pesce fuor d'acqua; tutti sembravano
interessati davvero a ciò che avevo da dire, e non dovetti
formalizzarmi troppo nel linguaggio e nel portamento. Quando i tacchi iniziarono a fare male infatti, Lizzie mi venne in
aiuto sfoderando delle comodissime e caldissime pantofolone di Bart
Simpson facendomi compagnia insieme alle altre ragazze con altrettanto
grandi e buffe pantofole.son facendomi compagnia insieme alle altre ragazze con altrettanto grandi e buffe pantofole.
Sembrava di stare dentro un film, in una di quelle famiglie
della pubblicità, troppo perfette per essere vere: eppure stavolta lo era,
tutto era meravigliosamente reale, ed era mio, per una volta. La tavola
imbandita di mille prelibatezze e le risate ed i pettegolezzi che le facevano
da cornice, vista anche la copiosità dei miei commensali, mi fece pensare al
film “il mio grosso grasso matrimonio greco”. Non potei che essere
soddisfatta della mia condizione, perché una famiglia così era meglio di quanto
io stessa avrei osato chiedere.
La
cena scivolò via velocemente, tra una storiella e
l’altra, aneddoti più o meno imbarazzanti che non
risparmiarono nessun membro della
famiglia. Venni a conoscenza di alcune tradizioni di famiglia, come
quella
riguardante l’erede: mi spaventò po’ questa,
perché mentre il nonno la esponeva,
sentivo gli sguardi posarsi ripetutamente ed alternativamente su me e
su
Robert, su Robert e su me. A quanto pare, il primogenito maschio ha
l’obbligo
di tramandare al proprio primogenito maschio il secondo nome di suo
padre e, come secondo nome, quello del nonno. Come conseguenza si
ottiene il nome del proprio bisnonno, tradizione sempre rispettata.
Richard
infatti ha il nome del proprio bisnonno, Richard Robert, il mio Rob si
chiama
come il suo, Robert Thomas, e Rob sarò obbligato a chiamare il
suo primo figlio
maschio come il nonno, e cioè Thomas Richard. L’intervento
di nonno Tom venne
concluso magistralmente da nonna Victoria, nei confronti di Rob:
“ e poi non
dire che non ti abbiamo avvisato!!! Mi raccomando ragazzi!!!”.
Mi
correggo,
l’avviso era per entrambi. Ma come correvano!!!
Finite le portate, ci spostammo in salotto dove Claire servì
il caffè e Robert fu obbligato dai suoi famigliari a mettersi al piccolo pianoforte a muro.
Finimmo col cantare vecchie ballate popolari, stonate, grazie anche al vino che incominciava a dare il suo effetto; la serata passò via serenamente e piena
di grasse risate, alcune fino alle lacrime; non vidi neanche per secondo un viso
annoiato e nessuno ebbe mai motivo di controllare l'ora, se non per
dire "cavoli è già mezzanotte!"
Andammo in chiesa tutti insieme, ma anche quello che poteva
sembrare un supplizio data l’ora, con la possibiltà di
addormentarsi che diventava sempre più una realtà, si
trasformò un piacevole diversivo, grazie anche
al più simpatico ed impertinente dei cugini, Andrew, ragazzone
di ventuno anni,
col fisico più da giocatore di football americano che da
studente di Cambridge,
tanto che mi portò a pensare al mio fratellone cinematografico
Emmett Cullen. Si divertiva ad infastidire tutti
i fedeli più o meno assonnati o completamente addormentati dalla
digestione di una cena pesante e dal sermone non proprio
comico, svegliandoli in maniera burrascosa e
meschina - usando delle candele, cantando più forte - e noi non
riuscivamo a
trattenere le risate. Le vecchine più devote presero a
guardarci, alterate, di sottecchi,blaterando poco velatamente sulla
gioventù bruciata, blasfema e miscredente dei giorni nostri, che
va in chiesa solo la notte di Natale e non ha rispetto di chi, a certe
cose, ci crede. Con la coda tra le gambe, chiesi ai ragazzi di darsi
una calmata, ma non ci credevo nemmeno io a quello pseudo rimprovero,
divertita dalla situazione. Anche quell’ora più o meno
seria passò, così tornammo a
casa, per continuare le chiacchiere e iniziare i giochi di
società; tutti erano particolarmente elettrizzati all’idea
di dover scartare i
regali
Tutti, sì, tutti tranne io!
L'ANGOLO DELL'AUTRICE
edit 15/12/2010: ho aggiornato il capitolo, cercando di accrescerlo e ampliare le descrizioni, dandovi più informazioni possibili per identificare la scena.
In più noterete che alla storia ho aggiunto un banner. Che dite, vi piace?
Mi piacerebbe che commentaste il capitolo anche ora...
soggiorno soggiorno 2(immaginate le due foto come se fosse la sala vista da due punti di vista diversi ed, ad una parete un pianoforte a muro)
sala da pranzo (tavolata molto più grande, deve ospitare molte più persone)
à bientot!!!